Archive for Paolo Lucarelli

Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie IX

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Ritorniamo ad esaminare  i Caissons dell’Hôtel Lallemant:

Questo terzetto, il penultimo, ci offre tre rappresentazioni tipiche d’Alchimia.

Cassone 23 – Il Livre Ouvert.

Fulcanelli accenna solo descrittivamente a questo Caisson:

Nous remarquons aussi le livre ouvert dévoré par le feu; …”.

[Le Mystère des Cathédrales – 1926, p. 134]

A proposito del libro – come indicato anche dall’amico ‘ijnuhbes’ – Fulcanelli scriverà in seguito:

Nous avons eu, à maintes fois déjà, l’occasion d’expliquer le sens du livre ouvert, caractérisé par la solution radicale du corps métallique, lequel, ayant abandonné ses impuretés et cédé son soufre, est alors dit ouvert. Mais ici une remarque s’impose. Sous le nom de liber et sous l’image du livre, adoptés pour qualifier la matière détentrice du dissolvant, les sages ont entendu désigner le livre fermé, symbole général de tous les corps bruts, minéraux ou métaux, tels que la nature nous les fournit ou que l’industrie humaine les livre au commerce. Ainsi, les minerais extraits du gîte, les métaux sortis de la fonte, sont exprimés hermétiquement par un livre fermé ou scellé. De même, ces corps, soumis au travail alchimique, modifiés par application de procédés occultes, se traduisent en iconographie à l’aide du livre ouvert. Il est donc nécessaire, dans la pratique, d’extraire le mercure du livre fermé qu’est notre primitif sujet, afin de l’obtenir vivant et ouvert, si nous voulons qu’il puisse à son tour ouvrir le métal et rendre vif le soufre inerte qu’il renferme. L’ouverture du premier livre prépare celle du second. Car il y a, cachés sous le même emblème, deux livres fermés (le sujet brut et le métal) et deux livres ouverts (le mercure et le soufre), bien que ces livres hiéroglyphiques n’en fassent réellement qu’un seul, puisque le métal provient de la matière initiale et que le soufre prend son origine du mercure.”.

[Les Demeures Philosophales – 1939, p. 304]

Ed ecco la mia personale traduzione:

“Abbiamo avuto, già più volte, l’occasione di spiegare il senso del libro aperto, caratterizzato per mezzo della soluzione radicale del corpo metallico, il quale, avendo abbandonato le proprie impurità e ceduto il suo zolfo, vien allora detto aperto. Ma qui si impone una precisazione. Sotto il nome di liber e sotto l’immagine del libro, adottati per qualificare la materia detentrice del dissolvente, i saggi hanno inteso designare il libro chiuso, simbolo generale di tutti i corpi grezzi, minerali o metalli, così come ce li fornisce la natura o come l’industria umana li consegna al commercio. Così, i minerali grezzi estratti dal giacimento, i metalli ottenuti dalla fusione, sono espressi ermeticamente per mezzo di un libro chiuso o sigillato. Allo stesso modo, questi corpi, sottoposti alla lavorazione alchemica, modificati per mezzo dell’applicazione dei processi celati, si traducono nell’iconografia grazie all’aiuto del libro aperto. È dunque necessario, nella pratica, estrarre il mercurio dal libro chiuso che è il nostro soggetto primitivo, al fine di ottenerlo vivente ed aperto, se vogliamo che possa a sua volta aprire il metallo e rendere vivo lo zolfo inerte che racchiude. L’apertura del primo libro prepara quello del secondo. Perché ci sono, nascosti sotto il medesimo emblema, due libri chiusi (il soggetto grezzo ed il metallo) e due libri aperti (il mercurio e lo zolfo), benché questi libri geroglifici non ne facciano realmente che uno solo, dato che il metallo proviene dalla materia iniziale e che lo zolfo trae la sua origine dal mercurio.”.

Il brano qui proposto proviene da uno dei Capitoli che amo di più, e che sono tra i più indicativi per la pratica Filosofale prima, e di Laboratorio poi: Les Gardes du Corps de François II, nella sezione dedicata allo studio della statua della Justice.

Lo studioso/studente potrà riflettere al meglio sulle chiare e preziose indicazioni di Fulcanelli, avvertendo che – more solito – le sue parole vanno ben comprese: per quanto veritiere e concise, Fulcanelli non scrive mai in modo banale.

Ma, tanto per sottolineare la ‘facienda’ – vale a dire ‘il da farsi’ – dei ‘processi celati’ cui accenna Fulcanelli, ecco un altro passo (ma ve ne sono ovviamente altri) che pare riferirsi sempre al doppio libro (che sono in realtà quattro ‘cose’; sebbene una certa cautela sia d’uopo quando si volesse tentare l’esatta comprensione di ciò che ha voluto comunicare), che riporto tal quale, la cui traduzione è molto semplice:

Ce livre fermé, symbole parlant du sujet dont se servent les alchimistes et qu’ils emportent au départ, est celui qui tient avec tant de ferveur le second personnage de l’Homme des Bois; le livre signé de figures permettant de le reconnaître, d’en apprécier la vertu et l’objet. Le fameux manuscrit d’Abraham le Juif, dont Flamel prend avec lui une copie des images, est un ouvrage du même ordre et de semblable qualité. Ainsi la fiction, substituée à la réalité, prend corps et s’affirme dans la randonnée vers Compostelle. On sait combien l’Adepte se montre avare de renseignements au sujet de son voyage, qu’il effectue d’une seule traite. « Donc en ceste mesme façon, se borne-t-il à écrire, je me mis en chemin et tant fis que j’arrivais à Montjoie et puis à Saint-Jacques, où, avec une grande dévotion, j’accomplis mon vœu. » Voilà, certes, une description réduite à sa plus simple expression. Nul itinéraire, aucun incident, pas la moindre indication sur la durée du trajet. Les Anglais occupaient alors tout le territoire : Flamel n’en dit mot. Un seul terme cabalistique, celui de Mont-joie, que l’Adepte, évidemment, emploie à dessein. C’est l’indice de l’étape bénie, longtemps attendue, longtemps espérée, où le livre est enfin ouvert, le mont joyeux à la cime duquel brille l’astre hermétique2. La matière a subi une première préparation, le vulgaire vif-argent s’est mué en hydrargyre philosophique, mais nous n’apprenons rien de plus. La route suivie est sciemment tenue secrète.”.

[Les Demeures Philosophales – 1939, pp. 172-3]

A titolo di commento, val la pena di dire, credo, che Fulcanelli indica con chiarezza che il famoso ‘Viaggio a Compostella’ è una metafora; nulla di più. E che il termine Mont Joie indica un Cairn, che in Inglese è un monticello di rocce/pietre, usato sia come marker di un percorso (montano, per esempio), sia come luogo di raduno dei soldati sul campo di battaglia: forse da questo è diventato celeberrimo il grido Mont Joie – Saint Denis, urlato orgogliosamente dai cavalieri di Carlo Magno, radunati attorno ad un altro marker, reso celebre da La Chanson de Roland: l’Oriflamma; quest’ultimo, oltre ad essere una lunga banderuola rosso scarlatto appiccata sulla cime di una lancia, può far sorridere l’alchimista accuorto: il termine suona un po’ come … l’origine della fiamma (si dice che Carlo Magno stesso lo portasse con la lancia in Terra Santa come arma per sterminare i Saraceni!; … o tempora, o mores!); così, in allegria, si chiude il mio personale esame del libro, aperto, tra le fiamme: la lancia di Carlo Magno, il Mont-Joie, ci conduce dritti dritti a Lancilotto – studiate, please, il magnifico Lo Chevalier de la Charette di Paolo Lucarelli – , che è Lancelot, l’Angioletto! … ohibò, sarà forse per questo che il Plafond dell’Oratoire (!) è zeppo di Angioletti e di tre Livres ouverts ????

3 ??? … Oh, my God!

Cassone 24 – La Colombe.

Fulcanelli: “… la colombe auréolée, radiante et flamboyante, emblème de l’Esprit; …”.

[Le Mystère des Cathédrales – 1926, p. 134]

Anche in questo caso, a mio parere, questo Caisson centrale rappresenta il risultato di ciò che è causato dalle azioni/operazioni legate ai due Caissons laterali; si tratta, in tutta evidenza, della Colomba rappresentante l’Esprit, più esplicitamente le Saint Esprit, più alchemicamente ed operativamente, l’Esprit Universel.

[Disegno di J.J Champagne]

Questo topos alchemico è così tipico, così ‘parlante’, così famoso, che non credo necessiti di commenti in questo piccolo studio: si sta parlando della discesa (meglio: dell’attrazione) dell’Esprit Universel NELLA Materia. Fulcanelli, laconicamente, indica soltanto che essa Colombe è sia Aureolata che Radiante che Scintillante/Fiammeggiante! … e questa precisione dei tre-aggettivi-tre mi pare derivare da una sua cultura più legata ad una Fisica (à la Louis de Broglie, per esempio) che soltanto squisitamente ermetica; beninteso, per non turbare troppo gli animi, è solo una mia opinione, eh?

En passant, oltre che segnalare che il Flamboyant è anche una bellissima arborescenza di color rosso caldo, il termine ha anche questi sinonimi: ardent, brillant, éclatant, étincelant, lumineux, pétillant, radieux, reluisant, resplendissant, rutilant, scintillant; questa Colombe, insomma, pare legata a Lux ed al suo colore, il quale – lo si sa – è frutto di un range di Frequenze restituite dal corpo in questione. Qualcuno ha mai visto una colomba … rossa? Risposta: quel rosso non si vede, poiché pare appartenere all’Infrarosso (letto e compreso come ‘sotto-il-rosso)’!

Chissà !

Cassone 25 – Il Corbeau et le Crâne

Fulcanelli scrive: ”… Le corbeau igné, juché sur le crane qu’il becquette, figures assemblées de la mort et de la putréfaction; …”.

E Paolo: “il corvo igneo, appollaiato sul cranio che sta becchettando, figure riunite della morte e della putrefazione; …”.

[Il Mistero delle Cattedrali – 2005, p. 289]

[Disegno di J.J Champagne]

Per cominciare: l’uccello che indica Fulcanelli è quello classico dell’iconografia alchemica, il Corvo, le Corp Beau; ed è sempre legato alla morte, simboleggiante la Putrefazione della materia in opera; in qual momento? … ai lettori la risposta.

Raramente appare avvolto dalle fiamme: in questo caso si tratterebbe di un kórax, ma igneo: uno zolfo igneo, il che apparirebbe tautologico, no? Quindi rappresenta forse un corpo nero come il Corvus corax, ma portatore di un fuoco, oppure si sta parlando magari d’altro? Il che equivale ad una domanda che posi, molti anni fa, in un mio Post sulla Calcinazione Filosofica (qui): “Domanda: si sta parlando di dar fuoco al corpo, o si sta parlando d’altro?”.

Ovviamente, tocca all’alchimista fare i conti con questa enigmatica rappresentazione.

Alla evocata Putrefazione si riferisce invece il teschio, il cranio: e qui, chi ha già messo-le-mani-in-pasta, saprà certo a qual corpo ci si riferisca, e – forse – pure al luogo operativo (o saranno luoghi, al plurale?); una primissima sintesi di questa rappresentazione, dunque, potrebbe essere che un certo qual corpo, in un certo qual luogo, viene messo in contatto, in un certo modo, con un … Corp Beau, ma dalle caratteristiche ignee; questo Corp Beau, come detto sopra, che è uno zolfo (di per sé igneo) sarebbe portatore di un fuoco, che induce la morte … del cranio! Doppio Ohibò, non credete?

Sia come sia, questo Cassone dovrebbe almeno solleticare la curiosità di chi studia Alchimia; se, come pare evidente, il tema sollevato in questa curiosa scultura è la morte, sono personalmente dell’idea che chi sostenesse che Étienne Lallemant abbia in qualche modo ispirato l’accurato scalpellino nel suo Livre des Heures grazie al teschio decorato dalla scritta ‘Memanto Mori’.

… beh, io credo che la sua tesi sarebbe ben lontana dall’indicare una morte umana. La morte qui evocata è la morte alchemica, il cui risultato – lo si creda o meno – consiste nella nascita di un nuovo corpo, nel venire in Essere di un nuovo corpo, animato da quell’Esprit Universel che vivifica la Materia, ri-animandola; mediante una nuova Forma. Si tratta palesemente della nascita di nuova Vita.

Fra le cose che colpiscono chi osservasse bene la scultura, v’è questo ambiguo, se così si può dire, uccello: curioso, perché non sembra un Corvo; piuttosto, forse, un Falco (Pellegrino?) … ora, chi avesse letto o consultato – giusto per fare un esempio facile – l’Atalanta Fugiens di Michael Maier, ricorderà senza dubbio l’incisione dell’Emblema XLIII, che recita ‘Audi loquacem vulturem, qui neutiquam te decipit.’:

L’Epigramma – accostando e il ‘vultur’ e il ‘corvus’ – fornisce in bell’evidenza un suggerimento; importante quanto semplice:

Montis in excelso consistit vertice vultur

Assiduè clamans; Albus ego atque niger,

Citrinus, rubeúsque feror, nil mentior: idem est

Corvus, qui pennis absque volare solet

Nocte tenebrosâ, mediâque in luce diei,

Namque arti caput est ille vel iste tuæ.”.

Come sempre, se non lo si fosse già fatto, studiare il passo del geniale Conte Palatino compiacerà chi già opera e magari lo potrebbe indurre ad elaborare nuove ipotesi; e incuriosirà – e non poco – chi si fosse appena addentrato un po’ nel Bosco Incantato della Dama!

Dimenticavo: … avete fatto caso a quelle specie di ‘campanelle’ fissate alle zampe del Falcone scolpito sul Plafond? Nell’Arte della Falconeria, ricorda ijnuhbes, riservata ai grandi Re del passato, il suono emesso da quelle grelots mentre il rapace era in volo, aiutavano il Real Falconiere a seguirne il volo … compaiono anche, per quanto con un tratto più primitivo, nel disegno di J. Julien Champagne.

Ora, nel testo di Maier che segue l’Epigramma in questione si dice che allorché gli avvoltoi/falconi iniziano a far le uova, ‘aliquid adferunt ex Indico tractu, quod est tanquam nux, intùs habens, quod moveatur, sonúmque subinde reddat’; e quando si sono ‘adattati’ una tal ’noce’ … allora producono molti feti; ma solo uno sopravvive, che viene chiamato

IMMUSULUS

… Chapeau …

À bientôt, mes Dames et mes Sires !

“La Bugia” del Marchese Palombara … 3

Posted in Alchemy with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Sunday, November 5, 2023 by Captain NEMO

Continuiamo l’esame della Parabola del buon Marchese.

Lieto per vedere che la mia operazione con l’aiuto di Dio camminava di bene in meglio, mi venne pensiero di prendere altre vie per pascere l’animo d’altre vedute, per sollevare la mente affaticata nei studi.”.

Questo innocente ‘cappellino’ di Palombara, dovrebbe/potrebbe avvisare lo studente studioso: ‘altre vie’, dice.

Ciò detto, il nostro lascia le colline e si reca verso il mare ‘con la sua vastità ed apertura dell’aria’; raggiunge uno scoglio sulla riva: ed ecco che dalle onde vede uscire una ‘locusta’; dall’incisione che accompagna questa parte del testo si vede bene che si tratta di un granchio,  ‘tutta affamata e presciolosa, mostrando un’interna passione e melanconia nell’animo, con cortese inchino mi salutò ed aperta una piccola scarsella che le pendeva dal fianco cava da quella una piccola lettera o viglietto e me lo consegna.’.

Sul bigliettino si legge: “PIX ALBA AMARA LUMINIS UMI”, che è evidentemente un acrostico di ‘Maximilianus Palombara’; più operativamente, il buon Marchese sostiene: “… additandomi brevemente con la materia tutta l’operazione, mentre effettivamente tutto il principio della seconda operazione, che è il fine della prima, non è altro in effetto che una pece bianca ed amara del lume della terra.”; leggere bene, meditare con calma … e stare accuorti, eh? Suggerisco di notare che si tratta del Lumen e non proprio della Lux.

Conscio di aver tirato un sassetto in piccionaia, il buon Marchese alza la posta: “Amara, dico, perché ancora non è perfetta né affatto concotta o matura, essendo un estratto o quinta essenza o splendore cavato dalla terra dei filosofi detta Saturno, o Latona o Sole non depurato che, giunto a questo segno, vien chiamato con il suo primo nome Giove.”. Naturalmente dice bene, e non mente … Anche se mi par di percepire un rapidissimo batter di palpebre, con l’inarcar del ciglio … c’è dell’altro, infatti.

Poscia osservo il sigillo di essa (i.e., della lettera/viglietto) che era una fiamma, benché voltata all’ingiù verso la terra, tanto conforme al suo naturale, tendeva verso il cielo.”. … Ah, però! Carina questa, no?

La missiva, una volta aperta, reca una firma “La sirena del Mar Negro”. Se è firma, essa è ferma, e dunque chiude … cosa? Aperte le danze in modo così perfettamente acconcio, sicuro di risvegliare l’attenzione persino del più distratto dei casuali lettori, Palombara riassume il testo del ‘viglietto’: siccome il Re che si cerca non riusciva a sopportare il gran caldo, una notte era sceso a bagnarsi e restò accidentalmente annegato; si trattava per il nostro di attendere che le onde lo portassero a galla, certo ‘estinto’, ma lacero e putrefatto. Il viglietto raccomandava al cercatore il ‘regio cadavere’ e che ‘se avesse saputo operare con i modi magici, gli sarebbe stato facile, pur morto, di riportarlo in vita.’. Così, il Marchese aspetta sullo scoglio, poi la superfice del mare cambia colore (!) e vede ‘avvicinarsi un cadavere … sformato dal suo essere, e quasi disfatto…’; il Marchese lo afferra per un braccio … ma si accorse subito ‘d’aver alzato dal mare un pezzo di sottil pelle priva di tutte l’ossa, di tutte l’interiora e carne.’. Il mare torna calmo e Palombara ripone la pelle in un guscio di testuggine (‘testudine marina’) trovata sulla spiaggia, si avvia a ritornare, ma il mare si agita di nuovo; ed emerge di nuovo il cadavere del Re, ma con il braccio di nuovo ricoperto di pelle; stupito, stende la mano e ne ritrae un altro pezzo di pelle, che mette assieme alla precedente; la scena e la raccolta si ripete altre due volte. Poi il cadavere non tornò più a galla. Mentre risale verso il luogo da dove era venuto, sempre portando con sé la testuggine piena di pelle raccolta, si accorge che stava arrivando un gruppetto di gente; per paura di venir accusato di aver ucciso il Re, il Marchese si nasconde tra le rovine nelle vicinanze: senza esser visto, capisce che si tratta di un gruppo di filosofastri che discettano della materia con cui comporre la Pietra.

Ed ecco che con grande stridore e strepito si apre a stento una porticina: ne esce ‘una vecchia donna di bello aspetto, ma carica d’anni infiniti, dalla quale ne uscivano alcuni raggi di sole, ed appoggiava l’antiche membra sopra di un bastone, nella cima del quale vi era una mezzaluna.’. La vecchia gli chiede che cosa stesse facendo lì, e Palombara le racconta di aver la pelle del Re con sé; la Natura – perché lei è Natura; chi altra poteva essere? – se ne rallegra molto e gli dice che era davvero fortunato; lui chiede se quella pelle fosse proprio di quel Re tanto cercato da tutti; risposta: ”Sappi che quella pelle, benché insanguinata e sozza, è la parte più nobile del Sole, e che fa  per il tuo mestiero e che insieme fa il tutto, né mi meraviglio che ciò ti apporti meraviglia, poiché questo è un Re a pochi del mondo noto, benché da tutti sia veduto, ed è forte, gagliardo, potente, che resiste al foco, al freddo e ad ogni intemperie più d’ogni altro, e ciò lo puoi da te medesimo argumentare dalla fatica che hai avuto in spogliarlo delle sue ossa, ancor che fosse dal mare putrefatto, che sebbene è morto risorgerà qual novella fenice se sarai prudente. Sì che sappi che sebbene il mare gli dié la morte con annegarlo, quello li dié prima la vita, poiché da quello nacque essendoli madre e genitrice, la quale, sebbene sa che deggia risorgere trionfante, con tuttociò come pietosa al parto dalle sue viscere non puol celare il suo dolore, dandone segno con oscurarsi e vestirsi di lutto tra i singulti e li pianti sì come averai veduto. Conserva dunque questa pelle, e serviti della sua madre, mentre quel medesimo mare che dopo la vita li dié la morte, è disposto di novo a porgergli miglior vita con eternarlo, e regolati con prudenza, pazienza, e secretezza.”. La vecchia se ne va, ed il Marchese se ne torna a casa, ‘carico della ricca e preziosa preda’.

Una favola cruda, certo, ma bella, no? Si direbbe un racconto classico, un’allegoria ritrovata decine di volte nei buoni testi d’Alchimia. Eppure, a ben leggere, si coglie tra le righe qualche piccolo particolare di un certo interesse; nulla di veramente rivoluzionario, ma che colui che si ritrovasse avanzato lungo il cammino operativo non faticherà a riconoscere;

L’immagine che emerge appare infatti quasi come un dagherrotipo, dai colori così sfumati, dolcemente sbiaditi, caratteristici, affascinante: come sempre, gran parte dei lettori vi troverà pane per i loro Simbolici dentini; ma è davvero ridicolo affermare che l’Alchimia – grazie a brani come questo – possa mai esser un’Arte ed una Pratica di natura simbolica, non credete?

La fase operativa riguarda Latona, naturalmente; e, più in generale, ciò che si chiama ‘purificazione’. Ma prima di ‘purificare’ occorre evidentemente prima disporre di quel corpo; poi, memori di quanto riportato nel passo di cui ho parlato in precedenza (qui), disporre del corpo che lo potrà purificare; infine, con una certa manualità, effettuare la ‘dealbatio’, lo sbiancamento di Latona. A proposito del brano precedente, invito ancora a studiarlo al meglio, riflettendo. Non poco; molto: melius abundare quam deficere, eh?

Quanto a Latona, Maier – citando il Clangor Buccinæ – recita: “È un corpo imperfetto composto da sole e luna”; ma, prosegue Maier, Latona – secondo Poeti e scrittori antichissimi – è madre del sole e della Luna, ovvero di Apollo & Diana, altri ne fanno la nutrice; Diana nasce per prima (Luna, e l’albedo, infatti appare per prima), e Diana sarà la levatrice di Apollo.

Per chi fosse proprio curioso, riporto il passo: “Dealbate ergo Latonem: idest, æs cum Mercurio, quia Latone est ex Sole & Luna compositum corpus imperfectū citrinum: quod cùm dealbaueris, & per diuturná decoctione ad pristinam citrinitatem perduxeris, habes iterū Latonem eodem modo ductibilé, & ad quantitatem tibi placitam: tunc intrasti per ostium, & habes artis principium.[1].

Come ha scritto il buon Marchese poco sopra (“… terra dei filosofi detta Saturno, o Latona o Sole non depurato che, giunto a questo segno, vien chiamato con il suo primo nome Giove”), qualcuno potrebbe cadere nel dubbio: nel Mito, Latona è la madre di Febo ed Artemide, il cui padre è Giove, la cui sposa è Era; insomma Giove, attratto dalla gran beltà di Latona, si congiunge con lei di nascosto dalla ovviamente gelosa Era (la quale farà inseguire Latona dal serpente Pitone, per ogni dove). Latona, fra l’altro, è una Titanide, figlia di Febe e Ceo, a loro volta figli di Urano e Gea; perché mai, dunque, Palombara allude al ‘primo nome Giove’? Mettendo per un attimo da parte la genealogia proposta nel Mito, Sir Isaac Newton potrebbe aiutarci un tantino: nel suo Index Chemicus, una sorta di gran taccuino in cui annotava gli appunti frutto dei suoi studi alchemici, alla voce Jupiter Philosophorum, scrive:

Jupiter Philosophorum, qui a juvando dictus est ac de quo tot fabulæ introductæ sunt, non est Jupiter vulgi sed subjectum philosophicum, ex quo omnis tinctura petenda est, materia philosophica quæ in Aquilæ forma Ganimedem in Cælum evexit, quæ in aurum mutata Danaæ in gremium decidit, quæ sub forma Cygni albi Lædam compressit, etc. Nisi enim ad volatum sit idonea aut ad lapsum suo pondere apta materia, non est Jovis nomine digna cum ne minimum juvare possit Artificem sed plurimum morari.”.

La facile traduzione del suo Latino seicentesco ci fa sorridere per l’acutezza e l’intuizione, ma è – soprattutto, credo – piuttosto interessante: il ‘Sole non depurato’ a questo punto delle operazioni prende – nell’opinione del Marchese – … il nome del focoso amante di Latona, cioè ‘Giove’ (o Jupiter Newtoniano che dir si voglia). Nomen est Omen, no?

Ora, relativamente all’evidente necessità delle ripetizioni della ‘raccolta’ di ciò che Palombara chiama ‘pelle’, ricordo quante e quante volte io ed il buon Fra’ Cercone ci siamo interrogati su questa famosa frase di Fulcanelli:

C’est cet esprit, répandu à la surface du globe, que l’artiste subtil et ingénieux doit capter au fur et à mesure de sa matérialisation.”.

Fulcanelli si riferisce a questo medaglione del Porche Central di Notre-Dame de Paris:

la cui didascalia recita: “I materiali necessari all’elaborazione del solvente.

Ecco il primo paragrafo del commento di Fulcanelli, nella traduzione di Paolo:

Il nono soggetto ci permette di penetrare più a fondo il segreto della fabbricazione del Dissolvente universale. Una donna indica – allegoricamente – i materiali necessari alla costruzione del vaso ermetico; tiene alta una tavoletta di legno che assomiglia ad una doga di botte, la cui essenza ci è rivelata dal ramo di quercia che adorna lo scudo. Ritroviamo qui la sorgente misteriosa scolpita sul contrafforte del portico, ma il gesto del nostro personaggio tradisce la spiritualità di questa sostanza, di questo fuoco di natura senza cui quaggiù non può crescere né vegetare nulla. Questo è lo spirito diffuso sulla superfice del globo, che l’artista sottile e ingegnoso deve catturare durante la sua materializzazione. Aggiungeremo ancora che occorre un corpo particolare che serva da ricettacolo, una terra attrattiva dove possa trovare un principio suscettibile di riceverlo e di ‘corporificarlo’. «La radice dei nostri corpi è nell’aria, dicono i saggi, e le loro cime stanno in terra». È il magnete racchiuso nel ventre di Ariete che va colto al momento della nascita, con destrezza e abilità.”.[2].

Fantastico: più mi capita di rileggerlo, e più ne ravviso la chiarezza esemplare e tradizionale. Ovviamente, val la pena di approfondire, studiando con cura anche il seguito.


[1] Vide Clangor Buccinæ, in Artis Auriferæ quam Chemiam Vocant, Basileæ – 1593, p. 503.

[2] Vide Fulcanelli, Il Mistero delle Cattedrali, Roma – 2005, p. 150.

“La Bugia” del Marchese Palombara … 2

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Proseguo nella Parabola del buon Marchese.

A chi non è infuso di celeste sapienza, apporterà la lettura dei libri molta occasione di considerare che i loro discorsi sono pieni di equivoci e contraddizioni, che perciò il prudente ed accorto lettore dovrà sempre tenere accesa la bugia, acciò tra le oscurità della menzogna non inciampi nella profonda fossa dell’ignoranza.”.

Insomma, un buon consiglio, tutto omeopatico, no? “Similia Similibus Curentur”, dove nei nomina si cela il discrimine tra tenebra e Lux. Facilissimo da farsi, purché si ri-conosca, si sappia ri-conoscere, Lux; come pure, ovviamente, la propria, intima, Lux, quella originale, di nascita. Curiosamente, ma è la verità, entrambe hanno la loro Massa! E questo è un altro discorso …

Il nostro si avvia così a casa, ‘carico dell’erba celeste … colta nel colle’, che da tempi immemorabili è stata e sarà incognita all’ignorante; parola sua. Vediamo: … ma dove … dove ho letto dell’erbetta e del monte? Ah, … ecco … forse forse dal Pacifico Amante della Verità? Mi domando spesso, alla mia età, quante volte sia necessario ripetere la stessa cosa, affinché – al fine – si accenda Lux nel Cuore del cercatore.

La prende, la lava, la pulisce dalle impurità ‘che aveva nella radice’ (facili da separare: ‘non sono interne, né della sua natura’), la trita in atomi minutissimi, e la pone in un ‘vaso magico’, e la tiene sul fuoco ‘lento, vaporoso, aereo, non comburente’ – tipo quello del Trevisano – per asciugarla di una ‘certa umidità che a te ti deve essere molto ben nota’, dice. E … toh! … nasce così un Corvo! … Ah, caspita, … ma deve trattarsi del ‘vas negromanticum’ di Maria, l’Ebrea sorella di Mosè … no? Dal loggione: ‘Ecco, lo dicevo io, ci vuole un Magus, un incantesimo, una conjurationem esoterica e theophrasticam!’ dice, andando a raccattare il cappello a punta e il librone dei Grandi Grimori della Suprema congrega di Shalazam

NO. Dice Maier nell’Atalanta Fugiens, parlando di Triptolemo, commentando l’Epigramma XXXV: “… illud vas, quod Maria dicit, non esse negromanticum, sed regimen ignis tui sine quo nihil efficies.”. Punto. Basta questo, sapete? Ma ritengo sia bene prendere la Bugia indicata dal Marchese, ed accenderla con destro et ratto fiammifero, scoprendo che l’ignis tui … pur essendo senza dubbio un ignis, NON è il focherello che accendiamo sotto l’œuf-à-la-coque.

Pur avendo visto il Corvo, il buon Marchese scopre ben presto di non riuscire ad ‘aprirlo’: “ … per la mia poca pratica in operare [eh, sì … se non lavori, e tanto, e sempre, ci si trova presto tra i rovi!], poiché sebbene con certezza sapevo che dentro le viscere del suddetto corvo vi stava una bianca e pura colomba che nell’occhi  portava doi perle orientali, con il collo ricinto di risplendentissimi e ricchi diamanti, con tuttociò il corvo era sì duro, tenace e bestiale che non trovavo modo da pelarlo e strapparli le penne, che sì fortemente le tenevano avviticchiata ed intrecciata la carne e la polpa. … mi si nascondeva la chiave di questo carcere tenebroso ove innocentemente era ritenuto il mio Re, … e benché sapessi che Saturno era il custode di quella, lo trovai sempre tanto ostinato che non volse mai piegarsi alle mie calde preghiere, onde dando io in quel detto che dice: ‘comburite os nostrum igne fortissimo’, presi pertanto desperato il sopra narrato corvo e lo misi in un foco violentissimo e potente in forte vaso.”.

QED, … mal gliene incolse!

Così, ritorna al colle, in cerca della grotta che aveva trovato in precedenza; ma la trova sbarrata da una porta di Metallo, con sopra incise queste parole: “Io Mercurio, figlio di Maia per ordine di Giove sono disceso in terra, ed ho chiuso l’antro dove si trovano tutte le felicità umane e ne ho riportato la chiave in cielo.”. Evidentemente rattristato, fa per tornare a casa; ma incontra un vecchio barbuto ‘alto e asciutto’ che gli dice che Giove aveva fatto sbarrare l’antro per precauzione, ma contro gli altri mortali, e non contro il Marchese: “… poiché chi una volta gustò del nettare del cielo non è mai più escluso dalla famiglia di Giove, né vi è esempio che chi una volta fu eletto al sacro magistero, sia poi stato abbandonato da quella maestà, e sappi che se l’operazione <non> fosse difficile e laboriosa l’arte al certo perderebbe il nome di arcano …”; poi: “Giove che previde il tuo errore e che sapeva che dovevi ritornare all’antro, ordinò a Mercurio che avanti di chiuderlo mi consegnasse una cestola chiusa e sigillata, e la conservassi per doverla dare a te per quando di novo venivi all’antro, quale averesti trovo all’improvviso chiuso. Onde ecco che te la consegno e torna felice e ricordati che il gran padre Ermete ci avvisa con queste parole: ‘Separabis subtile a spisso, suaviter et magno cum ingenio, etc.’.”

Così, preso ‘il canestro’, se ne torna in Laboratorio, cominciando ad “operare di novo più sanamente” e con l’aiuto ricevuto riesce finalmente ad ottenere “ciò che l’occhio sapeva desiderare, mentre tutte le gioie del Perù erano fango appresso sì degna e non compresa visione …”.

Prima di concludere questa parte illuminata ed illuminante, credo utile ricordare che il buon Marchese aveva chiesto al vecchio chi egli fosse; e lui gli rispose: “Io sono un antico ministro di Mercurio che eternamente dimora albergo di fuora alla custodia dell’antro e sono quello che ti risposi li giorni addietra alle undici interrogazioni [qui] che mi facesti …”, confessandogli che le risposte (in realtà 10) che gli aveva dato venivano suggerite direttamente da Giove, nell’alto dei cieli.

Ciò detto, lo studioso d’Alchimia non potrà non ricordare il famosissimo episodio della vecchia (assieme ai suoi moniti, pesantissimi), della ‘vergine’ sua figlia, e delle ‘vesti’, e del ‘cofanetto’, e della ‘liscivia’ [vide in Tre Trattati Tedeschi di Alchimia del XVII Secolo, pp. 90-3], meditando per bene su quanto scrive in proposito Paolo Lucarelli (alle pp. 23-5).

Hai ottenuto l’eredità che ti ha lasciato mia figlia?” – “In verità, ho trovato il cofanetto, ma non sono proprio in grado di togliere quella veste di stracci, e la liscivia che mi hai dato non riesce a scioglierlo e nemmeno a intaccarla.” – “Tu cerchi di mangiare le lumache o i granchi col guscio? Non conviene che prima li prepari e li faccia maturare il vecchissimo cuoco dei pianeti? Ti ho detto che devi purificare il cofanetto bianco con la liscivia che ti ho dato, non la veste di stracci esterna e cruda; infatti prima di tutto devi bruciarla con il fuoco dei saggi, e allora tutto andrà bene.”, (alla p. 93).

Concludo avvertendo il lettore che l’apparente o ipotetica contraddizione tra i due sogni che si potrebbe presentare alla mente di chi lavora, è solo un ostacolo razionale; velenoso, e più pesante dei moniti della vecchia centenaria. Se invece riuscisse ad aprire il Cuore, con la Bugia dal sorriso omeopatico, Lux potrebbe forse illuminar meglio il cammino. Chissà …

Lo scoglio operativo di cui si parla, è identico: ma se si prestasse miglior attenzione tanto ai termini, tanto alle Maschere indossate dai vari personaggi … beh, forse quel fiammifero cui accennavo supra potrebbe finalmente essere acceso dall’appassionato … nel corpo giusto & col modo giusto! … il resto lo farà Madre Natura!

JWST 1 – Preambolo, pre-ambulatorio …

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25 Dicembre, 2021 – Kourou, Guiana Francese, 12:20 GMT.

Su un vettore Ariadne 5 l’European Space Agency (ESA) lancia il James Webb Space Telescope (JWST), con la missione di esplorare lo spazio profondo. La sua destinazione è un punto preciso dello spazio, chiamato Sun-Earth Lagrange Point 2 (L2), a circa1.5 milioni di kilometri da Terra. Il Punto Lagrangiano L2 è uno dei 3 punti – identificati da Joseph-Louis Lagrange, geniale matematico del XVIII secolo – in cui l’attrazione sia di Sol che di Terra permette ad un terzo corpo (JWST) di orbitare intorno a Sol e Terra in una posizione meta-stabile[1] che possa assicurare al JWST di A) rimanere sempre al di fuori dall’ombra di Sol e di quella di Terra, B) mantenere costante l’allineamento SolTerra-JWST (faccia calda del JWST, a 88°C; faccia fredda del JSWT, a -233°C), C) proteggere la faccia fredda del JWST dalla radiazione luminosa e calorica proveniente dal Sol, Luna, e Terra.

[dice: “… ma che c’entra Alchimia?”]

Per percorrere l’orbita assegnata JWST impiega circa sei mesi, grazie alle attrazioni gravitazionali combinate di Sol e Terra; ecco una ricostruzione dell’orbita del telescopio, che credo utile e fonte di riflessioni (per i pochissimi curiosi):

[dice: “… ma che c’entra Alchimia?”]

JSWT opera con uno specchio di Berillio-Oro che raccoglie Fotoni puntati nella direzione prescelta dal Centro di Controllo di Terra che comunica H24/7D con gli strumenti alloggiati sulla faccia calda del Satellite.

JSWT raccoglie dati sull’universo elaborando lo Spettro della Radiazione Infrarossa (IR), quella cioè a Lunghezza d’Onda (WL) lunga (la WL si riferisce alla distanza tra due apici o due ventri dell’Onda in osservazione): la missione di JWST è quella di osservare una gamma di frequenze che va dalla lunga WL dello Spettro VisibileRosso – al Medio Infrarosso (0,6 – 28,3 μm, dove μm sta per micrometro e indica 1 milionesimo di metro).  I dati, pre-elaborati da uno spettrometro e da un sistema di Imaging installati a bordo, vengono poi trasmessi a Terra al Deep Space Network (DSN), basato su tre antenne in Australia, Spagna e California.

Ciò detto a mo’ di Inception, passo a mostrare ciò che è arrivato al DSN pochi giorni fa:

A parte la bellezza mozzafiato, il fatto è che – ce lo hanno spiegato i vari astronomi ed astrofici legati al Progetto JWST – [dice: “… ma che c’entra Alchimia?”] – questa immagine fissa una “culla di giovani stelle”: si tratta di una zona di Spazio in cui si ritiene – ad oggi – sia ospitata una delle regioni più vicine a Terra in cui si ‘formano’ le stelle; si trova in Rho Ophiuchi, un complesso di nubi galattiche complesse; questa sorta di ‘star-nursery’ dista da Terra ca. 390 anni-luce. Tanto per annoiare, credo valga la pena ricordare che

1 anno-luce = ca. 9.460.730.472.580,8km

che si pronuncia come ca. 9.461 miliardi di kilometri. Per cui, tanto per annoiare una ‘nticchia in più … questa immagine dipinge una nursery di stelle che dista da tutti noi all’incirca 3.689.684.884.306.500,8km, che si pronuncia come ca. 3.689.684 miliardi di km. (ehm … scusate, colpo di tosse!).

[dice: “… ma che c’entra Alchimia?”]

Questa trasmissione è stata catturata ed elaborata da JWST tra Marzo e Aprile scorsi, e ci mostra come sono nate una cinquantina di Stelle in quella piccolissima zona di Ophiucus … ciò che ha – letteralmente – ‘colpito’ gli specchi di JWST sono Fotoni; viaggiando alla velocità della luce, hanno attraversato quella distanza di cui sopra in poco meno di quattro secoli del nostro ‘tempo’.

[Apro una Parente … : … visto quella stella che ‘rompe’ il suo guscio di materia proto-stellare? … sembra una replica di un piccolo, locale, “Fiat Lux“; il Chaos oscuro si apre, e mostra la Lux interna della coltre del Chaos, illuminata da Lux! … chiudo la Parente.]

Come si sa, dunque, (e, come tutti, ci scansiamo immediatamente da quel ‘sapere‘ …) è che questa immagine mozzafiato, bellissima, poetica, racconta di qualcosa che è accaduto, laggiù, … quattro secoli fa!

Uno potrebbe domandarsi: ed … ora … cosa c’è laggiù?

Risposta: non lo sappiamo, e nessuno degli 8 e passa miliardi di compagni-di-viaggio del nostro magnifico pianeta-prigione-che-stiamo-devastando – in questo esatto momento, mentre leggiamo – può sapere nulla-di-nulla in proposito. Vista la distanza, pur vicina in termini galattici, se anche attendessimo un altro secolo per sviluppare altra tecnologia d’osservazione, senza dubbio più raffinata ed efficiente, i nostri posteri (no, noi non ci saremo) dovranno in ogni caso attendere altri quattro secoli per … avere un’altra foto di quella minuscola zona di Spazio.

La Materia in quella zona, qualsiasi aspetto di materia ‘vesta’ … in cinque secoli sarà semplicemente ‘mutata’. Potrebbe essere evoluta in nuove galassie, sistemi planetari, essere stata mangiata e divelta in pezzettoni da uno scontro di galassie bibliche, essere collassata in qualche Black Hole (l’Universo ne è pieno!), o quel che volete. Di certo quest’immagine meravigliosa … sarà ‘mutata’.

Lo chiamano: ‘DIVENIRE’.

[dice: “… ma che c’entra Alchimia?”]

Ora, alcune brevi considerazioni:

  1. La possibilità per JWST di poter ‘vedere’ su distanze così grandi (i.e., 390 anni-luce) è data da un evento previsto/descritto da Einstein nella sua Teoria della Relatività Generale: si tratta della famosa Lente Gravitazionale, che si verifica (in particolari condizioni) – grazie alle Masse che intercorrono tra osservatore (JWST) e Oggetto osservato (Ro Ophiuchi) – quando il Campo Gravitazionale (tra JWST e Ro Ophiuchi) genera una deformazione del tessuto dello Spazio-Tempo; per usare un esempio popolare: prendete un pezzo di carta, e mettete “JWST” nella zona dell’angolo basso sx del foglio, e “Ro Ophiuchi” nella zona dell’angolo alto dx del foglio; unite con un pennarello i due punti (quella sarebbe la traiettoria lineare che descrive la distanza fisica tra i due punti); ora, se il Campo Gravitazionale fosse abbastanza sostanzioso in termini di grandezza (cioè se le Masse presenti tra loro interagenti [gravitazionalmente] lungo la traiettorie fossero significativamente massive, e varie altre amenità), allora il foglio si deformerebbe/piegherebbe – lungo la direzione perpendicolare alla traiettoria disegnata – sotto l’effetto del Campo Gravitazionale risultante; i due punti “JWST” e “Ro Ophiuchi” ora sono molto vicini, e quindi “Ro Ophiuchiappare come ingrandito per “JWST” … lo Spazio-Tempo si è deformato/piegato, e da “JWST” – come per effetto di una potente lente –  “Ro-Ophiuchiappare più vicino; in soldoni, pur sempre difficilotti da afferrare, è come se i Fotoni che viaggiano da “Ro Ophiuchi” a “JWST” venissero in qualche modo accelerati (MA, attenzione, NON è completamente vero!) dalle varie ‘buche-gravitazionali‘ (dove giacciono i corpi massivi di cui sopra), perché per ogni buca ‘sorvolata’ dai Fotoni in transito lo Spazio-Tempo circostante ogni singola buca, si deforma/piega un po’ … il viaggio sembra diventare, insomma, più breve!
  2. Va detto, che questo è un banale ed orrendo escamotage esemplificativo, estremamene grossolano e non proprio oggettivamente veritiero: ma fa il suo lavoro per spiegare cos’è ‘sta benedetta Lente Gravitazionale. La sostanza è che – secondo quel che disse Einstein – la Gravità deforma/piega il tessuto[2] dello Spazio-Tempo. Comunque sia, la Lente Gravitazionale NON accorcia la distanza che i Fotoni debbono percorrere nel loro viaggio da “Ro Ophiuchi” a “JWST: è solo l’immagine che raggiunge lo Specchio di JWST che appare ingrandita nonostante la piccolezza della zono osservata; si tratta, insomma, di un effetto virtuale, nulla di più (fra l’altro, come tutte le lenti, l’effetto della Lente Gravitazionale deforma l’immagine stessa, che può presentare aloni, curvature dei bordi, sfocature e via dicendo; alcuni filtri software possono oggi aggiustare l’immagine, ma essa resta un’informazione – pur magnifica – virtuale).
  3. Le immagini elaborate da JWST provengono da rilevazioni nello spettro dello IR e al di là dell’IR; ciò significa che – se noi fossimo in questo preciso momento là, vicino a Ro Ophiuchi – NON vedremmo ciò che l’analisi spettrale ha ricostruito ed elaborato; lo spettro del visibile di noi Umani (con Lunghezza d’Onda λ compresa tra 390nm e 700nm) non rileverebbe ciò che vediamo nelle foto di JWST, ma vedremmo/osserveremmo altro (cosa, non ci è dato sapere…). Questa scelta da parte del Team JSWT è dovuta al fatto che la rivelazione di Lunghezze d’Onda appartenenti all’IR ed oltre ci permette di rilevare/osservare zone spaziali del Cosmo che hanno una “età” fino a oltre 13,5 miliardi di anni: così si potrà disporre di dati base con i quali poter esaminare la nascita delle prime stelle e delle prime galassie apparse nell’Universo primordiale. Il che non né poco, né banale. Quando la luce è emessa da un oggetto che si allontana, la Lunghezza d’Onda che riceviamo è più lunga rispetto a quella emessa, e si dice che è spostata ‘verso il rosso’, cioè la zona che corrisponde all’estremo inferiore dello Spettro del Visibile: questo è il RedShift. Il RedShift cosmologico, tuttavia, non è dovuto all’eventuale ‘allontanamento’ fisico di un oggetto da noi (Stella, Galassia, Cluster), quanto al fatto che il tessuto (meglio: il Volume del tessuto) dello Spazio-Tempo si dilata, si espande … il che deve far riflettere. E non poco, dato che in Creazione il tempo assoluto … NON esiste.
  4. È del tutto comprensibile che i giornalisti ed i divulgatori abbiano dato il risalto che merita a questa straordinaria immagine; però qualcuno è arrivato ad usare espressioni iperboliche: “… un vero e proprio viaggio nel tempo”, e via dicendo … il che, evidentemente. non è affatto corretto, in alcun senso; nessuno ha viaggiato nel tempo, né tantomeno il JWST. Chi ha viaggiato sono stati i Fotoni, i quali – è bene ricordarlo, A) hanno viaggiato attraverso uno Spazio, e B) … ancora viaggiano, e sempre viaggeranno, portando con loro le informazioni che saranno sempre ‘vecchie’ di quattro secoli. Non intendo minimamente denigrare l’eccelso lavoro compiuto dal fantastico Team di ricercatori, anzi. Ma, mi chiedo, perché non indirizzare ogni tanto l’attenzione di noi spettatori di questo meraviglioso Film epocale e galattico sul vero protagonista … del viaggio?

Cos’è il Fotone? … sarebbe importante presentarlo al pubblico, e pure ai bambini. Perché, senza il Fotone … non sapremmo nulla di nulla, non soltanto dell’incredibile ‘nascita’ di una proto-Stella, ma anche di molto, molto altro: l’Informazione.

Già, perché in assenza di informazioni l’Universo tutto, tutto il nostro Universo, (ma anche gli altri) non potrebbe sussistere (l’avevo detto già somewhere, over the rainbow: … sub-sistere).

Ciò che chiamiamo Fotone, che ci pare sempre un termine fantascientifico, è il Carrier, il portatore di Lux, della Forma della Lux. Vorrei sottolinea due cose:

La prima: tutti sanno che il Fotone ha a che fare con la ‘luce’, senza ‘sta ‘luce’ non potremmo leggere un libro di notte. E ciò basta a tutti, per ritornare bellamente a ciò che stavamo facendo, no? Eppure, direbbe qualcuno; eppure

Rileggetevi, se vi va, la piccola explicatio fornita da Richard Feynman nel Post precedente: l’irrispettoso genio della Fisica nel 1983 osò affermare nel suo QUED (ma lo ripeterà in molte sue comunicazioni, sia semplici che complesse) che – per ‘lui’ – ‘luce’ è “… all of that…”: ‘ tutto ciò’ è ‘luce’. … E cos’è quel ‘ciò’? … lo ha scritto, detto e ripetuto, centinaia di volte, ma lo ha fatto in modo che a Napoli chiameremmo accuorto: l’intera scala delle Frequenze di ‘luce’. Brividino? Ora, quali sono i limiti di una Frequenza di una radiazione?? Facile ed intuitivo: teoricamente, da 0 a ∞; più praticamente, un tantino più grande di 0 ed un pochino più piccolo di ∞. Brividuccio? … insomma, è la Radiazione. La quale secondo Louis de Broglie ha – lo sappiamo tutti – una doppia natura: Corpo e Onda! … Se quell’altro genio assoluto (ma ben più pacato di Feynman) della Fisica del Prince de Broglie (Nobel 1929) ha aperto un baratro nella nostra inutile Logica, … comincia a venire in ‘luce’ cosa implicano le due trovate dei due Fisici? Feynman (Nobel 1965) e de Broglie hanno gettato non un sassolino nello stagno, ma hanno aperto uno squarcio su come funziona l’Universo. Esso Universo vuoto non è (non potrebbe mai esserlo, non soltanto per le considerazioni Filosofiche di Cardano: ‘Vacuum non Datur’), bensì è pieno zeppo di una radiazione di doppia natura, ovviamente quantizzata, in Moto perenne, trasportante Informazioni: LUX. In assenza di LUX, non v’è Materia, alcuna. Non ci sarebbero ‘corpi’: non ‘sussisterebbero’, non possono ‘sussistere’. Non ci sarebbero ‘corpi’ nell’Universo; ergo, neanche nei crogioli degli alchimisti.

[dice: “… aaahhh, … ecco l’Alchimia!”]

Vedo già i soliti gnoti ed ignoti che cominciano a muoversi sui loro sedili, improvvisamente leggermente più scomodi: “… ma, … insomma … lei ha le prove?”, “… ma come fa a dirlo?”, “… lei vuole fantasticare!”, “… ma è una balla, dai!”.

Alla mia età, non mi importa proprio di discutere sui ‘ma’; mi piacerebbe però iniziare ad osservare e partecipare, assieme, ad un radicale cambiamento: prima del punto di vista sul senso di ciò che chiamiamo, tutti, ‘vivere’; poi, scorgere pian piano dei mutamenti via via più profondi nella pratica del ‘vivere-di-ogni-giorno’ e del – assiemepro-gredire: per come ho camminato, vi racconto ciò che ho trovato, studiato e praticato. Poi, ognuno ci farà quel che vuole …

Posso solo sorridere, felice. Tutto qui.

Tutto l’Universo è stato immerso, è immerso, sarà immerso in un flusso, un mare di portata letteralmente ‘Universale’ – oh, meravigliosa Dama Alchimia! – di provvidi ed amorevoli, ed indispensabili, e nutrienti ‘corpuscoli-ondine’ che abbiamo inteso chiamare Fotoni (i.e., particelle di Fuoco).

Tutti i ‘corpi’ sussistono, esistono e divengono grazie a questi graziosi ‘corpuscoli-ondine’  (carriers, portatori di un bouquet di Grazie, non di una sola Grazia!).

L’interazione dei Fotoni con un ‘corpo’ ha due modalità, in funzione dell’angolo d’incidenza del flusso: A) l’urto, il rimbalzo (in gergo: lo Scattering), che i nostri organi ‘vedono’ come ‘colore’; B) la penetrazione, che i nostri organi non sono in grado di rilevare.

Nel caso A), parte della frequenza dei Fotoni interagenti con il ‘corpo’ viene – come sommatoria ∑ di Frequenze – assorbita dal ‘corpo’ sotto forma di Informazione (sotto forma di radiazione, ondine); la parte di frequenza non assorbibile viene restituita – da parte del ‘corpo’ come una nuova frequenza di doppia natura (corpuscoli-ondine), che i nostri organi percepiscono e decodificano come ‘colore’.

Nel caso B), il Fotone/i Fotoni penetrante/i penetra, entra all’interno del ‘corpo’ sotto forma di radiazione (ondine), e – passando l’Informazione trasportata – alterano il corpo (come un’Energia’; pur minima, infinitesima, ma ‘Energia’ (nelle diverse declinazioni, come previsto dal Piano Naturale). “La somma fa il totale”.

Tutte le Informazioni eventualmente passate ad un ‘corpo’ vengono immagazzinate nella struttura interna, intima, del ‘corpo’: sotto forma di Frequenze, esse sono sempre accessibili dalla intelligenza (c’è chi la chiama ‘coscienza’, ‘cum+scientia’, ‘sapere assieme’) del ‘corpo’ stesso. Nei ‘corpi’ più semplici – vale a dire quelli che hanno subito meno specificazioni nel loro Divenire – tale accesso è quasi immediato, non complesso, bensì del tutto Naturale; nei corpi lontani dalla loro origine (l’entrata in Manifestazione), tale accesso richiede un lavoro estremamente difficile, lunghissimo; non basta una vita per un essere umano. Ecco il motivo per cui in Alchimia operativa (lascio da parte quella cosiddetta Spirituale e Simbolica, che perciò non hanno alcuna utilità reale) si parla della Reincrudazione della Materia come necessaria, indispensabile.

Per attuare una qualsivoglia Reincrudazione è necessario disporre di una sorta di Antenna (ricevente e trasmittente); tale ‘corpo’ molto particolare ha la Forma e la Struttura di ciò che gli Alchimisti seri (nei secoli, pochi; davvero pochi) hanno chiamato Sal. “Hinc sunt Leones”, però … perché è facilissimo cadere nella trappola e restarci, incoscienti, per anni, anni, e anni. Sia come sia, in mancanza della esatta comprensione della modalità ‘Sal’ …. Nessuna Reincrudazione vera accade; accade invece un simulacro della reincrudazione: del tutto inutile.

In questo scenario, dovrebbe balzare all’occhio ed al Cuore del navigante che …

siamo praticamente fottuti!

In effetti, lo dico da anni, e certo non per primo (Paolo docet, per esempio) noi tutti siamo in una prigione; dorata, magnifica, ma una prigione; uscirne si può, talvolta, ma occorre un esprit libero da tutti i “credo”, siano essi filosofici, scientifici, religiosi, e via dicendo. Un ‘credo’ è un tappo invalicabile, non frantumabile, nemmeno con l’esplosivo.

Se siamo in prigione, un motivo c’è; senza dubbio alcuno.

E se esiste un tappo di tali fattezze, … beh, temo sia molto consigliabile liberarsi, una volta per tutte, di qualsivoglia ‘credo’.

Ma, ovviamente, si sente già ululare … : ”Ma… insomma … non sono libero di ‘credere’?

A mio avviso, la Libertà è Universale, ed il ‘credere’, ogni ‘credere’, è Locale.

Poi, … ognuno si comporta come vuole, no? Chi sono io per dirti in cosa ‘credere’?

Quindi, per tornare alla stupenda e commovente immagine che dà conto della nascita delle proto-stelle in un remotissimo e piccolissimo spazio del nostro Universo, noi tutti – in prigione – siamo investiti da un continuo flusso di corpuscoli-ondine, visibili e non visibili; essi/esse sono Carrier di vagoni di informazioni, ma sotto forma di energia quantizzata. Altro che likes e amenità varie … riceviamo sempre e tutto. Il problema è che noi umani non siamo capaci 1) di rendercene conto, 2) come decodificare, accedendovi, quelle informazioni. Per fortuna, le Materie alchemiche nei crogioli, … sanno come e cosa fare!

Non ci credete? … benissimo; torno a sorseggiare il mio caffé , fumando la mia vecchia Peterson.

Sia come sia, ammesso che ci si renda finalmente conto che la prigione esiste, e che rendersene conto non è un’elegante espressione retorica (cioè buona per gli allocchi; anzi, visto che esistono gli allocchi (vale a dire: ‘noi’, quelli che si sono accorti delle sbarre della comoda cella), è meglio afferrare tutto ciò che si riesce a trovare, rubare, inventare, in barba ai nostri simili e in barba alla grandezza di Madre Natura), a ‘noi allocchi’ più che protestare, disperati, occorre ‘fare’; ‘fare’ per uscire; augurandoci di non comportarci poi – come Paolo avvertiva e ammoniva – come quelli che una volta fortunosamente usciti, entrano subito nel famoso Supermercato, quello con somma arguzia posto proprio due metri dopo il buco d’uscita; pieno letteralmente di ogni ‘ben di Dio’, e per di più esposti con il cartello ‘È Tutto Gratis!, riempite il carrello e recatevi al Check Out!| comprano le cose meravigliose più disparate … e rientrano di corsa in prigione, così da aver ancora maggior potere sugli ‘allocchi’.  Qualsiasi veste indossi, l’uomo è sempre uguale a se stesso …

Per avviarmi alla conclusione di questo primo spunto ‘fotonico’, riporto ciò che vien detto in un trattato a me molto caro: Récréations Hermétiques, ai ff.1-2 …

Les éléments ont un Centrum Centri que tous les yeux ne peuvent apercevoir; et ils ont de plus un Centre Commune dont les prétendus savants n’osent approcher, crainte de dévoiler leur turpitude (La lumière).

Cette chaleur caustique accompagnée de la lumière que l’on appelle communément feu, nest pas l’élément de ce nom, dont les Sages ont voulu parler. On prend en cette circonstance les effets pour la cause, et on va plus loin que les Rhéteurs, qui prennent au moins la partie pour le tout.

Le feu est un fluide éminemment subtil, procédant directement de la lumière que l’on nomme, tantôt électrique, tantôt Galvanique ou Magnétique &c, suivant ses diverses modifications, ou plutôt c’est la lumière elle-même dérivée de sa source et dont elle demeure détachée. Il n’est ni froid ni chaud, et la chaleur ou le froid ne sont point des corps …

La Lumière, principe de vie et de mouvement peut être considérée comme l’acte unique de la création ; tout le reste n’en est que la conséquence.”.

A titolo di mero spunto di riflessione, riporto qui un frammento del mio commento, relativo al brano di cui sopra:

Tutti gli Elementi hanno un Centro nascosto (il Centrum Centri) ed un Centro di comune origine: quest’ultimo è ciò che chiamiamo Luce.

La Luce – quella Luce originaria – si evidenzia nell’Elemento Fuoco, che nulla ha a che fare evidentemente con il fuoco che sperimentiamo comunemente nella nostra vita, essendo questo soltanto il fenomeno esteriore dell’azione da parte del Principio Luce. Questa doppia caratteristica della Luce (luce e fuoco), che curiosamente trova il suo contraltare, un vero e proprio specchietto per le allodole, nella doppia natura corpuscolare ed ondulatoria del fotone della Fisica moderna, è in realtà un’unica cosa: Luce. Secondo l’autore, quando la Luce è distaccata dal suo focolare di nascita essa assume la veste dell’Elemento Fuoco. Val la pena di notare che, a scanso di trappole mistiche o di spunti interpretativi misteriosi, l’autore non dice dove sia questo focolare originario: se ne deve dedurre, dunque, che tale localizzazione semplicemente non esista. Per difficile che possa sembrare per la nostra logica, la cosa è molto semplice: la Luce di cui parla l’autore non è soggetta alla limitazione tipica di ogni manifestazione costituita dallo spazio e dal tempo, ma continuamente ’è’, lungo ogni dove e durante ogni quando. La Luce originaria ed originante è l’agente unico, senza spazio e senza tempo, che agisce la manifestazione, ogni manifestazione: l’agire della Luce si trasforma nell’atto della Creazione, che è priva di un prima e di un dopo comprensibili secondo modelli umani. Essa è intesa come l’evento primario da parte di Madre Natura in un divenire che ha le caratteristiche di un continuum puro, privo cioè delle specificazioni di luogo e di durata e di ogni attributo di logica, etica, desiderio o scopo. Queste specificazioni e questi attributi sono puntelli imprescindibili per la nostra razionalità, indispensabili per noi esseri umani per sopravvivere nella nostra manifestazione, ma del tutto inesistenti, anche perché affatto necessari, nel grande Progetto Naturale della Creazione.”, in Commento, da Anonimo, Récréations Hermétiques, Edizioni Lulu, 2011.

Auguro a chi volesse partecipare a questo cambiamento ogni serenità nella riflessione, che possa preludere al ‘fare’, in cerca di Libertà luminosa; non necessariamente quello alchemico, ci mancherebbe; ma quello di tutti i giorni, il proprio, quello personale. Quello intimo.

Senza cambiamento nelle azioni e senza Libertà dai legacci vari … difficile sarà riuscire a camminare.

Alla prossima! …

Ooooooops … dimenticavo: l’anonimo autore delle Récréations Hermétiques, aggiunge un chicca, che merita di essere assaporata, perché è davvero squisita: “… l’Univers signifiant l’unité retorurnée ou renversés …“.

SIMULARE EST MEUM



[1] I Punti Lagrangiani sono dati dalle 5 Soluzioni fornite da Eulero e Lagrange al famoso ‘problema dei tre corpi’ della Meccanica Analitica (vale a dire: trovare le orbite di tre corpi che si attraggono reciprocamente sotto la legge di Gravitazione Universale, usata da Newton), su cui non mi dilungherò qui.; i 3 punti (L1, L2, L3) sono meta-stabili e giacciono sempre sulla medesima linea di congiunzione, e necessitano di piccoli aggiustamenti (JWST corregge la sua posizione in modo fine grazie a micro razzi auto-orientanti, come anche grazie ad istruzioni comunicate dal Centro di Controllo), mentre 2 punti (L4 e L5) sono stabili, ed – essendo in posizione triangolare – non richiedono aggiustamenti, ma non garantiscono al corpo lì orbitante di essere sempre al di fuori dei coni d’ombra di Sol e Terra.

[2] Come per il foglio – che nell’esempio è ovviamente bi-dimensionale – anche il tessuto è bi-dimensionale, con tante buche&buchette a seconda della Massa del corpo che occupa la sua posizione individuale nello Spazio (non nel Tempo, per il semplice motivo che il Tempo assoluto NON esiste in Creazione). Però chi legge dovrebbe ALMENO fare lo sforzo di immaginare un VOLUME (tri-dimensionale, e NON una Superfice) che viene deformato/piegato. “Facile non è …” direbbe Yoda, ma così la cosa andrebbe descritta. Ma vi sono ALTRE complicanze, di cui – per non render troppo noiosa la lettura – tralascio di parlare.

… Sperando che possiate accettare Madre Natura come Essa è: … assurda!

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Questo è un Post: … un tentativo di risposta a due domande poste dal gentile Sig. Loris, che ha avuto la bontà di porle. In questi tempi di terribile incertezza ed umana stupidità, ormai assurta al ruolo di un virus ben più terribile del Covid – perché questa stupidità schiaccia ed ottunde l’Anima pura dell’Essere -, ho pensato di formulare di getto un abbozzo di risposte, senza tanti fronzoli e salamelecchi. Eccolo:

Prima domanda: “… leggendo ciò che ha scritto mi è parso di intendere che ha visto ancora qualcosa di buono nel cuore delle masse o forse ho inteso male?”. Qui.

Se lei intende parlare delle masse umane del pianeta che temporaneamente abitiamo, concordo con lei: non v’è nulla di buono. Punto.

Tuttavia, anche in questo contesto, per così dire sociologico, temo vi sia il solito equivoco, dovuto – per tutti, me compreso – al velenoso (che dico: tossico!) radicamento del concetto di bene&male.

Siamo-quattro-amici-al-Bar (il Joe’s Bar, che non sta qua, ma sta ), e mentre sorseggiamo bevande a noi ‘terricoli‘ sconosciute, ridendo ed ammiccando, proverò a spiegarmi usando perline sparse su un tappeto di stelle, vere:

Occorre trovare un passaggio tra le procelle di Scilla e Cariddi, ove Scilla è il panteismo – tutto è Dio – e Cariddi il manicheismo – il mondo è governato da due principi opposti che esistono da sempre.

La conoscenza di un ente implica sempre la doppia nozione, di ciò che è e di ciò che non è, il lato positivo e il lato negativo, la sostanza e il limite. Il problema risiede dunque nel nostro umano metodo di conoscenza, il solo di cui attualmente disponiamo.”.

[Fra’ Cercone, scritto privato]

A proposito dell’Essere:

Infralle magnitudine delle cose che sono infra noi l’essere del nulla tiene principato.

[Leonardo Da Vinci, Cod. Arundel, f. 131r]

Cos’è ‘sto non-essere? Semplice semplice: è quella roba che la nostra mente avida di logica e di senso consequenziale desume dallo spazio e dal tempo in cui siamo forzatamente immersi; in parole povere: fuori dal locus e dalla duratio il non-essere non consiste (cum+sistere)! … Occhio che facile non è, direbbe il sornionissimo Yoda!

Cos’è ‘sto essere? Idem con patate, al forno o fritte, come meglio si preferisca: è quella roba che diventa intellegibile grazie ad una Forma, precisa quanto fondamentale in Creazione: il Verbo; diciamo, con Giovanni 1,14, “Et Verbum caro factum est.”, senza mai ben comprendere cosa diavolo significhi in termini di Physica, (NON capire! … ma C O M P R E N D E R E), capoccioni – come siamo – invaghiti della dottrina cui ci pieghiamo, salmodiando dotte perifrasi significative quanto un “boh! … che ne so?”, ben oltre i 90° concessi.

Parliamo di Physica, NON di Philosophia; perché sottolineo questo aspetto? … perché la Creazione, al di là di qualsivoglia considerazione di tipo religioso – che qui non c’azzecca proprio nulla – attiene esclusivamente al venire-in-essere della Materia, all’entrata cioè di quella cosa bizzarra che è la Materea, Madre di OGNI Essere, qui ed ovunque, prima e dopo. Punto.

Chi vi dicesse il contrario, merita tutta la tenerezza possibile … ma non sarà mai di alcun aiuto una volta che lascerete, come tutti, il nostro magnifico Planeta, Terra, prigione dorata degli innamorati della Mente (quelli che non scendono su Terra, sono gli altri, tutti gli altri, gli innamorati del Cuore). In parole poverissime: se, allorquando si parlasse di Creazione, non si considerasse la Physica come l’unico strumento con cui avventurarsi – fisicamente, eh? – nell’Universo … beh, fate come vi pare, ma non v’è molto altro da dire; arrivederci e grazie, così come fecero graziosamente sapere i Delfini (lasciatemelo dire: … les Dauphins) quando lasciarono Terra, con il famoso cartello “So long for all the fishes!”.

Se, come spero, foste aguzzati (aiguisée), avrete notato che proprio prima del termine ’Verbum’ c’è un ‘Et’; siccome quel termine ‘congiunge’, veniamo re-indirizzati alla famosa Mappa del venire-in-essere: “Verbum-Actio-Motus-Calor”, che esprime ciò che è lo scopo della Creazione: il Divenire. Quella ‘congiunzione’ iniziale, che precede ciò che Giovanni annuncia come l’Incarnazione, è il legame con la Fonte, la Sorgente, l’Origine (qui da noi lo chiamiamo Dio; ma ha tanti nomi, tutti accettabili, tutti, beninteso, rispettabili).

L’incarnazione è l’espressione concreta della Forma, ed è quindi obbligatoriamente ‘finita’: anche perché una Forma vista come una cosa ‘astratta’ … è del tutto inutile!

Questo venire-in-essere di OGNI corpo viene attuato (è l’Actio, di cui sopra), lo sappiamo bene dal catechismo, dallo Spirito Santo, il quale viene chiamato dagli Alchimisti, ma pure dai Physici ben accuorti, Spirito Universale: il quale “È” … LUX.

Ma LUX – notate bene, ma MOLTO bene, per favore – che in mancanza di un corpo da illuminare … non viene percepita, cioè … non sussiste (sub+siste); ciò non significa che ‘non c’è’, ma semplicemente che non rende manifesto il Corpo; una sottigliezza non-da-poco (ma stiamo parlando di Dio, no?) è quel ‘sub’: quasi ‘reggesse’, da ‘sotto’, che è in realtà un ‘dentro’, il Corpo. Ohibò …

Aggiungo: … stiamo parlando di Creazione, non del banale fenomeno con cui illuminiamo le scale o quel che volete quando scendiamo in cantina! … stiamo cioè affrontando “la problema” di COME un Corpo qualsivoglia, in qualsivoglia Universo, venga in-icto-oculi portato in Essere. Questa Actio può compierla SOLTANTO … LUX!

Ora si potrebbe dialogare – e non, tristemente, discutere – sul fatto che LUX ha una sua Massa, benché piccolissima: LUX è costituita di Fotoniportanti’, ma che possiedono Massa. Il punto è che LUX, ergo, NON è solo quella che percepiamo quando accendiamo la lampadina, o quella di Sol & Luna, bensì è tutta la Radiazione che permea l’Universo (meglio: gli Universi): ecco spiegato il segreto ammantato da Sacro Mistero del perché gli alchimisti parlano della famosa ‘luce nera’: ma ciò ci porterebbe troppo Off Topic.

Quando dico ‘luce’ in queste conferenze, non voglio indicare semplicemente la luce che possiamo vedere, dal rosso al blu. Succede che la luce visibile è solo una parte di una lunga scala che è analoga ad una scala musicale in cui ci sono note più alte di quelle che potete sentire ed altre note più basse di quelle che potete sentire. La scala della luce può essere descritta da numeri – chiamati frequenze – e man mano che i numeri diventano più alti, la luce va dal roso al violetto, all’ultravioletto. Non possiamo vedere l’ultravioletto. Ma può lasciare il segno su una placca fotografica. È sempre luce, soltanto che il numero è differente. (Non dovremmo essere così provinciali: ciò che rileviamo direttamente con il nostro proprio strumento, l’occhio, non è l’unica cosa [che esiste] nel mondo!). Se continuiamo semplicemente a cambiare il numero, usciamo fuori verso i raggi X, raggi Gamma, e così via. Se cambiamo il numero nell’altra direzione, andiamo dal blu alle onde del rosso, dell’infrarosso (calore), onde televisive, e radio onde. Per me, tutto questo è ‘luce’.”

[Richard Feynman, QED, p. 13]

Dimenticavo: “QUED” significa Quantum ElectroDynamics, i.e. ElettroDinamica Quantistica; però significa anche – prodigioso Feynman – Quod Erat Demostrandum!” … e va beh!

A questo punto, dopo le rinfrescanti parole di uno dei più grandi Fisici degli ultimi tempi, quello che veniva a far lezione con camicia Hawaiana, sandali e bonghi (l’ordinario di Fisica vestiva sempre la sua grisaglia, tristissima ed austera, ed i suoi tomoni avevano rigorosamente la copertina grigio topo sub-inferiore, con quella carta giallina, anni ‘30).

Torno ad res: se sono riuscito a far balenare il quadro del dualismo ontologico della Creazione, concludo la mia prima risposta; occorre tener conto che il concetto di un Bene qualsivoglia e/o di un Male qualsivoglia sono oggetti intellettuali, soggettivi, e dunque sempre falsi, fallaci, fuorvianti. Ciò che conta, invece e tanto più alla bisogna, è comprendere (mi ripeto, lo so: NON capire!) che in Creazione, il navigante DEVE fare i conti con la doppia realtà; non se ne scappa, né se ne potrebbe mai scappare (se non tornando una volta per tutte a fondersi nella Hylé; ma se non si riuscisse ad e-volvere (toh!) verso l’IGNOTUS entro le 13 vite, … pare, dicono, che si torna in prigione-senza-passare-dal-via!).

Il Bianco ed il Nero sono la substantia stessa del tessuto Spaziale (il tempo è solo uno strumento percettivo, del tutto locale), dove LUX trasferisce la potenza del Verbum; se c’è Bene, c’è Male. E versa vice, of course. Senza dubbio si può scegliere, al proprio meglio, DOVE camminare … quel che conta, a mio modestissimo avviso, è uscire dalla ‘massa sociale’ e incamminarsi solitari verso una destinazione alla nostra portata; ma liberi, liberissimi da qualsiasi fardello, sia esso intellettuale, culturale, iniziatico, religioso, e via dicendo … Lo dico perché il territorio dove alla fine potrebbe improvvisamente trovarsi il navigante è un locus dove nulla ‘funziona’ come pensiamo, come siamo stati addestrati, come speriamo. NULLA. Ovviamente, neppure le regole della Fisica valgono in quel locus: c’è un’altra Fisica con cui fare i conti, ben più semplice, basica, ma estremamente aliena alla nostra Mente. Occorre cimentarsi in un nuovo studio se si è interessati … a non tornare in Prigione!

Vedete, ricordo che Paolo disse (ma non ricordo ora ‘dove’ lo disse) che l’Alchimista non ha una Weltanschauung, intesa come una visione del mondo; in effetti, se è molto fortunato, potrebbe capitargli di vedere il mondo per quel che è, e non di avere una banale visione; ma, io credo, se esercitasse il proprio Giudizio nell’approvare o disapprovare un evento, un fenomeno, farebbe un errore tragico: perché, lo si creda o no, il mondo è ‘pensato’; da Dio?, da Buddha? dal Grande Ciaparche Verde? … e persino da tutti noi, e dico tutti? Ma, a ben vedere … che diamine importa sapere ‘chi è che pensa il mondo’?

Non sarebbe ben più interessante, e salutare, rendersene finalmente conto, ed accettare – con il sereno Love, Devotion and Surrender – di vivere liberi?… e con una meta?

Il problema della ‘destinazione’ è che il solo porsi tale problema è tutta fuffa, comoda, che ci para sempre il sederino: ponetevi una destinazione, che sia una vostra libera scelta, non lo scimmiottare chi viene additato Magister, o Influencer, o quello applaudito dal Consensus accademico: per favore, chinatevi sui libri, da soli, e cercate; con calma; camminando. Sempre. Imparate ad essere soli, e ad essere allo stesso tempo Fratelli, e non fratelli! Anche del diverso. Che cosa farete se incotrerete un abitante di Reticuli? Se parlerete di ‘tolleranza’ verso l’altro, le porte non si apriranno, mai.

Amor è la Forza che muove il creato tutto.

Nient’altro.

Una volta raggiunta la prima ‘destinazione’, non fermatevi più di tanto; un bicchier d’acqua (Solvente dell’Universo!), una passeggiata calma in un luogo ameno della Natura, e stabilite una nuova ‘destinazione’, con la medesima postura di cui sopra. Non fatevi ingannare dagli ‘altri’, tantomeno dal sottoscritto! … l’unica vera Maestra è Madre Natura, Materea. Procedete sereni, pian piano, studiando e trasferendo nella pratica le cose che avrete rinvenuto camminando … e-volverete. E così via. Lo spostamento del limite vi farà, nel tempo, camminare.  Sarete sempre più soli, ma sempre più assieme a Madre Natura.

Vedete, se qualcuno si cimentasse con la lunghissima riflessione (meditazione?) sulle conseguenze terribili del solo Principio di Indeterminazione di Heisemberg, o si interrogasse sull’affermazione di Einstein per cui ‘il mondo esiste perché qualcuno è in grado di pensarlo’ … chissà, potreste pian piano scoprire da soli l’unica Mappa utile per tornare a Casa …  

Così, dopo questo lungo pistolotto, che mi auguro almeno rischiari un po’ l’inizio di un cammino, torno a sottolineare l’importanza di ‘ciò che è all’interno della Massa’. Ho già detto e spiegato, fino alla noia, cosa sia la Massa (Sir Isaac Newton, Philosophiæ Naturalis Principia Mathematica, 1687, Definitio I); tale definizione DEVE esser letta in Latino e meditata per anni, allo scopo di studiar meglio, praticar meglio e raggiungerne una Comprensione; per anni, e anni. La Massa è quantitas Materiae, ma costituita (NON composta!) in un modo estremamente arguto, bizzarro; più che bizzarro. Dietro e dentro quella Definitio, viene svelato candidamente quel locus terribilis di cui ho parlato prima; lì, sta una delle porte più importanti della Creazione. E, per rispondere finalmente al quesito del Sig. Loris, nel cuore di quel locus, gli Alchimisti, se sono benvoluti (per usare un termine caro a Paolo; ma siamo tutti benvoluti, credetemi) possono … osservare tutto ciò che è da osservare! Non c’è nulla di magico, o di mistico, o di ermetico, o iniziatico che dir si voglia: è Physica, all’Opera ed in Opera. Punto. Per ovvi motivi, non mi è possibile parlarne.

Quanto alla seconda domanda: “… un Vulcano Lunare è una Luna arietina? Giacché il simbolo unisce, se acquisisse la concezione del simbolo la moderna scienza diverrebbe iniziatica?”. QUI.

Rispondo: … Uhm, doppio uhm; posto, con tutto il rispetto, che non conosco il suo livello di studio e/o di pratica alchemica, al suo quesito si potrebbe rispondere positivamente o negativamente; a patto cioè di intendersi. Il Vulcano Lunatico indica generalmente il Fuoco Segreto, eterno dilemma di chi inizia il cammino operativo. Le dico subito che qualsiasi elucubrazione della mente la porterà fuori strada. La faccenda è in realtà semplice; proprio perché la chiamo ‘faccenda’, intendo dire che è una ‘facienda’, vale a dire qualcosa ‘da fare’. Vi è insomma una ‘pre-parazione’. Per come ho camminato, mi permetto di riportarle il passo che precede quel riferimento al Vulcano Lunatico, tratto da Jean d’Espagnet, L’Ouvrge Secret de la Philosophie d’Hermez – 1651, al Canone 69, p. 310:

Or cette regeneration du monde fe fait par le moyen d’vn esprit de feu, qui defcend en forme d’vne eau, qui oste toute la tache, & le deffaut originel de la matiere; car l’eau des Philofophes est le feu mefme, laquelle est efmeuë, & efleuée par la chaleur du bain: mais prenez garde que la feparation des eaux fe faffe en poids, & mefure; …”.

Spero che lei parli un po’ di Francese, così da apprezzare – divertendosi – le indicazioni de Le Président, grandissimo Alchimista. In ogni caso, non è difficile: … e… sì, nel corso del tempo, si dovrà cimentare con il Francese e soprattutto il Latino.

Il passo si riferisce ad un procedimento operativo piuttosto avanzato, e si sta parlando, come vede, dello Spirito Universale, uno spirito di fuoco che discende in forma d’acqua … si noterà che d’Espagnet implica – qui senza dirlo – che quello Spirito sia stato canonicamente attirato … quando? … a lei rispondere; se avrà ben studiato le due opere di d’Espagnet ne trarrà senza dubbio preziose indicazioni; le quali, tuttavia, debbono poi essere messe alla prova manuale, in Laboratorio. Più e più volte. Come consiglio spassionato, personalmente diffiderei non poco del passo di Grillot de Givry, che era un occultista, e non un alchimista. Però faccia lei, no? …

Sulla Luna arietina, … sorrido. Mi permetta di non risponderle, per il momento.

Quanto alla questione del Simbolo, che secondo lei ‘unisce’ … personalmente ho seri dubbi. L’Alchimia, come altre Arti, ha sempre fatto larghissimo uso dei Simboli: ma ciò ha fatto sì che chiunque si sentisse in diritto di affermare tutto ed il contrario di tutto; si è insomma verificata una Separazione, e non certo un’unione, né tantomeno una COMPRENSIONE, che scaturisce solo dal sottoporre una Teoria alla Sperimentazione. Il Simbolo vale poco se non si è prima studiato in modo assiduo, audace e libero su testi ottimi (pochi, sa?) e poi – almeno – iniziato a confrontarsi con la manualità e l’operatività. Alchimia si ‘fa’ con le mani, non con le elucubrazioni e le parole di quelli che fanno i maestri ma non si sono mai abbassati, come il contadino, sulla terra. Naturalmente, non mi riferisco a lei …. Ma ai tanti, tantissimi, troppi, che nei secoli si sono proclamati portatori di verità.

Se poi, come lei chiosa, la ‘scienza’ possa mai diventare ‘iniziatica’ … beh, le dirò: … spero proprio di no! La Scienza è già sin troppo ricca di troppi Dogmi, che la ammantano di inesplicabili meraviglie (in genere false) e di assoluti non-sense. Occorre Conoscenza, ma quella beninteso oltre il confine, al di là delle Colonne d’Ercole … e se poi ci mettessimo pure delle’ iniziazioni’, … oh, mamma mia … sarebbe la fine di ogni speranza! Ovviamente, questa è solo la mia opinione. Di più non posso e non intendo dire.

Grazie per la pazienza nel leggere …

A bientôt, Monsieur …

Ciao Stregatto! … Ça va?

Posted in Alchemy, Alchimia, Alchimie, Various Stuff with tags , , , , on Friday, July 14, 2023 by Captain NEMO

Caro Paolo,

tutto corre e tutto scorre.

Credo tu sappia che qui tutto va assumendo le frequenze di una diffusa e scoordinata follia: altro che battimenti d’onda. Un coacervo di disarmonia. Sarebbe un fenomeno molto divertente da osservare e studiare: come un esperimento, per valutare meglio il come si possa generare l’analogo di un Black-Hole, ma nel sociale, nell’umano, nell’intimo, nelle vite di microbi incapaci di essere consapevoli che c’è proprio dell’altro al di là del proprio spazio vitale; quell’ immensa distanza per il microbo è pari ad un nostro centimetro. Diversità di consapevolezza, e di prospettiva.

Contemplare: impresa dalle sfumature preziose, e facile, ma lontana dalla mente dei malati terminali, di chi si proclama assennato, pur non avendo più alcun senno. E va beh … Prima o poi Madre Natura penserà a come riequilibrare questa nostra prigione, dorata.

Manchi molto, come sempre; quel tuo baffo che adorna il tuo sorriso sornione, quello sguardo sereno ed elegante. Ti so ben occupato, e penso molto spesso a te, ed agli amici – pochissimi – del Joe’s Bar: scruto il Cielo della notte, alla ricerca di un piccolo refolo che dia sollievo e speranza in questa calura, letteralmente infernale. A sentir gli esperti, Terra non ha un problema di clima critico; no, i pochi che ne parlano, lo fanno in punta di un discorso politico, e poi sociale, e poi eco-green, e poi quant’altro; con parole del tutto inadatte per apprezzare quel che sta succedendo: tutto corre e tutto scorre, a velocità elevatissime; tutto è fuori scala, ed aumenterà … Nessuno ha compreso che se non hai compreso come Madre Natura procede, come crea e come annulla, non ha alcun senso protestare, e/o lamentarsi. In Ictu Oculi … e poi si ricomincia. Ma la prigione resta prigione.

I crogioli hanno rivelato il cuore della trasformazione in corso, con risultati eclatanti per chi è stato toccato dal Fato. Pochi sanno guardare dentro: dentro il cuore della massa, e dento il proprio Cuore.

Il gioco procede: mi piacerebbe avvertire, almeno i più cari. Ma so che è del tutto inutile. Lascio che i sorrisi giungano agli occhi di chi incontro: anche al bar, sorseggiando una tazzina di caffè; non c’è davvero molto altro da fare.

Alchimia, e la sua impagabile bellezza, si è immersa ben sotto le onde: non è andata via, siamo noi che stiamo andando via, persi come siamo dietro alle nostre pretese di arroganza ed egoismo; non abbiamo uguali, noi umani.

Alchimia non mancherà mai. Siamo sempre noi, tutti, che manchiamo all’appello, alle promesse di vera Fratellanza, quella unica, antica. Non quelle dei tanti club e delle tante declinazioni, a seconda di come ci incliniamo: … lei è un saggio che viene da Saltimbocca-alla-Romana, oppure il Gran Mogol delle anziane Marmotte di Paperopoli, 2, la Vendetta-Risorta? — Ah, Mon ami … !

Ripenso spesso al nostro incontro, chez toi; quanta vera semplicità, senza alcun orpello, senza alcuna maschera e cappello. Mi hai dato tanto, e cerco di dare a mia volta: dove e come posso.

Sono però stanco, molto stanco. Non ho desiderio di altro, se non di pace, e passo lento, e occhi pieni di stelle.

Non vedo l’ora di riabbracciarti, ridendo, come due bambini innamorati della bimbitudine; e di stringere forte anche il mio adorato Fra’ Cercone: che si starà facendo un pacco di risate trasteverine, mentre mi guarda sciogliermi sotto il caldo insopportabile …

Per il momento, ti mando il mio abbraccio più forte; con le stesse mani strette dalle tue, quando quella notte mi dicesti: ‘Vai, accendi il tuo fuoco!”, con gli occhi pieni della tua gioia, e di tanta allegria.

Captain NEMO

Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie VIII

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Wednesday, May 3, 2023 by Captain NEMO

Rientriamo nella Chapelle, che sembra un tempo aver avuto un ruolo in qualche modo anche liturgico, come vediamo da questa immagine d’epoca:

Se la presenza di un Altare e di una sorta di incavo laterale decorato (la famosissima Crédence) ci parlano di un uso religioso, difficile è riconoscerlo come tale quando esaminiamo alcuni Caissons, decisamente un po’ troppo espliciti nelle loro rappresentazioni scultoree; su questo curioso soffitto, oltre a quelli che abbiamo già esaminato sin qui, il terzetto di cui ci occuperemo oggi è decisamente ludico:

Il percorso che si dipana lungo questa sorta di scacchiera vede qui altri due Angelots, giocanti e giocosi, che evidentemente alludono al Cassone nel loro mezzo.

Cassone 20 – Lo Cheval de Bois.

Fulcanelli scrive: “Enfin, l’image suivante représente le ludus puerorum commenté dans la Toison d’or de Trismosin et figuré d’une manière identique: un enfant fait caracoler son cheval de bois, le fouet haut et la mine réjouie.”.

La traduzione di Paolo è, more solito, perfetta. “Infine, l’Immagine seguente rappresenta il ludus puerorum commentato nel Toson d’Oro di Trismosin e raffigurato in modo identico: un bambino fa caracollare il suo cavallo di legno, la frusta alta e l’espressione gioiosa.”.

[Fulcanelli, Il Mistero delle Cattedrali – 2005, p. 290]

L’Angioletto è un maschietto, nudo ma coiffé, ed impugna la sua frusta mentre cavalca il suo amato cavalluccio. Si tratta evidentemente di un bel gioco, no? Eppure, se vogliamo parlare d’Alchimia, v’è dell’altro.

Per prima cosa leggiamo il ‘commento’ di Salomon Trismosin, come indicato da Fulcanelli, nell’Edizione del 1612, all’articolo terzo:

Il terzo grado dei Naturalisti è la Sublimazione, mediante la quale la terra massiva& grossolana si converte nel suo contrario umido, & si può agevolmente distillare dopo che essa si sia mutata in questa umidità: perché non appena l’acqua si è ridotta & organizzata come mescolanza per influssione nella sua propria terra, essa non trattiene più in alcun modo la qualità dell’aria, elevandosi poco a poco & gonfia la terra trattenuta sino ad allora in fondo a causa della sua siccità beata & smisurata, come un corpo compatto & ben pressato; la quale nondimeno vi riprende i propri spiriti & si estende più in largo a causa dell’influenza di questo umore che si assorbe all’interno, & si mantiene mediante la sua infusione all’interno del corpo solido sotto forma di una nube porosa & simile a quest’acqua che galleggia nell’uovo, vale a dire l’anima della quinta sostanza che noi chiamiamo a buon merito, tinctus, fermentum, anima, oleum, per essere la materia più necessaria & la più vicina alla Pietra dei Saggi; tanto più che da questa sublimazione provengono delle ceneri, le quali propriamente (ma soprattutto per mezzo dell’assistenza di Dio, senza la cui bontà nulla riuscirà) si attribuiscono dei limiti & misure di fuoco, il quale è chiuso & racchiuso come da bastioni naturali. Ripley ne parla così & nello stesso nostro senso: fa, dice, un fuoco nel tuo vetro, vale a dire nella terra che lo tiene racchiuso. Questo breve metodo sul quale ti abbiamo liberamente istruito, mi sembra la via più corta & la vera Sublimazione Filosofica, per arrivare alla perfezione di questo pesante lavoro, giustamente paragonato per la sua purezza & candore ammirevole, al mestiere ordinario delle donne, vale a dire al lavatoio, che ha questa proprietà di rendere infinitamente bianco ciò che in effetti in precedenza appariva sporco & pieno di lordure, come la seguente figura ti farà conoscere perfettamente. Ma ancora prima io voglio mostrare che non sono il solo che offre i medesimi aspetti alla nostra Opera che il mestiere delle donne, non essendoci nulla di così comune nei migliori Autori che questa giusta similitudine. Il Ludus Puerorum lo chiama ‘fatto di femmine & gioco di bambini’, dato che i bimbi si sporcano & si rotolano nella lordura dei propri escrementi, rappresentando questa nerezza tratta dalle proprie mistioni naturali del nostro corpo minerale, senza altra operazione d’artificio che il suo fuoco caldo & umido, digerente & vaporoso; la qual nerezza & putrefazione viene pulita mediante la bianchezza che in seguito prenderà il suo posto facendosi una casa pulita & purgando di ogni lordura questa prima cuccia imperfetta. Così come la donna si serve di una liscivia & di un’acqua chiara per dare al suo bimbo la pulizia richiesta alla sua intera conservazione.

[mia personale e rapidissima traduzione]

Ohibò! … alla faccia della ‘brevità’! … Sia come sia la faccenda ludica viene qui descritta con un interessante dettaglio, credo. L’immagine che precede questo commento è questa:

… e quella a cui Trismosin si riferisce è ben più famosa:

Prima di continuare però, a costo di annoiare, credo utile riportare il monito del Ludus Puerorum, cioè il trattatello scritto nel Latino del 1523, facile e istruttivo:

Debet autem triplex ludus puerorum præcedere opus mulierum. Pueri enim ludunt in tribus rebus. Primo cum muris frequenter vetustissimis. Secundo cum urina. Tertio cum carbonibus. Primus ludus materiam lapidis ministrat. Secundus ludus animam augmentat, Tertius ludus corpus ad vitam præparat. Ex flore sanguinis fit Sal petra, cum primo ludo puerorum. Quo facto restat ipsum animare, & frequenter cum suo compari in aquam solvere, cum duobus alijs puerorum ludis, qui necessarij sunt, usque ad tertium calorem nostri Elixiris in opere mulierum, quod opus earum est coquere; qui ergo potest capere capiat.

[Vide l’Incipit faustè, dal Tractatus Opus Mulierum, et Ludus Puerorum dictus]

Cassone 21 – La Grenade Ignée.

Fulcanelli commenta questo Cassone così: “… la calcination philosophique, symbolisée par une grenade soumise à l’action du feu dans un vase d’orfèvrerie; au-dessus du corps calciné, on distingue le chiffre 3 suivi de la lettre R, qui indiquent à l’artiste la nécessité des trois réitérations du même procédé, sur laquelle nous avons déjà plusieurs fois insisté.”.

E Paolo: “… la calcinazione filosofica, simboleggiata da una melagrana sottoposta all’azione del fuoco in un vaso d’oreficeria; sopra al corpo calcinato si distingue la cifra 3 seguita dalla lettera R, che indica all’artista la necessità di tre reiterazioni dello stesso procedimento su cui abbiamo già insistito parecchie volte.”.

[ibidem]

Tutti sanno che la tradizione ermetica affida alla bellissima Melagrana il simbolo della fertilità; non mi dilungherò su questo, ma vi riporto il Mito arcaico ma terribile ad essa legato, raccontato da Alfredo Cattabiani:

… la Madre degli dèi, detta Cibele o Agdistis e descritta come un androgino, fu evirata per ordine della corte olimpica con uno stratagemma. C’era una sorgente alla quale soleva dissetarsi. Dioniso, che aveva il compito di separare la virilità da lei, ne tramutò l’acqua in vino. Agdistis-Cibele bevve l’insolita bevanda cadendo in un sonno invincibile; e il dio che stava in agguato, legò con una fune il suo membro maschile ad un albero.

Quando l’androgino si fu destato dall’ebrezza, balzò in piedi con uno slancio poderoso che permise alla fune di evirarlo mentre un fiotto di sangue inondava la terra: sangue magicamente fecondo se dal terreno sorse un melograno con un frutto. Il quale attirò un giorno l’attenzione della figlia di Sangarios, dio fluviale: Nana, dal nome identico a quello babilonese della Grande Dea microasiatica. La fanciulla colse il frutto appoggiandolo al grembo: ma la melagrana sparì magicamente, fecondando l’ignara principessa. Dal miracoloso concepimento nacque Attis di cui Agdistis-Cibele si innamorò perdutamente non abbandonandolo nemmeno per un attimo; e quando il figlio divino, divenuto un giovanetto, fu sul punto di sposarsi e di abbandonarla, lo fece impazzire spingendolo ad evirarsi il giorno stesso delle nozze. Attis morì dissanguato, e dal sangue sparso fiorirono viole mammole.”.

L’androgino primordiale Agdistis, in un altro mito, sarebbe nato dal seme di Zeus sparso su Terra in seguito ad un focoso accoppiamento con Cibele (sempre lei, si belle); il seme divino piovve dal cielo e cadde su una roccia, per cui Agdistis è ‘figlia/o della roccia’. Si noti che Cibele è sia madre (femmina) che figlio/a (androgino).

[Cattabiani, Calendario, Rusconi – 1988, p. 160]

Cassone 22 – L’Angelot avec le tourniquet

Fulcanelli scrive: ”L’ange «qui fait tourner le monde» à la façon d’une toupie, sujet repris et développé dans un petit livre intitulé: Typus Mundi, œuvre de quelques Pères Jésuites; …”.

E Paolo: “l’angelo che «fa girare il mondo» come una trottola, soggetto ripreso e sviluppato da un piccolo libro intitolato Typus Mundi, opera di alcuni Padri Gesuiti.”.

[ibidem]

L’angioletto stavolta è vestito: sarà forse un’angioletta? … chissà! Comunque, il ginocchio poggiato a terra, sta preparandosi al suo Jouet, molto popolare a quel tempo: il tourniquet è una sorta di toupie, una trottola, ma primitiva; dopo aver svuotato la noce centrale, ed aver leggermente separato i due gusci, ha fissato la sua cordicella ad uno dei vertici di una barretta nascosta all’interno, perpendicolare all’impugnatura; poi, avvolge la cordicella, e – lanciato un sassolino in una casella di una griglia disegnata per terra (una sorta di Luna, o Stella, il nostro vecchio e amato gioco da bimbi) – salta nella casella con una gamba sola e mentre compie il salto tira velocemente, e con forza, la cordicella, facendo girare la croce di legno solidale con l’asse della sua toupie. Il punto è che la toupie non deve mai fermarsi; per cui, una volta che la cordicella è stata srotolata, la forza applicata al primo tiro fa girare la toupie in senso contrario, riavvolgendo la cordicella (en avant & en arriéré); ma prima che la croce smetta di girare, l’Angioletto deve riprendere il sassolino, gettarlo in un’altra casella più avanti (verso la Casa della Luna), saltare – sempre con una gamba sola – nella nuova casella e ripetere l’operazione. Se la croce si ferma, ha perso, ed è costretto a tornare alla casella-base da cui è partito … e rifare il tutto! Ma, naturalmente, tocca adesso ad un altro compagno di giochi …

Questo trittico sembra dunque centrato sul ‘gioco da bambini’, il cui centro è qui rappresentato da questa grenade ignée, fissata da quel 3R; la raffigurazione di questa grenade si osserva anche all’esterno dell’Hôtel Lallemant: all’angolo della Corte Superiore, l’ultima finestra in alto della Tourelle mostra … 3 grenades, di cui le due laterali in fiamme, e quella centrale – posta su un supporto à torchon – la rivela, come una massa vera e propria.

Allora, si potrebbe pensare che questa grenade non sia soltanto una bella decorazione: … ma piuttosto il risultato di quell’operazione presentata dall’enigmatico Caisson 21 (qui), dove avevamo incontrato quella sorta di ‘E’ curiosamente adagiata in orizzontale tra le fiamme. Quindi, se uno si rileggesse, con tutta calma e serenità, l’altrettanto curioso Incipit del Ludus Puerorum … forse quel ‘3’ indica non soltanto – ma giustamente! – le trois réitérations du même procédé, … ma anche una ‘Eallo specchio, che appare invertita. Ho scritto ‘si potrebbe pensare’, e la mia è soltanto una proposta di riflessione (toh!). In accordo con i migliori autori, dirò che il procedimento semplice ed unico, è sempre il medesimo, nella cui reiterazione l’Artista deve però essere consapevole che la Materia nel crogiolo, nel suo intimo, … muta, pur essendo la stessa. Per dirla tutta, se l’operazione avrà successo, si disporrà della melagrana, che come abbiamo letto con Cattabiani, è il frutto dell’albero che spunta (preferisco ‘sorge’) dalla terra fecondata, da cui nascerà il bellissimo Attis … non fatevi ingannare, però; il Sal Petra di cui parla il Ludus Puerorum, non è il comune salnitro, bensì … proprio il Sale Pietra, o Sale della Pietra stessa. Senza sale, lo sappiamo tutti, … come potremmo mai ‘salare‘? … o si dice ‘salire’? Mah … non sarà la stessa cosa?

À bientôt, mes Dames et mes Sires !

Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie VII

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Ritorniamo a studiare il curioso soffitto della stanza che stiamo esaminando; la stanza viene chiamata generalmente ‘Chapelle’, anche se – strictu sensu – non sembra tale; ma – lato sensu – … lo è: il termine ‘cappella’ viene – pare – proprio dal Francese ‘chape’, che è la nostra ‘cappa’; si tratta del mantello, la cui epitome in terra di Francia è quella legata a San Martino, di Tours: prima di convertirsi al Cristianesimo, Martinus – un Germanico, nato in Pannonia – faceva parte di un’Ala degli Equites catafractarii Ambianenses, la cavalleria pesante generalmente dedicata alla protezione dell’Imperatore. Forse per questo – e per celebrarne le doti di Charitas – viene raffigurato (in una scultura che sovrasta il cancello d’entrata del castello di Höchst) vestito di elmo e corazza mentre taglia in due il proprio mantello (la ‘chape’) per donarlo ad un pover’uomo (il quale è, in questa raffigurazione, pure zoppo…):

Così nacque la venerazione da parte dei Re di Francia per la ‘chape’: si dice che la parte rimasta sulle spalle del buon Martinus venne conservata con ogni possibile onore e riverenza dai Re dei Franchi Merovingi, nell’Abbazia di Marmoutier a Tours, e veniva persino indossata in battaglia dal Re; da allora divenne una delle reliquie più preziose di Francia, quando Carlomagno la affidò ai monaci di Saint Denis. Il religioso che portava la ‘cappa Sancti Martini’ fuori dal reliquiario veniva chiamato ‘capellanum’, per cui tutti i sacerdoti al servizio degli eserciti vennero chiamati ‘cappellani’. Da qui, con le solite approssimazioni linguistiche, il luogo dove il ‘chapelain’ custodiva la ‘chape’ divenne … la ‘chapelle’, che poi indicò sempre un locus appartato di una chiesa e di particolare importanza nella liturgia, dove in genere veniva conservato qualcosa di prezioso.

Il famoso proverbio ‘Per un punto Martin perse la Cappa’, invece, sembra non aver nulla a che fare con San Martino, bensì con un abate del XVI secolo, il quale volendo abbellire la propria Abbazia, affidò ad un artigiano la realizzazione di un cartello di benvenuto che accogliesse i pellegrini: ”Porta patens esto. Nulli claudatur honesto.”; ma il pover’uomo sbagliò la posizione del ‘punto’, per cui la scritta diventò “Porta patens esto nulli. Claudatur honesto.”. Oltre l’imbarazzo inevitabile per lo sbaglio e il non aver controllato, la cosa arrivò fino al Pontefice, così che Martinus perse pure la ‘cappa’, … ma quella di Abate!

Ciò detto, torniamo ai Caissons, in questa settima serie.

Cassone 19 – Una Mérelle con lo scarabeo-scorpione.

Fulcanelli in proposito scrive: “… une large coquille, notre mérelle, montre une masse fixée sur elle et ligaturée au moyen de phylactères spiralés. Le fond du caisson qui porte cette image répète quinze fois le symbole graphique permettant l’identification exacte du contenu de la coquille”.

La traduzione di Paolo è, more solito, perfetta. “… una larga conchiglia, la nostra capasanta, mostra una massa fissata su di lei e legata da filatteri a spirale. Il fondo del cassettone che porta quest’immagine ripete quindici volte il simbolo grafico che permette l’esatta identificazione del contenuto della conchiglia.”.

[Fulcanelli, Il Mistero delle Cattedrali – 2005, p. 289]

C’è chi sostiene che non si tratti di una conchiglia, ma a me pare evidente che si tratti proprio della ‘capasanta’ … o ‘santa capa’ che dir si voglia. Ma la cerniera della valva pare leggermente rotta, in alto, come per mostrarne il contenuto, normalmente nascosto da due valve quando la mérelle è chiusa; voglio dire che sembra che l’immagine rappresenti qualcosa che in condizioni normali non si vede. La ‘massa’ è fissata da un unico filatterio in realtà, a formare una sorta di ‘otto’: potrebbe rappresentare – come sostiene il mio amico injubes – il percorso delineato dai punti massimi dell’ombra dello gnomone di una meridiana, proiettati a mezzogiorno: in un intero ciclo solare, formano per l’appunto questo andamento spiraleggiante (si tratta di un percorso fisicamente rilevabile osservando in cielo il moto di Sol per un anno, dalla stessa posizione, ad una stessa ora: si chiama Analemma, qui). Se così fosse, la ‘legatura’ cui accenna Fulcanelli è dovuta al ‘vincolo’, generalmente dovuto al Mercurio, che trattiene uno Zolfo, il qual Zolfo, … viene fissato: … Ohibò!

Ma cos’è questa massa, della quale Fulcanelli non dice una-parola-una? Questo insettone appare ben strano, e c’è chi dice che sembra figurare un miscuglio di due corpi, un corpo di due nature: la grossa testa sembra quella di uno scarabeo cornuto, ed il corpo (sei zampe e due chele) e la coda (munita di pungiglione, o di una doppia chele) paiono indicare uno scorpione. Lo scarabeus (Ogni scarrafone è bello a mamma soja), che spingeva davanti a sé una palla di sterco e terra, era venerato in Egitto come un simbolo di resurrezione/rigenerazione; si chiamava kheperer, ed era nella palla di sterco che il coleottero custodiva le sue uova; l’abitudine venne collegata al mito del dio Khepri, il Sole che sorge ciclicamente generato dalla terra, così come appare sull’orizzonte, all’alba. Quanto allo scorpione, a parte che la sua puntura velenosa può essere mortale, non mi vien in mente granché.

Poi le ‘E’: ne sono visibile dodici, e potrebbero essere quindici se ne immaginiamo altre tre dietro la mérelle. Fulcanelli sostiene che quella ’E’ è “… il simbolo grafico che permette l’esatta identificazione del contenuto della conchiglia”. … Ho la sensazione che il gioco nascosto sia davvero sottile. Ma forse è meglio, per non guastar la festa, andare avanti …

Cassone 20 – L’Angelot … et les coquilles.

Fulcanelli commenta questo Cassone così: “Dans une autre figure, nous retrouvons l’enfant, – qui nous paraît jouer le rôle de l’artiste, – les pieds posés dans la concavité de la fameuse mérelle, et jetant devant lui de minuscules coquilles issues, semble-t-il, de la grande.”.

E Paolo: “In un’altra figura ritroviamo il bambino – che ci sembra rivesta il ruolo dell’artista – con i piedi posti sulla concavità della famosa capasanta e che getta davanti a sé minuscole conchiglie, provenienti, così sembra, dalla grande”.

[ibidem]

Il paffutello angioletto è ben pettinato ed ha un’aria tutto sommato paziente e serena: pare occupato a far cadere le conchigliette;  ma che senso avrebbe visto che sembrano figlie della grande su cui è comodamente seduto? Non sarebbe più facile semplicemente estrarle manin-manina dalla mérelle-Mère? Forse – e dico forse – le sta pulendo, con quel cesto di vimini? Le getta in aria, come per separare qualche sporcizia?

Beh, ci vorrà u po’ di tempo; ecco perché ha quello sguardo assorto …

Come abbiamo visto nell’esame di qualche altro Cassone, troviamo spesso nel Livre des Heures di Étienne Lallemant l’ispirazione; ma stavolta … è proprio precisa:

Curiosa corrispondenza, no? … dimenticavo: il Putto raffigurato nelle Heures è privo d’ali, mentre quello scolpito sul soffitto è in bella evidenza munito di alucce; e, a ben guardare, le piccole cerniere delle piccole conchiglie, tanto quelle scolpite che quelle dipinte … potrebbero essere prese per alucce, pure loro!

Cassone 21 – La ‘E’ tra le fiamme ….

Fulcanelli: “Le même signe, – substitué au nom de la matière, – apparaît dans le voisinage, en grand cette fois, et au centre d’une fournaise ardente.”.

E Paolo: “Lo stesso segno – sostituito al nome della materia – appare, questa volta più grande, nelle vicinanze, [e] in mezzo ad una fornace ardente.”.

[ibidem]

Torniamo dunque a quella ‘E’, misteriosa. Tanto per cominciare vi mostro come si apre il Livre des Heures di Étienne Lallemant :

Nel Capolettera di Étienne lo scarabeo proprio non c’è: per cui, o lo scalpellino di Jean si è sbagliato (la testa così grossa ed il corpo privo di anellature non assomigliano a quelli di uno scorpione), … oppure l’insettone di cui sopra, rappresenta solo uno scorpione, anche se raffigurato non proprio fedelmente[1]. A voi l’ardua sentenza!

Lo sfondo del magnifico Capolettera è il ben noto Blasone dei Lallemant, qui cosparso di ‘E’ (come nel Cassone 19, a dx della serie); al centro la bella valva della mérelle, aperta, in cui – guarda caso! – un nero scorpione viene ‘fissato’ dal filatterio che recita ‘Salus tu feris das’ (Tu ferisci, [tu] dai salute; lo scorpione ferisce, la mérelle guarisce); la pagina è quella corrispondente alla liturgia del 31 Dicembre, ed inizia con il Salmo 69 della Vulgata: “Deus, in adiutorium meum intende”. Come ho scritto in precedenza, Étienne potrebbe aver lasciato la carriera di avvocato al Parlement de Paris in seguito ad una pena d’amore, per poi prendere i voti e diventare Canonico di Tours e Bourges; il Livre des Heures, da lui commissionato, venne probabilmente completato prima del 1500, ed alla sua morte passò al fratello Jean Lallemant le Jeune; Jean, dunque, si è certamente ispirato alle decorazioni del Livre per la progettazione dei Cassoni di questa bizzarra Chapelle… ma torniamo a Fulcanelli: perché mai quel ‘signe’ potrebbe indicare la materia misteriosa (che figura dodici o quindici volte nel Cassone di dx)? Si potrebbe pensare ad un glifo che è ben presente in alcune antiche tavole che rappresentano simboli alchemici: la ‘E’ o la ‘Ɛ’ vi figura generalmente come la ‘cinis’, la cenere. Naturalmente, osservando il Cassone, l’operazione è certamente una Calcinazione; però, non è detto che quella ‘E’ bruci da sola: sembra che le fiamme, a punta, avvolgano e penetrino una sorta di corpo indefinito, ma senza spigoli, piuttosto confuso (al centro, sullo sfondo, addirittura si erge una specie di montagnola, che assomiglia a … qualcosa che si è rappreso; chissà); dice “… s’igne?”; risposta “… certo che s’igne, ma chilla E nun s’igne; è l’altro che s’igne, capatost’!”.

Se questa balzana ipotesi fosse degna di una qualche attenzione, allora in questa ‘fornace ardente’ ci sono due corpi: uno è misterioso, l’altro potrebbe essere rappresentato dal simbolo della cenere; … quale cenere? Per di più, c’è un apparente paradosso: in Alchimia operativa, la cenere è l’ovvio risultato di una Calcinazione; da quella cenere, sempre indicata dai buoni autori come ‘meravigliosa’ si deve poi estrarre un Sal, anzi il Sal, il quale è estremamente importante, perché … è il Sal Petræ, che non è ovviamente il Salnitro, bensì il vero Sale della Pietra, cioè della vera materia dell’Opera. Emozionati? … però, chi non ha lavorato obbietterà giustamente che, a rigor di logica, sarebbe del tutto assurdo pretendere di calcinare ancora una volta un sale, il quale è già il frutto di una calcinazione; eppure …

Allora, logica a parte, risponderei con una immagine, ben conosciuta, tratta dal Donum Dei:

Di fronte alla consueta perplessità dell’obbiettore, non profferirei altra parola che ‘cinis cinerum’; per poi aggiungere, de surcroit, che il nomen Étienne corrisponde al nostro Stefano; dice Wiki: “Στέφανος (Stéphanos, latinizzato in Stephanus), che letteralmente significa “corona” …”.

Direi io, all’obbiettore: “Parbleu, Monsieur … Sans une Couronne le Dauphin ne sera jamais un Roi, n’est pas?

A supporto del momento, vi lascio con un brano tratto da quale genio assoluto che fu Monteverdi, di scarsa qualità purtroppo, ma emozionante per il modo con cui il conduttore, Messer Marco Mencoboni, dirige il coro, davanti e dietro di sé; dalla Cattedrale di Lisbona, ecco a voi il Domine ad Adjuvandum, dall’incredibile Vespro della Beata Vergine:

Se poi, presi da Joie et curiosité, voleste dilettarvi dell’intero Vespro, di assoluto valore alchemico, vi lascio in santa pace (per un’ora e quarantaquattro minuti) con Sir John Gardiner, nell’esecuzione capolavoro tenutasi à la Chapelle Royale de Versailles:

À bientôt, mes Dames et mes Sires

tiens, mais encore … une autre Chapelle ?


[1] Ma lo scalpellino potrebbe essersi ispirato a raffigurazioni pittoriche coeve; in queste, per esempio, i soldati romani che assistono alla crocifissione di Gesù portano l’insegna dello scorpione, raffigurata su stendardi o scudi militari:

Oratorio di San Giovanni Battista, Urbino
Convento di Santa Maria degli Angioli, Lugano

La Candelora: … briciole sparse

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Thursday, February 2, 2023 by Captain NEMO

Si dice che “Alla Candelora de l’inverno semo fora“; oggi è una bellissima giornata, e si percepisce un sottile ma pervasivo profumo di Primavera, incipiente. Approfitto del buon clima per tornare a sedermi sui gradini della porta, munito di una buona pipa carica di profumi, a contemplare il cielo; azzurro. Guardo le poche nuvolette puffose mosse dal vento. Maestrale, marino, salutare. Nuvolette deliziose, che formano e sformano, allegre, silentissime. Le piante sono molto timidamente in leggero sboccio; sono timide, dopo le freddure dei Giorni della Merla.

Mi torna in mente una vecchia storiella che sostiene che – chissà quando – i merli una volta erano bianchi, ma che per il freddo si riparavano nei comignoli fumanti; e divennero neri. Sorrido, e riguardo il cielo; azzurro. Il vento è talmente gentile che stormi di piccioni – sempre pigri e fastidiosi per la spropositata produzione di guano che adorna i tetti del paese – si involano, cavalcano l’onda del vento, che per noi è invisibile. Evoluzioni e divertissements.

Tutto è davvero bello e tranquillo, quest’oggi. Mi volto verso la chiesa: Chiusa. Il buon parroco … forse dorme? Oggi si dovrebbero portare i Ceri in chiesa, per esser bene-detti. Nessuno. Bah…

Si portavano in chiesa, credo a Marsiglia, i ceri da far bene-dire, ma spenti; si scendeva nella cripta, dove stava la Notre Dame de Confession, la Vergine Nera; nell’ Abbazia di Saint Victor a Marsiglia c’era questa:

Fulcanelli aprì Le Mystère des Cathédrales con questa bella tavola di J.J. Champagne; e scriveva, mi pare, che questa Vierge

… ci presenta un bell’esempio di antica arte statuaria, plastica, ampia e opulenta. Questa figura piena di nobiltà tiene uno scettro nella destra e ha la fronte cinta da una corona a triplice fiorone.“;

… nel simbolismo ermetico, la terra primitiva, quella che l’artista deve scegliere come soggetto della sua grande opera.  È la materia primitiva, allo stato minerale, come esce dai giacimenti metalliferi, profondamente infossata sotto la massa rocciosa.“;

… Nel cerimoniale prescritto per le processioni di Vergini nere, non si bruciavano che ceri di colore verde.“.

… per poi chiosare (Les Demeures Philosophales, Chap. ‘Le Cadran Solaire du Palais Holyrood‘, – Paris 1964, Pauvert – Tome II, p. 317]:

Cette légende contient, derrière le voile allégorique, la description du travail que doit effecture l’alchimiste pour extraire, du minéral grossier, l’esprit vivant et lumineux, le feu secret qu’il renferme, sous forme de cristal translucide, vert, fusible comme de la cire, et que les sages nomment leur Vitriol.“.

Ah, Monsieur le Maître Fulcanelli… ‘il velo allegorico‘.

Mentre tiro buffetti di buoni profumi dalla mia pipa, guardando lo spettacolo del Cielo, ricordo un passo di Paolo, segnalato a suo tempo da Fra’ Cercone:

” …‘C’è un metodo ancora più segreto, insegnato da Joël Joze: basta captare nelle pupille di ogni essere vivente le immagini di tutte le cose visibili, condensarle, fissarle, comprimerle secondo metodi noti solo a lui, ottenerne, grazie a un procedimento sorprendente e vertiginoso la sintesi chimica; perché queste immagini proiettate sullo schermo appaiano subito in METAFORE-ANIMATE. Joël Joze chiama queste proiezioni così particolari
VIAGGI IN KALEIDOSCOPIO
Trasformate nello stesso apparecchio, per mezzo di misteriosissimi fluidi, di sali e di metalli preziosi, le Visioni si concentrano istantaneamente sotto forma di pastiglie platinate che possono poi servire a un numero illimitato di esperienze.
Così, ciascuno di noi, secondo le sue tendenze, scoprirà il SENSO NASCOSTO di ogni cosa
…. M. Joze pretendeva semplicemente di rigenerare il nostro Pianeta.

(da un post di Paolo Lucarelli, in un bel Forum di una volta, in data 2 febbraio [Candelora!] 2005)”.

Passa una tortora (una delle Doves … chissà se sa di appartenere a Diana!), velocissima si posa su un ramo; mi vede e fa ‘tu-tuuu-tu‘, dunque è un maschietto; cerca la sua femmina, chissà dov’è …. Avete mai fatto caso che fanno il loro richiamo solo quando sono … fisse? … Mai in volo! Continuo ad osservare Cielo e nuvole e tortora, che gioca a nascondino: ‘il velo allegorico‘ e ‘le metafore animate‘…

La cosa straordinaria della Philosophia è che essa è del tutto inutile, non serve ad alcuna delle attività usuali di noi uomini; non ha davvero una applicazione che porti profitto, vantaggio, potere; si dice infatti ‘filosofeggiare‘, per indicare un’attività tutto sommato trascurabile, perché viene considerata una sorta di trastullo intellettuale. Eppure … l’abitudine di portar ceri da bene-dire, spenti, ai piedi della nascoste Vierges Noires, per far sì che, una volta accesi, … diventino verdi … beh, certo ha solo il fascino di una bizzarra abitudine popolare, da analizzare forse mediante l’antropologia. Ma qual’è il senso nascosto di questi atti devozionali? … Solo aspetti della fede religiosa?

Guardando il grande cielo, azzurro, percorso dal vento salato … il protagonista nascosto di questo prezioso quadro Naturale è l’Esprit Universel, quello vivant et lumineux, che – così come è nascosto al’interno della Vierge Noire – è però reso ben manifesto dai fenomeni mirabili che osserviamo in giornate come questa. Come percepirlo? Basta fare il ‘vuoto‘, ed il ‘pieno‘ arriva subito.

Facile facile; spegnete la testa. Punto. Staccate la spina e godetevi Madre Natura all’opera …!

Di cosa potremmo aver più bisogno? Meglio: di cos’altro possiamo aver bisogno? Tutto è già qui, tutto da contemplare, tutto da bene-dire; poi basta ‘fare‘, senza grande sforzo, senza aspettarsi nulla; ma ‘fare‘. Con la medesima tenacia con cui il vento, soffia. Sempre. Senza posa.

Madre Natura è provvida e ‘fa‘; agisce; invisibile, ma ‘fa‘. Diversamente dagli uomini. Tutti ne parlano, buoni e cattivi che siano: se ne discute, se ne discetta, la si celebra, la si calpesta …

Un po’ come l’Alchimia: se ne discute, se ne discetta, la si celebra, la si calpesta … ma pochi, davvero pochissimi, ‘fanno‘.

Rientro in casa, e sorridendo passo davanti alla porta del mio piccolo Laboratorio: Locus terribilis est iste … presto tornerò ai miei Jeux prediletti!

Un Duetto, tra Baphomet e Graal

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, διαλέγομαι, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on Saturday, January 28, 2023 by Captain NEMO

Il lungo capitolo ne Le Dimore Filosofali su La Salamandra di Lisieux è certamente uno dei più interessanti, ed anche dei più belli della seconda opera firmata sotto l’aliasFulcanelli‘. Chiunque studi Alchimia, prima o poi incappa in questo vero e proprio trattato all’interno del libro dedicato all’esame di alcune ‘dimore‘; è dedicato al Fuoco, nelle sue varie declinazioni, sia a livello squisitamente dottrinale, sia in termini di operatività.

Nel tempo, stuoli di scholars e di studenti si sono estesi sull’interpretazione dei passi più famosi, alla ricerca di risposte alle eterne domande che qualsiasi buon testo d’Alchimia sottopone al lettore. Queste interpretazioni, pur lecite, restano pur sempre ‘interpretazioni‘; soltanto il lavoro al forno, assiduo, allegro, silente e continuato potrà permettere un giorno – Si te Fata vocant, come si dice – di ritornare sul passo letto tante volte, interpretato tante volte, conosciuto quasi a memoria, per scoprire che le cose supposte non stavano proprio come la nostra mente voleva leggerle. Si tratta di un processo ben conosciuto da chi pratica l’Arte con passione, e fedeltà a Madre Natura. Solo Madre Natura è la vera e unica Maestra, soltanto le Materie, da questa provvida Madre accudite ed accarezzate, possono svelare il loro segreto mutarsi, la loro danza segreta, eterna, magnifica, meravigliosa; e sempre sorprendente. Quel santo giorno in cui il miracolo avviene, la sorpresa è sempre enorme, sempre inaspettata. E le lacrime affiorano, chinati sul crogiolo, sporchi, stanchi e sudati … la cosa, la manipolazione, l’atto, è cosa difficilissima, proprio per la sua irragionevole semplicità.

Tanti anni fa, alla ricerca di tracce ed indizi di studio sul Fuoco, io e Fra’ Cercone decidemmo di tradurre meglio l’edizione de Le Dimore Filosofali, la prima delle Mediterranee, quella del 1973, tradotta dall’edizione del 1964 di Pauvert. Quella edizione, come scoprimmo pian piano leggendo e studiando le edizioni in Francese, era molto imprecisa e talvolta … un po’ distratta (absit injuria verbis!). Così, ci dedicammo a ri-tradurre i passi che più ci interessavano. Nel tempo, abbiamo accumulato, forse come tanti altri Studenti, un bel po’ di carta, in vari formati e disposizioni; così, mentre cercavo di mettere ordine nell’eterno disordine degli appunti, carteggi, copie, note, e via dicendo, ho ri-trovato questo piccolo essai, sul Bafometto e sul Graal.

Sotto sotto, ça-va-sans-dire, l’oggetto, lo scopo, l’intento iniziale, di questo capitoletto nel capitolone, è un altro. E siccome mi è capitato tra le mani per caso, l’ho preso come un piccolo e gentil signum da parte di Fra’ Cercone che, lo ricordo, si diede un bel da fare per rispettare se non altro la lettera di Fulcanelli & C., in modo che – visto che lo studio dei buoni testi ci ha sempre appassionato – lo spirito con cui era stato architettato non ne venisse stravolto.

Ho provveduto a ri-controllarlo – sia il sottoscritto che il mio compagno di studi avevamo fatto qualche errore minore, e qualche dimenticanza – basando questo breve lavoro di oggi sull’Editio Princeps del 1930, la prima edizione; prima che tutto l’ambaradam ben conosciuto e ben amato prendesse partenza e involo. Non che quella di Pauvert fosse errata, ma così … tanto per rendere dolce omaggio al profumo della Qualitas originale.

La cosa che mi ha fatto sorridere è che questo capitoletto VI fu scritto – credo – da due compagni, Fulcanelli e Dujols; né il sottoscitto né Fra’ Cercone potremmo neanche allacciar le scarpe ai due personaggi, magnifici per la loro erudizione, geniali per il modo magistrale con cui la propongono. Così, ho pensato che per chi non conoscesse il Francese – e visto che non c’è una traduzione Italiana de Le Dimore all’altezza dell’edizione de Il Mistero fatta da Paolo – potrebbe essere utile leggere il passo in questione. Lo trovate nella sezione Pages, qui accanto, a dx; chi lo volesse potrà anche scaricarlo (qui) ed aggiungerlo ai propri documenti di studio.

Volutamente, ho escluso qualsivoglia notula interpretativa mia o del buon Frate: è lo studente che dovrà, se vorrà, elaborare le proprie.

Speriamo che il nostro piccolo lavoro comune di tanti anni fa possa essere utile a qualcuno che inizierà il cammino dell’Arte, in questi tempi davvero singolari.

Buona lettura, ma – soprattutto – Buono Studio!

Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie VI

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Tuesday, January 10, 2023 by Captain NEMO

Passate le Feste, riprendo lo studio del Plafond dell’Oratoire dell’Hôtel Lallemant con la sesta serie di Cassoni; non senza ricordare che – da questo punto in poi del ‘percorso’ tra Putti e oggetti vari – … l’aria cambierà leggermente; dopo infatti aver esaminato i due pilastri laterali, secondo Fulcanelli dedicati al Mercurio e lo Zolfo, la serie dei Caissons si estende verso l’unica finestra della supposta Chapelle, verso la Luce. A mio modesto avviso, da questo punto d’equilibrio in poi, i soggetti sono più dedicati, alchemicamente parlando, alle fasi che sottendono l’operatività dopo l’ottenimento del Mercurio e dello Zolfo; come è noto, si tratta ora di operazioni che riguardano la parte più sottile delle Materie in Opera. Dunque, sempre a mio avviso, il tenore dei contenuti dei Caissons sono mirati più all’Esprit che ad altro, ora in procinto di liberarsi ed agire nell’intimo delle Materie attraverso le loro proprie Mutazioni. L’enigma delle rappresentazioni si fa dunque più spirituale, non per l’aspetto religioso evocato cui molti hanno voluto legarsi, quanto proprio per il profumo in qualche modo etereo che li permea.

Ciò detto, torniamo allora ad immergerci, è il caso di dirlo, nella serie che ci attende.

Cassone 16 – Un Angelot in chemin, munito di Bâton e Filatterio.

Fulcanelli non commenta questo Cassone.

L’Angioletto – maschietto, nudo e ben pettinato – è leggermente meno paffuto del solito, e pare gettar lo sguardo al cammino percorso, o a qualcosa che sta alle sue spalle. Porta sulla spalla sinistra un evidente Bâton du Compagnon: direbbe il mio amico tresteverino: “ … e cche vvor dì ?” … come ho detto, l’enigma si fa più … enigmatico, no? Il Compagnonnage è (esiste ancora oggi, per quanto modernizzato alla bisogna) un fenomeno tipicamente francese, molto antico e ben radicato, che vide il suo apice tra il ‘500 ed il ‘600. Non è questo il luogo per esaminarne le origini e le declinazioni, ma basti dire, per quel che ci riguarda qui, che venivano chiamati Compagnons dei giovani viaggiatori che compivano un Tour de France (no, non si tratta del ciclismo, eh?) che poteva durare dai tre ai sette anni, e che – nel corso del loro Tour personale – imparavano un mestiere, quasi sempre legato alle Arti della Costruzione: carpentieri, stampatori, fabbri, maniscalchi, tagliapietre, scalpellini, incisori e via dicendo. La Confraternita, naturalmente – nata forse con le Cattedrali Medioevali -, si arricchì via via di complicati rituali: iniziazioni, padrini, soprannomi, battesimi con l’acqua ed il vino, prove, giuramenti di segretezza, parole di passo, e quant’altro; a differenza della più tarda Massoneria (specie quella del ‘700, che annoverava nelle sue Logge ed Obbedienze un gran numero di nobili, nobilastri e prodi militari), il Compagnonnage era più legato agli operai, veri protagonisti manuali delle arti che venivano loro affidate; tuttavia, per quanto affascinante possa risultare una Confraternita, qualsiasi Confraternita, antica o moderna che sia, essa è fatta di uomini, che, con i loro pregi, si portan inevitabilmente dietro (sempre) i loro tristi difetti; così, anche il Compagnonnage, si sviluppò con forti divisioni e confronti tra i vari gruppi di ‘eletti’ (quelli che di più litigavano per la supremazia erano Les Enfants de Salomon, Les Enfants de Maître Jacques e  Les Enfants du Père Soubise), convinti di essere portatori della solita abusatissima tradizione (con la minuscola); confronti che spesso uscivano dalla semplice dialettica per sfociare in conflitti persino fisicamente violenti, che durarono per decenni, e più. E come poteva andare la faccenda, quando si interpreta la Tradizione piegandola al potere e controllo, e non se ne conosce né il senso né l’origine? … More solito, no?

Tornando ad res: il Bâton era un oggetto emblematico del Compagnon, che all’interno dell’impugnatura aveva una cavità, nella quale venivano conservati i documenti pertinenti al grado, all’appartenenza alla loge-mère, e varie amenità; la punta, invece, era ovviamente legata o alla difesa, o al semplice e comune appoggio nel camminare: il nostro Angelot lo mostra in bella evidenza.

Alle sue spalle si srotola un Filatterio, che si poggia sull’impugnatura, forse per indicarne la cavità (?). Alla luce di quanto detto, insomma, si potrebbe ritenere che la scultura voglia segnalare: A) – il Compagnonnage; B) la necessità di un percorso, un cammino, particolare; C) la canna, al cui interno di nasconde qualcosa di estremamente utile per l’Opera; quest’ultima ipotesi potrebbe meritare una chiosa, leggera leggera: Prometeo nascose il fuoco dentro una canna di νάρθηξ, come Eschilo recita nel Desmotes (109-10): ‘A caccia vado della furtiva fonte di un fuoco di cui riempir la canna.’.

Questo Bâton, inoltre, figura a iosa nelle curiose illustrazioni che arricchiscono il Livre des Heures di Étienne Lallemant; le abbiamo già incontrate studiando le serie precedenti; ve ne mostro un altro paio, assieme a due capolettera ‘parlanti’, anche per apprezzare la bellezza dell’acquerello.

Cassone 17 – Un Leone ed un Braciere capovolto.

Fulcanelli commenta questo Cassone così: “Voici maintenant un vase renversé, échappé, par rupture de lien, à la gueule d’un lion décoratif qui le tenait en équilibre: c’est une version originale du solve et coagula de Notre-Dame de Paris.”.

La traduzione offerta da Paolo è assolutamente preziosa e perfetta: “Ecco un vaso rovesciato, sfuggito grazie alla rottura di un legaccio dalle fauci di un leone decorativo, che lo teneva in equilibrio: è una versione originale del solve et coagula di Notre Dame di Parigi.”.

Come sempre, consiglio di legger con calma e tranquillità, anche dietro le righe, le due versioni, senza cercarne una logica, sempre forzata; logica inutile, di fatto; a guardar bene, infatti, non si può che sorridere della astuta benevolenza con cui i due alchimisti hanno voluto costruire questa frase apparentemente secca ma significativa.

Se c’è chi ritiene che Fulcanelli si riferisca alla Planche XIV dell’edizione originale de Le Mystère des Cathédrales (intitolata La Dissolution – Combat des deux Natures; nell’Edizione italiana è la Tavola XXV), oppure alla Planche XII (intitolata La Reine terrasse le Mercure, Servus Fugitivus; nell’Edizione italiana è la Tavola XXI)[1], forse si dovrebbe tener presente che esiste anche un’altra possibilità, cioè quella rappresentata dalla Planche XVII (intitolata Solve et Coagula; nell’Edizione italiana è la Tavola XXVIII):

… che Fulcanelli presenta come “… l’homme retourné, qui traduit au mieux l’apophtegme alchimique solve et coagula, lequel enseigne à réaliser la conversion élémentaire en volatilisant le fixe et fixant le volatil; …”.

Naturalmente, come accade spesso nello studio dei testi, il lettore dovrà trovare la sua propria soluzione, tenendo presente che – sebbene la tecnica operativa possa talvolta apparire simile – è il contesto operativo il terreno da cui partire per riflettere, vale a dire ciò che precede e ciò che deve seguire.

Ciò detto, il Caisson è tra i più belli ed interessanti: questo renversement parlante, mostra che sua maestà le Lion (solaire?) trattiene tra le fauci (la gueule) i resti ‘del legaccio che lo teneva in equilibrio’; si dovrebbe ritenere, pare, che – prima della rupture – il ‘legame’ … teneva; insomma, manteneva il Vaso (ohibò!) in equi-librio; dopo, par di dover concludere che una parte di quel legame … resta nella gueule del Lion. … Sornione ‘sto Leone così solare, non vi pare? … Tutti sanno che simboleggia lo Zolfo, ma ricordo che l’ultra-famoso Lion Vert (☿), stringe tra le fauci un Sole sanguinante (i.e., che prima sanguina, perché è sang-l-ant), e tutti i migliori autori ci informano che dopo questa operazione il Lion Vert, inteso come quello acerbo, diverrà il Lion Rouge (🜍), maturo … prima di stupirsi troppo di questa misteriosa mutazione, val la pena ricordare cosa scrisse a proposito del ‘Lion’ quell’Illuminato mattacchione di Dom Pernety:

In generale è ciò che [i Filosofi Chimici] chiamano il loro Maschio o il loro Sole, sia prima che dopo il confezionamento del loro mercurio animato. Prima del confezionamento, è la parte fissa, o materia capace di resistere all’azione del fuoco. Dopo il confezionamento, è ancora la materia fissa che occorre utilizzare, ma più perfetta di quanto fosse prima. All’inizio era il Leone Verde, [e] diventa Leone Rosso per mezzo della preparazione. È con il primo che si fa il mercurio, & con il secondo che si fa la pietra o l’elixir. … Quando si servono del termine Leone per significare il loro mercurio, vi aggiungono l’epiteto qualificativo verde, per distinguerlo dal mercurio digerito & fatto zolfo.

[Pernety, Dictionnaire Mytho-Hermétique – 1758]

Consiglierei di continuare la lettura dell’intero brano, specie quello che Pernety attribuisce a Ripley.

Quanto al Vaso, sottolineo che esso – pur rovesciato – è evidentemente fiammeggiante.

Cassone 15 – L’Angelot courant e lo Chapelet.

Fulcanelli commenta: “Un second sujet, peu orthodoxe et assez irrévérencieux, suit de près: c’est un enfant essayant de briser un rosaire sur son genou.”.

Per prima cosa va detto che, come abbiamo visto nella Serie III (qui), non si tratta propriamente di un Rosario, cioè l’oggetto legato alla liturgia religiosa, quanto dello Chapelet che decora tutti i blasoni dei componenti della Confraternita dei ‘Chevaliers de l’ordre de Notre-Dame de la Table-Ronde’, che ho mostrato qui; è composto da cinque decine i cui Pater erano d’oro, e gli Ave di corallo, legati da un filo di seta verde. Quello qui raffigurato pare composto da tredici grani divisi in cinque paia a partire dalla piccola croce patente (a sx), e termina con tre grani dalla parte della frangia (a dx). Visto che lo Chapelet raffigurato nei blasoni dell’Ordre è ben più lungo di questo, si ha l’impressione che i numeri a cui si allude non siano proprio casuali …

Questo è quello appartenuto a Jehan Lallemant l’aineé:

Da: Statuts et armoiries des chevaliers de la Table Ronde de Bourges
Ms. Harley 5301- British Library

L’Angioletto, dai capelli riccioluti, sembra correre; ma potrebbe anche essere inginocchiato: in quest’ultima lettura si potrebbe forse capire perché Fulcanelli affermi che l’Angioletto tenti di rompere il filo del Chapelet; in questo caso … sta forse sottolineando il desiderio di rompere un legame?

Per concludere: come per alcune serie, direi che il tema centrale di questa, infatti, sia la rupture del lien: il Caisson centrale è affiancato dai due Putti alati; quello di destra suggerisce uno stato antecedente, da cui è partita tutta l’Opera, mentre quello di sinistra rafforza il momento topico, quella della mutazione del verso (il renversement), che è tutto centrato sul ruolo del legame (le lien). L’enigma sottile cui accennavo all’inizio potrebbe essere riassunto dalla ben nota raccomandazione delle nonne:

Chi ben comincia, è alla metà dell’Opera!

À bientôt, mes Dames et mes Sires …


[1] Secondo Fulcanelli, questa Tavola si riferisce ad una tecnica poco utile: “Or, nous ne voyons pas quel avantage on pourrait retirer d’une solution de mercure obtenue à l’aide du solvant philosophique, celui-ci étant l’agent majeur et secret par excellence.”.

… come si fa?

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie with tags , , , , , on Tuesday, November 22, 2022 by Captain NEMO

Oltre a qualche commento, ricevo talvolta delle bizzarre richieste, del tipo: “… servono i libri, in Alchimia?”, “… ma devo imparare il Latino per studiare Alchimia?”, e potrei continuare … ma ve le risparmio.

Normalmente non rispondo, perché tutte hanno lo stesso sapore della trita, noiosa, domanda retorica: “… perché sei un Ribelle?” … come se un Ribelle dovesse ancora spiegare che ogni Impero non supporta, né sopporta, Libertà … Mah … tra Star Trek e Star Wars ho scelto Star Wars … credo perché mi divertiva molto di più. Il che è naturalmente opinabile per chi fosse invece appassionato delle straordinarie avventure del Captain Kirk & C. nel corso dei propri viaggi ‘to boldly go where no man has gone before’. Ognuno va dove vuole, no? Fossero questi i problemi …

Però, visto che qualcuno addirittura mi manda messaggi per ‘scambiare&condividere’, ‘indizi’, ‘consigli’, ‘riflessioni’, ‘info’, ‘suggerimenti’ d’Alchimia sui Social[1], mi cimenterò in questo arduo compito, riassumibile – credo – in quest’altra eterna domanda:

Serve studiare?”.

La domanda è talmente cretina che la sua ovvia risposta (“Sì!“) viene sempre recepita con espressioni di meraviglia, miracolo, stupore, lacrime agli occhi, e ‘oh, … grazie Capitano, grazie … che cosa meravigliosa ci ha detto!”. Alla mia età, non posso far altro che eclissarmi, il più velocemente ed invisibilmente possibile. Se infatti, alla mia età, è ancora comprensibile tentare di spiegar in poche parole quale sia lo scopo dell’Alchimia (… facile non è, direbbe Yoda), davvero avverto una certa stanchezza a dover replicare che “Ovviamente, come per qualsiasi cosa, se non studi, mai potrai avere l’opportunità di imparare a Conoscere. Exempli gratia, … come avrebbe mai potuto un medico prima e omeopata poi, riuscire ad escogitare una cura del tutto Naturale con diluizioni oltre la soglia dell’immaginabile, per di più efficace? Se non si fosse chinato sui testi astrusi del fondatore, scritti dal germanico padre di quella medicina, da tutti rigettata, con Amore e passione e sorriso sempre sincero … per anni … tu ancora ti chiedi se ‘serve studiare’?”. Lo so, pare una sviolinata; ma una buona volta, “Reddite ergo, quæ sunt Cæsaris, Cæsari et, quæ sunt Dei, Deo” … Poffarbacco!

Però, però … proverò a rispondere alla domanda cretina, magari argomentandola un tantino; proverò dunque a partire da una linea, una linea di confine.

L’Ignoranza di tutti noi umani è di proporzioni realmente Universali: non c’è aggettivo che la riesca a qualificare, che sia capace di smuovere l’inane erede dei Sapiens dalla sua postura di dominio, di sicumera, di potere, di controllo. Racconto sempre che la primissima questione – davvero la primissima – che Paolo volle affrontare quando ci incontrammo nel suo Studio (seduti per terra, tolte le scarpe; non ci eravamo mai incontrati) fu l’origine della nostra razza: “L’Umanità è il frutto di un terribile errore genetico, siamo il risultato di un esperimento mal riuscito.”, esordì. Punto.

Ricordo che concordai, un po’ sorpreso che non mi chiedesse delle mie letture o dei miei studi in Alchimia, o di Fisica, di libri e di ipotesi: risposi che avevo letto e studiato il racconto della Creazione Sumera (scoprii che avevamo la stessa identica edizione, quella di Oxford) e che ero rimasto stupefatto che nessuno ne avesse tratto una qualche conseguenza, se non altro a livello filosofico. “Lo so. L’Uomo è condannato al nulla. Siamo pericolosi, e – soprattutto – del tutto inutili al processo della Creazione generale, quella dell’Universo, quella della Materia.”. Ri-punto. E qui mi fermo.

Ora, per tentare di dare la mia personale risposta (meglio opinione?) sulla domanda “I libri servono in Alchimia?”, v’è necessità (Teorema di Gödel) di impostare un Assioma, basato su quella linea di confine[2]:

Nessuna Esperienza è fonte di Conoscenza in assenza di una precedente Teoria.

Come in qualsivoglia Dottrina, di qualsivoglia natura e complessità, pensare di iniziare a praticare Alchimia senza PRIMA aver studiato – a lungo e molto in profondità – è un’ovvia stupidaggine; dovrebbe esser lapalissiano, ma la domanda, pur cretina, alligna dentro ognuno di noi. I motivi per i quali ‘alligna’ sono grosso-modo i seguenti:

  1. la letteratura alchemica è, numericamente parlando, sterminata;
  2. gli scritti sono originati in diverse culture e lungo un arco di tempo molto, molto lungo;
  3. la nostra civiltà, specie dopo l’Illuminismo, ha creato scuole/gruppi di pensiero che interpretano la Dottrina Alchemica secondo canoni e posture di comodo, e generalmente di parte;
  4. per secoli, l’Alchimia è stata manomessa nella sua diffusione culturale, a causa di interpreti che hanno tentato di piegarla al proprio credo personale e/o di scuola;
  5. per secoli, l’Alchimia è stata molto spesso sbeffeggiata, criticata, come una Chimera per i creduloni.

Nei fatti, è davvero molto difficile avventurarsi nello Studio dei testi alchemici; eppure, nessun suonatore d’Oboe potrebbe mai suonare il suo amato strumento se PRIMA non avesse studiato – a lungo e molto in profondità – i testi (e non pochi, ça-va-sans-dire); nessun medico potrebbe mai prendersi una ‘Laura’ se non dopo un percorso di studio su testi complessi, difficili e – in molti casi – assolutamente obbligatori; nessun marinaio potrebbe mai pretendere di comandare una petroliera se non avesse studiato il ‘come si fa‘ a navigare in ogni possibile legato e declinazione.  Per cui – pur in presenza delle ragioni sopra esposte – chi ritenesse di voler iniziare a ‘metter le mani in pasta’ (alchemica), come si suol dire, non solo perderebbe il suo tempo, ma avrebbe fortissime probabilità di illudersi di esser approdato al senso ed alla misura dell’Alchimia vera. Amiamo l’illusione, e detestiamo faticare.

Detto ciò, occorre tuttavia rendersi conto del compito enormemente complesso, lungo, difficile che si intraprende una volta che si decidesse di avvicinarsi allo Studio della Materia Alchemica; per non parlare, poi, dell’eventuale approfondimento, ancor più complesso, lungo, difficile; va da sé che questo approfondimento può aver un solido senso soltanto a condizione che l’impresa iniziale (l’intraprendenza) sia stata per lo meno oltre-la-media, ed al contempo accompagnata da una buona dose di Fortuna (la bella e sfuggente Signora con la Voile). Già qualcuno sbotta: “Ohibò…”.

All’interno di questo lungo percorso di studio, assiduo, l’intraprendente Neofita deve subito rendersi conto che:

nella letteratura alchemica, per le ragioni sopra elencate, esistono testi ‘buoni’ e testi ‘non buoni’ (che chiamerò ‘ciarpame’)[3]; come distinguerli? … risposta semplice: magari studiando anche un po’ di Storia dell’Alchimia, e studiando in ogni caso un numero altissimo di autori; nel corso dello studio emergeranno patenti assurdità, incongruenze, falsità, ipotesi, scenari, e via dicendo. Magari, consultando chi fosse un po’ più avanti nel cammino di Studio, che potrà fornire il suo consiglio, il suo parere (da prendere, in ogni caso, sempre cum grano salis); chi cerca e studia (e poi praticherà, eventualmente) deve rendersi conto che Alchimia si studia e si fa … completamente ‘da soli’; in termini marinareschi, si tratta esattamente di una ‘traversata in solitario’, enormemente lunga. Ars longa, vita brevis. Da Marinaio, avverto comunque che nessuna traversata al mondo (e pure in altri mondi) può mai essere intrapresa in mancanza di un’accuratissima progettazione, preparazione, e – soprattutto – allestita e percorsa con assidua passione e tenacia. Non è uno svago, un elegante hobby, non è roba da intellettuali; si tratta di Amor, quello che move il Sol è l’altre Stelle; quell’Amor che nello Specchio di Alice si legge Forza. Se poi qualcuno lo facesse per acquistar ‘prestige’, o altre emerite prebende, per essere ammessi e poi sedere in qualche salotto o gruppo o setta … si accomodi; il mondo ne è sempre stato pieno, ne è ancora pieno, ne sarà ancora pieno. Chi ha viaggiato in solitario, peraltro, li riconosce al volo … e li lascia discettare sulle loro comode poltrone.

A questo proposito, a maggior ragione, avverto il Neofita di mai fidarsi di chi dicesse di esser il … possessore della bussola, quella segreta, quella santa e canonica, quella benedetta, quella trasmessa … e via dicendo. Se c’è una cosa che è letale alla Queste alchemica, è proprio l’ammantarsi di ‘chiacchere & distintivo’.

Il Ribelle è tale per il fatto che è libero[4], e che proprio non sopporta le prigioni dell’Impero.

Un altro buon consiglio è di metter mano alla distruzione totale delle nostre/vostre credenze, delle trovate e ritrovamenti della scienza (in minuscolo) odierna, dell’ermetismo da sofisticata vetrina che troverete in tutti i migliori supermercati esoterici, e via dicendo: la Conoscenza che abbiamo di Madre Natura NON corrisponde alla incredibile semplicità di Madre Natura, Madre della Creazione, di ogni cosa, di tutti noi. Riprendete in mano i buoni testi di Aristotele, Platone, Plotino, Parmenide, Empedocle, Filone et alia, conditeli della Sapienza Islamica antica: aiuterà, e non poco… andate a ritroso, perché – è solo la mia povera convinzione, beninteso – Alchimia NON è di questa Terra; a ben guardare (dopo averla almeno studiata per bene), si tratta – forse, eh? – di spezzoni di un’antichissima Scienza (qui in Maiuscolo), estremamente aliena da quella umana; la Logica usata nel cuore della Materia, la logica usata nella Dottrina alchemica, è enormemente diversa dalla logica della razza umana. Lo iato, si avverte, si annusa impalpabilmente da buon inizio, poi, cammina-cammina, il baratro appare in tutto il suo splendore; i nostri antichi Filosofi, forse per qualche mirabile miracolo, ne hanno percepito, ritrovato, rintracciato stralci, pezzi, costituenti, particelle; e nella nostra antichità nacque la Philosophia Naturalis, che è la Teoria, (il Modello, diremmo noi con il linguaggio odierno) della Dottrina d’Alchimia, che ne è l’espressione sperimentale, pratica, manuale.

Poi, c’è il problema del linguaggio utilizzato dagli autori dei testi; qui intendo parlare non tanto della consueta modalità allegorica (Fulcanelli et alia docent) e della intricata simbologia, quanto proprio degli usi del parlar e dello scrivere impiegati dagli autori nel corso dei secoli; pretendere di intendere un passo scritto nel ‘500, nel ‘600, secondo le convenzioni logiche, culturali, intellettuali del ‘900 … significa condannare la traversata ad arrivare ad un porto finto (sì, c’è Portofino, e Portofinto!). Così, si insinua la seconda domanda, sempre sussurrata, le sopracciglia inarcate, il volto stupito, come qualcosa che si vorrebbe proprio evitare: “… ma … ma … debbo imparare pure il Latino? … il Francese?”.

La risposta sta nell’ultra famosa affermazione di Eugène Canseliet: “Traduttore, traditore”. Prima di entrar nello specifico, occorre ricordare che il nostro ‘tradurre’ viene da ‘traducere’, con il senso di ‘far passare, condurre fuori da’, mentre il nostro ‘tradire’ viene da ‘tradere’, per ‘consegnare, mettere qualcosa in mano a qualcuno’. Se il ‘qui me traditurus est’ punta dritto a Giuda, ‘tradere’, d’altra parte, ha dato ‘tradizione’: due significati opposti, dal medesimo etimo.

In Alchimia, nello studio di un buon testo alchemico, è di fatto inevitabile confrontarsi con una ‘traduzione’; e per rendersi conto se la traduzione che leggiamo, che studiamo, sia ‘buona’ o meno, l’unica soluzione possibile è quella di andarsi a leggere il testo nella sua lingua originale; ergo, conoscere il Latino, o il Francese, o l’Inglese, o il Tedesco è a mio avviso decisamente utile, se non talvolta necessario; altrimenti si corre il rischio di venir spesso condotti fuori strada, specie in Alchimia, dove la terminologia bizzarra, l’allegoria, l’allusione, l’ammiccamento degli autori, tanto più quando sono accreditati come ‘buoni’, è di prammatica. Lo so, nessuno ha più voglia di addirittura riprendere in mano una lingua, morta o straniera che sia. Eppure … sarebbe un vantaggio. Altrimenti, occorre fidarsi del traduttore; sono davvero pochi quelli attenti, specie in Alchimia; consiglio sempre di andare a verificare, se e quando possibile, una buona versione originale (anche trovare una ‘buona’ edizione in lingua originale è molto spesso cosa difficile; anche gli editori si prendono innumerevoli libertà: l’Alchimia del ‘600, per esempio, è piena di testi di ottimo valore dottrinale, resi e interpretati però dall’esperto di turno all’epoca: anche in questo caso, si cade dalla padella nella brace). Si dice infatti che un traduttore di un testo alchemico DEVE conoscere molto bene l’Alchimia: solo così il lettore eviterà di leggersi panzane, prendendo purtroppo per buona l’interpretazione del traduttore in-experito. Apro una ‘parente’, come diceva Totò, per dire che mi auguro che le mie stesse traduzioni siano confrontate con l’edizione originale: io stesso cerco naturalmente di ‘far passare’, di ‘condurre fuori’ dal testo dell’autore il miglior termine, il miglior periodo possibile; ma si tratta pur sempre della mia lectio, ed io non sono portatore di un Vangelo alchemico. Ovviamente cerco sempre di riflettere quando traduco qualcosa, sia perché debbo rispondere alle regole della Tradizione alchemica, sia perché il sottile errore di interpretazione è sempre in agguato. Personalmente, memore del monito di Canseliet, cerco sempre di ‘mettere, consegnare nelle mani’ del lettore qualcosa di ‘buono’, con il senso di ‘tradizionale’; si dovrebbe quindi meglio dire che “Un buon traduttore deve essere un buon traditore”, lasciando a voi tutti la imprescindibile libertà di interpretare la frase in un senso, … o in un altro.

In ogni caso, il mio consiglio è che i libri d’Alchimia sono indispensabili, e che vanno studiati più, e più, e più volte; ma che almeno siano ‘buoni’ è importante, se non volete affogare nel ciarpame. Evitate come la peste i venditori di bussole, di sogni, di ermetici azzeccagarbugli, e quant’altro, di cui il mondo è pieno persino oggigiorno. Non lasciatevi affascinare da nessuno, e lasciatevi affascinare dalla Dama. Abbiate il coraggio di mettervi in cammino da soli, certi che esso sarà lunghissimo, estremamente impegnativo, enormemente complesso, consumante. Vi dovrete spaccar-la-testa, per decenni e decenni: … altrimenti, ditemi, come farete a gettarla via?

E magari, forse un giorno, avrete la ventura di incontrare un vostro consimile; un ribelle, solitario, seduto sotto la sua bella Quercia, a contemplare le nuvole che scorrono in Cielo. Giudicherete voi il da farsi, con il Cuore, non con l’ingannevole testa.

Chiudo con Proust:

Le seul véritable voyage, le seul bain de Jouvence, ce ne serait pas d’aller vers de nouveaux paysages, mais d’avoir d’autres yeux, de voir l’univers avec les yeux d’un autre, de cent autres, de voir les cent univers que chacun d’eux voit, que chacun d’eux est.

[À la recherche du temps perdu – La Prisonnière]


[1] Quando qualcuno pronuncia quel termine, rispondo sempre che si dovrebbe dire ‘Socials’, visto che l’aggettivo quando viene usato come sostantivo richiede il plurale, sia in Italiano che in Inglese; e che al limite, sarebbe più appropriato dire almeno ‘Social Media’, visto che il sostantivo ‘Media’ è di per sé plurale. Funziona sempre, ed io posso sgattaiolare più facilmente …

[2] Questa locuzione, che uso spesso quando tento di spiegare a che cosa possa servire Alchimia, ha proprio i connotati di un luogo, un locus; dove tutto avviene, dove si avvia ogni moto; lì, tra il ‘di qua’ e il ‘di là’ – entrambi fisici spazi, coesistenti e coincidenti, sebbene costituiti di Materie con funzioni diverse – esiste una zona non visibile, non riportata su alcuna mappa, dove avviene la transizione dal continuo al discontinuo e viceversa, in qualsivoglia Universo. Esattamente in quella zona, in quell’estensione minuscola di spazio, ma di estensione immensa quanto l’Universo stesso, entrano e escono le ‘cose’, e soffia lo Spirito della Vita di quelle ‘cose’. Senza interruzione alcuna. In silenzio, ma nella Lux, senza alcun clamore, eternamente, perché il tempo non ha lì alcuna utilità o necessità di sorta. In quella zona, prende residenza in un batter di ciglia quella Sostanza Universale che tutto anima e tutto permea, e poi s’en va; lì, verso quella zona, gli alchimisti fanno rotta con i propri piccoli, fragili crogioli, i loro nascosti Vaisseaux. Marinai invisibili, innamorati, orientano le loro materie, guidati dalla provvida Stella. Importante è l’esser Consapevoli di quanto Amor Madre Natura permea Creazione; così in alto, così in basso.

[3] Queste opposte qualità si trovano, naturalmente, in qualsivoglia Dottrina: per parlar chiaro, anche in Fisica vige la medesima ventura; ed è naturalmente ben più facile essere a-critici e buttar giù un testo dotto, di caratura approvata dal consensus, freddo, monotòno, e nozionistico, piuttosto che darsi da fare per reperire e studiare – magari in un’altra lingua – altri testi universitari, più ricchi, più argomentati, con visioni e proposte ed idee plurali, e quindi ancor più complessi e difficili. In genere, il motivo di questa attitudine (meglio abitudine?) a deglutire ciò che ti passa la mensa-del-convento è quello di far ‘contento’ l’insigne professore, alla ricerca del “voto” più che del proprio “conoscere”.

[4] … E giù a parlar di Libertas, la mia, la tua, la loro, quella del Cielo, quella dell’Inferno (Sauron docet, no?). Dibattiti e tenzoni e citazioni a-più-non-posso, da secoli. … Non sarà che più che discettare di Libertà a colpi di intelletto per potersi dire “ho ragione io”, o di indossare abiti e sfoggiar stemmi, o di scegliere un ‘partito’ o un altro, basta Essere ciò che il Cielo soltanto può ‘animare’? Dimenticavo: ‘partito’ presuppone una ‘separazione’ … e che ci facciamo con i ‘rispettabili’ altri, quei diversamente pensanti? … ἓν τὸ πᾶν non è uno slogan, sapete? Se vi dicessero un giorno che devi separare il Mercurio dallo Zolfo o versavice, fatevi dire ‘come si fa’; perché chissà, … un giorno, ove mai il vento di Fortuna spirasse là dove vuol spirare, potreste scoprire che quei due Principia sono le maschere di un’unica ‘cosa’, e che – essi due – sanno essere liberamente identici … ah, i meravigliosi panorami d’Alchimia!

Bourges – Hôtel Lallemant, le due Colonne

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Riprendo il piccolo viaggio all’interno della Chapelle/Oratoire dell’Hôtel Lallemant: alla metà esatta della sua lunghezza si trovano due colonne, due piloni, due montanti, l’uno di fronte all’altro.

La loro posizione – a dividere esattamente i 30 Cassoni in due serie di 3×5 – evoca il punto, il momento dell’Equilibrio, una sorta di bilancia, e dunque un perno del lavoro: sia esso letto in modo architettonico/estetico, sia in modo alchemico/operativo, un perno è generalmente considerato un elemento di “capitale” importanza, come i due diversi capitelli che sormontano i due piloni; paiono speculari, ma un araldista li canterebbe ‘affrontati’…

Prima di iniziare, credo valga la pena notare che l’etimo del Latino ‘columna’ proviene da ‘còlumen’, ‘cùlmen’, ad indicare il culmine, la parte ‘più alta’ di qualcosa (in questo caso, architettonicamente parlando, il soffitto della piccola stanza); significativamente, il termine è legato alla radice ‘Kal’ (sanscrito ‘c’arami’), per ‘muovere’, ‘porre in movimento’, ‘spingere’; da cui deriva anche il termine Latino ‘cèllere’ per ‘muoversi’, che a sua volta genera ‘ex-cèllere’ per ‘sovrastare’, ed anche ‘celsus’, per ‘alto’, ‘sublime’; la radice sanscrita simile ‘çal çval’ indica anch’essa ‘muoversi’, con il senso di ‘alzarsi’, ‘muoversi verso l’alto’.

Con questi significati ben fissati in mente, vediamo di che si tratta, e leggiamo Fulcanelli nei due passi de Il Mistero delle Cattedrali, nell’ottima traduzione di Paolo Lucarelli:

… deux piliers carrés accotés aux murs et creusés sur leur face de quatre cannelures.”.

… due pilastri quadrati appoggiati al muro, con quattro scanalature scolpite di fronte.

[Fulcanelli, MdC – p. 285]

La Colonna di destra:

Quello di destra, rivolto verso l’unica finestra che illumina questa piccola stanza, porta tra le volute un cranio umano posto su una mensola di foglie di quercia, dotato di due ali. Traduzione espressiva di una nuova generazione, nata da quella putrefazione consecutiva alla morte che avviene nei misti quando hanno perso l’nima vitale e volatile. La morte del corpo lascia apparire un colore azzurro scuro o nero, tipico del Corvo, geroglifico del caput mortuum dell’Opera. È il segno e la prima manifestazione della dissoluzione, della separazione degli elementi e della futura generazione dello zolfo, principio colorante e fisso dei metalli. Le due ali sono state poste per insegnare che, con l’abbandono della parte volatile e acquosa, si realizza la dislocazione delle parti, e la coesione è spezzata. Il corpo, mortificato, cade in cenere nera, dall’aspetto di polvere di carbone. Poi, sotto l’azione del fuoco intrinseco sviluppato da questa disgregazione, la cenere, calcinata, abbandona le proprie impurità grossolane e combustibili. Nasce allora un sale puro, che la cottura colora poco a poco e riveste dell’occulta potenza del fuoco.”.

[Fulcanelli, MdC – p. 285-6]

Questo passaggio magnifico non necessita di alcun commento; da solo, basta e avanza per la perfetta comprensione prima e la giusta direzione dei lavori di Laboratorio poi. La putrefazione è la chiave di volta della nuova generazione; e quel teschio, quel cranio, oltre al suo aspetto apparentemente lugubre, o al suo simbolismo ermetico (a mio umile avviso spesso oggi troppo appesantito da simbolismi e significati un tantino fuorvianti che mancano di Lumière in chi li propone ai neofiti), è posto proprio al culmine dell’elaborato capitello. A proposito della Lux e di quel cranio che troviamo in moltissime opere letterarie, in sculture e dipinti, trovo divertenti un altro paio di innocui – ohibò – passaggi, tratti da uno scritto di Grasset d’Orcet, che Canseliet indicò come un ispiratore della Cabala Fonetica proposta da Fulcanelli; nel primo, l’eruditissimo personaggio parla dell’antica scienza dei costruttori (maçonnerie) [1]:

“… dal filo a piombo e dal cranio (crâne [2]), insegna, tanto presso gli antichi come i moderni, del grado di maestro o terzo grado, rappresentato sulla colonna Greco-druidica di Cussy dal Chirone greco dalle mani legate. Lo ritroviamo nel Poliphile sotto forma di un unicorno (licorne), ed ho raccolto nelle chiese d’Italia dei campioni di grimorii funebri composti da un giglio (lys) e da un cranio (crâne). In greco, chiron significa prigioniero; la traduzione moderna di licrane è lié à la chair (lié carn in vecchio francese). [3]

[Grasset-d’Orcet, La Preface de Poliphile – 1884, p. 58]
[Colonna, Hypnerotomachia Polyphili – 1727, p. 168-9]

Dopo questa breve escursione nel magico mondo della Langue des Dieux, ritorniamo al punto: come sappiamo, Étienne Lallemant, fratello di Jehan l’aîné e di Jehan le Jeune, si fece preparare il suo Livre des Heures; oltre alle numerose decorazioni con Angelots e Merelles, troviamo – in corrispondenza della parte riservata ai Vespera – due crani, uno dislocato ed uno intero:

Il filatterio recita ‘Memento mori’: il tema è naturalmente famoso, ed è stato usato in centinaia di rappresentazioni d’arte; tra esse vi propongo due curiosità:

[Philippe de Champaigne (sx), Memento Mori, Jean Morin (dx)]

Nel primo dipinto (a sx) si vede un vaso che ospita un tulipano rosso screziato, il Caput Mortuum e una clessidra.

Gli esperti affermano che il meno noto Jean Morin si sia ispirato a questo dipinto per realizzare questa sua incisione (a dx):

Oltre a notare l’inversione della posizione dei due oggetti che fiancheggiano il solito Caput, si vedono due nuovi oggetti: il primo, secondo alcuni esperti, sarebbe un ‘… costoso, segnatempo d’oro lavorato in modo intricato’.

Può essere, … però è curiosa la posizione delle supposte lancette (segna le 9:15 o le 14:45), no? … e se invece fosse una bussola, orientata verso il Caput? … Chissà. Il tulipano è stato qui sostituito da due rose, una in boccio (?), l’altra in fioritura ormai completa; sembra però che i due fiori, con un petalo caduto, indichino che il Caput ed i fiori siano tra essi legati, somehow; il testo sottostante recita ‘Quid terra cinisque superbis, Hora fugit, marcescit Honor; Mors imminet atra.’. Un alchimista potrebbe sorridere, un po’ come sembra fare quel crâne, … terra, cenere, e la nera morte (che, in questo caso non è la Morte Nera di Star Wars, che si chiamava Death Star!! … però, pochi sanno che nella serie le Death Star sono due …).

Prima di proseguire, segnalo al lettore curioso – gli Inglesi del ‘600 lo chiamavano il ‘Candid Reader’ – una piccola coincidenza: ecco come Charles Lutwidge Dodgson (aka Lewis Carrol) fece illustrare da John Tenniel il passaggio di Alice attraverso lo specchio:

[Lewis Carrol, Through the Looking-Glass – 1871]

Non trovate un po’ bizzarro che le due illustrazioni mostrino sulla mensola … proprio un orologio ed un vaso di vetro con dei fiori … ??? Come tutti sanno, uno Specchio provoca l’inversione, ed il soggetto centrale è Alice; continuando il gioco tutto eretico, pare che Alice derivi il proprio nomen dal sostantivo omonimo, che è naturalmente il pesciolino: la radice greca è Alikè (‘mare’), che a sua volta viene – anche questo lo san tutti – da ‘Als’, che è … ‘Sal‘; nell’Alto Germanico antico l’etimo è ‘Adalhaid’, che significa letteralmente ‘nobiltà’, ‘di nobile rango’: … un nobile sal … Mah!

Mi rendo naturalmente conto che il tutto ha il sapore di una vera follia, eppure … direbbe qualcuno. Solo un pazzo potrebbe immaginare che un sale possa mai provocare un’inversione (allegra, peraltro: … viste le facce sberleffe dell’orologio e del vaso al di là dello specchio?), servendosi di un teschio o di uno specchio, no? … quindi mi fermo qui, e chiedo a tutti scusa per aver impersonato, anche sol per un attimo, la maschera del povero Fou.

Proseguiamo; ecco qui un altro gioco grafico, dell’incisore fiammingo Cornelis Galle, il giovane:

Qui l’alchimista, oltre alla famosa frase, trova molto pane per i suoi denti: il titolo è ‘EXITUS ACTA PROBAT’, e il Caput dislocato, ma ‘laureato’ sfoggia una clessidra alata, poggiato su un libro chiuso da cui sembrano fuoriuscire due trompettesintralciate’, ma che emettono due fumi, attorniato da una pletora di paraphernalia [a destra, si vede il ‘vaso di vetro’ con le due rose di Jean Morin (sua moglie era fiamminga di nascita)]. Il titolo (che proviene dall’Ars Amatoria di Ovidio) viene generalmente tradotto come ‘Il fine giustifica i mezzi’, ma siccome tutto ciò di cui sto qui parlando ha in realtà un senso positivo, luminoso, e non cupo o tombale, preferisco immaginare che si legga come ‘Il risultato prova le azioni’ … compiute per raggiungere quel risultato. Dimenticavo: Clessidra viene dal greco Klepsydra, … da Kleptò e Ydor/Ydro, vale a dire ‘sottraggo/rubo acqua’.

La Colonna di sinistra:

Il capitello di sinistra mostra un vaso decorativo sulla cui bocca poggiano due delfini. Un fiore, che sembra uscire dal vaso, sboccia con una forma che ricorda quella dei gigli araldici. Tutti questi simboli ai riferiscono al dissolvente, o mercurio comune dei Filosofi, principio contrario allo zolfo, di cui abbiamo già visto l’elaborazione emblematica sull’altro capitello.”.

[MdC – p. 286]

Paolo traduce il francese ’flanquée’ usando il verbo ‘poggiare’; il termine si potrebbe anche tradurre come ‘fiancheggiata’, dato che è riferito alla ‘bocca’ del vaso; in questa lettura, il verbo indicherebbe anche una sorta di ‘aiuto’, con il senso di ‘aiuto protettivo’. Poi, oltre alle ragioni estetiche, ci si potrebbe chiedere perché lo scultore abbia raffigurato proprio dei delfini. Oltre ad essere un pesce, un Dauphin è il figlio primogenito di un Roi, di un re; la scultura mostra due Dauphins, i quali sono ‘poggiati’ o ‘fiancheggiano’ la bocca del vaso, e paiono piuttosto legati/interessati al fleur che sorge con la forma di un Lys, il Giglio di Francia; il fleur-de-lys appartiene alla famiglia degli Iris, che assomiglia (ma non lo è, propriamente parlando) al Giglio. Sarebbe oltremodo lungo parlare dell’origine del fleur-de-lys nella storia di Francia, ma l’histoire parla di un vecchio eremita che ricevette un drappo blu ornato di tre Lys-d’or da parte di un angelo, che l’eremita a sua volta donò a Clovis, che lo adottò come la sua Arma araldica: il nomen Lys deriverebbe da quello del fiume che attraversava la regione (che poi venne chiamata Flander, la Fiandra) nella quale si erano stabilite le prime tribù Franche, prima che entrassero nella Gallia.

Le armi di Francia e Provenza sono dunque: Azure, 3 fleur-de-lis or (dal 1376)

A questo punto, leggiamo il celebre e caritatevole passo di Eugène Canseliet:

“Quanto al fleur de lys, esso è il simbolo dell’art royal per eccellenza, perché mostra, nel suo mezzo, la punta che fa scaturire l’onda viva e pura dalla roccia. Al primo capitolo delle sue Mémoires, particolarmente impregnate dell’ermetismo che ne ha tessuto la trama e che traspare chiaramente, Frédéric Mistral fece questa interessante considerazione:

«Si deve anche ritenere che i fleurs de lis d’oro, armi di Francia e di Provenza, che brillavano su campo d‘azzurro, non fossero che fleurs de glais (gladiolo): “fleur de lis“ (fiordaliso) viene da “fleur d’iris” perché il gladiolo è un iris, e l’azzurro del blasone rappresenta bene l’acqua dove cresce le glais.».

Il félibre conferma dunque l’idea dell’acqua e del mercurio, che suscita il fleur de lys, e che sostiene, dal punto di vista della cabala, la fonte fonetica e iniziale: Glai e glaïeul (Gladiolo). Vocaboli che incontestabilmente provengono dal greco γλαιόϛ, glaios, eolico, per γλοιός, gloios, humeur visqueuse, boue (fango). Troviamo, nell’antico francese, il sostantivo glaie, che designa la boue (il fango).

Evidentemente, l’etimologia latina che scelsero i celebri lessicografi Emile Littré, Auguste Brachet  e Jean Scheler, è valida:

Gladius, gladiolus – glaive o spada, piccolo gladio o piccola spada.

Le due cabale, greca e latina, si completano per spiegare compiutamente il simbolismo del fleur de lys.”

[Eugène Canseliet, Due Luoghi Alchemici, pp. 135-6]

Come Paolo avverte nella relativa nota a piè di pagina, il gioco cabalistico e fonetico qui proposto deve essere ben ponderato.

Ora che la vicinanza tra il Gladiolus/piccola spada ed il Giglio/fleur-de-lys è stata stabilita, ricordando che per Grasset d’Orcet il giglio in Licarne significa ‘lié’, cioè ‘legato’, e che forse il tutto pare legato al termine ‘Lumière’, l’apparente confusione dovrebbe essere più chiara; e come non ricordare anche il famoso Lilium che cresce nelle ‘convalli’ (qui)? Philalethe, con perfida onestà, ne ha parlato bene in qualche sua opera; e Fulcanelli sottolinea che la forma del fiore che sboccia su questo capitello ricorda, per l’appunto, quella dei lis héraldiques.

L’héraut … annuncia.

Dobbiamo adesso concludere questo piccolo studio su questo punto-d’Equilibrio del soffitto della Chapelle/Oratoire dell’Hôtel Lallemant; ancora una volta, Fulcanelli stimola l’attenzione dello studente-studioso:

Alla base di questi due sostegni, una larga corona di foglie di quercia, attraversata da una fascia decorata con le stesse foglie, riproduce il segno grafico che corrisponde, nell’arte spagirica, al nome volgare del soggetto. Corona e capitello realizzano così il simbolo completo della materia prima, il globo che si rappresenta in mano a Dio. a Gesù e a qualche grande sovrano.”.

[MdC – p. 286]

et voilà, les jeux sont faits!

Come è di regola, nella letteratura alchemica ciò che è messo troppo in chiaro è in genere un piccolo inganno … se il ‘segno grafico’ spagirico è ovviamente quello del Salnitro, chi avesse ben compreso da dove Fulcanelli è partito e dove va a parare (in termini di Arte Alchemica e di Philosophia Naturalis) ricorderà che spesso si parla di “Una Res, Una Via, Una Dispositione;

ergo, … temo che di altro SAL qui si parli.

Alla prossima, Dames et Messieurs !


[1] Sarebbe estremamente lungo esporre il punto di vista di Grasset d’Orcet a proposito della maçonnerie; a suo modo di vedere la ‘scienza dei costruttori’ era di esclusiva origine Greca, Come si sa, l’erudito era un rigidissimo sostenitore del ruolo dell’antico idioma dei Galli, il Gaultique (derivato dal Greco, ma declinato, letto e parlato secondo le antique lingue Occitane, Provenzali, Piccarde, etc.). e il Poliphile è “… così come lo indica il suo titolo, la grammatica o il grimorio di San Gilpin (la grammaire o le grimoire des disciples de saint Gilpin), o, più esplicitamente, la grammatica di San Jean Glypant.” San Giovanni viene qui detto ‘Glifante’ perché ‘incide’, ‘segna’, ma con l’intento di ‘rappresentare’, come un ‘glifo su una pietra preziosa’. L’Apocalisse, viene vista da Grasset d’Orcet come ‘un trattato di glittica cristiana in lingua greca’; ed i ‘Gilpins’ consideravano san Giovanni (nella sua funzione di ‘Glifante’) come il ‘loro antenato e d il loro fondatore’. Il perno fondante di tutte le confraternite di costruttori antichi (secondo l’eruditissimo amico d Fulcanelli, gli unici e veri ‘maçons’) è dunque il san Giovanni, ma Glifante, di cui si deve e si può parlare usando esclusivamente le antiche lingue romanze, che costituivano il linguaggio popolare dell’antica Gallia. La Framassoneria francese, di epoca ben più tarda, ha ereditato in qualche modo talune ‘grammatiche’ antiche, ma in assenza del padroneggiare del Greco antico e dell’antica Langue Diplomatique, il senso ‘glifato’ di quegli scritti ed opere d’arte, il loro vero senso ‘nascosto’, resta del tutto celato sia all’ascoltatore, che al lettore, che all’osservatore. Ovviamente, Grasset d’Orcet apprese il Greco antico durante la sua permanenza in Grecia, durata quindici anni, e Rabelais era per lui ‘il solo che, nel suo famoso capitolo sullo stomaco, abbia provato che possedeva un pieno intendimento dell’identità delle dottrine gouliaresques o gaultiques con quelle di Platone.’, le quali erano un’eredità trasmessa dagli antichi druidi.

[2] Il termine crâne, oltre a significare teschio o cranio, può anche indicare aver coraggio (brave), oppure bravata (bravoure).

[3] Qui Grasset d’Orcet inserisce una nota: “Tuttavia il suo geroglifico più verosimilmente maçonique è una lucarne o finestra, e questo grado corrisponde al terzo evangelista Luca, forse vuol dire lumière?”. Lucarne, il nostro ‘lucernario’, si chiamava anticamente ‘lucerna’, per cui il passaggio fonetico Luc-Lux-Lumière è evidente; personalmente, trovo che Grasset d’Orcet sia stato – forse – un po’ più di un eruditissimo amico di Fulcanelli.

Livelli …

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, διαλέγομαι, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , on Thursday, July 14, 2022 by Captain NEMO

Caro Paolo,

Un altro pico-pezzo di tempo-non-tempo è trascorso: tutto si muove e tutto scorre, così come Natura prevede. Il tuo ricordo è cristallizzato nell’Anima, ed è un sostegno dolce al mio camminare; e l’immagine del tuo allegro sorriso è sempre davanti ai miei occhi. Un gran conforto …

Certo sai che razza di maldestro torpore avvolge gli uomini di Terra, la nostra bellissima dimora: siamo “fissati” nella sua dura prigionia, e – chi sente – percepisce sempre la speranza di fuga-e-non-ritorno. Doppia realtà, un po’ speranza, un po’ dramma. D’altro canto, noi tutti abbiamo scelto di scender qua giù; o qua su? … chissà; ma che importanza può mai avere un “su” o un “giù” quando veniamo trasportati lungo le traiettorie straordinarie del Cosmo?

Comunque sia, pare che ormai siamo vicini ad un punto cruciale del nostro spazio-tempo, per usare un termine caro al baffuto – e pure lui sorridente – Herr Einstein; le Frequenze sono già avviate verso il loro riallineamento; ci sarà da divertirsi: molte cose le perderemo e molte cose nuove si affacceranno all’orizzonte dello Spirito. La cosa più divertente è che praticamente quattro gatti si sono resi conto del mutamento, radicale, ineludibile. E va bene così: chi ha conosciuto Madre Natura saprà come ‘saltar di livello’, un po’ qui & un po’ . Opportuno è danzare, au-pas de Dame Nature, direbbe uno Yoda Parigino, no? Livello, livello, …. Livello. Ah, mio splendido amico, alchimista di razza e fisico accortissimo. Livello, … ah Parbleu, Monsieur! Mi son fatto un mucchio di risate, come pure Fra’ Cercone!

Come è di prammatica, i cenacoli alchemici sono tutti ben ritirati, fuggiti, rinchiusi nelle loro super-nicchie, imbullonati comme-il-faut; nemmeno le Noccioline di Super-Pippo possono smuovere i loro dottissimi e ‘carissimi’ bastioni di austero basalto; alla faccia dell’Universale Alchimia. Da manuale, no?

Spero di aver presto tue notizie, sono curioso di quel che vai esplorando e facendo nella tua luminosa Dimora. E ti abbraccio, non virtualmente, non ‘fraternamente’; ma da antico vero Fratello, un po’ Scoto e un po’ Romano. Come la prima volta …

A presto, Paolo … porgi i miei saluti a tutti i buontemponi del Joe’s Bar!

Captain NEMO

Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie IV

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Tuesday, January 11, 2022 by Captain NEMO

Passato il periodo delle Feste, continuiamo l’esame del Plafond dell’Oratoire dell’Hôtel Lallemant con la quarta serie di Cassoni:

Cassone 10 – Un Angioletto fa pipì nello zoccolo

Fulcanelli commenta questo Cassone: ‘Voici, – quel singulier motif pour une chapelle – un jeune enfant urinant à plein jet dans son sabot.’.

Ecco, – che motivo singolare per una cappella – un bambinello che urina a tutta forza in uno zoccolo.’.

A ben guardare, si tratta di una bambinella, alata, che apre la parte inferiore della sua tunica; la qual bimbetta – con una mira che ha del perfetto! – dirige il suo getto di pipì all’interno di uno zoccolo, di legno. La scenetta descrive un jeu d’enfants: di notte – la bimba, oltre la tunichetta da letto, indossa anche la cuffietta per dormire – l’inarrestabile desiderio fisico di liberarsi viene soddisfatto senza indugio: invece di recarsi verso un bagno, o usare il classico vasino da notte, l’angioletta trova uno zoccolo e lo usa per far pipì: non è un dispetto, quanto piuttosto un gesto da monella, … che sa di non esser vista!

… e la pipì pare davvero tanta, visto la cura con cui l’artista ha scolpito il getto, quasi un torchon, ma dritto dritto, per esprimere la forza con cui la piccola monella, in piedi, soddisfa il proprio istinto primario: liberarsi. … tale è la forza, che pare bagnarsi un po’ la gamba destra.

Canseliet, parlando dell’altrettanto famosa Fontaine Indécente (in Deux Logis Alchimiques), si ricollega a questo Cassone dell’Hôtel Lallemant:

Pourvue de ses deux ailes, comme il se doit, l’enfant céleste ne s’en tient pas moins campée sur ses deux jambes, afin d’ouvrir, tel un rideau, le vêtement qui la recouvre. Ainsi dirige-t-elle, dans un sabot de bois, habilement, malgré son attitude, à la fois verticale et difficultueuse, le jet oblique et roide de son virginal pipi.’.

‘Provvista di due ali, come si conviene, l’infante celeste sta comunque ben piantata sulle gambe in modo da aprire, come un sipario, la veste che la ricopre. Dirige così abilmente – malgrado la sua posizione, a sua volta verticale e difficoltosa – in uno zoccolo di legno, il getto obliquo e teso della sua pipì verginale.’.

Un esame più approfondito di questo Cassone – magnifico per la sua sfrontatezza, quanto, giustamente, illogico e irriverente in una Chapelle – ci porterebbe molto lontano (ne ho a suo tempo trattato, qui), e quindi mi limiterò a sottolineare alcuni spunti di riflessione: si tratta di una fase primaria della Grand Œuvre, relativa ad un Solve molto peculiare; tra una materia ricevente, usualmente vile e nerastra (raffigurata in genere con un Sabot o con un Chapeau (…toh!)), cui viene congiunta un’aqua. Quest’aqua è ovviamente di natura mercuriale, e ricorda tanto quella del fanciullo-che-fa-pipì-da-una-nuvoletta (nella famosissima Tavola dello Speculum Veritatis), ma – all’uopo – necessita di un’accorta (cioè, … avveduta!) correzione, per così dire; deve essere acuita, aguzzata.

Con che cosa? Tutti conoscono la risposta, talmente è diffusa nei buoni testi d’Alchimia: naturalmente, con il Sal Armoniac, no? Come avevo scritto, Paolo ci era venuto in soccorso (si parlava allora della immagine celeberrima della Cabala Mineralis di Simeon Ben Cantara; … ah, les beaux temps d’antan!), nel suo stile schietto e sempre sorridente:

… Le tre reiterazioni indicate dai tre fiori celesti ci fanno ottenere questo mercurio, sale di pietra o sale armoniaco, che viene irrorato dalla rugiada e aguzzato dall’urina del fanciullo, il nostro ariete celeste. Otteniamo così l’acqua viva aguzzata e poi la stella dei saggi. Le aquile ci ricordano che questo in fondo è un processo di sublimazione…

… …Mi sono reso conto che non ho detto … perché “l’urina”. Mio Dio, è semplice, come al solito. É il nostro fuoco filosofico che libera il mercurio comune, il dissolvente, e gli si unisce per formare con lui l’acqua viva, che ne è appunto aguzzata (o acuita se preferite). Tra l’altro posso confermare che l’urina dell’ariete ha un fortissimo odore di ammoniaca, cioè di urina putrefatta.

I nomi usati dai maestri hanno sempre un senso molto banale e operativo.

Quanto al Sabot, Fulcanelli ha scritto ovunque che il suo senso alchemico è legato a quello della fava o del bambolotto bagnante, la Galette, alludendo ad un contenuto, evidentemente nascosto, … nel sabot:

…Notre galette est signée comme la matière elle-même et contient dans sa pâte le petit enfant populairement dénommé baigneur. C’est l’Enfant-Jésus porté par Offerus, le serviteur ou le voyageur; c’est l’or dans son bain, le baigneur ; c’est la fève, le sabot, le berceau ou la croix d’honneur ”.

La citazione di Fulcanelli – dove non occorre scomodare Grasset d’Orcet per ricostruire un pezzo del Puzzle alchemico al quale l’angioletta monella, colta sul fatto!, allude – è tratta da Il Mistero delle Cattedrali; consiglio vivamente il lettore, neofita o esperto che sia, di re-immergersi nello studio calmo, ma molto calmo, del passo su Offerus, la sua famosa Ceinture e la Galette des Rois (pp. 275-8, Edizione Italiana; chi può, lo legga in francese, perché … suona bene!). Mentre ricordo che il termine popolare Sabot (Çabot) proviene da Savate (per Ciabatta, femminile) e Bot (per Scarpa, … ma maschile), non posso evitare di sorridere allegramente di fronte a quello che Grasset d’Orcet, però, avrebbe saputo raccontare su quel ‘croix d’honneur’!

Cassone 9 – La Pollastra ed il Corno dell’Abbondanza

Fulcanelli commenta questo Cassone: ‘Ici, c’est la corne d’Amalthée, toute débordante de fleurs et de fruits, qui sert de perchoir à la géline ou perdrix, l’oiseau en question étant peu caractérisé; mais, que l’emblème soit la poule noire ou la perdrix rouge, cela ne change rien à la signification hermétique qu’il exprime.’.

Qui, [ecco] il corno d’Amaltea, tutto traboccante di fiori e di frutti, che serve da trespolo alla gallina o pernice, dato che l’uccello in questione non è ben caratterizzato; ma, che l’emblema sia la pollastra nera o la pernice rossa, ciò non cambia in nulla il significato ermetico che esso esprime.’.

La poule è la pollastra (chissà perché Fulcanelli la vede come nera), mentre la géline è la nostra gallina, che prende questo nome, generalmente, quando si accinge a fare uova; la gallina ovaiola, si sa, fa … le uova d’oro! Per contro, la Pernicerossa -, che in francese è la perdrix, deve il suo nome al latino perdix, che a sua volta viene dal greco pèrdix (πέρδιξ); sembra che così sia stata chiamata anticamente perché quando si alza in volo, dopo aver tentato di piedinare nascondendosi dove può, … ‘emette peti’ (dal lemma πέρδομαι), tanto che i greci la chiamavano anche ‘kakkabis’.

Ciò detto, di Amaltea (Ἀμάλθεια) sappiamo quasi tutto; era la tenera capretta con il cui latte le due Ninfe dei Frassini (Adrastea ed Io, figlie di Melisseo) alimentavano il piccolo Zeus, che era stato loro affidato da Rea per nasconderlo alla fama divorante di Cronos; il piccolo era nutrito anche con ambrosia, miele e nettare, ma provenienti da altri animali. Una volta cresciuto, Zeus spodestò il terribile padre e per ringraziare la capretta Amaltea creò la costellazione dell’Auriga, la cui stella più brillante è Capella (la ‘capretta’, la terza stella più brillante del cielo Boreale); ma si racconta anche – le fonti sono varie, anche perché ci si riferisce a storie pre-Olimpiche – che il bimbetto Zeus, mentre nel giocare andava cavalcando la sua tenera ed affezionata capretta, le spezzò un corno; le due Ninfe curarono prontamente Amaltea, e donarono il corno, riempito di frutti, al piccolo Zeus; una volta divenuto il capo di tutti gli Dei dell’Olimpo, Zeus restituì il corno alle due Ninfe gentili, ma stavolta era magico, perché per quanto se ne mangiassero i frutti e si cogliessero i doni in esso racchiusi, subito se ne riempiva di nuovo: era nato il Corno dell’Abbondanza (da Cornu Copiæ’). Sempre il Mito, ma in un’altra versione, racconta che Zeus volle anche creare la costellazione del Capricorno. In somma … melius abundare quam deficere, no?

Fulcanelli si riferisce a questo Corno d’Amaltea nell’esaminare un Medaglione di Notre Dame de Paris, intitolato ‘L’Origine e risultato della Pietra’, raffigurato alla Tavola XIX ne Il Mistero delle Cattedrali:

Nel secondo medaglione l’Iniziatore ci presenta con una mano uno specchio, mentre con l’altra alza il corno d’Amaltea; al suo fianco si vede l’Albero della Vita. Lo specchio simboleggia l’inizio dell’opera, l’Albero della Vita ne indica il fine e il corno dell’abbondanza il risultato.”.

Lascio al lettore l’onere di scoprire il senso che lega la gallina nera (o la pernice rossa, che va peteggiando quando s’alza in volo) che beccheggia nel corno di Amaltea, magari riflettendo sul fatto che Zeus viene alimentato dalla sua tenera nutrice con il suo latte, e che l’abbondanza eventuale cui si aspira deriva da una chose … certo più solida&compatta del latte nutriente, il quale, ohibò, suona come Gala!…

Cassone 12 – L’Angioletto con la ghirlanda e il sonaglio

Fulcanelli non commenta questo Cassone.

La raffigurazione, rispetto a quella di altri Cassoni, è davvero rovinata; vediamo un Angelot alato il cui volto ha le fattezze un po’ più adulte, con i capelli come pettinati all’indietro e lo sguardo rivolto verso l’alto; sulle spalle porta una ghirlanda, che sul suo lato sinistro è fermata con un nastro e termina con una nappa a forma di fiore a campanella; dal suo lato destro, purtroppo danneggiato, pende un filo che forma un anello attorno al pollice dell’Angioletto e va a terminare (anche qui al rilievo manca un pezzo) in un sonaglio.

Il mio amico ijnuhbes vi vede una raffigurazione del dolore, del contrasto tra le tristezze della vita terrena e le aspettative della vita post-mortem: quest’interpretazione, certo comprensibile, è sostenuta dal fatto che la ghirlanda sarebbe una corona funeraria (come le due corone, colorate di smalto verde, che figurano, lo vedremo, affisse sulle due colonne centrali dello studiolo, oratorio, o cappella che dir si voglia); e siccome l’Angioletto sembra avere una sorta di pietra che esce da una fenditura tra le gambe, quella sarebbe un gigantesco calcolo della vescica, che provocherebbe enormi dolori …; così, il tono generale, secondo quell’interpretazione sarebbe una rappresentazione della consapevolezza del dolore riservato all’uomo nella sua vita terrena.

Ora, la ghirlanda non ha certo una forma circolare (come quella di una qualsiasi corona funeraria) e quella fenditura, per quel che appare, mi pare più dovuta alla caduta della parte dell’impasto che raffigurava l’inguine, probabilmente dovuta al tempo o ad un’altra ragione; quella pietra-calcolo, peraltro troppo grande per risultare credibile, potrebbe invece essere una sorta di supporto inserito al momento della creazione del rigonfiamento dell’inguine da parte dello scultore, il cui scopo era quello di renderne visibile solo una piccola parte, per rappresentare i genitali (maschili o femminili). Se si osservano gli altri Angelots (su questo plafond, come anche quelli dipinti nelle Heures di Etienne Lallemant), l’ipotesi di un danno che ha messo in luce il trucco del supporto nascosto sotto l’inguine, dopo la caduta o il danneggiaento dell’impasto che lo rivestiva … potrebbe reggere.

Sia come sia, l’inserimento di una ghirlanda (gerbe) chiusa da sonagli da entrambe le parti, e l’espressione pacifica dell’Angioletto, paiono trasmettere serenità, persino sonoramente. Se poi questa serenitas sia da attribuire al contenuto alchemico dei due precedenti Cassoni, ciò è naturalmente materia opinabile, ma non impossibile. L’Angelot cammina con lo sguardo rivolto al Cielo, e gioca con i due sonagli della ghirlanda: allegria e speranza.

Per concludere questa sessione, credo di poter dire che il committente (i committenti?) abbia/no forse voluto far rappresentare un Jeu d’Enfants (molto conosciuto in Alchimia, e molto ben congegnato, peraltro) che si colloca in un certo inizio dell’Œuvre, affiancato da un’altra garbata allegoria legata ad una fase intermedia, ma importante ed esiziale, e conclusa – in questa terna – da una sonora pacificazione, celeste.

 À bientôt, mes Dames et mes Sires …

Il Tassello Mancante …

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , on Wednesday, October 20, 2021 by Captain NEMO

Claudio Cardella ha scritto un altro magnifico libro. Dopo Il Sogno dei Filosofi – scritto con Stefano Costa – veniamo trasportati negli anni ’30, per cercare di capire come la Fisica Nucleare si sia lanciata nella terribile avventura che portò l’uomo ad inventare la bomba atomica.

Lo spunto con cui è nato il nuovo libro è il tentativo di rintracciare quello che l’autore ha chiamato Il Tassello Mancante; a margine di un foglio di alcuni suoi appunti – del 13 Novembre 1944 – Francesco Pannaria evidenziò a matita nera ed in modo enigmatico l’anno 1939, senza nessuna annotazione o considerazione attinente, né nel Colophon, né all’interno del testo. Su una copia di un quotidiano rinvenuta nell’archivio di Pannaria, l’autore ha poi trovato – stavolta vergata in rosso – un’altra sua nota a margine: “Si va confermando la verità e cioè che Fermi e Co. non capirono niente. É la Lise Meitner che capì o Hahn?”. Così, incuriosito, l’Autore ha affrontato una lunga ricerca negli archivi scientifici, nel tentativo di rendersi meglio conto del perché Pannaria avesse sottolineato quel ‘1939’. Ed alla fine della sua faticosa caccia, quel tassello assume un connotato particolare: si tratta della storia – per la verità tormentatissima – del gigantesco, deprecabile, Circo Barnum con cui la creme-de-la-creme della Fisica Nucleare di quei tempi offrì ai militari – su un piatto d’Uranio – l’opportunità di usare l’enorme rilascio d’energia provocato da una reazione a catena di atomi ‘scatenati’, letteralmente spaccati, con forza; l’uso malvagio di quell’energia omni-devastante e contro Natura venne prescelto dai responsabili del Progetto Manhattan per obbligare il Giappone alla resa, nel 1945: così, vennero sganciate due bombe su Hiroshima e Nagasaki, dove in un immorale flash istantaneo vennero uccisi decine e decine e decine di migliaia di esseri umani.

Claudio Cardella ha ricostruito la genesi e lo sviluppo di quella ricerca scientifica: ovviamente, tutto parte da Enrico Fermi nel 1934 con la sua corsa – assieme ai famosi Ragazzi di Via Panisperna – verso la scoperta di quelli che a quel tempo vennero chiamati Elementi Transuranici (‘al di là dell’Uranio’), cioè dei nuovi Elementi – perché in natura non sono presenti, se non in tracce davvero minime – la cui posizione nel Sistema Periodico di Mendeleev (1834-1907) si supponeva dovesse essere dopo l’Uranio (numero atomico, 92). Quella corsa sfrenata – che culminò nel 1938 con il Nobel a Fermi “… per la sua dimostrazione dell’esistenza di nuovi elementi radioattivi prodotti mediante irradiazione di neutroni, e per la sua correlata scoperta di reazioni nucleari provocate da neutroni lenti.” – fu in realtà un vero dramma, a tinte decisamente nere.

Forse pochi sanno – o forse hanno scientemente scelto di nascondere il pattume sotto il tappeto del tempo – che gli emeriti e benedetti nuovi Elementi (gli Italici Ausonio ed Esperio) che Fermi e Co. proclamarono di essere riusciti a scoprire mediante la fusione di neutroni lenti … non esistevano, né sono mai esistiti, né potevano esistere; anche perché – come è perfettamente documentato nel libro – la fusione nucleare dimostrata da Fermi era in realtà una fissione nucleare. Furono i tedeschi a capire che Fermi si sbagliava, ma per varie ragioni (tra cui il fatto che Lisa Meitner, Ida Noddack e Otto Hahn erano personaggi poco stimati dal consensus scientifico dell’epoca), la loro sperimentazione – più sensata rispetto a quella di Fermi, perché basata su una maggior conoscenza pratica e teorica della Chimica e della Fisica che atteneva a quella ricerca nucleare – vide la luce troppo tardi, quando ormai i giochi erano fatti, quando tutto si spostò negli USA: quando la malattia mortale dell’Auri Sacra Fames prese ovviamente immediata e solida radice nelle menti di un pugno di uomini stolti che decisero di giocare la partita contro Natura, ammantati del nero blasone della tenebra . E dell’ignoranza, profondissima. Sic et simpliciter

Se ovviamente tutta la Fisica e la Chimica Nucleare del tempo (italiana, tedesca, inglese, russa, e poi americana) potrebbe essere assolta nel nome del progresso della scienza (ma in barba alla Scientia), quella Fisica e quella Chimica sono state (ed ancora sono; non saprei per il futuro) gravemente mancanti sul piano dell’Etica e della Philosophia: armi e denaro si sono sposati con la consacrazione di un modello teorico che non tiene in minimo conto Madre Natura, aprendo la strada all’utilizzo arrogante delle Forze della Natura. E quel matrimonio, come è normale, ha prodotto figli e nipoti …

Robert Oppenheimer, fisico e a capo del Los Alamos Laboratory, in occasione del successo del Trinity Test (16 Luglio 1945), pare abbia detto: “Sapevamo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Alcuni risero, altri piansero, i più rimasero in silenzio. Mi ricordai del verso delle scritture Indù …: ‘Adesso sono diventato Morte, il distruttore dei mondi.’”.

Cui potrebbe fare da contraltare un passaggio di Paolo Lucarelli, fisico e alchimista: “Gli uomini perderanno la capacità di osservare la natura con imaginatio vera et non phantastica, e, rivolti in se stessi, saranno la peggior espressione possibile del simbolo dell’Uroboros. … La tradizione si perde in molti modi. Il più sicuro è quello di stravolgerla in una pantomima grottesca, in cui l’essere umano, avvilito dal progresso, abbia come unica speranza quella della misericordia di una divinità gelosa e incomprensibile, chiamata con ridicolo rispetto, metodo scientifico.”.

Percorrendo la meticolosa, appassionata, straordinaria, ricerca di Claudio Cardella il lettore si potrà fare un’idea precisa ed onesta di come sono andate le cose che hanno portato la nostra civiltà al Progetto Manhattan: incontrerà personaggi ben noti, ed altri meno noti (Ida Noddack e Lise Meitner, due donne straordinarie), incontrerà anche il Neutrone-questo-sconosciuto, il Protone, l’Elettrone, il Positrone, il Neutrino, e poi pure il Decadimento Beta di Fermi (un modello che fa ancora acqua da molte parti, nonostante sia quasi un vangelo), e decine di attori sul palcoscenico della ricerca sul Nucleo, in scena tra il 1934 ed il 1939; una storia – nelle parole dell’autore – che ‘… si conclude completamente nel giro di un mese, il Gennaio del 1939. É mia personale convinzione che sia questo che ha indotto Pannaria, testimone di quegli eventi, ad appore la pesante sottolineatura nera, quasi a lutto, per circondare quest’anno nel suo manoscritto, perché in realtà proprio da lì presero avvio le successive atrocità e lo sterminio.’.

La lettura e lo studio de Il Tassello Mancante richiede almeno una base scolastica di alcune notazioni e nozioni di Fisica (ed un pizzico di Chimica), e si fa leggere con molta emozione: stupore e perplessità si affacciano in molte pagine, popolate come sono da una mole di brani e note tratte da documenti storici e scientifici inoppugnabili. Dice: ma è un libro d’Alchimia? Rispondo: … ovviamente no, ma Naturalmente sì. L’Alchimia in sé non è la protagonista di questo bel libro: ma il lettore molto attento, si renderà presto conto, specie in taluni passaggi extra-ordinari, quale visione indefettibile della Philosophia Naturalis ha guidato Claudio Cardella nel suo esame accorato; sembra quasi che voglia dire, ad ogni piè sospinto, agli attori protagonisti, e ai lettori ‘…ma come, non vi rendete conto che le cose NON stanno così? … ancora? … e poi ancora?’.

Il libro, pubblicato su Lulu, può essere acquistato su Amazon, qui.

… una Terna, di Basilio Valentino

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , on Tuesday, April 20, 2021 by Captain NEMO

VITRIOL

Tum omnia in omnibus invenies, quod est vis attrahens omnium metallicarum & mineralium rerum ex sale & sulfure ortarum, ac bis ex Mercurio progenitarum: Plus – inquam – me non decebit de eo, quod est omnia in omnibus, dicere, cum omnia in omnibus compræhensa sint.

Von dem grossen Stein der uhralten Weisen, dal Tripus Aureus

 

Verso la conclusione del Von dem grossen Stein der uhralten Weisen, questo è il monito di un cert’uomo, di grande senilità, dai capelli & la barba bianchi, come neve, vestito di porpora dalla testa ai piedi

Come promesso qui, riprendo l’esame di alcuni passi di Basilio Valentino dal suo Della Grande Pietra degli antichi Saggi; nel passare dall’Editio Princeps del 1599 del monaco Benedettino tedesco alla prima traduzione latina del 1618 da parte di Michael Maier (Tripus Aureus), poi alla traduzione francese del 1956 da parte di Eugène Canseliet (Les Douze Clefs de la Philosophie), fino alla traduzione Italiana del 1998 fatta da Paolo Lucarelli (Le Dodici Chiavi della Filosofia) – la sottile distinzione tra ‘tintura’ ed ‘Anima’ era andata in qualche modo smarrita. La tintura indica un corpo in cui si è per così dire stabilizzato uno Zolfo particolare che possiede la capacità di tingere un altro corpo; mentre l’Anima è quella proprietà universale dei corpi che attiene allo stabilirsi della fissità di un corpo. Perciò l’Anima in qualche modo precede l’instaurarsi della tintura in un corpo; è infatti soltanto grazie all’azione dell’Anima che un corpo, per esempio, può assumere la fissità, ed una volta che quest’ultima si sia stabilita in un corpo facente funzione di Zolfo, allora quello Zolfo – in seguito ad alcune procedure alchemiche – può finalmente tingere, cioè trasmettere ad un altro corpo non soltanto un colore esterno, ma anche una tintura interna fissa. Dom Pernety descrive la capacità di tingere con queste parole:

“TINGENTE: Proprietà richiesta alla Pietra dei Filosofi, o alla loro polvere di proiezione. Essa deve essere tingente, vale a dire adatta a fornire ai metalli imperfetti il colore & la tintura fissa e permanente dell’oro o dell’argento, a seconda del grado di perfezione a cui [la Pietra] è stata spinta.”.

Si intuisce facilmente che tale trasmutazione può avvenire grazie ad una sorta di infusione (mi si passi il termine) dell’Anima della Pietra dei Filosofi nel metallo imperfetto, che si trasforma all’istante – cioè, trasmuta – in metallo perfetto; d’altra parte, avvenuta la trasmutazione, il corpo della polvere di proiezione resta come scoria – inanimata– all’interno della lingottiera.

Ciò detto, ecco qualche perlina di Basilio Valentino, sempre tratte dal Della Grande Pietra degli antichi Saggi, ma che figurano prima del passo su Luna, Venere e Marte di cui ho parlato nel Post precedente (tratte dalla Traduzione italiana da parte di Paolo):

Prima di tutto riassumiamo schematicamente la sua visione del processo della Creazione:

Al principio, quando lo spirito era portato sulle acque e ogni cosa, fino ad allora, era coperta dalle tenebre, Dio … creò dal nulla il cielo e la terra e tutte le cose che in essi si trovano, visibili e invisibili … In effetti Dio ha fatto ogni cosa dal nulla.

E questa è la Creazione ex-nihilo, by-the-book; en passant, segnalo – come ho già fatto più volte – che nel racconto Biblico lo Spiritus e l’Aqua già erano presenti (creati?), ma avvolti dalla Tenebra; e che poi Dio creò – ex-nihilo – Cielo e Terra ed ogni cosa – visibile e invisibile – in essi implicitamente contenuti. Curiosamente Basilio qui tace sulla Lux … ma ritengo che lo faccia per non complicar troppo le cose, e correre invece verso la meta didattica che aveva in mente.

In tale Creazione, il Creatore per ogni natura non ha teso né alla distruzione né alla diminuzione. Vi ha messo un seme particolare perché ne avvenisse la crescita …

Dice: per ogni natura. Quanto ad esse, Basilio sostiene che il processo di sviluppo fosse espansivo; però, ad ogni buon conto, forse sarebbe utile riflettere sul fatto che in questa visione deve essere considerato soltanto, per così dire, … come ‘a dare’. Inoltre, si parla di un seme particolare, e del fatto che la creazione del seme è di esclusiva competenza divina.

Prosegue poi con la descrizione sul come avviene l’evento della generazione metallica:

… l’influenza celeste scende dall’alto e si mescola con le proprietà degli astri. In seguito, quando avviene questa congiunzione, i due fanno nascere come terza una sostanza terrestre, che è il principio del nostro seme, della sua prima origine, in modo che possa mostrare gli avi della sua generazione. Da questi tre nascono e appaiono gli elementi come l’acqua, l’aria e la terra. Questi in seguito, per mezzo del fuoco sotterraneo operano sino a produrre qualcosa di perfetto. Non possiamo trovare nulla di più all’inizio del magistero. Perciò Hermete e tutti prima di me hanno indicato tre principi. E sono stati trovati: l’anima intrinseca, lo spirito impalpabile e l’essenza corporale visibile.

Schematizzando, il processo iniziale proposto da Basilio è il seguente:

  1. Congiunzione di un’influenza celeste con le proprietà degli astri;
  2. Da questa Congiunzione nasce una terza sostanza, terrestre;
  3. Da questa terna nascono e appaiono gli Elementi Acqua, Aria e Terra;
  4. I tre Elementi – stimolati dal Fuoco sotterraneo – tendono a produrre un corpo perfetto.
  5. Quindi, i tre Principi Primi (i.e., l’influenza celeste, le proprietà degli astri, e la sostanza terrestre) danno luogo, attraverso la nascita e l’opera dei 3+1 Elementi, ad un corpo, in questo caso in esame, metallico.
  6. Questi tre Principi Primi sono chiamati Anima intrinseca, Spiritus impalpabilis, corporea visibilisqe essentia.

Basilio passa poi a spiegare che:

Quando queste tre sostanze coabitano, per mezzo dell’unione, del succedersi del tempo e di Vulcano, evolvono in sostanza palpabile, cioè in argento vivo, solfo e sale. Se questi tre sono condotti per mescolanza al proprio indurimento e alla propria coagulazione, così come la natura opera e richiede, producono un corpo perfetto …

Leggendo Maier, però, si nota che la frase iniziale suona così:

Non appena questi tre coabitano assieme, progrediscono per copulazione, per lo scorrere del tempo, e grazie a Vulcano in sostanza palpabile, cioè nell’argento vivo, zolfo & sale. …

 … dove il soggetto della frase è costituito da quei tre Principi Primi, i quali – coabitando assieme, e unendosi nel corso del tempo, grazie a ‘Vulcano’ – progrediscono in tre sostanze, palpabili.

Basilio continua precisando:

… questa è la verità di ogni verità: se l’anima, lo spirito e la forma metallici sono presenti, là si devono trovare anche l’argento vivo, il solfo e il sale metallici …

…che in Maier suona in modo quasi identico:

… questa è la verità di ogni verità; perché se sono presenti l’anima metallica, lo spirto metallico & la forma metallica del corpo, da lì [oppure: poi] debbono seguire senza dubbio l’argento vivo metallico, lo zolfo metallico & il sale metallico …

Segue poi un discorso che espone la differenza tra l’Uomo e gli animali: agli animali manca l’Anima, ed è per questo che l’uomo, dopo la morte, può invece sopravvivere – rinascendo – in un corpo glorificato; è grazie all’Anima – che resta dopo la morte – che sarà glorificato così che, una volta che l’Anima ‘ritornata’ abiterà in quel corpo (‘anima in corpus eius clarificatum reversa ibidem habitabit’), il corpo, l’anima e lo spirito si riuniscono in una [cosa] sola. Così la celeste glorificazione di quella cosa una verrà fatta conoscere per mezzo di quei tre, i quali mai potranno essere separati per tutta l’eternità.

In questa esposizione di stampo filosofico/teologico si coglie però il valore ed il ruolo esiziale attribuito all’Anima nella terna di Basilio Valentino, e si prosegue con una spiegazione di chiaro spessore alchemico, nella quale si sottolinea ancor più a cosa serva l’Anima:

In verità, lo spirito può dimorare in un corpo e non per questo seguirlo, dovendo questo corpo essere fisso, sebbene il corpo si compiaccia con lo spirito e lo spirito non sia affatto in conflitto col corpo. Infatti entrambi sono sprovvisti di quell’anima forte, preziosissima nobile e fissa, che incatena e rinsalda corpo e spirito, li conserva e li difende naturalmente da tutti i pericoli. Perché dove manca interiormente l’anima, non resta nessuna speranza di redenzione. Infatti la cosa senz’anima è imperfetta e questo è uno dei più grandi segreti dell’Opera.

Quel ‘compiacersi’ proposto da Canseliet traduce il ‘conveniat’ latino di Maier (da cum-venio), che a sua volta traduce il ‘ruhen’ di Basilio (‘riposarsi, trovarsi in quiete’): pare quindi che lo spirito ed il corpo ‘convengano in pace’, per così dire; ma – in assenza dell’Anima che ‘lega’ – se il corpo diverrà fisso non necessariamente lo spirito lo seguirebbe in quella fissità. In Alchimia, dunque, l’Anima ha il ruolo (la funzione) di ‘legarespirito e corpo lungo lo svilupparsi dei processi alchemici: avvenuto questo vincolo, se il corpo viene fissato, anche lo spirito ad esso connesso diventa fisso, e viceversa.

Quanto al ‘segreto’ che Basilio afferma di aver svelato – Res enim absque anima imperfecta est -, esso viene meglio precisato in un Sermone che Basilio raccomanda di leggere con grande intendimento:

… perché gli spiriti che si celano nei metalli sono diversi, uno più volatile o più fisso dell’altro, così come sono diseguali la loro anima (o, le loro anime) e i loro corpi. Qualunque metallo abbia riuniti in sé i tre doni della fissità, ha ottenuto la durezza con cui sopportare il fuoco e trionfare di tutti i suoi nemici.

Se è evidente che quei ‘tre doni della fissità’ qui si riferiscono più direttamente alla Pietra, l’indicazione appare importante anche quando – dopo quei tre Principi Primi, di cui supra – si entra nell’esame delle caratteristiche dei metalli specificati. Stiamo di fatto scendendo un gradino rispetto ai punti 5. e 6. descritti da Basilio; ogni metallo è costituito alchemicamente da un Mercurio, uno Zolfo ed un Sal, le cui caratteristiche (in qualche modo connesse alle Qualitates di nascita, vale a dire a ciò che in Philosophia Naturalis si chiama la rispettiva Specifica di Creazione) ovviamente variano secondo quella Specifica, che è l’Informazione che indirizza quel tal metallo nella progressiva specificazione (una discesa, dall’alto in basso). Per cui, ogni ‘metallo’ (ma … anche ogni corpo, no?) si presenta agli occhi dell’Artista con caratteristiche diverse.

E finalmente arriviamo al passo che abbiamo esaminato in precedenza, quello su La lasciva Venere; Basilio lo fa precedere da un brano a proposito di Luna, e lo fa seguire da un altro brano su Marte. Ecco come Luna viene presentata:

La Luna possiede in sé un mercurio fisso e per questa ragione non si dilegua così velocemente nel fuoco come gli altri metalli imperfetti, ma ne sopporta l’esame e lo dimostra più chiaramente con la sua vittoria quando il voracissimo Saturno non può trarre da lei alcun profitto.

Dato che siamo scesi di un gradino, Basilio ci parla del mercurio fisso di Luna. Segue poi il brano su Venere, che ho già esposto ed a cui rimando, che è a sua volta seguito da questo brano, su Marte:

Il sale fisso ha dato al bellicoso Marte un corpo solido, rozzo e saldo, con cui si manifesta la sua magnanimità d’animo, e quasi nulla può essere tolto a questo duce guerriero. Il suo corpo infatti è compatto a tal punto che difficilmente può essere ferito. Ma se la sua potente virtù è unita spiritualmente, per mescolanza e accordo, con la fissità della Luna e la bellezza di Venere, può svilupparsi una Musica abbastanza dolce, per cui alcune Chiavi siano giudicate degne di ricompensa di colui che è senza pane e che, salito al gradino più alto della scala, potrà sussistere particolarmente. Perché la qualità flemmatica e la natura umida della Luna devono essere seccate col sangue bruciante di Venere e la sua grande nerezza corretta col sale di Marte.

Il passo è molto bello, specie per chi – prima di lavorare in Laboratorio – ami studiare, allo scopo non scontato di almeno rendersi conto, per poi iniziare a farsi una migliore idea, di quel che si nasconde sotto la lettera di un autore alchemico stimato. Ecco allora la mia personale traduzione dello stesso passo dal latino di Maier, le cui nuances sono state elaborate & fissate assieme al fidato Fra’ Cercone (che ringrazio):

Il Sale fisso ha dato & concesso al bellicoso Marte un corpo robusto, durevole & denso, da cui viene mostrata la buona schiatta del suo animo, e a stento può essere strappato qualcosa a questo guerresco condottiero: infatti il suo Corpo è talmente compatto che a malapena può esser ferito. Se infatti la sua forte virtù si congiunge spiritualmente per mistione & concordanza con la fissità di Luna e la bellezza di Venere, si può armonizzare così soavemente quasi fosse Musica mediante la quale molte Chiavi vengono nobilitate col suo onore [i.e.: quello di Marte] affinché l’indigente possa fruire di particelle di nutrimento se sarà salito ad un livello superiore della scala: infatti la qualità flemmatica o umida di Luna deve venire essiccata col sangue ardente di Venere & la sua grande nerezza [deve] essere corretta dal Sale di Marte.

Per completezza, va detto che in entrambe le due versioni Tedesche i due termini da noi proposti come ‘indigente’ e ‘nutrimento’ – che nel Latino di Maier sono ‘egenus’ e ‘pane’ – vengono proposti come ‘durstig’ (‘assetato’) e ‘Brodt’ (‘Pane’); questi riferimenti sono stati confermati da una persona cara e paziente che ci ha aiutato a leggere i caratteri dell’Alto Tedesco, e la debbo ringraziare per la sua disponibilità ad esaminare un testo per lei tanto arcaico quanto astruso.

E torniamo al punto: nel testo che abbiamo esaminato, curiosamente Basilio non si occupa di alcun altro ‘metallo’ per approfondire il punto da lui proposto; solo Luna, Venere e Marte vengono esaminati dal punto di vista dei tre Principi Primi (eppure anche Sole, Giove, Saturno, Mercurio avrebbero caratteristiche degne di un qualche interesse). Dopo questi passi, Basilio consiglia di studiare le sue Dodici Chiavi, e all’uopo propone un bel racconto allegorico – peraltro di non difficile interpretazione – sulle peripezie del Mercurio, gettato in prigione da un Marte offeso, e detenuto da Vulcano; e nemmeno le buone arti di Luna e Venere riusciranno a liberarlo, anzi Venere viene persino ‘mangiata’! Ma in questo racconto, senza dubbio interessante, è completamente assente quell’esame così puntiglioso delle caratteristiche costitutive che ha indicato in precedenza.

A mio modesto avviso, dunque, – vista l’accurata architettura didattica con cui Basilio espone le proprie affermazioni su Luna, Venere e Marte – il fatto che Fulcanelli abbia potuto commettere quel banale errore di traduzione (i.e., tintura per anima) mi pare del tutto poco credibile; trattandosi de Les Demeures Philosophales – opera stampata nel 1930, e la cui edizione, proveniente dagli appunti di Fulcanelli raccolti e editati da parte di Canseliet e Champagne, avvenne dopo la scomparsa sia di Fulcanelli che di Dujols -, continuo a restar sorpreso che Canseliet non abbia poi mai provveduto a corregger meglio il testo in questione. Quanto alla curiosa esposizione di Basilio su Luna, Venere e Marte, mi pare che Canseliet l’abbia intesa come un’erudita lettura delle caratteristiche dell’Argento, del Rame e del Ferro, e nulla più.

E qui, mi fermo.

Riporto, per concludere, un piccolo intermezzo seminato dal famoso Monaco Benedettino, chiunque egli sia stato:

Se ora non vuoi comprendere ciò che conviene che tu intenda, non sarai designato per la Filosofia, oppure Dio la allontanerà da te.

Paolo, lo Stregatto …

Posted in Alchemy, Alchimia, Alchimie, Various Stuff with tags , , , , , on Tuesday, July 14, 2020 by Captain NEMO

Caro Paolo,

è passato un altro anno: tutto procede verso il basso, come da programma. La sensazione generale di disagio ha permeato persino chi dice di amare Alchimia. È uno spiacevole sentire, ma – d’altro canto – l’uomo ripete sempre i medesimi errori. Sempre. Perennemente. Criceti in gabbia, ignari della realtà, e felici del girare in circolo nella gabbia dorata. E va così., giro dopo giro …

Paradossalmente, in questi tempi contagiosi e appiattiti, Madre Natura ci ha regalato una stagione straordinaria, ricca di Spirito Universale e di Forza. Fantastico. Erano anni che non succedeva. La Bilancia  cerca sempre Equilibrio.

Se il cuore mio è felice per le meraviglie che – grazie a te – vado scoprendo, lo è meno per l’apatia che osservo nei giovani: il sottile e mellifluo veleno dell’assuefazione rende tutto piatto, noioso, e quasi nessuno, ormai, sente il richiamo delle Stelle. Eterne. Ci sarà sempre tempo per le Stelle, che vivono il tempo e abitano lo spazio. Profondo. E il tempo dell’uomo è così breve. Mi piacerebbe che i giovani si rendessero conto della incredibile opportunità che Madre Natura, provvida e amorevole, sempre offre a chi scelga di porre la domanda di Parsifal. Ma so che è ben difficile sfuggire al torpore predisposto ed orchestrato da chi vuole impedire che l’uomo acceda alla Conoscenza. Confido che qualcuno possa farcela. Non tocca a me spingere. E continuerò a fare del mio meglio per tentar di fare, almeno in parte, quel che tu hai saputo fare.

La Joie che Madre Natura offre, ogni giorno, ogni notte, è scritta nelle tenere nuvole rosa del tramonto, e nei dipinti delicatissimi dell’alba. Ma per cogliere l’alba, devi esser passato per la notte. Luna è lì, forte e muta, ma parlante. Sveglio, a giocare il gioco dei bimbi con il Fuoco e l’Acqua. Nonostante tutto sembri remar contro. Vecchi giochi, antichi giochi, per vecchi bimbi. Innamorati. Vuoi giocare a nascondino con me? … Quanto mi manca il tuo sorriso, Paolo. La tua arguzia, e quegli occhiali abbassati sulla punta del naso. Sono contento di aver mantenuto aperto il nostro canale, la nostra radio: non so quando squillerà Campanellino, e faccio di tutto per aiutare – come posso – i giovani a risvegliarsi dal profondo torpore che li avvolge. Qualcosa succederà, comunque; mentre procedo con il mio Laboratorio, esplorando cose di cui nessuno ha mai parlato, provo una sensazione che non riesco a descrivere: sto camminando in Reami insospettati, zeppi di luci di ogni tipo, con panorami dai colori mozzafiato, profumi soavi e sconosciuti, pieni di un Tutto che è possente e vitalmente attivo. Fluente. Ben più grande di qualsiasi anima umana. Profondo rispetto; e meraviglia, infinita. LUX. E mille domande, nuove. Il metro e la bilancia non servono più su questi prati. Posso solo affidarmi. E, nelle notti di Luna, accanto al forno allegro, ai crogioli borbottanti, alle monachine danzanti, penso sempre a quanto ci siamo detti, in pochi attimi. Così raro è stato quel nostro incontro, che vorrei parlarne a tutti; ma non posso farlo, e non lo farò mai. A te devo la spinta, la stretta di mano, e lo sguardo caldo e fisso, ed il sorriso più amorevole e Fraterno che possa ricordare. Quella notte, smarriti sulla terra, perduti nella notte, ritrovati. Grazie, vero amico Paolo. Mi manchi. Ti abbraccio, sempre forte.

Salutami gli amici del Joe’s Bar … E che il Cielo ci protegga, sempre. Con Amore,

Captain NEMO

Alcyon … o sull’Anima fuggente di Basilio Valentino

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Sunday, July 12, 2020 by Captain NEMO

Come promesso, riprendo il discorso a proposito del passo di Fulcanelli sullo Zolfo doppio (vide Post precedente).

Tripus Aureus, hoc est, Tres Tractatus Chymici Selectissimi, nempe I. Basilii Valentini…Practica una cum 12 clavibus & appendice, ex Germanico – 1618

Mia traduzione di Fulcanelli, in Les Demeures Philosophales, 1930 – Grimoire du Chateau de Dampierre, Serie 7, Cassone 5:

“… Quanto allo zolfo del rame, Basilio Valentino ce lo descrive molto esattamente nel primo libro delle sue Douze Clefs[1]: ‘La lasciva Venere, dice, è ben colorata, e tutto il suo corpo non è quasi che tintura e colore simile a quella del Sole la quale, a causa della sua abbondanza, tende grandemente al rosso. Ma dato che il suo corpo è lebbroso e malato, la tintura fissa non può dimorarvi, e, morendo il corpo, la tintura perisce con esso, a meno che essa non sia accompagnata da un corpo fisso, dove possa stabilire il suo posto e dimora in modo stabile e permanente.'”.

Traduzione di Eugène Canseliet di Basil Valentin, Les Douze Clefs de la Philosophie, 1956 – Préface du Frère Basile Valentin de l’Ordre Bénédictin touchant la grand pierre des Anciens Sages, p. 86:

Vénus, très adonnée a l’amour, est remplie et vêtue d’une surabondante couleur. Tout son corps est presque de pure teinture, qui ne semble pas différente, pour la couleur, à celle qui est dans le plut opulent métal et, a cause de la richesse de cette couleur, s’intensifie en rouge. Mais parce que son corps est lépreux, cette teinture ne peut demeurer ferme dans ce corps imparfait et elle est contrainte de périr avec lui. En effet, quand le corps est anéanti par la mort, l’âme ne peut rester et elle est obligée de se séparer et de s’envoler, puisque sa demeure a été détruite et consommé par le feu. Elle ne peut demeurer là ou elle ne trouve pas de place. Par contre, elle habite volontiers et avec constance, dans un corps fixe.“.

Traduzione di Paolo Lucarelli, in Le Dodici Chiavi della Filosofia, 1998, p. 62 (traduzione dal brano di Canseliet):

Venere, molto dedita all’amore, è colma e rivestita di sovrabbondante colore. Quasi tutto il suo corpo è pura tintura, che non sembra diversa per colore da quella che sta nel più opulento metallo e, a causa della ricchezza di questo colore, si intensifica in rosso. Ma dato che il suo corpo è lebbroso, questa tintura non può essere stabile in questo corpo imperfetto ed è costretta a perire con lui. Infatti quando il corpo è annientato dalla morte, l’anima non può restare ed è costretta a separarsi e a dileguarsi, dato che la sua dimora è distrutta e consumata dal fuoco. Essa non può stare là dove non trova posto. Invece abita volentieri e con costanza in un corpo fisso.“.

Se si confronta la traduzione di Canseliet (e la conseguente traduzione di Paolo) con l’originale Latino del Tripus Aureus (1618 e [in Musæum Hermeticum] 1677 – scelto da Canseliet come edizione Latina di Riferimento -, si deve dire che si tratta di una traduzione molto buona.

Se d’altro canto la si confronta con quella riportata da Fulcanelli, si notano immediatamente alcune piccole discrepanze; si potrebbe pensare  che quanto riportato nell’Edizione del 1930 de Les Demeures Philosophales potesse provenire dalle tre edizioni Francesi de Les Douze Clefs, quelle di Parigi (Paris, Frères Périer – 1624; Paris, Pierre Moet – 1660; Paris, Guillaume Salmon, 1741); le due ultime edizioni francesi si basarono sulla prima, fatta dai  Frères Périer, tradotta dal Tedesco al Latino, e poi dal Latino in Francese. Ma in realtà il brano tradotto da Fulcanelli è ben più tardo, come vedremo tra poco.

Prima di procedere, tuttavia, mi domando come mai – nel 1955-56, anno di redazione ed edizione della Les Douze Clefs – Canseliet non corresse quanto riportato da Fulcanelli nel 1930 (anno in cui, come si è detto, Canseliet e Champagne editarono e pubblicarono la raccolta di Note alchemiche provenienti dal gruppo di Bourges); non lo fece nel suo libro nel 1956, né lo fece nelle successive edizioni delle due opere di Fulcanelli edite da Pauvert nel 1964 e nel 1979.

D’altro canto, tutte le traduzioni Francesi originate da quella dei Frères Périer riportano che ‘… la teinture fixe n’y peut pas faire sa demeure, mais le corps s’envolant, nécessairement la teinture doit fuiure [ per fuir], car iceluy perissant, l’Ame ne peut pas demeurer …‘, mentre nel 1930 Fulcanelli (o Canseliet? o Champagne?) scrisse ‘… la teinture fixe n’y peut pas demeurer, et, le corps périssant, la teinture périt avec lui …‘.  Ora, la differenza tra ‘tintura‘ e ‘Anima‘ è sottile, ma esiste: Basilio Valentino, nelle pagine precedenti questo passo, sottolinea a lungo che è proprio l’Anima a fornire ai corpi la ‘fissità‘; la tintura indica lo Zolfo capace di tingere (che è naturalmente un corpo, concreto), mentre l’Anima è una proprietà universale dei corpi cosiddetti ‘fissi‘ [… e … sì, l’uomo è un ‘fisso’!], una Qualitas che attiene allo stabilirsi della funzione della fissità di un corpo. E la traduzione proposta da Canseliet, più completa, tratta dalla buona versione Latina di Maier, indica che – a causa della morte del corpo causata dal fuoco – la tintura non può che morire assieme al corpo (come è naturale ed ovvio che sia), mentre l’Anima – restata senza corpo su cui appoggiarsi – non può restare, ed è costretta a separarsi e a volar via [e vedremo in un altro Post che cosa potrebbe succedere, secondo Basilio Valentino, a quest’Anima di Venere].

Come ho detto, la prima traduzione Latina che conosciamo sino ad oggi è quella di Micahel Maier, nel suo Tripus Aureus del 1618; eccone il brano in esame:

Quia vero corpus ejus leprosum sit, tinctura illa firma permanens subjectum in imperfecto corpore habere nequit, at cogitur una cum corpore interire: Quando enim corpus morte extinguitur, nec anima manere potest, sed recedere & avolare compellitur.”.

Risalendo alle fonti, vediamo ciò che scrisse Basilio Valentino in tedesco ; l’Editio Princeps del trattato Von der Grossen Stein der Urhalten  è contenuta in Ein kurtz Summarischer Tractat, pubblicata da Bartholomäus Hörnig a Eisleben, nel 1599; eccone la pagina 42 [Click per ingrandire]:

Questa è la frase che ci interessa [Click per ingrandire]:

la cui trascrizione è:

“… / denn wo der Leib durch todtung verzehret wird fan die Seele auch nicht bleiben / sondern muss aufweichen und fliehen / …“, la cui traduzione suona così:

“… / dove il Corpo è consumato dalla morte, anche l’Anima non resta / ma deve ammorbidirsi[2] e fuggire / …“.

Dato che non parlo Tedesco, voglio ringraziare una persona che lo conosce perfettamente, e che me ne ha tradotto alcuni passaggi: la sua cortesia e disponibilità mi hanno permesso di apprezzare meglio il testo del sapiente Monaco.

Per tirare le somme: la traduzione del brano di Basilio Valentino, proposta da Fulcanelli ne Les Demeures Philosopales (edita e pubblicata da Canseliet e Champagne nel 1930) è senza dubbio incompleta, imprecisa: quando muore il Corpo di Venere, non è la tintura (i.e., la Zolfo tingente) che ‘vola via‘, bensì l’Anima; Fulcanelli – in quelle note sul brano di Basilio –  si è probabilmente riferito ad un’edizione dei Chymische Schriften (del 1717) dove, a p. 177, al posto di ‘Seele‘ (Anima) compare effettivamente ‘Tinctur‘ (Tintura). Come talvolta accade, specie nel ‘700, qualcuno interpreta e/o stravolge qualche termine[3], così si è preferito togliere di mezzo il termine ‘Seele‘ (Anima’) e sostituirlo con ‘Tinctur‘ (Tintura), scambiando la causa per l’effetto: potenza dell’Illuminismo! Che il vero Fulcanelli – chiunque egli fosse – non si sia accorto della sottile distinzione, ed abbia preferito leggere una versione per così dire ‘vulgata‘ di Basilio, mi pare poco credibile: Fulcanelli era un uomo di profondissima preparazione scientifica e alchemica. Ma non si capisce perché Canseliet – uomo che della precisione nelle traduzioni fece un giusto motivo d’orgoglio, e che aveva pubblicato nel 1956 un’ottima traduzione del trattato di Basilio Valentino, nel quale si parla giustamente di tintura e di Anima, differenziandoli – non abbia poi provveduto a correggere il passo pubblicato nel 1930, per di più inserendo nella seconda (1964) e terza edizione (1979) una Nota che recita: “Les Douze Clefs de la Philosophie. Testo corretto sull’edizione di Francoforte; Editions de Minuit, 1956, p. 86.”. E va beh …

Chiarito che – nella visione di Basilio Valentino – il ruolo dell’Anima è cruciale per assicurare fissità a qualsiasi corpo, continueremo il discorso assieme in un altro Post, dove potremo approfondire meglio la questione.

 

[1] [NdA] Les Douze Clefs de la Philosophie. Texte corrigé sur l’édition de Francfort; Editions de Minuit, 1956, p.86.

[2]Aufweichen‘, significa anche ‘indebolirsi‘, ‘staccarsi‘, ‘separarsi‘, come anche – curiosamente – ‘fradiciarsi‘, ‘inzupparsi‘.

[3] Di bontemponi ed errori è naturalmente piena anche l’Alchimia: l’edizione del 1612 del Von dem Grossen Stein der Uhralten (attribuita a Johann Tholden) riporta la frase in esame così: “… / denn wo der Leib durch todtung verzehret wird / fan der Lieb auch nicht bleiben / sondern muss aufweichen und fliehen / …“, cosicché si dovrebbe leggere che ‘… / quando il corpo e consumato dalla morte / anche il corpo non resta / ma deve ammorbidirsi e fuggire / …‘, il che è evidentemente un assurdo. Michael Maier, sapientissimo Conte Palatino, tedesco, e in seguito agente segreto dei Fratelli RC a Londra, si deve esser fatto un mucchio di risate nel leggere il trattato del 1612; e infatti, tradusse quello ‘buono‘, del 1599.

Il Mistero delle Tre Notule … in onore della Gran Dama, quella Universale.

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Philosophia Naturalis, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , on Monday, June 29, 2020 by Captain NEMO

Ho atteso qualche giorno; volevo rendermi conto se qualcuno avesse voluto dire la sua a proposito del sasso gettato nello stagno – o forse meglio, ‘in piccionaia‘? – da parte di Fra’ Cercone; sto parlando di tre vecchi suoi interventi che, parecchi anni fa, furono offerti al pubblico di un altro palcoscenico. E dopo aver atteso, ho riflettuto, non poco, ma tanto, su quelle parole. San Sebastiano, e le frecce. Il tempo scorre, e tutto sembra essere ripetuto, ma la vita alchemica – la mia, quella di Fra’ Cercone, e di tanti altri (sebbene pochi, in verità; per vari ameni motivi) – ha portato esperienza, scoperte, ipotesi, nuovi prati, prove sperimentali, e progressi; e ricordi. Eppure, ancora oggi, quelle parole suonano sincere, veritiere. Condivisibili.

E allora, dato che qualche cosa ho trovato lungo il mio camminare, dato che viviamo tutti – i pochi – nel medesimo mondo che passa come di consueto tra spine e dolori e abbagli e silenzi e clamori, e triti inganni che avvolgono gli uomini, persino quelli che vestono medaglie e mostrine, scorgo in quelle parole l’opportunità di affiancarmi alle riflessioni proposte da Fra’ Cercone; non soltanto per la fratellanza che mi lega a lui, perenne, luminosa, pura, pulita, sempre onesta, allegra, seria e tanto altro; ma – soprattutto – perchè vengo da terre e lune e montagne e acque – acque – sempre fresche, amorevoli, distaccate – quasi per magia naturale – dal mondo delle piccole manovre, delle illusioni, dei mezzucci da quattro soldi. L’Alchimia porta verità, talvolta scomoda verità, ma pur sempre semplice, limpida verità. Quella ho cercato, e quella continuo a cercare. Non la mia verità, che non esiste. Quanto la freschezza della Gaia Scienza, che ho visto ormai calpestata, e tristemente svilita, dimenticata; quasi fosse un inutile cartoccio di sogni. Cammino, pagando il passaggio dovuto, come è costume, e camminerò sempre in cerca di prati verdi, pieni di uccelli e di aria pura, e limpidi orizzonti, cristallini.

Così, proverò a riproporre quelle note oneste dell’onestissimo Frate Cercone, sol per aiutare i giovani che si avvicinano alla Scienza più dolce e vera e bella che ci sia: Alchimia. Vi sono momenti, nella vita di tutti, in cui è opportuno porsi domande, più che in altri momenti: non per mancar di rispetto, ma per il rispetto che si deve agli inesperti, e per il rispetto di chi sempre attende al Joe’s Bar, su Bellatrix; e altrove.

Allora, ecco il primo intervento:

Cari Cercatori,
E’ triste constatare come onesti e volenterosi cercatori vengano ignobilmente circuiti.
Mi suscita grande amarezza vedere l’Alchimia o, per meglio dire, la Filosofia Naturale ridotta a un immangiabile pappone.
Nel minestrone delle nostre nonne, andavano a finire tutti gli avanzi, ma conditi con tanto amore, l’ingrediente sovrano che miracolosamente rendeva prelibato anche il più umile desco.
Invece qui l’amore manca, il piatto è condito con superbia, prosopopea e sopra tutto, al posto del parmigiano, un’abbondante spolverata di frottole ben tritate.
Rimangono gli avanzi, materiale raccogliticcio qui e là e avariato; il pappone non solo è immangiabile, ma anche tossico, per la salute intellettuale.
Per disintossicarsi, consiglio una buona lettura, come ad esempio l’Enchiridion Physicae Restitutae, del Presidente d’Espagnet, (si trova in rete, gratis et amore Dei). E poi, per gli amanti delle scalate di sesto grado superiore, Voyages en Kaleidoscope, dell’enigmatica, quanto affascinante, madame Irene Hillel Herlanger.
C’è un metodo ancora più segreto, insegnato da Joël Joze: basta captare nelle pupille di ogni essere vivente le immagini di tutte le cose visibili, condensarle, fissarle, comprimerle secondo metodi noti solo a lui, ottenerne, grazie a un procedimento sorprendente e vertiginoso la sintesi chimica; perché queste immagini proiettate sullo schermo appaiano subito in METAFORE-ANIMATE. Joël Joze chiama queste proiezioni così particolari
VIAGGI IN KALEIDOSCOPIO
Trasformate nello stesso apparecchio, per mezzo di misteriosissimi fluidi, di sali e di metalli preziosi, le Visioni si concentrano istantaneamente sotto forma di pastiglie platinate che possono poi servire a un numero illimitato di esperienze.
Così, ciascuno di noi, secondo le sue tendenze, scoprirà il SENSO NASCOSTO di ogni cosa
…. M. Joze pretendeva semplicemente di rigenerare il nostro Pianeta.
(da un post di Paolo Lucarelli, in questo Forum, in data 2 febbraio [Candelora!] 2005)
Fraternamente, FC (fra’ cercone fra’ birbone)“.

E la mia risposta, breve:

“Caro Fra’ Cercone & Fra’ Birbone,

Lei scrive ‘ignobilmente circuiti‘; e – concordando – mi verrebbe da chiedere; ma … qualcuno si chiede mai quale mai possa essere il motivo per cui qualcuno vuolecircuire‘ qualcun altro? … la risposta è facile facile, da non richiedere alcun commento da parte mia. Eppure, il ‘corto-circuito‘ continua, e tutti, ma tutti!, sorridono felici, beati, inebetiti, tanto i circuìti che i circuitanti… “… uh, guarda guarda, guarda qui … ma quant’è bello ‘sto ‘circuito‘ !

Poi: ‘o pappone è indigesto; ora che il Laboratorio mi ha portato pietanze buone e succose e mirabili, non posso che concordare. Manca l’Amor… del tutto; ma da lunga pezza. Pare uscito, nessuno lo ha visto, nessuno nemmeno ne parla. Più. E questo è disdicevole, una vera disgrazia. … Eh va beh!

L’Enchiridion del President di Bordeaux è un capolavoro senza pari, ma tutti lo leggono, e nessuno lo studia: ergo, i suoi fiori non vedono la luce negli animi di quelli che ‘leggono‘; figurarsi i frutti, quelli eterni. Rimasti tutti nel cassetto, pura teoria speculativa e simbolica, come proclamano i grandi dotti che animano i conclavi più o meno altisonanti di alchimia (scritto in minuscolo, et pour cause). Peccato.

Dei Voyages di Madame Hillel-Erlanger si parla sempre, a destra e a manca; per forza, è così exotique che fa eleganza blasée sciorinarne i versi; ma le informazioni in esso così ben incastonate, pur brillanti, non vengono colte; anzi, meglio non parlarne, si dice. Resta talvolta, qualche idiota (sedatelo subito, please! …) che sobbalza, for example, nel ‘leggere‘ del ‘bure‘. Ma un sobbalzo solo di qualche attimo, per carità, non c’è da preoccuparsi (la sedazione è rapida ed efficace; pare addirittura che dia piacevole e remunerativa assuefazione). Poi si torna a sviolinare, e a fare la moina di meravigliosa memoria parte napoletana e parte nopea. Posso sorridere con Lei, Messere, sulle ‘… pastilles platinées qui peuvent ensuite servir à un nombre illimité d’experiences’? Che vorrà dire? Peccato, un altro.”

Ecco ora il secondo intervento:

Caro B.,
A mio parere, Il Mistero delle Cattedrali è stato scritto due volte (almeno), o meglio, è stato scritto e poi riscritto.
Il problema è che le due versioni coesistono in un solo libro. Non solo, ma sono state anche accuratamente frammiste tra loro onde, mentre si parla, -già sotto chiave ovviamente-, di un procedimento, improvvisamente e senza alcuna premessa, viene inserita una frase o qualche parola riguardante un altro procedimento.
E non è tutto. Non bisogna dimenticare infatti che Fulcanelli è maestro nella Lingua degli Uccelli, la quale, basata esclusivamente su assonanze, è intraducibile. E sebbene Paolo Lucarelli di ciò faccia menzione, tuttavia, pur generoso al limite del lecito, e forse talvolta anche un po’ oltre, certamente si guarda bene dall’evidenziare i doppi e i tripli sensi, sparsi un po’ ovunque nel testo.
Permangono gli interrogativi di fondo.
Cosa ha spinto Fulcanelli a riscrivere il libro? Solo dopo aver ultimato il manoscritto si è forse accorto che si poteva far meglio? E si è dunque premurato di inserire nel testo le nuove acquisizioni? Oppure, ritenendo di essere stato troppo esplicito, ha voluto mischiare ulteriormente le carte?
In mancanza di risposta certa, mi astengo dal formulare ulteriori ipotesi.
Cerconescamente tuo, FC“.

Cui segue la mia seconda risposta, sempre breve:

“Caro FC,

Due volte!? … poffarbacco! ….’scritto e poi riscritto‘ !? … ma Lei è sicuro !? … non sarà che si tratta di un mucchio di note scritte da una pattuglia di nostalgici appassionati d’alchimia francese (la freccia indica “Bourges“, la cui Cattedrale – magnifica – non appare nel libro), nel quale solo uno – ancora nell’ombra – era quel genio supremo – vero indagatore, vero innamorato, enorme studioso, spirito scientifico senza pari, straordinario praticante – che scrisse le poche note degne della massima attenzione da parte di chi avesse voluto (uso il congiuntivo all’imperfetto, per un buon motivo) sul serio trovare il semplice bandolo della matassa operativa? La seguo sul ‘riscritto‘, capisco dove vuol andare a parare, perché esiste questa possibilità. Tuttavia, per parte mia, comincia a sorgere il sospetto che possa essere stato eventualmente riscritto fors’anche perché qualcuno del gruppo originario mai aveva capito quale fosse il senso vero e la meta operativa vera della Grande Opera; forse – e lo sussurro, ancora con una decina di dubbi – quel genio ancor sconosciuto ha voluto ‘togliere‘, piuttosto che ‘aggiungere‘, specie dopo i gran balli da Belle Epoque dell’Avenue Montaigne. Chissà … magari si era dispiaciuto di qualcosa? E non parlo di chi è venuto dopo quelli di Bourges, i quali hanno imboccato una strada vecchia, e davvero poco utile alla Antica Bisogna. Solo Paolo Lucarelli, scientifico alchimista di enorme caratura, ha compreso Fulcanelli, e gli altri – che lo osannano – credo non abbiano ben afferrato alcune cosette. Ma, naturalmente, è solo la mia povera opinione, tipo San Sebastiano … ça-va-sans-dire.

Sulla Langue des Oiseaux: a proposito di questa surreale invenzione, affascinante e meravigliosa, si parla di un altro genio fuor-del-suo-tempo, il beffardo ma sapientissimo Grasset d’Orcet, e con ragione. Assieme al Bretonissimo Monnier, che amava, e non poco, quella Langue, anche quel ricchissimo dandy, da me più che stimato, Monsieur Roussel,  era parte del Grand Jeau, sin dall’inizio. Se diamo fede alla nota missiva di Dujols a Roussel, Fulcanelli (che sarebbe Decoeur) richiede indietro la prima stesura dell’opera. Per qual motivo? … non che Roussel sapesse molto d’Alchimia, ma il suo saper giocare – e costruire succose assurdità, ma pertinenti – con parole e frasi è cosa ormai arcinota. Et alors ? …. La Cabala Fonetica appassiona tutti, è il miglior trucco per allontanare gli stolti; ma, concordo con lei, è tutta di lingua Franca; solo un Franco ingegnoso&ingegnere poteva escogitar la trappola a-doppio-effetto: le allodole le mandiamo per fratte, tutte contente per le ghiande e le granaglie, e gli svegli – ma debbono aver GIA’ operato sulla via vera, (e non quella falsa) – li aiutiamo un pochino, a patto che abbiano studiato con profitto l’Antica Scienza! Ripeto: … se l’opera è stata ‘ritirata & riscritta‘, ci deve essere stato un motivo, qualcosa di serio doveva essere successo. E qui … al momento, non possiamo che scrivere: ‘ignoramus‘; il che non toglie il fatto che un motivo – seriodeve esserci stato.”.

E, per finire, il terzo intervento:

“Fulcanelli still baffles me.
Lo dico in inglese, perché il verbo ‘to baffle’ non ha in italiano una traduzione adeguata. Significa allo stesso tempo confondere, causare perplessità, eludere e sconfiggere.
Più (ri)leggo Fulcanelli più aumenta la meraviglia, non tanto perché la sua identità terrena sia sfuggita a generazioni di curiosi che vanamente si sono affannati a darle un nome, quanto perché è riuscito ad eludere anche i suoi più stretti collaboratori. Tranne una, l’affascinante Irene Hillel-Erlanger, di cui poco si dice, perché poco si comprende. Non è curioso, –en passant-, che essa ebbe in sorte di condividere, a quanto è dato sapere, lo stesso fato di Nicolas Valois, soppresso anche lui da un’ostrica? Sotto quale polvere sono finiti Joel Joze col suo straordinario caleidoscopio, Gilly il fedele servitore, Vera e Grace? Giusto merito va qui dato a Archer, che non li ha dimenticati e dal suo bel sito ci rammenta: « Sous le couvert d’une fiction surréaliste, l’Auteur dévoile les plus Hautes Secrets de l’Hermétisme Trascendent. Mais ne les déchiffre pas qui veut…. »
Non avendo la vocazione di San Sebastiano, ho esitato a lungo prima scrivere, ma come sempre confido nella Sua clemenza.
E’ forse peccato di lesa maestà additare ai novizi l’incolmabile distanza che separa le Il Mistero dalle Dimore? O il Maestro dall’allievo, o meglio, dai suoi contemporanei? E’ forse riprovevole avvertire gli esordienti, metterli in guardia e, gettando acqua sulla loro ardente fede, ma cieca, risvegliarli dal torpore che li avvolge?
Fulcanelli appare più interessato al futuro che al presente. Il suo “Or du Temps” resiste, inerte come un seme sotto terra, alle illazioni ventilate a più riprese su di lui, per rinascere ai posteri, più vivo che pria. Fulcanelli s’eclissa, discretamente, dalla scena terrena del suo tempo, agitata da scomposte correnti sotterranee e imbrigliata nei vani orpelli della Ville Lumière fin de siècle. Torna donde è venuto. E lascia privi di guida una discreta schiera di apprendisti.
La maggior parte di essi, orfani della sua dipartita, hanno fatto a gara a chi la sparava più grossa. Lui, sornione, li osservava divertito dal suo retroscena privilegiato.
Mentre essi, certamente eruditi, fin troppo, sciorinavano dottrine passandole per oro colato. All’ombra del Maestro, e nascosti dietro a quella Sfinge che sormonta il frontespizio del Mistero, con finta sicumera finsero conoscenze che non possedevano. Ne nacque un garbuglio che ancor oggi getta i neofiti nella più profonda confusione. Un labirinto dal quale occorrono ben più dei fatidici quaranta dì e quaranta notti per uscirne vivi, come nella canzone: ‘Ma mi, ma mi, ma mi, quaranta dì, quaranta nott, A San Vittur a ciapaa i bott, dormì de can, pien de malann…’
Il Tempo, come sempre galantuomo, renderà giustizia.
Fulcanelli still baffles me.
Con osservanza, spero, FC“.

Cui segue la mia ultima risposta, pur breve:

“Caro FC,

sul ‘bafling‘ non ho dubbi a crederle, dato che ho letto e (ri)letto Fulcanelli alcune centinaia di volte, sempre restandone ammirato, perplesso e sorpreso, talvolta accigliato. Su Madame Hillel-Erlanger ho già detto qualcosa poco sopra, e le dirò che l’episodio della morte-per-ostrica mi ha sempre fatto sganasciare dalle risate; poi, Valois, … lei crede che qualcuno lo abbia letto nel suo Francese antico? … dico meglio: studiato!? … compreso, almeno un tantino!? …. guardi che Valois era uno dei pochissimisi cinque o sei – in venti e passa secoli – che ha detto il vero, e che ha percorso l’operatività ‘naturale‘, quella semplice, dove la evidente prospettiva della Pierre Philosophale – posta sempre in primo piano – ‘baffles‘ la parata di stolti che ancora oggi credono che il detto ‘Una Res, una Via, Una Dispositione‘ sia una dotta affermazione da retori, piuttosto che da appassionati alchimisti. Mi è capitato di incontrare persone che ancora non si sono rese conto di cosa mai possa essere la ‘Dispositionem‘; come anche quelli – e sono un mucchio – che ancora oggi, al giorno d’oggi, in Italia come altrove, parlano della Pietra Filosofale come della vera meta della Grande Opera!

Ma forse, temo, non sono affatto interessati ad approfondire la Conoscenza dei processi di Madre Natura. Ma non mi dilungherò su questo. Per ora.

Quanto al peccato di lesa maestà: ebbene, ritengo che sia il sottoscritto che Lei verremo – se già non lo siamo stati – accusati di tal gravissimo peccato. Urbi et orbi.

Peccato che una tal maestà non esista sulla faccia della terra, per non parlare di Bellatrix, tanto meno nel Regno dell’Alchimia, dove il Re, un Roi qualsiasi, – a parte quello delle metafore -, non potrebbe mai aversi: c’è solo una Reine, Dame Alchimie. Non uomini, ma Madre Natura. Eppure, ne sono certo: il solo presupporre che si possa parlare con pacatezza di tutte quelle ‘incolmabili distanze‘ che lei amabilmente indica (tutte!) farà alzar sopracciglia a molti, sentiremo molti soffiarsi il naso, molti altri guarderanno con altera sufficienza chi osasse sollevar la lampada su quanto si va dicendo, molti si offenderanno, e spareranno cannonate balanzoniche. E siccome non temo, con Gaia Scota postura, faccio mie le sue parole:

Fulcanelli s’eclissa, discretamente, dalla scena terrena del suo tempo, agitata da scomposte correnti sotterranee e imbrigliata nei vani orpelli della Ville Lumière fin de siècle. Torna donde è venuto. E lascia privi di guida una discreta schiera di apprendisti. La maggior parte di essi, orfani della sua dipartita, hanno fatto a gara a chi la sparava più grossa. Lui, sornione, li osservava divertito dal suo retroscena privilegiato.

Mentre essi, certamente eruditi, fin troppo, sciorinavano dottrine passandole per oro colato. All’ombra del Maestro, e nascosti dietro a quella Sfinge che sormonta il frontespizio del Mistero, con finta sicumera finsero conoscenze che non possedevano. Ne nacque un garbuglio che ancor oggi getta i neofiti nella più profonda confusione.‘.”

Concludo con un’allegra raccomandazione, ai giovani; che spero ancora incontaminati: non credete a nulla, tantomeno a noi, ma piuttosto ponetevi sul cammino della Conoscenza di Madre Natura, e al più presto; con tutta la vostra Force, dotatevi prima di un solidissimo e continuato bagaglio tratto dallo studio tenace della Philosophia Naturalis; poi, solo dopo, procedete a mettere in pratica quanto riterrete di aver appreso; aprite il vostro Laboratorio; poi mettetevi in testa che sarà assolutemente necessario salire – e per lunghissimo tempo –  sul trenino quotidiano che porta dai Libri al Laboratorio, poi dal Laboratorio ai Libri, e di seguito così, ogni santo giorno. Sappiate che il cammino che avete intrapreso sarà lunghissimo (decenni, … eh sì!), e che dovrete necessariamente cambiare la vostra visione della vita, radicalmente e per sempre; in effetti, il Laboratorio lo proverà man mano che proseguirete, le cose non stanno come crediamo. La via è semplicissima, e per questo è difficilissima. Non fatevi raccontar balle, nè dagli uomini, nè dai libretti & libercoli, ma procedete con assoluta tenacia a ri-studiare, tutto. La Philosophia Naturalis è sconosciuta persino a chi dice di ‘fare‘ Alchimia; senza di essa, senza quella LUX, approderete a porti fantasma e alle famose – infauste – lucciole per lanterne. Siate indagatori del finissimo e del più che sottile (che non significa ‘sottigliezza’, bensì per minima, quello del Trevisano, di Philalethe e di Santinelli), ma sbarazzatevi sin dall’inizio di chi vi parla di mistica, speculatività, simbolismo, amiccamenti, scorciatoie, io-ho-capito-tutto-e-ti posso-iniziare, e tutte le amenità inventate per secoli da chi ha tentato – molto spesso con successo –  di impadronirsi dell’Arte per irretire gli ingenui e limitare la vostra libertà di indagine. Siate puri, e Gai, ma … sempre veri, onesti, tenaci. Non mollate, non cedete – mai – al Canto delle Sirene.

Per questo, per mettersi in questo Gioco, occorre Passione, Amore, Fratellanza Antica, Umiltà, Allegria, Coraggio.

L’Alchimia è vera, e porta alle Stelle.

Punto.

Le cri de l’Alcyon, … et du Cygne rôti, s’il vous plaît.

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Monday, May 11, 2020 by Captain NEMO

Come l’uccello di cui porto il nome, sono apparso a Nantes al solstizio d’inverno, messaggero che annuncia la calma e la pace ai naviganti lanciati sul mare del mondo. gettando attraverso l’aere il grido perforante ripetuto dagli eco, una delle sue grida che emozionano e che fanno sognare questi uccelli sacri che gli antichi chiamavano lingue e che li consideravano come gli interpreti del cielo.“.

Così si presenta Alcyon, alias Pierre Aristide Monnier: è un Bretone, orgoglioso della sua origine celtica, studioso della tradizione di quella terra singolare, fervente cattolico, Realista legittimista, profondo studioso del greco, dell’ermetismo, di alchimia e dell’opera di Michel de NostreDame. Alcyon viene dal greco ἀλκυών:  l’Alcyon Atthis è proprio il variopinto Martin Pescatore, il Martin Pecheur, l’Eisvögel, il KingFisher. Il Mito ci informa che Alcione era una delle figlie di Eolo, e sposa di Ceice; i due si amavano così tanto che si vezzeggiavano tra loro con il nome di Zeus e Hera, ed Alcione era così bella che veniva spesso scambiata dai pastori per Artemide (la latina Diana); ovviamente Zeus, Hera e Artemide montarono su tutte le furie e – detto fatto – una tempesta marina causò l’annegamento di Ceice, così che la bella Alcione, straziata dalla morte dell’amato sposo, si gettò in mare da una rupe per raggiungerlo: Zeus – mosso da una tardiva pietà – li tramutò così in uccelli dalla livrea magnifica. Il loro nido, però, costruito nei pressi del mare, era continuamente distrutto dalle onde; una seconda mossa pietosa del Re dell’Olimpo placò così il mare per sette giorni prima e sette giorni dopo il solstizio d’inverno, così che le uova degli Alcioni potessero schiudersi: questi quindici giorni vengono ancor oggi ricordati come ‘i giorni d’Alcione‘, giorni di pace e tranquillità. Atthis, inoltre, viene dal greco Ἁκταία, Actæa (meglio conosciuta come Attica) che indica la riva del mare. Troppo poetico? Forse, ma questa ποίησις pare aleggiare anche nel brano del Bretone Monnier.

Con lo stesso spirito, Monnier in un suo scritto indica all’artista che poco prima della morte alchemica dell’aquila e del leone, cioè del combattimento delle due nature, si ode – sottile ma penetrante – un suono, o forse un canto, della materia, che assomiglia a quel grido dell’Alcyon.

D’altro canto, con pari lirismo Canseliet – a proposito di un sifflement – commentò la VI Chiave di Basilio Valentino:

… Cette distillation sèche est attestée par les deux profils flammés et par le vieillard versant l’eau de la mer que rappelle le trident de Neptune, tandis que le cygne, plus discrètement, en marque le détail sonore. Celui-ci constitue la plus sûre indication que l’artiste puisse obtenir de la pratique naturelle et philosophique. C’est ce signe bruyant qui sert de jalon et de point de repère dans la conduite régulière du travail; …. De nouveau, nous solliciterons la décoration du couvent de Cimiez, dans l’une des petites peintures des corridors représentant le bel oiseau, que nous voyons orner, de sa blancheur et de sa majesté, les calmes eaux de nos étangs. Le cygne a toujours été regardé, par les alchimistes, comme un emblème du mercure; il en a la couleur et la mobilité, ainsi que la volatilité proclamée par ses ailes. Au monastère franciscain, la devise latine dégage l’ésotérisme de l’image;

DIVINA SIBI CANIT ET ORBI

Il chante divinement pour soi et pour le monde.

Ce sifflement, qui ne manque pas de surprendre l’opérateur à ses débuts, est nommé le chant du cygne (le signe chantant), parce que le mercure, voué à la mort et à la décomposition, va transmettre son âme au corps interne issu du métal imparfait, inerte et dissous.“.

La versione francese di Canseliet di questa Sesta Chiave, tradotta dal latino (Maier,  nel suo Tripus Aureus del 1618), recita:

L’homme double igné doit se nourrir d’un cygne blanc; ils se détruiront mutuellement et, de nouveau, reviendront a la vie. Et l’air des quatre parties du monde s’emparera des trois quarts de l’homme igné enfermé[1], afin que le chant du cygnes puisse être entendu et, de leur adieu, les tons musicaux exprimés. Alors le Cygne rôti sera le repas du Roi et le Roi igné aimera beaucoup la voix agréable de la Reine, l’embrassera de son grand amour et se rassasiera d’elle jusqu’à ce qu’ils disparaissent tous deux et se fondent ensemble en un corps.“.

Per completezza, riporto il Latino della versione di Maier:

In Italia, l’edizione di Canseliet è stata tradotta da Paolo Lucarelli per le Edizioni Mediterranee.

Curiosamente, in Araldica il Cigno, quando è rappresentato su un nido flottante, viene spesso chiamato Alcione.

Ed a proposito del ‘candido cygno‘, di questo Mercurio che – nelle parole del Maître di Savignies – muore e si decompone, per ‘trasmettere la sua anima al corpo interno generato dal metallo imperfetto, inerte e dissolto‘, val la pena di notare che Paolo Lucarelli ha tradotto il termine ‘issu‘ con ‘generato‘, quando la traduzione più semplice e comune è ‘uscito‘. Questo mercurio-cigno, che canta la propria morte nel ‘trasmettere‘ la sua anima al corpo interno generato dal metallo imperfetto – poco prima del Matrimonio del Re e della Regina – è di un colore evidentemente bianchissimo; ecco come Bernardo Trevisano lo descrive al termine di una serie di sublimazioni, in un procedimento da lui chiamato ‘Primo Grado‘ [come sempre, occorre prudenza nel mettere in corrispondenza i passi di diversi autori, di diverse epoche; e riflessione]:

Ti dico dunque, chiamando Dio come testimone di questa Verità, che questo Mercurio – essendo stato sublimato – è apparso Vestito di una bianchezza così grande, come quella della neve delle alte Montagne, sotto uno splendore sottilissimo e cristallino, dal quale usciva, all’apertura del Vaso, un odore così dolce che non se ne trova di simile in questo Mondo. Ed io, che ti parlo, so che questa meravigliosa bianchezza è apparsa ai miei occhi; che ho toccato con le mani questa sottile cristallinità, e che ho sentito questa meravigliosa dolcezza con il mio olfatto, della quale piansi di gioia, stupefatto di una cosa così mirabile.“.

[da: La Parole Délaissée, in Œuvre Chymique de Bernard le Trevisan- Trédaniel, p. 86]

Canseliet  – forse? – non conosceva l’esistenza e/o l’opera di Monnier, ma di certo la materia ‘canta‘ durante alcuni procedimenti per così dire ‘classici’ dei lavori alchemici. En passant, a proposito del Cigno, ne Les Demeures Philosophales (vide il capitolo Grimoire du Chateau de Dampierre, Serie 7, Cassone 5) Fulcanelli indica che il bianco uccello, trafitto al collo da una freccia, possiede le qualità del ‘mercure initial‘, o ‘notre eau dissolvante‘; nel merito, l’Adepto francese espone il proprio punto di vista sul poco conosciuto enigma dello ‘zolfo doppio‘.

Dato che Le Dimore Filosofali peccano di una traduzione spesso distratta se non imprecisa, riporto il passo con la mia personale traduzione:

“Cassone 5 – Un cigno, maestosamente posato sull’acqua calma di uno stagno, ha il collo attraversato da una freccia. Ed è il suo ultimo lamento che ci viene riportato dall’epigrafe di questo piccolo soggetto graziosamente eseguito:

.PROPRIIS.PEREO.PENNIS.

Muoio per mezzo delle mie proprie penne. L’uccello, in effetti, fornisce una delle materie dell’arma che servirà ad ucciderlo; l’impennaggio della freccia, che ne assicura la direzione, la rende precisa, e dato che le piume del cigno svolgono questa funzione, contribuiscono così a perderlo. Questo magnifico uccello, le cui ali sono emblematiche della volatilità, e la cui nivea bianchezza è l’espressione della purezza, possiede le due qualità essenziali del mercurio iniziale o della nostra acqua dissolvente. Sappiamo che deve essere vinto dallo zolfo – uscito dalla sua sostanza e che lui stesso ha generato, – al fine di ottenere dopo la sua morte quel mercurio filosofico, in parte fisso e in parte volatile, che la susseguente maturazione eleverà al grado di perfezione del grande Elixir. Tutti gli autori insegnano che si deve uccidere il vivo se si desidera resuscitare il morto; è il motivo per cui il buon artista non esiterà a sacrificare l’uccello di Hermès, ed a provocare la mutazione delle sue proprietà mercuriali in qualità solforose, poiché ogni trasformazione resta sottomessa alla preventiva decomposizione e non può realizzarsi senza di essa.

Basilio Valentino assicura che ‘si deve dar da mangiare un cigno bianco all’uomo doppio igneo’, e, aggiunge, ‘il cigno arrostito sarà per la tavola del re‘. Nessun filosofo, a nostra conoscenza, ha sollevato il velo che ricopre questo mistero e ci chiediamo se è opportuno commentare parole così significative. Tuttavia, ricordandoci dei lunghi anni durante i quali abbiamo noi stessi sostato davanti a questa porta, riteniamo che sarebbe caritatevole aiutare il lavorante, arrivato sin qui, a varcarne la soglia. Tendiamo dunque una mano soccorrevole e scopriamo, nei limiti permessi, quel che i più grandi maestri hanno ritenuto prudente mantenere riservato.

É evidente che Basilio Valentino, nell’impiegare l’espressione uomo doppio igneo, intende parlare di un principio secondo, risultante da una combinazione di due agenti di complessione calda e ardente, aventi, di conseguenza, la natura degli zolfi metallici. Per cui si può concludere che, sotto la denominazione semplice di zolfo, gli Adepti, ad un momento dato del lavoro, concepiscono due corpi combinati, dalla proprietà simili ma di specificità differente, presi convenzionalmente per uno solo. Ciò posto, quali saranno le sostanza capaci di cedere questi due prodotti? Una tal domanda non ha mai ricevuto risposta. Tuttavia, se si considera che i metalli hanno i loro rappresentanti emblematici raffigurati da delle divinità mitologiche, sia maschili, che femminili; che traggono quelle particolari corrispondenze dalle qualità solfuree sperimentalmente riconosciute, il simbolismo e la favola saranno in grado di gettare qualche chiarezza su queste cose oscure.

Tutti sanno che il ferro e il piombo sono posti sotto la dominazione di Arès e Chronos, e che ricevono le rispettive influenze planetarie di Marte e Saturno; lo stagno e l’oro, sottomessi a Zeus e Apollo, sposano le vicissitudini di Giove e del Sole. Ma perché Aphrodite e Artemide dominano il rame e l’argento, soggetti di Venere e della Luna? Perché il mercurio è debitore della sua complessione al messaggero dell’Olimpo, il dio Hermés, sebbene sia sprovvisto di zolfo e adempia alle funzioni riservate alle femmine chimico-ermetiche? Dobbiamo accettare queste funzioni come veritiere, e non ci sarebbe[2], nella ripartizione delle divinità metalliche e delle loro corrispondenza astrali, una confusione voluta, premeditata? Se fossimo interrogati su questo punto, risponderemmo affermativamente senza esitare. L’esperienza dimostra, in modo certo, che l’argento possiede uno zolfo magnifico, altrettanto puro e splendente di quello dell’oro, senza averne, tuttavia, la fissità. Il piombo fornisce un prodotto mediocre, di colore quasi uguale, ma poco stabile e assai impuro. Lo zolfo dello stagno, netto e brillante, è bianco e farebbe mettere questo metallo piuttosto sotto la protezione di una dea che sotto l’autorità di un dio. Il ferro, per contro, ha molto zolfo fisso, di un rosso scuro, opaco, immondo e così difettoso che, malgrado la sua qualità refrattaria, non si saprebbe proprio per che cosa utilizzarlo. E tuttavia, eccettuato l’oro, si cercherebbe invano, negli altri metalli, un mercurio più luminoso, più penetrante e più maneggevole. Quanto allo zolfo del rame, Basilio Valentino ce lo descrive molto esattamente nel primo libro delle sue Douze Clefs[3]: ‘La lasciva Venere, dice, è ben colorata, e tutto il suo corpo non è quasi che tintura e colore simile a quella del Sole la quale, a causa della sua abbondanza, tende grandemente al rosso. Ma dato che il suo corpo è lebbroso e malato, la tintura fissa non può dimorarvi, e, morendo il corpo, la tintura perisce con esso, a meno che essa non sia accompagnata da un corpo fisso, dove possa stabilire il suo posto e dimora in modo stabile e permanente.’.

Se si è ben compreso quel che vuole insegnare il celebre Adepto, e se si esaminano con cura i rapporti esistenti tra gli zolfi metallici ed i loro simboli rispettivi, non sarà difficile ristabilire l’ordine esoterico conforme al lavoro. L’enigma si lascerà decifrare ed il problema dello zolfo doppio sarà facilmente risolto.“.

Così, gira che ti rigira, il lettore accorto – ma anche il ‘lavorante’, ancor più accorto – dovrà ben riflettere su questa bizzarra vicenda del Cigno arrostito che dovrà essere servito alla tavola del Re: se l’identità del Cigno è manifesta, la questione del ‘doppio uomo igneo‘ (lo ‘zolfo doppio‘) apparirebbe risolta; eppure … eppure … eppure … si può davvero esser certi che Monnier, Canseliet e Fulcanelli non abbiano forse conservato una puntina di sana invidia?

Lo potremo valutar meglio – forse – in una prossima puntata!

Note:

[1] Nota di Canseliet: “… tres quartas ignei viri inclusi occupabit … Variante: … occupera les trois quarts du receptacle fermé de l’homme igné …“.

[2] La frase è interrogativa-dubitativa, e dunque in italiano si potrebbe meglio esprimere come ‘…, e non ci sarebbe forse…‘.

[3] [NdA] Les Douze Clefs de la Philosophie. Texte corrigé sur l’édition de Francfort; Editions de Minuit, 1956, p.86.

Du Feu & du Sel … un viaggio.

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Il Capitolo Settimo dell’Alchimie expliquée sur ses textes classiques – edita da Eugène Canseliet nel 1972 – è intitolato ‘Le Sel des Philosophes‘, ed è uno dei brani più interessanti per chi studia e pratica Alchimia. In tutta evidenza, se è chiaro che anche Canseliet ha sempre sostenuto che lo studio dei buoni testi fosse indispensabile per un proficuo supporto all’esperienza del Laboratorio, è altrettanto chiaro che ciò di cui ha voluto parlare non è certo da prendere alla lettera, come è usanza per chiunque abbia una qualche dimestichezza con il metodo con cui Conoscenza ed esperienza vengono condivise e trasmesse a chi percorre la stessa Via operativa. Torniamo al Capitolo Settimo: il titolo chiarisce che l’oggetto delle considerazioni dell’autore non è in alcun modo il sale comune, ma il ‘Sale dei Filosofi‘, che è – nei fatti – l’attore principale del semplice processo alchemico. Di più: quel ‘Sel‘ di cui parla il Maitre de Savignies non è – e molti ne rimarranno forse sorpresi – nemmeno quel composto chimico che risultasse dalla reazione tra il tartaro e nitro; pur curioso nelle sue qualità, per chi le avesse sperimentate all’Opera, esso è ben lontano da quel  ‘Sel des Phiosophes‘ di cui parlava più di quarant’anni fa Canseliet. Certo, da assiduo sperimentatore quale era – una appassionata assiduità di cui il famoso processo sulla surfusione del piombo ne fu la prova provata – avrà senza dubbio inizialmente ritenuto che quella unione ‘ana‘ potesse essere preziosa: in effetti, la necessità di buoni ‘fondants‘ lungo la via spagirica dei metalli, mostra  all’Artista attento – nel corso della pratica ripetuta centinaia di volte – degli indizi che potrebbero risultare estremamente utili nel corso dei propri studi e delle proprie esperienze: ma occorre un profondo senso dell’osservazione sperimentale , una passione radicata nella Conoscenza della Teoria Alchemica – la quale è Scienza e Arte dei processi della Creazione della Materia, e non certo una tecnica soltanto, banalmente, trasmutatoria mirata all’ottenimento di una o più Pietre – e una abitudine costruita negli anni a verificare sempre nella pratica quella Teoria, più antica del nostro mondo. Nel corso del proprio cammino di studio e pratica l’Artista modula e raffina sia la tecnica che l’operatività: e si accorge che il famoso monito ‘Una Res, una Via, una Dispositione contrasta talvolta con quel che sta cercando di mettere in pratica: e qui, la riflessione, la meditazione profonda sui testi e sui propri appunti di Laboratorio – oh, quanto preziosi -, si rivela – talvolta – esiziale; l’Artista deve studiare Madre Natura nel suo più intimo procedimento della Creazione, e – per l’appunto – è quella peculiare substantia che chiamiamo ‘Sel’ che svolge il ruolo chiave in Creazione negli Universi; e dunque, nel crogiolo alchemico posto nel forno. Quel Sale ha ricevuto una miriade di nomi, frutto dell’acume e dell’ingegno di chi ha studiato e praticato lungo quella Via. Canseliet ne ricorda molti ai suoi lettori: personalmente, credo che sia corretto parlarne come il ‘Sel de Pierre‘, meglio ancora come il ‘Primum Ens dei Sali‘ di Philalethe; più che il nome, quel che conta davvero è la sua funzione, poiché è la funzione di una substantia ciò che la caratterizza nella Creazione di Materia, sia essa in accadimento all’interno di una stella o nel crogiolo alchemico: se l’Artista volesse cogliere meglio quel che cerco di spiegare (perdonate, facile non è spiegare! … direbbe Yoda), quel monito capitale ‘Una Res, Una Via, una Dispositione potrebbe render conto del fatto – sperimentale! – che una stessa sostanza usata in contesti operativi diversi svolge una funzione diversa. Naturalmente non sto parlando di chimica, né di fisica; ma di Alchimia e di Physica, che oggi – chissà perché – nessuno ama più studiare; figurarsi sperimentare.

Prima di proseguire, credo utile esaminare meglio quel Capitolo sul ‘Sel des Philosophes‘, anche alla luce di quanto riportato in un commento del mio Post sulla curiosa medaglia coniata da Herr Friedrich Kleinert (qui), il quale era un appassionato alchimista in quel di Nuremberg, cui il giovane Leibnitz si rivolgeva con una certa riverenza. L’emblema che ha attirato l’attenzione di Madame Compostellae a quanto scritto dall’ottimo e sagace Fra’ Cercone figura per l’appunto all’interno del Capitolo Settimo ed è – secondo quel che scrive Canseliet – ‘La petite vignette, qui éclaire le titre de l’admirable Traité du Feu et du Sel’ di Blaise de Vigenère; eccola:

Traicte du Feu & du Sel – 1642

Il trattato in cui figura la famosa vignetta fu pubblicato nel 1642 a Rouen; tutti conoscono la giusta passione di Canseliet per l’Editio Princeps di un trattato antico; ma questo famoso e ottimo trattato, ritrovato dopo la morte di de Vigenére, fu in realtà edito per la prima volta nel 1618 a Parigi, e questo è il suo frontespizio:


Traicte du Feu & du Sel – 1618

Probabilmente Canseliet scelse la ‘Derniere Edition reueuë & corrigee‘ perché gli era utile per ciò che intendeva esporre a proposito del ‘Sel’; l’emblema dell’edizione del 1642 raffigura il putto-parvulo con una mano che tiene un nastro che sorregge la pietra squadrata, mentre con l’altra indica il Re tra le nubi aperte (si deve notare che questa sua mano destra è ‘alata’); il putto è in piedi su una sommità erbosa, cui fa da sfondo uno specchio d’acqua, con un albero radicato su un promontorio sulla destra di chi guarda. Il motto recita ‘Paupertas summis ingeniis obesse ne provehantur‘, e viene tradotto da Canseliet come ‘La pauvreté nuit aux meilleurs étudiants, de sorte qu’ils n’avacent pas‘. Ai quattro angoli figurano i tre gigli di Francia, una croce greca, il quatre-de-chiffre dell’incisore, e l’Agnus Dei. La didascalia della Pl. XIII recita: ‘Que des confidence Blaise de Vigenère n’aurait pas faites, dans son traité inestimable, qu’il gardait pour lui seul, s’il avait pu prévoir que cet ouvrage fut tout de suite trouvé après sa mort. Ce petit cartouche de titre est assez éloquent du lieu, inaccessible à l’ordinaire, d’ou l’alchimiste reçoit son sel et son feu Philosophiques et secrets.‘.

Se l’Artista volesse esaminare la vignetta del’Editio Princeps del 1618, osserverebbe un uomo-pastore, inginocchiato e forse pregante, posto a sinistra di un ara sacrificale su cui un agnello arde in un fuoco che lo avvolge, il cui fumo sale verso le nubi dalle quali, aperte in due, appare un piccolo Re coronato e radiante; l’altare reca sulla faccia frontale una stella a sei punte (con due lambelli), nel cui centro è raffigurato il simbolo del Mercurio, il tutto ambientato in una campagna bucolica, con ovini che brucano l’erba e quel che sembra una fascina accanto al sacrificante. Il motto recita: ‘Sacrum pingue dabo nec macrum sacrificabo.‘. Si tratta evidentemente di una rappresentazione del sacrificio al Signore da parte di Abele (si noti che il motto, se letto al contrario, rappresenterebbe quello di Caino), ma quel ‘mercurio’ non dovrebbe far parte di questa iconografia biblica. De Vigenére, diplomatico e famoso crittografo, morì nel 1596 e la vignetta dell’ Editio Princeps del 1618 di Parigi fu scelta da Françoise de Louvain, la vedova di L’Angelier, il quale si chiamava Abel; entrambi i coniugi Angelier erano appassionati editori alla corte di Parigi, ma che dire di quel simbolo?

La ‘Derniere Edition‘ del 1642, quella segnalata da Canseliet, fu edita a Rouen da Jacques Caillou(e): ma – forse – Canseliet ritenne di non parlare dell’Editio Princeps per motivi suoi; questo metodo di ‘dire e non dire‘, ‘guarda qui e non là‘, che fa disperare i neofiti – e che induce molti a pensare che i testi non siano degni di esser studiati – venne naturalmente adottato anche da Canseliet (e non solo in questo suo testo del 1972), il quale – ovviamente – scrive nel Capitolo Settimo: ‘A livello sperimentale gli alchimisti mantennero nei riguardi del sale una discrezione impenetrabile e feroce‘. Fu anche questo metodo, assieme alla ‘pelosa’ venerazione da parte della sua corte di contemporanei francesi, che in qualche modo infastidì il giovane ed inesperto Jean Laplace, il quale – al contrario del maestro – non amava i troppi orpelli, le troppe trappole-per-gli-ingenui, che impedivano ai giovani di avvicinarsi all’Alchimia; sed de hoc satis.

Dopo De Vigenére, il buon Maitre de Savignies sostenne il suo discorso con brani tratti da Altus, Basilio Valentino, naturalmente Fulcanelli (in questo contesto, da Le Dimore Filosofali), Sethon, Sendivogius, Lemery, De Saint-Didier, De Copponay de Grimaldy, Digby, Crassellame, Philalethe, Gosset, et alia. In effetti, l’argomento meritava queste citazioni preziose, nel tentativo più che caritatevole di fornire allo studente innamorato una messe di spunti da approfondire, di aspetti su cui meditare. Si tratta, senza dubbio, di uno dei capitoli più belli, importanti e preziosi del libro del 1972, ed il cui valore è di primissimo piano. Tuttavia, proprio perché Canseliet va studiato – come ogni autore – cum grano salis, proverò a segnalare alcuni passi che magari appaiono scontati, ma che sono a mio avviso piuttosto utili alla ricerca del bandolo della matassa che avvolge quel benedetto ‘Sel des Philosophes‘:

… il sale appare costituito in parte di sostanza fissa, in parte di materia volatile. Si sa, in chimica, che i sali, formati da un acido e da una base, rivelano, nella loro decomposizione, la volatilità del primo così come la fissità dell’altro. Poiché il sale partecipa nel contempo del principio mercuriale per la sua umidità fredda e volatile (aria) e del principio solforoso per la sua secchezza infuocata e fissa (fuoco), serve dunque da mediatore tra i componenti solfo e mercurio del nostro embrione.“.

La citazione chimico-fisica – tratta da Fulcanelli, Les Demeures Philosophales, tome II, p. 82 – merita che si sottolinei: la ‘sostanza fissa‘ e la ‘materia volatile‘, poi l’inciso ‘nella loro decomposizione‘, e la presenza contemporanea di un’aria cui soggiace un’acqua, e di un fuoco cui soggiace una terra. E ci si ricordi che chimica e Alchimia non hanno nulla da spartire: non tutto è quel che sembra. Inoltre, si dice qui – in questo contesto! – che il sale ‘serve‘ da mediatore tra zolfo e mercurio ‘del nostro embrione‘.

La confusione è molto più difficile da dissipare, quando i Filosofi considerano il sale che corrisponde al terzo principio, nell’intimo stesso del minerale o del metallo. Cosicché il neofita non dovrà sperare, come la logica sembrerebbe autorizzare a tutta prima, che sarà informato sulla sostanza che esaminiamo dal Trattato del Sale di Alexander Sethon. La discriminazione pretende sicuramente tempo e sforzo.“.

Questo è un aspetto cruciale: si parla qui di una ‘cosa’ che è nell’intimo di qualcosa, sia quest’ultima minerale o metallo; intimo è ‘in-tumus‘, ciò che “è” più-che-dentro. Non appare; e per dargli eventualmente  ‘parvenza’ occorre il tempo e lo sforzo.

Segue poi la descrizione del sale da parte del Cosmopolita:

… ce précieux Sel blanc comme neige, qu’il puisse puiser l’eau vive du Paradis, & qu’il puisse avec icelle préparer la teinture Philosophique …“.

Canseliet avvisa che tale indicazione sarà utile a chi abbia già conoscenza della fontaine du sel !

Segue – dopo la famosa frase ‘Notre sel, ou, si l’on préfère, notre fondant, est double parce qu’il est physiquement composé de l’addition ana de deux sels différents …‘ – la citazione dal Mutus Liber delle tavole VIII e XI con i simboli del tartaro e dell’ammoniaco-harmoniaco; poi: ‘Il figlio della scienza noterà che il triangolo e i suoi tre steli lanceolati, che esprimono la feccia del vino solidificata, designano anche lo zolfo filosofico, così come d’altra parte mostra la tavola presa dal Course de Chymie di Nicholas Lemery.‘ (mia traduzione). Ecco la tavola in questione:

Lemery, Course de Chymie, 1756

A seguire: ‘Ce n’est sans doute pas pour rien, que notre salpêtre fondu – sal petræ, sel de pierre – en sa blancheur d’émail, est appelé le cristal minéral .. Mais l’alchimiste n’ignore plus, que notre adjuvant salin, notre médiateur, est constitué du mélange de deux composés oxygénés, lesquels sont, par là même, le feu des sages..‘. Paolo traduce giustamente quel salpêtre come salnitro, ma può valer la pena riflettere oltre. Inoltre, cos’è uno smalto? E, sempre scansando la chimica, perché si parla di ‘ossigenato’? Come si ‘ossigena’ in Alchimia? Dice inoltre Canseliet, che è proprio per questo artificio  che quei due composti – opportunamente mescolati – ‘sono’ … il fuoco dei saggi (!). Consiglio di non saltar subito alle conclusioni, sebbene anche questo sia un punto cruciale, molto caritatevolmente posto in non-evidente-evidenza.

E poche righe prima della notissima citazione di Limojon sulla ‘natura della calce’ di questo fuoco, Canseliet afferma che l’artista lo dovrà conservare ‘… così come l’avrà estratto dal mezzo che lo ha generato, con la più grande diligenza.‘. Sottolineo il ‘mezzo che lo ha generato.‘.

Si passa poi al magnifico testo di de Copponay de Grimaldy, con il famoso brano sul Nitro celeste, le cui frasi si riferiscono, scrive Canseliet, ‘au premier aidant salin‘.

Segue poi l’altrettanto famoso brano sul Salium Ens Primum di Philalethe, dove giustamente Canseliet avverte della onestà delle affermazioni dell’Adepto Inglese, a dispetto dell’assurda frase sulla relazione tra calore esterno ed interno.

Stabilito che si è che il nitro possa essere arricchito con il suo isomero celeste, si passa poi al secondo composto; ancora Limojon ed il Cosmopolita per indicare che è dalla nostra rugiada che si può trarre il Sal petra Philosophorum, fino ad arrivare alla auspicata conclusione: il Vitriol des Philosophes.

Qui, credo che l’avvertimento sia d’obbligo: non tutto è quel che sembra. Per andar dritto, talvolta occorre una curiosa deviazione. Impercettibile, ma esiziale.

Terminata questa escursione sul Capitolo Settimo, della cui lunghezza mi scuso, ma che spero possa essere di una qualche utilità per chi cerca con cuor allegro e privo dei soliti pregiudizi, torno alle considerazioni di Madame Compostellae: concordo che quell’emblema sia coerente con quanto raffigurato sul verso della medaglia di Herr Kleinert; mentre la invito a considerare ancora una volta il contesto dell’operatività suggerita tanto dalla medaglia che dalle due (due) curiose vignette di cui ho tenuto a parlare, le ricordo che quel putto dell’emblema del 1642 non è alato: è la mano destra ad essere alata e indica l’alto, mentre l’altra è per Natura appesantita dalla gravitas di quella ‘cosa’ (lei dice che è salina?  … uhm; forse sì, forse no; dipende, per l’appunto dal contesto funzionale). Chi è davvero alato è quel tipo tra le nubi dell’emblema del 1618, che è d’altro canto rappresentato in alcuni emblemi (in altri testi, non alchemici) pubblicati dall’atelier L’Angelier sia come un angioletto che come un piccolo re; é da notare quel ‘mercurio’ sull’ara di Abele (è qui che si dovrebbe esclamare “così in alto, come in basso“, forse). E se non si può che sorridere divertiti dal fatto che l’editore parigino si chiamasse proprio L’Angelier, come si fa a non pensare a Lancillotto? Si rilegga lo straordinario Chevalier de la Charette di Paolo, e non dimentichi che la famiglia di Lancillotto, che fu un vero personaggio dell’epoca di Arthur of Britain, si nomava de l’Acs, da cui il banale nome di Lancillotto del Lago; e che l’acqua di cui si parla, e che figura anche nell’emblema del 1642, è un’acqua-che-non-bagna-le-mani, pur essendo lo ‘speculum‘ sia il contraltare terreno del Cielo che quello dei Saggi, dove, secondo Sethon, l’Artista può contemplare – con riverente meraviglia – ‘la Natura’.

Mi permetto poi, di ringraziare ancora una volta il sornione ma fraterno Fra’ Cercone per la sua precisissima indicazione nella sua traduzione dei motti della medaglia di Herr Kleinert.

Dimenticavo: va da sé che consiglio vivamente di leggere e poi studiare al meglio il Traitcté du Feu et du Sel: tra le tante perline degne di nota ne ho scelto una; De Vigenére l’ha presa come punto di partenza del suo scritto e – dal Vangelo di San Marco – suona così:

Tout homme sera sallé de feu; & toute victime sera sallé de sel.

Serendipity – Two, in enker-grene

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Presi come siamo dai vortici della vita d’ogni giorno – vortici che noi stessi creiamo, senza fallo, e nessuno escluso – perdiamo sempre di vista lo sguardo d’insieme della nostra piccola, minuscola astronave: Terra viaggia nel gran mare del nostro universo, non guardiamo neppure fuori dal finestrino, assorti in mille banalità, cui sempre diamo una dimensione come minimo epocale, troppo importante per occuparci di quisquilie fastidiosamente sofisticate come il Cosmo e le sue meraviglie. Eppure sono, le nostre, ridicole baggianate. Tutte.

Guardando fuori dal finestrino in questi giorni – e con antenne semplici, primitive ed alla portata di tutti – ci si sarebbe forse accorti che Sol, la nostra stella, emette un mucchio di ‘materia’ e che la nostra navicella vi naviga attraverso. Tra i tanti segni che Cielo accende per gli innamorati vi sono le Northern Lights. Il nome che abbiamo affibbiato a queste ‘luci nordiche’, ma che meglio sarebbe chiamare ‘luci polari’, è quello di ‘aurora’: per quanto il termine indichi comunemente il chiarore che segue l’alba e precede lo spuntar di Sol, in questo caso indica un fenomeno che è visibile al nostro occhio solo di notte (in realtà, accade ovviamente anche di giorno).

La spiegazione di quanto avviene in Cielo è sempre in corso di aggiornamento, come è d’uopo in ogni impresa, in ogni Queste umana, ma può essere riassunta in questo modo: a seguito della energia (nucleare e non) prodotta continuamente nel nucleo di Sol, la nostra stella – che è il centro di una super-astronave (il sistema di Sol, anch’esso in viaggio cosmico) con tante minuscole ‘navette’ come Terra – erutta continuamente materia d’ogni tipo ad altissima energia e velocità: la Fisica le chiama ‘particelle cariche’ (si parla di protoni ed elettroni, ma anche il neutrone è particella che neutra non è) e viaggiano alla velocità di oltre 800 km/s (ehm); il nomen di questo fenomeno è ‘vento solare’. Queste ‘eruzioni ‘ sono generalmente correlate alle famose ‘macchie solari’, le cui frontiere fluttuanti emettono per l’appunto una “eiezione coronale di massa” (CME, Coronal Mass Ejection). L’attività di questo fenomeno stellare, assolutamente comune e naturale avviene su Sol con un periodo di circa 11 anni (ogni giorno, Sol emette energia sotto forma di particelle, UV, IR e via dicendo per circa 170.000.000 GigaWatts, più di 7000 volte il consumo medio da parte di noi passeggeri ignari; ricordo che Energia è ‘struttura’ della materia, e non un misterioso evento mistico,  o insignificante; si tratta di un costituente fondamentale, tanto più in Alchimia). Bene: mentre facciamo le nostre importantissime cose, la nostra astronave sta attraversando proprio uno di questi periodi di grande attività.

Fatto è che questo ‘vento di Sol’ è per sua natura estremamente pericoloso per il nostro tipo di vita: quelle particelle cariche, accelerate, sono letali per il nostro ciclo vitale. Ed allora, provvidamente, la nostra astronave si è dotata, per Natura, di uno ‘Scudo’ che fende quel ‘Vento’. Lo ‘Scudo’ è generato a sua volta dal Nucleo della nostra astronave: ruotando il Nucleo ad altissima temperatura, l’energia prodotta al suo interno irradia verso l’esterno, producendo il Campo magnetico terrestre; il quale è ‘polare’, nel senso che le linee di forza sono ‘orientate’ lungo i Poli (magnetici, e non geografici); ciò fa sì che nelle zone polari il Campo Magnetico terrestre abbia la forma di due grossi ‘imbuti’. Un piccolo riassunto:

  • il ‘Vento di Sol’ e la sua influenza sul Campo Magnetico delle sue ‘navette’: a 2:24
  • lo Scudo (Campo Magnetico) di Terra: a 3:50 [le immagini dell’interazione tra la CME ed il nostro Scudo sono basate su dati reali raccolti dal sistema VENUS, in orbita]
  • la CME (Coronal Mass Ejection) ed il suo impatto sullo Scudo: a 4:44
  • le ‘particelle cariche’ emesse dalla CME precipitano all’interno degli ‘imbuti’ polari: a 5:00
  • il Campo Magnetico di Terra devia, attraendole come primo livello d protezione, le ‘particelle cariche’ verso i Poli, creando le Northern Lights: a 5:15
  • lo Scudo – attirate le ‘particelle’ – attiva il secondo livello di protezione; Aria interagisce con il ‘vortice’ di Plasma stellare: a 5:40
  • l’Ossigeno cambia il livello di alcuni suoi elettroni: eccitazione (colore Verde), ritorno allo stato naturale (Rosso): a 6:23
  • l’Azoto (Blu): a 6:27

Questo meraviglioso sistema di auto-protezione è in atto – per Natura – da milioni e milioni di anni. Tuttavia, le implicazioni sottili, non meno oggettive e materiali di quanto ‘vediamo’ con i nosttri sensi, sono molte. Ed importanti. Dato che ‘come in alto, così in basso, per il miracolo della cosa Una‘, mi permetto di suggerire che quel che accade attorno a Terra avviene identicamente anche nel crogiolo di ogni alchimista, senza che sia necessario un suo ‘credo’, o una ‘fede’: si tratta, in realtà, di un fatto, di un evento naturale, previsto e messo in atto da Madre Natura, secondo modalità ovviamente scalate e adattate al contesto del microcosmo alchemico.

Sotto la normale ‘apparenza’ degli effetti studiati dalla Fisica, esiste – non visto – il livello della ‘substantia‘ di tutti i corpi investiti dai fenomeni Naturali: di questo si è occupata – da millenni – la Physica Naturalis. E Alchimia, che ne è l’ineludibile specchio sperimentale, canta sempre la medesima musica, sottile, eterna, ugualmente meravigliosa; il ‘microcosmo’ sperimentale degli alchimisti è lo Speculum esatto del ‘macrocosmo’ di noi ignari passeggeri della nostra ‘navetta’, sballottata dai flutti stellari e galattici.  Ripeto: non è una fede; è, piuttosto, un fatto.

Poiché di fatto il modello atomico corrente è ‘modello’  – e non realtà oggettiva -, il cercatore deve riflettere: l’Unica Materia interagisce con sè stessa – in aspetti funzionali diversi – in continuo, in un processo di ‘scambio’ straordinario, nel quale materia combinata – ‘apparente’ ai sensi nelle sue molteplici funzionalità (per. es. ‘ossigeno’, ‘idrogeno’, ‘azoto’ e via dicendo) – si trasforma in materia pura e viceversa, secondo un sistema Naturale la cui portata supera qualunque nostra possibilità di replica: la trasformazione del continuo in discontinuo e poi di nuovo in continuo (in Alchimia è l’interazione Spirito-Corpo, entrambe ‘materie’) attiene a Madre Natura sola, e non alle specie create e trasformate. Diceva Paolo Lucaerlli che un alchimista non ha una weltanschauung, una ‘visione’ del mondo: in effetti, l’alchimista – quando opera nel silenzio pacifico del proprio piccolo laboratorio – non ha ‘visioni’; egli ‘guarda’ il mondo, vede il ‘microcosmo ed i suoi processi all’opera nel proprio crogiolo; la contemplazione del meraviglioso in opera, conduce – lentamente, per gradi – alla Conoscenza.

Nulla di ciò che esiste è oggettivamente ‘vero’. Tutto è in eterna trasformazione. Tutto. Non è dato altrimenti. I sensi sono strumenti estremamente parziali, insufficienti a discernere il vero dal falso. L’intelletto, poi, è nemico ancor peggiore, quando usato per affermare un potere, una supremazia, un controllo: questa è la malattia di noi ‘viaggiatori’, che si sia bassa manovalanza o alti sapienti, gran dottori della legge. Il saggio cammina nel silenzio, cammina come può, secondo Natura, scegliendo Lux e mai oscurità. Se si guarda la storia della nostra civiltà, si vede come sia l’oscurantismo, in ogni sua declinazione e paludamento, ad aver impedito l’ “infusione” naturale della Conoscenza su Terra. Madre Natura non compie actiones in base ad un proprio ego, ad una convenienza, ad una opinione, in base ad un credo, ad una fede, ad un’idea, ad un fanatismo. Tra i tanti passeggeri della nostra ‘Astronave’ solo l’essere umano fa l’esatto contrario, specie i vari sapientes d’ogni epoca e contrada, che hanno scelto il comodissimo oscurantismo nel nome di santi, martiri, fedi ed ideologie. Sed de hoc satis.

Il Merriam-Webster definisce ‘Serendipity‘ come “the faculty or phenomenon of finding valuable or agreeable things not sought for“; si direbbe un’ottima facoltà per ogni alchimista, per ogni cercatore, qualunque cosa egli/ella vada cercando. Osservando il fantastico danzar del ‘vento di Sol’ nel Cielo polare, il Green, il Vert, il Verde, colpisce il nostro cuore, senza una spiegazione. Possiamo solo dire: “…che meraviglia!“. Quel “verde benedetto“, che i tanti testi alchemici indicano e richiamano, è il sintomo Naturale, il signum, di una avvenuta e canonica ‘generatio‘. La quale è figlia solo di una trasformazione della Materia Unica, passando attraverso la naturale Putrefactio. Ora, nel dedalo delle attribuzioni, vi sono molte Putrefactiones possibili, ergo molte generationes possibili, presenti nel Piano di Natura: così, a ben voler guardare …. molti ‘verdi’ potrebbero non esser quel ‘benedetto verde’. Per cercare di esser chiari mi permetto di semplificare, velocemente: nel mondo delle ‘apparenze’, nel nostro, nel mondo di qua dallo Specchio di Alice, il color verde – lo abbiamo appena visto – è dovuto a “quella cosa” ‘vestita‘ da Ossigeno. E dato che l’Ossigeno è praticamente ovunque nella nostra navetta (si noti, please, che esso – meglio: essa funzionalità – non pare ‘apparire’ nello spazio-tempo tra stelle e pianeti), dunque anche nei nostri laboratori, quella ‘funzionalità verdeggiante‘ accade in numerosissimi eventi. Così, o accettiamo l’idea che un certo numero di ‘verdi’ (non tutti, certo) possono essere ‘benedetti’, oppure ci si deve rifugiare nella salvifica ‘fede’. Mah…ognuno farà certo come meglio ‘crede’; forse, meglio, ‘sente’ ? … altro Mah!

D’altro canto, tutta la nostra storia umana è pervasa da quel colore, assegnandogli il ruolo di segnalare ‘vita’, intesa come ‘potenza di generazione’. E poichè Alchimia studia e sperimenta la trasformazione della Materia Unica in ogni actionem di Creazione (una res, una via, una dispositione), ci si deve prima o poi affacciare allo Specchio di Alice, ed avere prima di tutto il coraggio di varcarlo. Cosa non facile, peraltro…

In Sir Gawain and the Green Knight, Galvano ha a che fare per l’appunto con un misterioso quanto possente Cavaliere di verde tutto vestito, che lo sfida a staccargli la testa con un colpo d’ascia se accetterà a sua volta di essere decapitato dopo un anno e un giorno; il colore indicato è, in Middle-English, ‘enker-grene‘, un verde brillante, intenso:

For wonder of his hwe men hade,
Set in his semblaunt sene;
He ferde as freke were fade,
And oueral enker-grene.

Galvano accetta la sfida e gli taglia la testa; ed il cavaliere la raccoglie e se ne va verso il suo lontano castello. Dopo un anno, Galvano si presenta all’appuntamenteo presso la Green Chapel, e viene ospitato nel castello di Bertilac de Hautdesert e la sua bella consorte; lei lo tenterà per tre notti, ma Galvano si limita a dargli prima uno, poi due, e alla fine tre casti baci. Poi si reca alla Green Chapel dove il suo verde avversario lo aspetta con l’ascia: tre volte Galvano tenterà di farsi tagliare la testa, ma il Green Knight non lo farà: alla fine rivelerà che era un gioco per metter alla prova la sua onestà, e che il suo nome è proprio quello di Bertilac de Hautdesert, il marito della tentatrice. Qualche breve nota: il Green Knight che si presenta alla corte di Camelot non è troppo minaccioso.

Il termine ‘axe’, da noi comunemente tradotto con ‘ascia’ è in realtà un ‘falcetto’ (secondo Tolkien et alia), visto che il Cavaliere porta con sè per l’appunto un rametto d’Agrifoglio (l’Holly natalizio, pianta scaramantica e benaugurale), che ha la funzione di proteggere gli alberi giovani dall’essere danneggiati dagli animali della foresta. La sua identità, che rivelerà a Galvano solo alla fine dell’avventura, lo fa signore di ‘Hautdesert‘, che non indicava a quei tempi un’area abbandonata, quanto piuttosto un’area disboscata di fresco per consentire la caccia agevole, inserita nel possedimento del castellano, il qual possedimento – nel testo – è indicato come una foresta fitta, rigogliosa e selvaggia; si trattava, insomma, di un Purlieu-man (figura prevista dalla Forestlaw del tempo), vale a dire di un ‘uomo dei luoghi puri‘, sui quali graziosamente dominava. Il verde Bertilac, è dunque un Green-Man, un uomo della Natura, protettore della fertilità rigogliosa e intonsa, nascosta e dotata di natural possanza; ne vediamo uno tra gli oltre cento sparsi all’interno di quel libro vivente  che è Rosslyn Chapel, cui sono particolarmente legato:

Nel suo prezioso scritto, ‘Ermetesmo e tradizione Arturiana‘, Paolo scrive a proposito del regno di Gorre, dove Méléagant ha preso prigioniera la Regina Guinevere:

Ora, per entrare nel regno vi sono soltanto due modi, comunque entrambi difficili: “ Vous trouverez obstacle et trépas car c’est périlleuse d’entrer en ce pays …. L’accés n’en est permis que par deux cruels passages. L’un a nom pont dessous l’eau, parce qu’il vraiement sous l’eau entre le fond et la surface, il n’a qu’un pied et demi de large et autant d’épaisseur. L’autre pont est le plus mauvais et le plus périlleux que jamais l’homma n’ait passé. Il est tranchant comme une épée et c’est pourquoi tous le gens l’appellent le pont de lépée …” Dunque due vie, una ‘umida’ e una ‘secca’. Nella seconda, la via della ‘spada’, l’acciaio magico (il chalybs del Cosmopolita e di Filalete) sostiene un ruolo fondamentale e insostituibile.

Ricordo un passo di un autore poco noto:

…prendi dell’acciaio ben affilato e aprile (alla materia) le viscere e troverai questa seconda materia dei Filosofi …. Ma senza acciaio ben raffinato e lavorato dalla mano di un buon Maestro, non pensare di venirne a capo …

Da qui il simbolismo della spada magica, usato in tanti racconti, a indicare la via iniziatica prescelta. Pensiamo a Excalibur, la più famosa, dal nome così facilmente interpretabile. Lancelot et Gauvan devono scegliere. Il primo va per la via secca, il secondo per l’altra. Vedremo che Gauvain fallisce, possibile suggerimento sull’inutilità di questa strada. Notiamo che Lancelot a questo punto è ancora in ‘incognito’. Di più, è disprezzato per aver accettato di montare su una carretta di ludibrio, e quindi per essersi volontariamente avvilito senza motivo apparente. Per comprendere, è illuminante il gioco cabalistico, peraltro molto trasparente: charette va inteso come diminutivo di charrèe, la cenere che si usa per la liscivia e come fertilizzante per i campi: “ … O quam praeciosus est cinis ille filiis doctrinae , & quam praeciosum est quod ex eo fit” (In Turba), dicono i Maestri, raccomandandoci di non disprezzarla. E` la piccola ‘Cenerentola’ che tra l’altro fornisce la scarpetta di vetro, di verre, vert, il Verde inestimabile, che sarà stimolo per un’altra avventura, dedicata questa volta a Galvano. E` il colore del vaso prezioso, del Santo Graal, (il sangreal, il sangue regale). La materia va cotta col suo sangue e, come insegna la Turba, tutto ciò che ha sangue ha anche spirito.

In quest’ottica, ricordando che la Via è unica, si dovrebbe fare una riflessione: Lancelot, il Cavaliere della Cenere, è compagno di Gawain che – compiuta la propria avventura con onestà – potrà vestire la Green-Girdle (la cintura verde, a doppio giro, dice il testo) donatagli dopo il terzo bacio dalla moglie di Bertilac:  si tratta di quel vert, dunque, rappresentato dalla doppia natura del Green-Man, che è anche – mi si passi il brutto termine – il prodotto ‘fornito’ proprio da Cendrillon; Bertilac du Hautdesert, così, pare possa anche esser ‘reconnu‘ come la ‘pantoufle de verre‘ di Cendrillon (Cucendron), così indicata dal buon Maître de Savignies:

Dopo aver ben compreso che il Looking Glass di Alice non è soltanto una graziosa metafora, o soltanto un dotto simbolismo, forse il gioco delle apparenze si fa meno enigmatico, meno insidioso, meno insolito, persino meno triste: come dicevo, nulla è ciò che appare, ma tutto è “funzione” di un’Unica Materia, la Mater Ea degli antichi Philosophi.

Per finire, occorre ricordare che l’Uomo-Verde è presente in ogni tradizione, sotto mille forme, peraltro tutte ben evidenti: per esempio, al-Khiḍr, che si vuole fosse uno dei Maestri spirituali di Mosé, e pure di Alessandro Magno, un wali, ed uno dei quattro immortali accanto a Enoch, Elia e Gesù è l’incarnazione della Divina saggezza, infusa in modo naturale ed ineffabile. Letteralmente, il suo nome viene anche tradotto come ‘il Verde‘, per rappresentare la freschezza dello spirito e l’eterna vitalità. Pur se il suo nome non viene mai riportato nel Corano, si crede sia ancora vivo avendo avuto accesso all’Acqua dell’Immortalità (è il mito dell’epica di Gilgamesh, dove il ruolo, la funzione, di al-Khiḍr è svolto da Utnapishtim), e viene spesso rappresentato nell’iconografia vestito di verde.

Se viene pronunciato il suo nome, molti consigliano di salutarlo educatamente come se fosse presente, pronunciando il dovuto “Salaam Aleikum!“: egli è immortale ed anonimo, ma sempre benigno, pur nella sua misteriosa figura di ‘Profeta Nascosto’; egli ha ricevuto la Saggezza direttamente dal Divino – una “Scienza da parte Sua” (al-‘ilm al-ladunnī) – ed ha facoltà di rivelare direttamente la Via ai semplici, a chi non appartiene ad ordini e gruppi, ai non-protagonisti. Questo porsi in qualche modo al di fuori persino dagli schemi del nostro ermetismo intellettuale, tutto occidentale, ne fa lo specchio perfetto del vert, del vero, del cristallo portatore dell’informazione vitale, per ogni essere creato. Il Green Man non risponde alle leggi umane, ma vive in Natura, forse perché egli “è” Natura. Difficile certo da scorgere e/o percepire, ma ciò ovviamente non significa che non esista. Come si vede, potrebbe essere equiparato al Mercurio degli alchimisti, quello alto e puro e primevo, non specificato, di cui parlano, da secoli, i buoni testi; è quell’unico Mercurio che basta per fare l’intera Opera. Poi, il resto, si vedrà…

Ritornando alle Northern Lights, l’ “apparire” del ‘salto’ da parte di quel fenomeno che chiamiamo Ossigeno (segnalato dal rosso e dal verde ) è dovuto all’emissione di fotoni (e non solo) nei ranges rispettivamente di 630.0nm e 557.7 nm, considerate in Fisica come delle ‘transizioni proibite’ in condizioni normali. Al di là dei valori numerici per sé, che di nessuna importanza sono nel contesto alchemico, vi è la però la scala: una grandezza infinitamente piccola genera un evento di scala milioni e milioni di volte più grande, e noi vediamo con gli occhi soltanto quest’ultima scala. Tutto qui …che forse potrebbe essere scritto meglio, come ‘tutto è qui‘.

L’immagine che raffigura il saggio al-Khiḍr assieme al pesce – il cui contorno ricorda la ‘amande‘, simbolo quasi topografico  di un mesomondo vivente e vivificante, un locus amenus –  origina dalla medesima sorgente di Conoscenza antica che indica con esattezza che ‘ἕν τὸ πᾶν‘, così come accennato con idioma teutonico dal filatterio del Rosarium che adorna quel Lion vert, posto come incipit del De nostro Mercurio, qui est Leo viridis Solem devorans:

Ich bin der wahre grüne und Goldene Löwe ohne Sorgen,
In mir sind alle Geheimnisse der Weisen verborgen.

Quel Lion vert è ‘senza preoccupazioni‘, proprio come al-Khiḍr, ed in esso ed in egli sono racchiusi tutti i segreti dei Filosofi. Potrebbe mai esser stato altrimenti? Da quanto indicato dal passo ‘arturiano’ di Paolo si potrebbe dire che quel corpo ‘senza preoccupazioni‘, richieda operativamente alcune pre-occupazioni; trascurarle, credo, sarebbe poco accorto; sarebbe un po’ come non accorgersi che persino Yoda … è un altro Green Man.

Sul piano operativo, dopo magari aver meglio meditato su come ‘appare’ e come accade una Luce del Nord, mi permetto di consigliare la lettura attenta, calma, senza preconcetti e senza aspettative, possibilmente nell’edizione originale latina del 1618, di alcune parti dell’Atalanta Fugiens, offerta a chi cerca da quel saggio ed onestissimo buontempone di Michael Maier, Conte Palatino senza portafoglio; per esempio, alla Fuga & Discorso XXVII – dove si parla dell’accesso al Roseto, chiuso – vien detto a proposito dei due chiavistelli: “Hanc clavem in Hemisphaerio Zodiaci septemtrionalis reverà inveniet si signa bene numerae & discernere sciat, & lorum pessuli in meridionali: Quibus occupatis, facilè erit aperire ostium & intrare“; e a seguire: “In ipso verò introitu Venerem cum suo amasio Adonide videbit; Illa enim sanguine suo albas rosas tinxit purpureas: Ibidem & draco animadvertitur, quemadmodum in hortis Hesperiis, qui rosis custodiendis invigilat.” . Maier ricorda, non a caso, che  “Rosæ intra spinas abditæ capillos flavos habent interiùs & vestem viridem exteriùs.” E se si volesse approfondire, con la medesima attenzione, calma, assenza di preconcetti ed aspettative, si potrebbe studiare la Fuga e Discorso XXXVII: “Tre cose sono sufficienti al magistero, il fumo bianco, ovvero, acqua, il leone verde, cioè il bronzo di Ermete, & l’acqua fetida.“. Sebbene il Major Grubert mi abbia quasi obbligato a riportare le citazioni nella loro lingua originale, come stimolo utile a chi davvero voglia camminare nel Bosco incantato, ecco una mia brevissima e libera traduzione di un passaggio, la cui chiarezza e precisone è – a mio modesto avviso – senza pari:

… questo fondamento viene qui chiamato acqua fetida, la quale è madre di tutti gli elementi come testimonia il Rosario, dalla quale & attraverso la quale & con la quale i Filosofi preparano lo stesso [fondamento], vale a dire l’Elisir al principo & alla fine: viene chiamata Fetida perché manda da sè un fetore sulfureo, & un odore di sepolcri; Questa è quell’acqua che Pegaso fece scaturire dal Parnaso percosso col suo zoccolo, la quale [acqua] il monte Nonacris dell’Arcadia emette prorompente dalla roccia a causa del suo fare, la quale causa dalla sua fortissima forza può essere conservata nel solo zoccolo cavallino; questa è l’acqua del dragone, così come la chiama il Rosario, che si deve fare grazie all’alambicco senza alcuna altra cosa aggiunta, nel fare la quale c’è un massimo fetore … sappi che il fetore, se proprio c’è, presto si cambia in una grande fragranza… ; Dopo l’acqua Fetida è la volta del Leone verde di cui il Rosario [dice]: cercavano infatti la verdezza, credendo che il bronzo fosse un corpo lebbroso a causa di quella viridità che ha. Di conseguenza quindi ti dico che tutto ciò che vi è di perfetto nel bronzo è quell’unica verdezza, la quale è in esso: perché quella verdezza grazie al nostro magistero si converte rapidamente nel verissimo oro nostro & di questo siamo esperti, infatti non potrai preparare alcuna pietra senza il duenech verde & liquido, che si vede nascere nelle nostre miniere: oh benedetta verdezza che generi tutte le cose; per cui sappi che nessun vegetabile e frutto alcuno appare germinando senza che vi sia lì il colore verde; sappi parimenti che la generazione di quelle cose è verde, per cui i Filosofi la chiamarono germe. Così il Rosario: questo è l’oro e il bronzo dei Filosofi e la pietra nota nei capitoli, fumo, vapore & acqua, sputo di luna che deve essere congiunto al lume del Sole; questo leone verde combatte con il dragone, ma viene da esso superato & viene divorato in un tempo successivo … In terzo luogo segue il fumo bianco, il quale se viene coagulato fa acqua e l’acqua svolge il compito di lavare, solvere & togliere le macchie come il sapone:

Fatte le consuete raccomandazioni nel consultare un buon testo d’Alchimia, chiedo subito venia al britannico Major, ai latinisti, agli ermetisti, ai cercatori tutti per questo mio raccontare; al di là di ogni considerazione, sono serenamente convinto che se qualcuno amerà studiare, che non è certo leggere, amerà ancor di più operare, tanto più in Alchimia: senza esperienza, ça-va-sans-dire, non c’è studio che valga e/o tenga.

E così, forse, sono riuscito a rispondere, in tremendo ritardo, al curioso quesito posto tempo fa da Chemyst, in chiusura di un suo bellissimo Post:

La rousée du mois de may
M’a gasté ma verte cotte.
Par un matin m’y levay
En un jardin m’en entray;
Dites vous que je suis sotte?
La rousée du mois de may
M’a gasté ma verte cotte.”

Non è sotte quella donzella, tutt’altro …un saluto a tutti, in

enker-grene!

Serendipity One

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Monday, August 28, 2017 by Captain NEMO

Pare di gran moda propagandare un mantra, secondo un marketing-pseudoermetico da quattro soldi: “I libri non servono in Alchimia…“. Mi pare – questa – una bizzarra postura scimmiottata da qualche zelante zelota, dimenticando egli che se non vi fossero stati i libri, nessuno – oggidì – avrebbe mai potuto conoscere la semplice esistenza non soltanto dell’Alchimia, quanto soprattutto di un cammino di Conoscenza  ben più antico della nostra civiltà.

Però, siccome la polemica è per sua stessa natura sterile, non c’è da perder tempo con coloro i quali vogliono adeguarsi al rito abominevole che Fahrenheit 451 ricordò, qualche tempo fa.

Sul finir dell’estate, provo ad offrire stavolta, oltre a poche immagini, piccoli brani che potrebbero essere utili a chi studia & pratica l’Arte antica, espressione sperimentale precisa della Phylosophia Naturalis;  quest’ultima, pur negletta persino da chi dovrebbe conoscerla a menadito, ed amarla, è la modalità che Natura dipana per creare Corpi (materiali & spirituali) in ogni ‘verso‘, in perenne donazione disinteressata, in ogni dove ed in ogni quando. Senza nulla chiedere, né obbligando il cercatore ad abbracciare fedi o dogmi di alcun tipo.

La Tradizione è la trasmissione dell’idea dell’essere nella sua perfezione massima, dunque di una gerarchia tra gli esseri relativi e storici fondata sul loro grado di distanza da quel punto o unità. Essa è talvolta trasmessa non da uomo a uomo, bensì dall’alto; è una teofania. Essa si concreta in una serie di mezzi: sacramenti, simboli, riti, definizioni discorsive il cui fine è di sviluppare nell’uomo quella parte o facoltà o potenza o vocazione che si voglia dire, la quale pone in contatto con il massimo di essere che gli sia consentito, ponendo in cima alla sua costituzione corporea o psichica lo spirito o intuizione intellettuale.

Elémire Zolla, in Che cos’è la Tradizione, 1971

Il nostro intelletto, nell’incessante ma vano tentativo di afferrare per intero quella prima ed ultima realtà, non sa far di meglio che costruirsi una rappresentazione logica del mondo, ossia un luogo mentale dove ricercare una spiegazione alla continua mutevolezza delle cose percepite dai sensi. Ma proprio nel corso di questa operazione perde ogni possibilità di abbracciare il mondo in una visione unitaria ed allora, per farsene un’idea, o meglio per formulare qualunque idea, è sempre costretto a separarle. É dunque l’incapacità di accedere direttamente alla sorgente delle idee che ci induce a vagheggiare senza tregua immagini mentali illusorie e prive di veritiera realtà; tale incapacità è la misura più evidente del progressivo degrado del nostro intelletto. É il fio che ancor oggi l’uomo deve continuare a pagare per l’esilio di Adamo dal Paradiso Terrestre. Ne era ben consapevole San Tommaso quando scriveva: «intellectus noster secundum statum praesentem, nihil intellegit sine phantasmate», il nostro intelletto alla stato attuale, non intende nulla senza fantasticare. L’inciso messo in contro corsivo indica chiaramente che non fu sempre così: in epoche remote e ormai dimenticate l’intelligenza ebbe accesso diretto alle idee innate, ma non seppe evidentemente farne buon uso. Le ingiurie inferte dai nostri lontani progenitori alla stessa natura umana, dovettero essere così gravi e profonde da provocare l’ottundimento genetico e la successiva scomparsa di quella prerogativa.

La materia universale è l’unità dalla quale procede, per successive differenziazioni, ogni corpo fisico, nella stessa maniera in cui tutti i numeri, e in particolare i primi quattro, procedono dal numero uno; pur essendo la radice del mondo fisico, la materia universale, in quanto unità, è per sua natura metafisica, e implica in sé i quattro elementi solo in potenza. Gli elementi non possono perciò sussistere ciascuno per sé, ma è necessario che concorrano sempre tutti insieme alla costituzione di ogni corpo- Tuttavia, nel primo composto, nella prima particella elementare, é prevalente la funzione di uno solo di essi, esattamente come nel primo solido geometrico, la piramide a quattro facce triangolari, solo uno dei quattro punti può far funzione di vertice, mentre gli altri tre ne costituiscono la base, e forniscono il necessario supporto. Affinché ciascun elemento possa esprimere la propria funzione, è allora necessario che quattro siano i primo composti, ossia le prime particelle elementari costitutive dei corpi più complessi, e che ciascuna di esse, per immergersi nel flusso della continua mutabilità del mondo fisico, cioè più semplicemente, per interagire, sussista in un rapporto di reciproco scambio elementare con le altre tre.

Claudio Cardella, Stefano Costa, in Il Sogno dei Filosofi, 2017

The side of the Great Pyramid at Giza had an original height of 280 cubits and a width of base of 440 cubits. What was the length z of an edge of the pyramid (from a corner to the top)?

Since half of the base would be 220 cubits, we can verify that the seqed or ukullû  [***] of the side of the pyramid would have been 220:280, which gives indeed the famous value of View the MathML source, or 5 palms and 2 fingers per cubit. But to get at the edge of the pyramid, we must use a triangle of height 280 and approximate base View the MathML source.

From an OB [OB = Old Babylonian, NdR] perspective, the right triangle formed by the corner, the center of the base, and the top of the pyramid ought to be considered to have a short side of  b=280 and a long side of l, which by the Diagonal rule in the horizontal isosceles triangle of side length 220 satisfies  View the MathML source. Putting these values into the Diagonal rule now in the vertical triangle, the square of the diagonal is then  View the MathML source and hence you get a square ratio of

View the MathML source

The relevant row of P322(CR-Decimal8) is row 5 which is

Full-size image (3 K)

and from which we can then use the integral values of  b5=65 and  d5=97 to compare ratios

View the MathML source

and so  z≃417.8461.

A more accurate modern answer correct to 8 decimal places is 418.56899073, so we see that the OB table is again the clear winner as far as accuracy is concerned. Note that the OB solution has avoided mention of any irrationalities, and it shows also that the mysterious column I allows access to the table in a variety of important situations coming from the Diagonal rule, as it is a squared quantity! This solution also notably exhibits the utility of the entries b and d  from columns II and III, as the integers 65 and 97 there are both more accurate and generally easier to work with than the decimal numbers 0.90277 and 1.34722 in columns I and II.

… Hence we see that within P322 there is a powerful alternative view of trigonometry based not on angles but on ratios of sides and squared quantities going back to OB times. No subsequent table, from Hipparchus to Madhava to al-Kashi to Rheticus to the monumental 18th century French Cadastre, can compete with P322 with regards to precision – P322 is unique as it contains the world’s only exact trigonometric table.”

Daniel F. Mansfield, N.J. Wildberger. Plimpton 322 is Babylonian exact sexagesimal trigonometry, in Historia Mathematica, 2017

[***: Ratio-based measurements are also found in ancient Egypt, where the term seqed, or sqd, refers to the reciprocal of the slope of an inclined side in Egyptian architecture. This was a prominent measurement used to describe pyramids. According to Gillings (1982, 212):

The seked of a right pyramid is the inclination of any one of the four triangular faces to the horizontal plane of its base, and is measured as so many horizontal units per one vertical unit rise. It is thus a measure equivalent to our modern cotangent of the angle of slope. In general, the seked of a pyramid is a kind of fraction, given as so many palms horizontally for each cubit vertically, where 7 palms equals one cubit.]

 

L’obélisque de Dammartin-sous-Tigeaux (Seine-et-Marne) est l’image sensible, expressive, absolument conforme à la tradition, de la double calamité terrestre, de l’embrasement et du déluge, au jour terrible du dernier Jugement (pl. XLV).

Erigé sur un tertre, au point culminant de la forêt de Crécy (altitude: 134 mètres), l’obélisque  domine les environs, et, par la trouée des voies forestières, s’aperçoit de très loin. Son emplacement fut d’ailleurs admirablement choisi. Il occupe le centre d’un carrefour géométriquement régulier, formé par l’intersection de trois routes qui lui donnent l’aspect rayonnant d’une étoile à six branches. Ainsi ce monument apparaît-il édifié sur le plan de l’hexagramme antique; figure composée du triangle de l’eau et de celui du feu, laquelle sert de signature au Grand Œuvre physique et à son résultat, la Pierre Philosophale.

L’ouvrage, de belle allure, se compose de trois parties distinctes : un socle robuste, oblong, à section carrée et angles arrondis ; un fût constitué par une pyramide quadrangulaire aux arêtes chanfreinées ; enfin, un amortissement dans lequel se trouve concentré tout l’intérêt de la construction. Il montre, en effet, le globe terrestre livré aux forces réunies de l’eau et du feu. Reposant sur les vagues de la mer en furie, la sphère du monde, frappée au pôle supérieur, par le soleil dans son retournement hélicoïdal, s’embrase et projette des éclairs et des foudres. C’est là, nous l’avons dit, la figuration saisissante de l’incendie et de l’inondation immenses, également purificateurs et justiciers.

Deux faces de la pyramide sont orientées exactement selon l’axe nord-sud de la route nationale. Sur le côté méridional, on remarque l’image d’un vieux chêne sculpté en bas-relief. D’après M. Pignard-Péguet, ce chêne surmontait «une inscription latine» aujourd’hui martelée. Les autres faces portaient, gravées en creux, un sceptre sur l’une, une main de justice sur l’autre, un médaillon aux armes du roi sur la dernière.”

Fulcanelli, L’Embrasement, in Les Demeures Philosophales, Vol. 2, 1960

 

La prima materia dei metalli è duplice, ma l’una senza l’altra non crea il metallo. La prima e principale è un umido mescolato al calore dell’aria; questa i Filosofi la chiamarono Mercurio, che è governato nel mare filosofico grazie ai raggi del Sole e della Luna. La seconda è il secco calore della terra che chiamarono Solfo. Ma poiché tutti i veri Filosofi l’hanno accuratamente occultata, noi la spiegheremo un po’ più chiaramente, specialmente il peso, ignorato il quale tutto si distrugge. Da cui avviene che molti da una cosa buona producano un aborto; vi sono infatti alcuni che assumono come materia o seme o sperma tutto il corpo, altri una parte; e tutti questi deviano dal retto sentiero. Per esempio se qualcuno prendesse il piede di un uomo e la mano di una donna e volesse creare un uomo da questa commistione, non sarebbe possibile.

V’è infatti in qualsivoglia corpo un centro e un luogo, cioè il punto del seme o sperma; sempre l’ottomiladuecentesima parte, anche nello stesso seme di grano; e ciò non può essere altrimenti. Infatti non tutto il grano o corpo è convertito in seme, ma nel corpo vi è soltanto una certa scintilla necessaria, che è protetta dal suo corpo da ogni eccesso di caldo o di freddo etc. Se hai orecchie e sensi, bada a questo e sarai al sicuro, non soltanto da quelli che ignorano il luogo dello sperma, e si sforzano di ridurre l’intero grano in seme, ma anche da tutti quelli che si dedicano alla vana soluzione dei metalli e vogliono sciogliere totalmente i metalli per poi, dalla loro mutua mescolanza, creare un nuovo metallo.

Ma questi, se considerassero il procedimento della Natura, vedrebbero che la cosa è ben diversa. Infatti nessun metallo è così puro, da non procedere anche dalle sue impurità, l’uno tuttavia meno o più dell’altro. Ma tu, o amico lettore, prima osserverai il punto della Natura, come si è detto sopra, e ne avrai a sufficienza; ma abbi questa cautela, di non cercare quel punto nei metalli del volgo, nei quali non c’è. Infatti questi metalli, specialmente l’oro del volgo, sono morti; ma sono vivi, aventi spirito, i nostri, che sono da prendere: sappi infatti che la vita dei metalli è il fuoco, finché sono ancora nelle loro miniere, e anche la morte è il fuoco, cioè quello della fusione.

Invero la prima materia dei metalli è una umidità mista a un’aria calda, ed è in forma di acqua pingue che aderisce a qualunque cosa, pura o impura; tuttavia in un luogo più abbondantemente che in un altro, il che avviene perché la terra, avente forza attrattiva, in un luogo è più aperta e porosa che in un altro. Talvolta viene fuori da sé, avendo indossato una qualche veste, specialmente nei luoghi dove non ha qualcosa cui aderire; così si riconosce, perché ogni cosa è composta dai tre principî. Ma nella materia dei metalli soltanto è unica senza congiunzione, eccettuata la sua veste o ombra, cioè il solfo, etc.

Cosmopolita – Trattato Terzo, Della vera prima Materia dei metalli, in Novum Lumen Chymicum, 1608  – Traduzione di Paolo Lucarelli

Non farò commenti; così – forse – qualcuno potrebbe intravedere un fil-rouge piuttosto ‘matto‘ in questi brani, e tentare – studiandoli – di pensare e riflettere, e poi mettersi al lavoro: l’Arte è Scienza sperimentale di Natura, nella cui teoria&pratica occorre avere il coraggio della libertà, tanto nell’errare che nel riuscire. Fidatevi sempre dell’Intuizione e non date retta a nessuno, tanto meno al sottoscritto: ma leggete, studiate e praticate. Viaggerete, vi divertirete e scoprirete piccole meraviglie, le quali – chissà – ravviveranno il Cuore e l’Anima.

Non è necessario ricordare che la Conoscenza è un cammino che conduce alla Contemplazione, e che v’è enorme differenza tra il sapiente Bernard Guy ed  il saggio Francesco: uno giudica secondo ‘ordo‘, l’altro ama secondo ‘chaos‘.

In forma d’Epilogo, a voi il serpente aperto&chiuso, l’elefante, e il montone del ‘petit bonhomme‘:

«Vous imaginez ma surprise, au lever du jour, quand une drôle de petite voix m’a réveillé. Elle disait:

– S’il vous plaît… dessine-moi un mouton !

– Hein!

– Dessine-moi un mouton…

J’ai sauté sur mes pieds comme si j’avais été frappé par la foudre. J’ai bien frotté mes yeux. J’ai bien regardé. Et j’ai vu un petit bonhomme tout à fait extraordinaire qui me considérait gravement. Voilà le meilleur portrait que, plus tard, j’ai réussi à faire de lui.  Mais mon dessin, bien sûr, est beaucoup moins ravissant que le modèle. Ce n’est pas ma faute. J’avais été découragé dans ma carrière de peintre par les grandes personnes, à l’âge de six ans, et je n’avais rien appris à dessiner, sauf les boas fermés et les boas ouverts.

Je regardai donc cette apparition avec des yeux tout ronds d’étonnement. N’oubliez pas que je me trouvais à mille milles de toute région habitée. Or mon petit bonhomme ne me semblait ni égaré, ni mort de fatigue, ni mort de faim, ni mort de soif, ni mort de peur. Il n’avait en rien l’apparence d’un enfant perdu au milieu du désert, à mille milles de toute région habitée. Quand je réussis enfin à parler, je lui dis:

– Mais… qu’est-ce que tu fais là ?

Et il me répéta alors, tout doucement, comme une chose très sérieuse:

S’il vous plaît… dessine-moi un mouton…

Quand le mystère est trop impressionnant, on n’ose pas désobéir. Aussi absurde que cela me semblât à mille milles de tous les endroits habités et en danger de mort, je sortis de ma poche une feuille de papier et un stylographe. Mais je me rappelai alors que j’avais surtout étudié la géographie, l’histoire, le calcul et la grammaire et je dis au petit bonhomme (avec un peu de mauvaise humeur) que je ne savais pas dessiner. Il me répondit:

– Ça ne fait rien. Dessine-moi un mouton.

Comme je n’avais jamais dessiné un mouton je refis, pour lui, l’un des deux seuls dessins dont j’étais capable. Celui du boa fermé. Et je fus stupéfait d’entendre le petit bonhomme me répondre:

– Non! Non! Je ne veux pas d’un éléphant dans un boa. Un boa c’est très dangereux, et un éléphant c’est très encombrant. Chez moi c’est tout petit. J’ai besoin d’un mouton. Dessine-moi un mouton.

Alors j’ai dessiné.

Il regarda attentivement, puis:

– Non! Celui-là est déjà très malade. Fais-en un autre.

Je dessinai.

Mon ami sourit gentilment, avec indulgence:

– Tu vois bien… ce n’est pas un mouton, c’est un bélier. Il a des cornes...

Je refis donc encore mon dessin. Mais il fut refusé, comme les précédents:

Celui-là est trop vieux. Je veux un mouton qui vive longtemps.

Alors, faute de patience, comme j’avais hâte de commencer le démontage de mon moteur, je griffonnai ce dessin-ci.

Et je lançai:

– Ça c’est la caisse. Le mouton que tu veux est dedans.

Mais je fus bien surpris de voir s’illuminer le visage de mon jeune juge:

– C’est tout à fait comme ça que je le voulais ! Crois-tu qu’il faille beaucoup d’herbe à ce mouton ?

– Pourquoi ?

– Parce que chez moi c’est tout petit…

– Ça suffira sûrement. Je t’ai donné un tout petit mouton.

Il pencha la tête vers le dessin:

– Pas si petit que ça… Tiens ! Il s’est endormi…

Et c’est ainsi que je fis la connaissance du petit Prince.»

Della Reincrudazione…

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Wednesday, March 15, 2017 by Captain NEMO

La Primavera è arrivata, ed il lavoro di preparazione è già iniziato;  a proposito della Reincrudazione, ci si chiede spesso in cosa consista, sia a livello teorico che operativo. Canseliet – nel suo Alchimie expliquée sur ses textes classiques, nell’edizione Italiana al Capitolo La Materia prossima e la sua preparazione, pp. 91-2 – scrive:

All’inizio dei lavori che Ercole compì, nei tempi mitologici, quale è l’operazione in un certo senso preliminare, sulla quale gli autori per lo più tacquero, o non parlarono se non analogicamente, e che sembra proprio che più di qualunque altra, non sia stata trasmessa se non da bocca ad orecchio?

Questa consiste nell’imperiosa necessità che il soggetto, minerale e d’elezione, il cui ruolo, più tardi sarà di ‘reincrudare’, sia ricondotto il più possibile vicino allo stato primordiale; quello che era il suo e di cui godeva, all’interno del suo domicilio minerario. Ecco perché faremo qui una confidenza affatto insolita, anche se può sembrare a tutta prima, sorprendentemente banale. In effetti, se non si trattasse dello sforzo richiesto dall’uso del mortaio  e del suo pestello, niente sembrerebbe più normale del fatto che l’alchimia riduca la sua materia in polvere fine.

È in questo stato di divisione fisica che l’individuo minerale si presenta in modo conveniente alla misteriosa ‘reincrudazione’. Fulcanelli in una nota a pie’ di pagina, fu il primo a spiegare questo sostantivo così come il verbo che lo genera:

‘Termine di tecnica ermetica che significa rendere crudo, cioè rimettere in uno stato anteriore a quello che caratterizza la maturità; retrocedere verso l’origine ed il principio’.

È necessario che la materia acquisisca al più alto grado, questa qualità genesiaca, per il momento delle operazioni, quando diventerà, secondo l’ ‘antichissimo filosofo’ Artefio, ‘l’unico agente, per quest’arte, nel mondo tutto intero, che, manifestamente, può risolvere e reincrudare i corpi metallici, con la conservazione della loro specie’: unicum agens in toto mondo in hac arte quod videlicet potest resolvere et reincrudare corpora metallica sub conservatione suæ specie.”.

Nella sua mai troppo lodata edizione/traduzione de Il Mistero delle Cattedrali, in una nota famosa a p. 236, Paolo Lucarelli spiega:

È necessario un chiarimento su questo punto di dottrina spesso travisato. Qualcuno intende la rincrudazione come un’operazione che riconduce un metallo morto alla vita, cioè al suo stato primitivo in cui si trovava quando evolveva liberamente all’interno della sua miniera. In realtà un’operazione di questo genere è impossibile, come non sarebbe possibile passare da un pezzo di pane al frumento da cui deriva. Quello che si intende è l’estrazione dello zolfo, che si mantiene sempre vivo anche dopo che il metallo sia passato per il fuoco più ardente. L’agente, cioè il nostro dissolvente, dissocia e distrugge il metallo estraendone lo zolfo. In questo consiste la rincrudazione. Lo zolfo, unito al mercurio, sarà allora considerato un metallo ringiovanito, l’oro bambino di certi testi.”.

I due Maestri stanno parlando della stessa cosa? Ma certo: c’è un ‘reincrudatore’, che è l’agente, il dissolvente; e c’è il ‘reincrudato’, che è il corpo metallico. È bene tener presente, però, che nessuno dei due protagonisti – l’agente ed il paziente – potrebbe mai essere davanti agli occhi dell’alchimista se non grazie alla necessaria presenza – per entrambi – di un loro proprio zolfo e di un loro proprio mercurio, intesi come Principia originari che permettono l’esistenza oggettiva di ogni corpo in manifestazione. Dunque, se da un lato lo studio approfondito della Philosophia Naturalis fornisce le chiavi per la comprensione esatta del processo ‘a ritroso’ che l’artista deve far accadere nel proprio Laboratorio, dall’altro occorre non dimenticare che – con due sostanze in opera – vi sono due zolfi e due mercuri. La loro relazione, la loro funzione, deve essere colta nel vivo dell’operatività.

Alchemical-and-Rosicrucian-Compendium

Les deux Chevaliers…

Senza il successo di questa operazione – strettamente alchemica, di nessuna attinenza con la Chimica – non si va da nessuna parte; a titolo di maggior informazione – ma soprattutto di riflessione – propongo alcuni passi che mi paiono in qualche modo utili alla bisogna, sia per un ulteriore studio&approfondimento, sia come spunti per una sperimentazione continuata in Laboratorio.

Partiamo da Fulcanelli nelle Dimore: come abbiamo visto in alcuni Post precedenti, l’affaire sulla nascita, lo sviluppo e la pubblicazione delle due opere di Fulcanelli, portate avanti per parecchi decenni, l’autorship del libro è senza dubbio attribuibile ad un gruppo di persone, sotto l’egida esperta di Fulcanelli:

La plupart des hermétistes pensent qu’il faut entendre, par le terme de réincrudation, le retour du métal à son état primitif, ils se fondent sur la signification du mot même, qui exprime l’action de rendre cru, de rétrograder. Cette conception est fausse. Il est impossible à la nature, et plus encore à l’art, de détruire l’effet d’un travail séculaire. … Ici encore l’analogie et la possibilité de nature sont les meilleurs et les plus sûrs guides. Or, il n’existe, de par le monde, aucun exemple de régression.

D’autres chercheurs croient qu’il suffit de baigner le métal dans la substance primitive et mercurielle qui, par maturation lente et coagulation progressive, lui a donné naissance. Ce raisonnement est plus spécieux que véritable. En supposant même qu’ils connussent cette première matière, et qu’ils sussent où la prendre, – ce que les plus grands maitres ignorent, – ils ne pourraient obtenir, en définitive, qu’une augmentation de l’or employé, et non un corps nouveau, de puissance supérieure à celle du métal précieux. L’opération, ainsi comprise, se résume au mélange d’un même corps pris à deux états différents de son évolution, l’un liquide, l’autre solide… (une telle entreprise)  est, d’ailleurs, en opposition formelle avec l’axiome philosophique que nous avons souvent énoncé: les corps n’ont point d’action sur le corps; seuls, les esprits sont actifs et agissants. Nous devons donc entendre, sous l’expression: Remettre l’or dans sa première matière, l’animation du métal, réalisée par l’emploi de cet agent vital dont nous avons parlé. C’est lui l’esprit qui s’est enfui du corps lors de sa manifestation sur la plan physique; c’est lui l’âme métallique, ou cette matière première qu’on n’a point voulu désigner autrement, et qui fait sa résidence dans le sein de la Vierge sans tache.”

[Les Demeures Philosophales, Paris, Pauvert – 1979, Tome I, pp. 272-3]

E ancora:

… Le sujet des sages lui-même, qualifiée première matière de l’art, est fort éloigné de la simplicité inhérente à celle du second Adam. Ce sujet est cependant, et proprement la mère de l’Œuvre, comme Eve est la mère des hommes. C’est elle qui dispense aux corps qu’elle enfante, ou plus exactement qu’elle réincrude, la vitalité, la végétabilité, la possibilité de mutation. Nous irons plus loin et dirons, a l’adresse de ceux qui ont déjà quelque teinture de science, que la mère commune des métaux alchimiques n’entre point en substance dans le Grand Œuvre, bien qu’il soit impossible, sans elle, de rien produire ni de rien entreprendre. C’est, en effet, par son entremise que les métaux vulgaires, véritables et seuls agents de la pierre, se changent en métaux philosophiques, c’est par elle qu’ils sont dissous et purifiés, c’est en elle qu’ils retrouvent et reprennent leur activité perdue, et, de morts qu’ils étaient, redeviennent vivants; c’est elle la terre qui les nourrit, les fait croitre, fructifier, et leur permettre de se multiplier; c’est enfin, en retournant dans le sein maternel qui les avait jadis formés et mis au jour, qu’ils renaissent et recouvrent les facultés primitives dont l’industrie humaine les avait privées. Eve et Bacchus sont les symboles de cette substance philosophale et naturelle, – non cependant première dans le sens de l’unité ou de l’universalité, – communément appelée du nom d’Hermès ou de Mercure. … On comprend mieux ainsi la nature spéciale de son action, et pourquoi il ne demeure pas avec les corps qu’il a dilués, purgés, et animés. Et l’on saisit de même dans quel sens il convient d’entendre Basile Valentin, lorsqu’il assure que les métaux sont des créatures deux fois nées du mercure, enfants d’une seule mère, produits et régénérés par elle. Et l’on conçoit mieux, d’autre part, où git cette pierre d’achoppement que les philosophes ont jetée à travers le chemin, lorsqu’ils affirment, d’un commun accord, que le mercure est l’unique matière de l’Œuvre, alors que les réactions nécessaires sont seulement provoquées par lui, ce qu’ils ont dit soit par métaphore, soit en le considérant d’un point de vue particulier…”

[Les Demeures Philosophales, Paris, Pauvert – 1979, Tome I, pp. 309-10]

Dopo questi robusti brani del ‘900, di stampo francese, facciamo un passo indietro e leggiamo un passo del buon Marchese Santinelli (ma, più probabilmente, il misterioso ‘auctore innominato‘ era Gualdi), nel 1666:

Nell’opera Fisica vengono descritte dagli autori tre soluzioni: la prima è del corpo metallico, & crudo, nei suoi principia, per l’appunto zolfo e argento vivo. La seconda è del corpo Fisico. La terza è della terra Minerale; … La prima soluzione deve essere compiuta con cura, quando prendiamo il nostro corpo metallico, & lo dividiamo in Mercurio, e poi in Zolfo. Per cui il lavoro è di estrarre dal nostro soggetto, grazie ad una dedicata industriosità, & al nostro fuoco occulto artificiale, il Mercurio, cioè quel vapore degli elementi; e nell’estrazione, purificare; in seguito, con il medesimo & naturale ordine liberare dalle carceri lo zolfo, cioè l’essenza dello zolfo. Ma tutte questo per mezzo della soluzione & della corruzione, la quale devi conoscere ottimamente. Il segno di questa corruzione è la nigredo, vale a dire l’apparire di una specie di fumo nero nel suo vetro. Questa trae origine dall’umidità corrompente del tuo menstruo naturale, attraverso la quale umidità, nella commozione degli elementi, sale questo vapore; perciò, se vedrai questa vaporosa nigredo, sii certo di star percorrendo la retta via, e che hai trovato l’ordine giusto. La seconda è quando il corpo Fisico, assieme a queste due sostanze, viene dissolto, & in questa soluzione tutte le cose vengono purificate, & raggiungono la purissima natura celeste; così, tutti gli elementi sottilizzati procurano il fondamento di una nuova generazione, [questo fondamento è] allora il vero Chaos Filosofico, e la vera prima materia dei Filosofi, come insegna il Conte Bernardo; pertanto è soltanto dopo la congiunzione della femmina & del maschio, del Mercurio & dello Zolfo che essa deve essere chiamata prima materia, & non prima.

Questa soluzione è la vera reincrudazione, attraverso cui si ha un seme purissimo moltiplicato nella sua virtù; infatti se il grano giacesse nella terra, & la sostanza del grano non reincrudasse, invano l’Agricoltore attenderebbe il raccolto desiderato: tutti gli sperma sono inutili ai fini della moltiplicazione se non sono prima reincrudati: per cui occorre conoscere perfettamente questa reincrudazione, & riduzione in prima materia, solo attraverso la quale si può ottenere questa seconda soluzione del corpo Fisico. Per quel che attiene alla terza soluzione, si dice che sia l’umettazione di quella terra, o dello zolfo Fisico, & minerale, grazie alla quale l’infante comincia a crescere le forze, & viene accresciuto… “.

[Lux obnubilata, suaptè natura reffulgens. Vera de Lapide Philosophico Theorica, metro italico descripta et ab auctore innominato commenti gratia ampliata: pars prima, Venetia, Zatta – 1666, Canzone Terza, Cap. I, pp. 172-4; mia traduzione]

A titolo di ciliegina sulla torta, ma in perfetta sintonia con quanto sopra visto, ecco due brani di Philalethe, del 1669:

“… Hence the noble Sendivogius saith, The Fool (believe me) will not find our Stone, no not in Gold; but the Wiseman will find it in the Dung, That is to say, In Gold (which[1] is the of the Sophi) the tincture of Goldness lies hid. This[2] though it be a most digested body, yet is it incrudated and made raw[3], in one only thing, viz. Our Mercury[4], and receiveth from [5] the multiplication of its own Seed[6], not so much in weight[7] as in vertue.”

[Secrets Reveal’d, London – 1669, Chap. XIII, p. 41]

…even so it is with Gold, as long as it is in the form of a Ring, a Vessel or Mony, ‘tis the vulgar Gold, but as concerning its being cast into our water, ‘tis Philosophical. In the former respect it is called Dead because it would remain unchanged even to the Worlds end; in the latter respect it is said to be living, because it is so potentially; which power is capable of being brought into Art in a few daies, but then Gold will be no longer Gold, but the Chaos of the Sophi; therefore well may Philosophers say, That their philosophical Gold differeth from the vulgar Gold, Which difference consisteth in the Composition. For even as that Man is said to be dead, which hath already received the sentence of Death; so is Gold said to be alive when it is mixed in such a Composition, and put upon such a fire in which it will necessarily receive a germinative life, in a short time: yea, ‘twill demonstrate the actions of a life beginning, and that within a few daies[8]. Therefore the same Sophi that say their Gold is living, do bid thee (the Searcher of Art) to revive the dead, the which if thou knowest to do, and to prepare the Agent, and rightly to mix the Gold, it will soon become living; in which vivification thy living Menstruum will dye. Therefore the Magi command thee to revive the dead, and to kill the living; They do (at the first entrance) call their water living, and say that the death of one principle, with the death[9] of another, hath one and the same period. Thence ‘tis evident, That their Gold is to be taken dead and their water living; and by compounding these together, the seed-Gold, will (by a short decoction) vivifie or quicken, and the live will be killed, that is the spirit will be coagulated with the dissolved bodie, and both of them putrifie together, in the form of dirt or mud, until all the members of the Composition are rent or dispersed into Atoms[10]. Here therefore is the naturality of our Magistery. The Mistery which we so much hide, is to prepare the , truly so called[11], the which cannot be found upon the earth [12]ready prepared to our hands; and that for singular reasons known to the [13]Adeptists.”

[Secrets Reveal’d, London – 1669, Chap. XIII, p. 42-4]

Le note cui si fa riferimento nei due brani di Philalethe sono prese dal libro Philalethe Reveal’d, Vol. 1, edito dal sottoscritto e da Fra’ Cercone; GLO è l’acronimo per un ‘Glosser‘ anonimo che annotò fittamente una sua copia del Secrets Reveal’d nel 1690; queste sue glosse sono, oltre che curiose, di un certo interesse.

Bene: in ogni momento dell’operatività occorre mettere alla prova la propria comprensione dei principi base della antica Filosofia Naturale; non essendo affatto facili da comprendere alla luce della nostra logica moderna, peraltro molto limitata quando la si confronta con l’apparato immenso dei processi della Creazione, il mio invito è sempre quello di non smetter mai di confrontarsi con l’Imaginatio vera sed non phantastica, tra un segnalibro ed un pestello, tra un bizzarro ma buon testo d’alchimia e l’esame accorto delle materie in opera ‘a caldo’ ed ‘a freddo’, tra l’insegnamento scritto di chi ci ha preceduto e l’Intuizione ‘a mani sporche’ di una notte di buona Luna.


[1] Here GLO adds in a note: duely prepared.

[2] Here GLO adds in a note: common; not Sophoru(m).

[3] The incrudation is an alchemical operation through which a substance is returned to its primeval condition, that is to the raw state, also called their prima materia, the first matter. We read in one of the most reputed tracts of Alchemy: “Hæc solutio est vera reincrudatio, ut semen purissimum habeatur in sua virtute multiplicatum, si enim granum in terram iaceret, & substantia grani, non reincruderetur in hanc primam materiam, frustra Agricola, ex eo optatam messem expectaret. Omnia spermata nisi reincrudentur nihil valent in ordine multiplicationis: Unde hæc reincrudatio, & in primam materiam reductio, est per optime cognoscenda, qua sola hæc secunda corporis Phisici solutio acquiri potest. See, Francesco Maria Santinelli, Lux obnubilata suapte natura refulgens, Venetiis, 1666, Caput Primum, p. 174. Translation: “This solution is the true reincrudation, in order to obtain the multiplication in its virtue of the purest seed, in fact if the grain laid in the earth & the grain’s substance did not reincrudate into this first matter, the Peasant would expect in vain the desired harvest from it. All the sperms are worth nothing in order to the multiplication if they are not reincrudated: Thus this reincrudation & reduction into the first matter, has to be very well known, [since] this second solution of the Physical body can be achieved only through it.”.

[4] Here GLO adds in a note: which doth not happen, to of the Sophi: But to the Contrary, the is by the , maturated, fixed and perfected.

[5] Here GLO adds in a note: tamquam menstruo. (as from a menstruum)

[6] Here GLO adds in a note: which is; beeing incrudated.

[7] Here GLO adds in a note: which by reincrudation is diminished.

[8] Here GLO adds in a note: By its internal motion, and Solution.

[9] This is evidently a typo which should be read: the death of one principle, with the life of another, hath one and the same period, consistently with BPC and OOM.

[10]  Here GLO notes: but prittie bigg ones: grains in the beginning t(hen?) they at the End of the work become dust. This means that by the end of this putrefaction the Compound has thinned down to its minimum particles.

[11] Here GLO notes: because it is water which is all Essence.

[12] Here GLO notes: Because it lodges in the magnesia thence to be drawn. But the magnesia, its subject, is made to our hands, by the Avicula Hermetis, & is plenty he henough found everywhere and upon the Earth to.

[13] Here GLO notes: Because they must have the pure spirit without its … [an unreadable word here – EN] Impuritys.

Il Giglio delle Convalli

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Jacques Coeur - Tristan & Isolde

Jacques Coeur – Tristan & Isolde

Nel suo Arcanum Hermeticae Philosophiae Opus (1623), al canone XXIII, il Presidente d’Espagnet scrive:

Con il termine Luna i Filosofi non intendono la Luna volgare, la quale nel suo operare è maschio, & che nella copula svolge il ruolo di maschio; che nessuno presuma dunque di  tentare una congiunzione nefasta & contro Natura di due maschi, e non  si concepisca alcuna speranza di prole da una tal copula; ma si congiunga con un congiunzione stabile Gabritius a Beia, il fratello alla sorella, e che si chiamerà propria;  affinché poi si raccolga il fertile figlio del Sole.

Il monito è chiaro, e spesso trascurato: se la nostra mentalità accetta immediatamente un possibile matrimonio tra due generi opposti, un mariage di un fratello e sorella viene ovviamente visto come sola figura retorica. Ma, a mio modesto avviso, vi è dell’altro. Fulcanelli ne accenna nel Volume I de Les Demeures Philophales, al capitolo Le Mythe Alchimique d’Adam et Eve:

Car ils sont réellement frère et soeur, tenant chacun leur être d’une mère commune, et redevables de la contrariété de leurs tempéraments plutôt à la différence d’âge et d’évolution qu’à l’écart de leurs affinités.

L’auteur anonyme de l’Ancienne Guerre des Chevaliers, dans un discours qu’il fait prononcer par le métal réduit en soufre sous l’action du premier mercure, enseigne que ce soufre a besoin d’un second mercure, avec lequel il doit être conjoint afin de multiplier son espèce.

Segue una lunga ed importante dissertazione sul famoso ‘secret des deux mercures‘, nella quale l’Adepto avverte che vi saranno ‘contradictions, erreurs menifestes de logicque ou de jugement‘, forse utili per sbrogliare l’enigmatica matassa:

Or, nous reconnaissons loyalement qu’il n’existe qu’un seul mercure à la base, et que le second dérive nécessairement du premier. Il convenait cependant d’appeler l’attention sur les qualités différentes qu’ils affectent, et faire en sorte de montrer, — fût-ce au prix d’une entorse à la raison ou d’une invraisemblance, — comment on peut les distinguer, les identifier, et comment il est possible d’extraire, directement, la propre femme du soufre, mère de la pierre, du sein de notre mère primitive.“.

Come sempre, lo studio attento e la verifica sperimentale in Laboratorio è d’obbligo; al di là dell’autorship del Capitolo – la cui definizione attiene alla storia complicata, come si è visto, della creazione/elaborazione/sviluppo di entrambi i capolavori firmati come Fulcanelli -, si deve dire che vi è materia per meditare ed avviare tutta una serie di delicati ed importanti esperimenti.

Delle Nozze Chimiche parlerà naturalemtne anche Maitre Canseliet, a più riprese. Una tra tante, da Due Luoghi Alchemici, nella traduzione di Paolo:

É potente l’amore che, nell’innocenza e la purezza, unisce indefettibilmente Gabricus, o Gabritius e Beya, per il necessario androginato della Grande Opera. Nell’Enigma della visione del filosofo Arisleo e dalle Allegorie dei sapienti – Enigma ex visione Arislei Philosophi et Allegoriis sapientum:

Il Re dice: perché volete Beya? Ed io: Perché la generazione non si fa senza di lei, e sebbene essa sia la sorella del fratello, essa è femmina – Rex ait. Cur Beyam vultis? Et ego: Quia generatio non fit absque ea, & quamvis soror sit fratris, & foemina.

Questa citazione di Canseliet è curiosa: quell’ultima frase ‘esplicativa’ di Arisleo – così come viene proposta – appare infatti un po’ ambigua: “Perché la generazione non si fa senza di lei, e sebbene essa sia la sorella del fratello, essa è femmina“, pur ovviamente corretta, suona leggermente tautologica; se infatti è naturale che Beya è femmina – ‘ea‘ – quel ‘essa è femmina‘ può essere letta al massimo come un rafforzativo. Filosténe Junior, nel suo libro, afferma che Canseliet – una volta ottenuto da Fulcanelli il permesso di firmare le sue opere con la sigla F.C.H – avrebbe utilizzato i risvolti delle pagine illustrative come una sorta di ‘accredito’ indirizzato alla cerchia dei F.C.H. A suo dire, questo spiegherebbe – uso tutto il condizionale – il motivo di alcune criptiche frasi che compaiono a commento delle illustrazioni.

Si deve tener conto che l’origine di questo testo famoso e citato ovunque è ancora molto incerta; si dice che possa trattarsi di un testo arabo – il Risalat madd al-ba hr dhat al-ru’ya -, ma più probabilmente si tratta di una sorta di circolo vizioso, in quanto il supposto testo arabo potrebbe a sua volta essere una ri-traduzione dal Greco di Archelao. Inoltre, come è noto, la Visio è stata inclusa in diverse raccolte prestigiose come l’Aurora Consurgens, l’Artis Auriferae e il Rosarium Philosophorum ed altre. Si tratta insomma di un testo rielaborato, modificato e parcellizzato molte volte, mancando ad oggi una solida ed attestata fonte originale.

Il brano proposto da Canseliet proviene senza dubbio dalla versione inclusa nel volume I dell’Artis Auriferae quam Chemiam Vocant del 1593, che include tra gli altri il trattatello Aenigma ex Visione Arislei Philosophi, et Allegorijs Sapientum:

Rex ait. Cur Beyam vultis? Et ego: Quia generatio non fit absque ea, & quamvis soror sit fratris, & foemina: tamen emendat ipsum, eò quòd ex ipso est.

[Aenigma I, pp. 147-148]

Una rapida traduzione suona grosso modo così: “Il Re dice: perché volete Beya? Ed io: Perché la generazione non si fa senza di lei, e sebbene [essa sia] la sorella del fratello, e femmina, tuttavia [essa] emenda lo stesso [Gabritium], per il fatto che [essa] è da esso.“.

Così, mi pare che in questo modo il senso della frase sia più evidente. La correttezza di questa lectio è confermata anche dalla edizione precedente del 1572 (Auriferae Artis quam Chemiam Vocant). Lascio ai lettori l’eventuale riflessione nel merito della frase completa.

Propongo ora una notula da parte dell’alchimista Normanno Jean Vauquelin des Yveteaux (1651-1716), tratta dal suo curioso trattato Alchimie du Cantique des Cantiques de Salomon, dove – al versetto 2.1, titolato Ego flos campi, et lilium convallium – si parla del Giglio delle Convalli:

Ce champ, comme l’explique l’hebreu, est celui de saron, c’est à dire que l’on doit en chanter les louanges, et la fleur est la rose de cette campagne. Nous avons dit ailleurs ce que les philosophes entendent par la rose et la fleur de sel. Cette rose icy est blanche.

Et quoyque par le lis des vallées les uns veullent que l’on entende la fleur d’iris accause de la bonne odeur de sa racine profonde, à laquelle profondeur ils raportent le mot de convallium, les autres l’interpretent le muguet, d’odeur si charmante, et qui vient naturellemnt dans les broussailles parmy les ronces et les epines dans les bois.

D’autres veullent que l’auteur aie voulu parler icy du lys ordinaire; mais à le bien prendre dans le sens phisique, il ne faut entendre icy que le lys de l’art, le sujet phisique, dont Paracelse dit que la partie superieure est le lys blanc, la glu de l’aigle, et la partie inferieure est le lys rouge, laton, lion rouge et son sang, la Beia et le Gabritius des sages, de l’union desquels se fait la premiere matiere des metaus.

Lilium convallium alienis spinis circumceptum ut et philosophicum partibus heterogeneis. Lilium ceruleum est iris in quem Aiax conversus, qui insanus ad Troiam intervenit.

C’est de ces lys dont Cortalasseus a tant parlé dans son traitté d’Arca arcani et son Lilium inter spinas, le lili du manuel de Paracelse, et de sa teinture des phisiciens.

Cette fleur peut estre ditte des champs, parce qu’elle y vient d’elle mesme et naturellement, sans opération manuelle de l’artiste, et lis des vallées accause de sa simplicité, et sa pureté. Sapientia est humi moravi, disent les philosophent, et simplicitas veritatis sigillum.

Cette rose de saron, mortuis aeternae vitae munus exhalans, ce lis dont il est dit que par l’arousement des eaus salutaires, il germera comme le lys des vallées.

Eccone la mia rapida traduzione:

Questo campo. come lo spiega l’Ebraico, è quello di Saron, vale a dire che ne si deve cantare le lodi, ed il fiore è la rosa di questa campagna. Abbiamo detto altrove di cosa i filosofi intendono con la rosa ed il fiore del sale. Questa rosa qui è bianca.

E sebbene con i gigli delle valle gli uni vogliono che si intenda il fiore dell’iris a causa del buon odore della sua radice profonda, alla quale profondità rapportano la parola convalli, gli altri l’interpretano come il mughetto, di odore così incantevole, e che spunta naturalmente dai cespugli tra le rocce e le spine nei boschi.

Altri vogliono che l’autore abbia inteso parlare qui del giglio ordinario; ma a ben prenderlo nel senso fisico, qui non bisogna intendere che il giglio dell’arte, il soggetto fisico, del quale Paracelso dice che la parte superiore è il giglio bianco, il vischio dell’aquila, e la parte inferiore è il giglio rosso, lattone, leone rosso ed il suo sangue, la Beia ed il Gabritius dei saggi, dalla cui unione si fa la prima materia dei metalli.

Lilium convallium alienis spinis circumceptum ut et philosophicum partibus heterogeneis. Lilium ceruleum est iris in quem Aiax conversus, qui insanus ad Troiam intervenit.

É da questo giglio di cui Cortolassesus ha tanto parlato nel suo trattato Arca Arcani ed il suo Lilium inter spinas, il lili di Paracelso, e della sua tintura dei medici.

Questo fiore può essere detto dei campi, perché vi spunta da solo e naturalmente, senza operazione manuale da parte dell’artista, e giglio delle valli a causa della sua semplicità, e della sua purezza. Sapientia est humi moravi, dicono i filosofanti, e simplicitas veritatis sigillum.

Questa rosa di saron, mortuis aeternae vitae munus exhalans, questo giglio di cui si dice che grazie all’innaffiamento delle acque salutari germinerà come il giglio delle valli.“.

Cortholasseus è uno dei tanti nicknames assunti da Johannes Grasshof (ca. 1560 – 1623), e l’opera cui des Yvetaux fa riferimento è la sua Aperta Arca Arcani Artificiossimi, una raccolta famosissima in quei tempi; all’interno figura il trattatello sul Lilium, costituito dal famoso racconto allegorico (Der Kleine Baur). Oltre all’inevitabile omaggio a Sendivogius – certo uno dei più stimati e famosi alchimisti dell’epoca – credo non si debba dimenticare che la probabile origine di questa allegoria legata alle convallibus è Virgilio, che d’Espagnet – chissà perché! – amava molto.

eneide_convallibus

La bellezza dello studio dell’Alchimia è dovuta alla Sophia che anima il suo tessuto, stabile e radicata nei secoli, al riparo dai pre-concetti, stereotipi, e giudizi di ogni sorta, così tipici degli esseri umani; non è importante la parola, ma il cercare con serena umiltà, studiare e praticare: Sophia è lì, da sempre, con i suoi semplici, basici Principia Naturalia, pronta per essere sperimentata. Tutto è stato scritto, in molti ‘cantica‘ e ‘legende‘. La Via è una, e occore naturalmente ‘orientarsi’. L’esploratore che usa la bussola basata sul Nord magnetico, non è consapevole del fatto che si sta orientando grazie ad un Campo unico e non soltanto ‘locale’, all’interno del quale le frequenze sono  gli strumenti usati da Madre Natura per informare la Creazione. Se all’esploratore geografo o archeologo questa consapevolezza non è certo indispensabile, per l’alchimista è di assoluta importanza. So che molti storceranno il naso ed alzeranno le sopracciglia: non importa. V’è ben altro che è importante.

Nigra sum et formosa filia Jerusalem
Ideo dilexit me Dominus
Et introduxit me in cubiculum suum
Et dixit mihi: surge amica mea et veni.
Jam hiems transiit, imber abiit et recessit,
Flores apparuerunt in terra nostra,
Tempus putationis advenit.

Alchimia, ovvero della Philosophia Naturale e della Physica… – Interludio, Verde

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Molto inchiostro è colato nell’interpretazione dell’Ecusson final che apparve con la prima edizione del 1926 de Le Mystere des Cathedrales. Una lettura araldica canonica e di buon senso (da parte di Althea, alias Madame Elena Frasca Odorizzi) potrebbe essere: “Di rosso, all’Ippocampo d’oro, cimato da una spiga d’orzo dello stesso, attraversante su una campagna del secondo“. Paolo Lucarelli, che ebbe la benevolenza di parlarmene poco prima della pubblicazione della sua nuova traduzione ed edizione della prima opera di Fulcanelli (2005), canta il blasone comme-il-faut, tenendo anche conto dell’elmo, vale a dire dell’origine alchemica dell’ormai famoso blasone: “Troncato di rosso e d’oro, all’Ippocampo d’oro dell’uno all’altro accompagnato in capo da una spiga d’orzo, timbrato da elmo di cavaliere crociato ornato di due lambrecchini, con impresa d’anima che dice uber campa agna”. Paolo, per miglior aiuto, fece anche colorare, basandosi su questa lettura, il blasone di Fulcanelli, ponendolo in quarta di copertina.

fulcanelli_ecu1926-copy

I Tre Ecussons

In reverente omaggio ai Frères Chevaliers d’Heliopolis, ho pensato di giustapporre il blasone originale (del 1926), a quelli di Eugène Canseliet e Jean Laplace; trovo infatti che vi sia da riflettere. Ricordo anche che Paolo mi riferì di esser rimasto molto turbato dal fatto di non aver avuto notizie da Jean durante l’ultimo periodo della sua vita terrena. Come è noto, erano due stretti amici. Se tutti conosciamo il rivoluzionario contributo di Paolo alla corretta direzione da dare dell’operatività alchemica stretta, pochi – temo – hanno voluto consultare le opere di Jean.

L’unico colore ‘araldico’ nell’Ecusson di Fulcanelli è il rosso, il quale ne specifica con chiarezza cristallina il senso, cioé l’Initium, vale a dire il risultato della ‘prima operazione’: “Questa dunque è la prima operazione di alchimia, come diceva Canseliet, alla fine della quale deve manifestarsi quel rosso tanto misterioso e importante da essere definito arcano maggiore dell’Arte, che sovrasterà l’oro, o meglio un’acqua dorata, più o meno nelle proporzioni che qui si vedono.”.

Nell’Ecusson di Jean appaiono tre  colori: dall’esterno all’interno il nero, il bianco, il verde; fino al centro, rappresentato dal Sol, d’oro (il quale, in araldica,  è metallo e non colore). Da un suo saggio apparso ne La Tourbe des Philosphes, numero 31, titolato Aperçus Vitriolique, sottopongo un passo:

“« Aujourd’hui clair de lune

Il fera demain clair de l’autre. »

De Cyrano Bergerac : Le pédant joué

La séparation est de telle importance qu’elle influence, de façon décisive, l’aspect des matériaux à la fin du premier oeuvre. Eugène Canseliet, unique disciple de Fulcanelli, disait souvent que le vitriol véritable n’est pas nécessairement atteint lorsqu’on obtient un sel vert lors des purifications du mercure. Chacun pourra en juger à présent, en prenant connaissance de la description exacte du composé que nous avons pu élaborer et que voici :

L’étoile, qui est un synonyme philosophique du sel dont nous parlons, est générée à partir des seuls matériaux réservés à l’oeuvre lorsqu’ils sont travaillés selon la technique sans envie décrite au chapitre conjonction et séparation de « L’alchimie expliquée ». Le vitriol est insoluble quel que soit le solvant employé depuis l’eau, le chloroforme, l’acétone jusqu’à l’alcool le plus subtil, voir même l’acide chlorhydrique. On peut donc le considérer comme un émail de la meilleure qualité, certains le comparent même à l’or. Par-dessus tout, il est transparent comme du cristal de Bohême teinté du plus beau vert. Cette transparence est le signe le plus certain d’une exacte préparation si l’odeur de l’encens accompagne les opérations de purification. Sa couleur est fixe. Le vitriol, coulé puis refroidi à la surface du mercure, se brise en mailles de filet. Les veines de ces brisures deviennent, à l’air ambiant, autant de lignes opaques hérissées d’une multitude de poils blancs dont la structure ressemble à l’amiante. Toutefois, cette « oxydation » se limite aux seules fêlures de la masse compacte qui reste, elle, exempte de toute dégradation. Les fumeroles qui s’insèrent lors de la solidification sont la cause la plus plausible de ces apparitions poilues.

Cela dit, il est assuré qu’il sera impossible d’opérer aux sublimations avec un vitriol qui soit opaque dans sa masse, à cause d’une mauvaise séparation ou d’une purification mal conduite. Au stade du second oeuvre, le pur désire habiter avec le pur c’est pourquoi il change de lieu pour monter à la surface où se trouve le vitriol. Ce phénomène magnétique ne s’accomplira que si l’émeraude philosophique a les qualités requises, afin que le semblable s’unisse au semblable.“.

Il passo è del 1988 ed è di facile traduzione. Segnalo che Jean lasciò questa manifestazione nel 1996, e che il passo si riferisce al ‘verde‘. Come ricorda Canseliet, e Jean lo sottolinea, “… il vitriolo veritiero (‘véritable‘, e non ‘vrai‘) non è necessariamente raggiunto allorché otteniamo un sale verde durante le purificazioni del mercurio“. Sembra di poter/dover intendere, così, che vi siano diversi ‘verdi’ durante l’Opera (ma vi sono anche diversi ‘rossi’, per non parlare dei ‘neri’ e dei ‘bianchi’).  Ora, non intendo certo dare delle indicazioni operative, per ovvi motivi tradizionali; come sempre, è il caso di porsi domande utili all’operatività, soprattuto nel dove&quando; mi limito tuttavia a segnalare che non mi meraviglio affatto di questa affermazione, soprattutto se si è ben compreso, prima, cosa è in Physica un colore. Specifico che la versione corrente proposta dalla fisica, non è completa, né tanto meno veritiera. Mancano alla fisica molti ‘pezzi’, tutti peraltro ben presenti all’interno della Physica. Per chi ama studiare praticando, questo è un terreno che riserva frutti, utili – a mio modesto avviso – durante l’operatività alchemica.

Ora, se nelle lingue latine ‘véritè‘, ‘véritable‘ indicano – i F.C.H docent – la Force legata alla crescita indispensabile nell’Opera pratica, segno cioè di una fissata capacità di nuova vita, le lingue nordiche suonano in modo più perentorio: il ‘green‘ inglese, così come il ‘grün‘ tedesco provengono dal radicale Proto Indo Europeo ‘ghre‘, che indicava per l’appunto il momento della crescita di una pianta. Il fonema originario ‘ghros‘, da cui ‘grass‘ – l’erba – informava l’ascoltatore del  ‘giovane germoglio‘ (“shoot“), del ‘pollone‘ (“sprout“). Vi è in questa modalità sonora più di un senso utile alla bisogna. Si parlerà, lo so, di aspetti intellettuali, marginali. E sorrido, di conseguenza.

In verità, ogni materia che cresce ha un suono distintivo, tipico dell’animale, del minerale e del vegetale. Il che è naturale, meglio: Naturale. Se qualcuno/qualcosa ‘entra’ in una stanza chiusa, produce necessariamente un suono: ogni materia che ‘entra’ in Manifestazione si comporta in modo identico. Ogni materia vibra, oscilla; è la sua signature, la firma. Quella vibrazione propria dell’organizzazione cristallina, matrice della nuova materia – la Matta Reah di Heliopolis antica – interagisce con il Campo unico. L’allineamento della vibrazione cristallina che punta, per gradi, alla Risonanza con il Campo, produce un’onda che ha una caratteristica sonora precisa, tradotta in una frequenza sonora delicata, secca, esatta e che riverbera – per un fenomeno elettrico&magnetico ovvio – nell’esaltazione di micro-particelle ‘profumate’ e ‘colorate’. L’occhio percepisce il colore, l’orecchio il suono, il naso il profumo.

Vi sono così, più ‘verdi‘ (e più ‘colori’). L’alchimia antica precisa che vi sono più mercuri e più zolfi. Il “Pensare”, d’altro canto, genera onde, e Madre Natura risponde, con assoluta precisione. L’Entanglement ha una caratteristica di merveilleux, ma racchiude in sé anche l’assoluta incertezza del fenomeno ‘veritable‘. Occorre dunque un supporto per discernere ciò che si cerca, prima teorico (Physica) e poi pratico (Alchimia).

Detto questo, si comprenderà forse meglio il florilegio di achievements capitati ai numerosi alchimisti che sono arrivati nei dintorni di questa zona di Force, meglio: di questo Campo di Forza. Essendo inevitabile che l’artista innamorato è parte interagente di questo Campo, e delle Risonanze in corso d’Opera, è essenziale la frequenza (Canseliet parlava, più che correttamente, del famoso Dyapason). Pregare, meditare, è senza alcun dubbio una postura essenziale e dovuta di fronte a Madre Natura all’Opera, quando fa nascere una nuova vita in un Cristallo. Noi non siamo nulla di fronte alla Madre, di fronte alla Materia, soprattutto a quella Matta Reah. Ma la possibilità di consapevolezza di alcune frequenza base della Creazione può essere esiziale nel non prendere lucciole per lanterne, nella speranza timida ed umile di saper come orientarsi durante quel rapidissimo canto profumato.

Il Desiderio di Arjuna è la forza di nascita dell’Entanglement, e non v’è scampo: Connaitre richiede una dispositio sia della Materia che dello Spirito dell’Artista. Il senso allegorico della Veille del futuro, eventuale, Chevalier – solitaria, nella notte, di fronte alle proprie armes posate di fronte al fuoco della Lux – è questo, e non si compie pour chance, ma attraverso una scelta consapevole di Risuonare con la Creazione. Occorre tempo, molto tempo, studio, molto studio, pratica, molta pratica. Ed essere, naturalmente, véritables.

 

Alchimia, ovvero della Philosophia Naturale e della Physica… – 1

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Piccolo prologo:

Ora, lege, lege, lege, relege, labora et invenies

La pratica – ripeto: pratica – alchemica prevede obbligatoriamente lo studio profondo dei testi; i quali, pur talvolta poco comprensibili, costituiscono l’asse di fondazione di qualsiasi sperimentazione di laboratorio. Inoltre, come è noto, il risultato della sperimentazione del laboratorio alchemico obbliga il Cercatore onesto a ritornare sui testi migliori e confrontare/ri-trovare il risultato ottenuto – sia esso parziale o finale – con la solida teoria alchemica, racchiusa solo in quei testi migliori. Senza l’elaborazione di un modello teorico serio e canonico la sperimentazione in un laboratorio alchemico porta a risultati che paiono mirabili e/o canonici, ma che sono totalmente avulsi dalla unica verità indicata con chiarezza estrema dalla Scienza e dall’Arte alchemica. Non è un caso fortuito o altro che possa condurre l’essere umano verso la Conoscenza, ma unicamente lo studio tenace e umile, l’apprendere le basi della Philosophia Naturale prima sui testi e poi nel Laboratorio, e l’impegno solido nel processo del Conoscere studiando e praticando. Questo è il cambiamento – imprescindibile – del famoso ‘mantello gettato alle ortiche‘ da Fulcanelli, Scienziato ed Artista a tutto tondo.

Indipendentemente dal giudizio, o dal pre-giudizio, o dal pre-concetto della mente umana, che ignora la realtà vera ma “Coelata” dell’Alchimia, è bene chiarire che il cuore della Scienza e dell’Arte è stato, è, e sarà la CONOSCENZA, esatta, descritta come φυσικὰ καὶ μυστικά dagli antichi, molti secoli dopo studiata e rinnovellata da Sir Isaac Newton come Prisca Sapientia. Tale Conoscenza deriva precisamente dallo studio incessante dei testi migliori e dalla pratica ugualmente incessante del laboratorio alchemico (il quale, ça-va-sans-dire, nulla ha a che fare con quello chimico o fisico): questa possibilità – ovviamente di difficile accettazione per l’ignorante o il pigro o l’arrogante – giace perenne nel cuore della Natura, che la offre liberamente ad ogni essere libero dal giudizio, dal pre-giudizio, o dal pre-concetto. Questa triade costituisce l’Onestà del cercatore, nulla di più, nulla di meno.

Dico questo al solo vantaggio di chi inizia il viaggio, ma anche di coloro i quali si avventurano nel Bosco Incantato da tempo…

L’amico ‘caso’ mi ha portato a consultare – e poi studiare – un testo curioso, certo bizzarro, del quale pour-le-moment tacerò il titolo e l’autore, come in un gioco per bambini onesti – e che contiene alcune piccole perle; il testo, del 1871 –  è francese e proviene da quella terra orgogliosamente Celtica che è la Bretagna; a detta di alcuni chercheurs Francesi l’autore era piuttosto in confidenza con Fulcanelli, forse qualcosa di più che ‘en confidence‘. Certo, leggedolo e studiandolo, molte cose mostrano la base dello stile e della allure magistrale di Fulcanelli. E molto, molto altro del cammino di studi e pratica di Fulcanelli. Inizio questa piccola collana di perle con l’incipit del capitolo ‘Physique Hermètique‘. Eccone la mia traduzione:

Il Filosofo Ermetico modella le operazioni della sua opera su quelle della Natura, deve dunque prima di ogni cosa conoscere quest’ultima. Lo studio della Fisica fornisce questa conoscenza.

Dio parlò e tutto venne fatto, dice Mosé, nel libro del Genesi; … il suo racconto chiaro e preciso è quello di un uomo ispirato, di un grande Filosofo, di un vero Fisico. Se ci si allontana dai suoi dati si sragiona, e se vi si appoggia ci si trova sempre nella verità.

Nulla di più semplice della Fisica. Il suo scopo, per quanto molto composito agli occhi degli ignoranti, non ha che un solo principio, ma diviso in parti, le une più sottili delle altre. Le differenti proporzioni utilizzate nella miscela, la riunione e la combinazione delle parti più sottili con quelle che lo sono meno, formano tutti gli individui della Natura. E siccome queste combinazioni sono pressoché infinite, anche il numero dei misti è tale.

Dio è un essere eterno, una unità infinita, principio radicale di ogni cosa. … Nella Creazione fa emergere questa grande opera che aveva concepito da tutta l’eternità. Si sviluppa attraverso una estensione manifesta di sé stesso, e rende attualmente materiale questo mondo ideale, come se avesse voluto rendere palpabile l’Immagine della sua Divinità. Si tratta di ciò che Hermès ha voluto farci intendere quando dice che Dio cambia forma; che allora il mondo fu manifestato e cambiato in Luce. Sembra probabile che gli Antichi intendessero qualcosa di simile [parlando] della nascita di Pallade uscita dal cervello di Giove attraverso l’aiuto di Vulcano o della Luce. … il Creatore ha messo un così bell’ordine nella massa organica dell’Universo, in modo tale che le cose superiori sono mescolate senza confusione con quelle inferiori e divengono simili attraverso una certa analogia. Gli estremi si trovano legati molto strettamente attraverso un mezzo insensibile, o attraverso un nodo segreto di questo ammirevole operaio, in modo tale che tutto obbedisce di concerto alla direzione del moderatore supremo senza che il legame delle parti differenti possa essere rotto se non attraverso ciò che ne ha fatto l’assemblaggio. Hermès dunque aveva ragione …

Il passo, che ovviamente appare innocuo e banale, sebbene vi si adotti la consueta onesta perfidia, racchiude in sé alcuni assunti di primaria importanza per chi cerca, e che sono naturalmente identici – fatta salva la semantica – con la Tradizione vera; della quale avevo parlato, qualche mese fa, a proposito di Philalethe, qui, qui, qui e qui; ma che si ritrova anche in alcuni testi molto poco conosciuti di Sendivogius (ma che a mio avviso provengono da Sethon). Questa Tradizione, naturalmente, non ha nulla a che fare con la tradizione di cui tanto si sente parlare anche ai nostri giorni, frutto di un grave misunderstanding da parte di tanti addetti-ai-lavori, dal medioevo ai giorni nostri.

Una precisazione finale: un frammento della φυσικὰ καὶ μυστικά – che si attribuisce allo Pseudo-Democrito – recita l’insegnamento ricevuto dal Persiano Ostane:

ἡ φύσις τῇ φύσει τέρπεται, καὶ ἡ φύσις τὴν φύσιν νικᾷ, καὶ ἡ φύσις τὴν φύσιν κρατεῖ

La natura si rallegra della natura, la natura vince la natura, la natura domina la natura

Oltre la bellezza poetica evidente dell’Imago, si deve notare che questo è l’Assioma generale della Fisica fondamentale della Manifestazione, di ogni manifestazone, hinc&nunc; ed ha un esatto connotato di Scienza, con un preciso riflesso nella sperimentazione alchemica. Ritengo utile sottolineare che questa è la prima base di quella conoscenza pratica (vale a dire ‘Fisica’, nel senso antico e veritiero) che è l’Alchimia; l’ottimo Nicolas Valois lo ricorda bene a chi si abbassa a studiare il suo splendido testo. Per poi procedere con il Laboratorio, a lungo, in un processo di Studio&Pratica continua e continuata. Come purtroppo pochissimi hanno fatto, oggi come ieri.

Così è, se vi pare …

Paolo …

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Various Stuff with tags , , , , , , on Thursday, July 14, 2016 by Captain NEMO

Caro Paolo,

qui tutto scorre more solito, vale a dire secondo gli usi e costumi degli uomini; uno strano miscuglio di stupidità e intelligenza, di stoltezza e saggezza, di arroganza e di irresponsabilità. Nonostante gli enormi lamenti dei Geremia, le grandi sofferenze, le grandi ineguaglianze, le intolleranze di ogni tipo, la violenza di ogni fatta, l’egoismo mascherato, il fanatismo della verità comprata al bar,… beh, Terra va avanti, passando in uno dei consueti, periodici, tempi di disperazione. Nulla è cambiato, nulla cambierà. Saperlo accora e sostiene. Succederà, ancora …

Ma questo lo sai. Ne parlammo a lungo, e concludemmo ridendo che vi sono altri luoghi ed altri tempi in cui val la pena di continuare ad imparare, divertendosi. Ti immagino preso dalla tua nuova ricerca, dal tuo nuovo compito. Alchimia, ne parlammo, qui si è naturalmente ‘immersa’, come un delfino allegro che corre lungo il mare del divenire [… so long for all the fishes …]. Le solite parrocchiette, i soliti gruppetti bardati di costumi e grembiulini, altre amenità frutto del ‘social’, e via dicendo: tutti sono sicuri – che dico: certi! – di essere i veri ed unici ed ‘autorizzati‘ alfieri della ‘vera alchimia‘. Bah, … come se Alchimia potesse mai essere patrimonio e potestà di qualcuno. Così, guardo quel che succede – talvolta resto stupefatto – e studio e lavoro, esattamente come ne parlammo.

Manchi, manca il tuo spirito, la tua verve, la tua cultura, il tuo eterno sorriso sotto i baffi. Tutti si dan da fare per farti ‘santo&beato‘ nelle parrocchiette, nelle logge, nei libri, sul web. La santa corsa alla ‘patente’ da metter tra le proprie carte, da esibire, in cerca di un’esclusiva, per sopraffare l’altro: è il solito spettacolo indecoroso, che sporca Alchimia.

Mi hai mostrato la Via, mi hai parlato di cose che mai ripeterò, e mi hai spinto, con Amore, ad accendere il mio fuoco. Prima o poi ti rivedrò di nuovo, e ci metteremo a giocare il nostro gioco di fisici e alchimisti, molto bimbi, sdraiati sul pavimento, incuranti della noia di quel che sempre accade, del cicaleccio sgraziato di chi pretende di esser dotto&unto. Se uno non prova gioia – e dentro e fuori -, se uno non trova divertimento, che Alchimia è? … e qui son tutti con i musi lunghi, le ciglia aggrottate, gli occhi pieni di tristezza e vuoto. Ah, che scenario da manuale …

La Via è dolce, e forte, e semplice, e piena di meraviglie, e diversa da quel che viene – per così dire – ‘insegnato’. Il Campo è tutto, il Campo è Uber, e ti vedo sorridere contento. Di quel Campo, unico e indispensabile, parlò anche quel tale che si presentò a Parigi, a quel matacchione di Berger. Sento di dover in qualche modo spiegare ai giovani che Alchimia è esatta e affatto casuale, e che la nuova conoscenza – profonda – di Madre Natura che ne deriva va di pari passo con lo studio accorto dei buoni testi e la continua pratica di laboratorio. Continuerò a farlo, da antico fratello di una Fratellanza che nessuno conosce. Non sono gli uomini a decidere chi è alchimista, ma Natura. Se questa vita me lo consentirà, ci vedremo là dove abbiamo stabilito. Ti abbraccio forte. Molto forte.

Captain NEMO

‘Era dal nulla uscito il tenebroso caos…’ – 4

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie with tags , , , , , , , , , on Tuesday, May 3, 2016 by Captain NEMO

And what great one is this that is so wise, as to gather from these things, that a new King is born more powerful than all the rest, a Redeemer of his Brethen from original Defilements? for ‘twas expedient that he died to be exalted aloft, that he might give his Flesh and Blood for the Life of the World. Good God! How wonderful are these thy Works? ‘Tis thy doing and it seems miraculous in our eyes. Father I thank thee, that thou hast hidden these things from the Wise, and revealed to Babes.

“E quanto grande è colui che è così sapiente, da ricavare da queste cose, che un nuovo Re è nato più potente che tutto il resto, un Redentore della sua Fratellanza dalla sordidezza originale? Poiché era espediente che morisse per essere esaltato in alto, affinché potesse dare la propria Carne e Sangue per la Vita del Mondo. Buon Dio! Quanto meravigliose sono queste tue opere? É opera tua e pare miracoloso ai nostri occhi. Padre ti ringrazio, che tu abbia nascosto queste cose al Sapiente, e rivelato esse ai Bimbi.

Così si conclude il Capitolo V del Secrets Reveal’d, nel quale Philalethe ricorre alla retorica di carattere religioso, da buon Cristiano come era, e come era opportuno per sottolineare l’importanza del discorso che precede. Del resto, il parallelismo con l’operatività alchemica è attestato: la ‘nascita’ di un nuovo corpo, più nobile dei suoi genitori, calza a meraviglia con il racconto del miracolo della Redenzione. E senza nulla togliere allo stupore ed all’estasi contemplativa che rapirà il cuore dell’Innamorato all’effettivo apparire della sostanza tanto ricercata, sembra di scorgere nei termini di questa edizione (quasi certamente la Princeps) alcune peculiarità.

Gather‘ indica il ‘raccolto‘, il ‘raccogliere‘, come giustamente Paolo traduce il latino ‘colligat‘; viene dall’Old English ‘gadrian, gædrian‘, con il senso per l’appunto di ‘unire, assemblare, collazionare, immagazzinare‘; la radice è l’Indo-Europeo ‘*ghedh-‘, per ‘unire, legare assieme‘. Ancora una volta, pare una perfetta fotografia di un atto esiziale nel corso dei lavori alchemici.

Brethren‘ è ovviamente ‘Fratellanza‘: e mentre – nel contesto Cristiano – si riferisce naturalmente all’umanità di cui il Cristo è il Redentore, nell’ottica della pratica alchemica è la compagine minerale che il Dissolvente Universale potrà – eventualmente – ‘redimere‘. Ma altri significati sono sottesi. Curioso che ‘Redeemer‘ sia ‘un‘, e non ‘il‘; una precisione da parte di Philalethe per indicare l’ambito operativo cui intende riferirsi.

original Defilements‘: se la versione Latina di Modena parla di ‘labe originali‘, ad indicare il ‘peccato originale‘, il termine Inglese vale senza dubbio ‘ciò che è sordido, deturpante, sporco, corrotto, inquinato‘, una scoria legata all’ Origo, insomma. Si tratta dell’identico termine usato da Philalethe nel Capitolo III: “… there shalt thou see a fair Infant by removing the defilements, …”

L’explicit del Capitolo – in corsivo nell’originale Inglese – si può leggere su due livelli: il primo è quello del rapporto profondo che lega l’uomo al suo Creatore ; l’altro è quello dell’operativo stupefatto dalla magnificenza di Madre Natura, unica vera artefice di ogni processo alchemico. E l’ultima frase suona come un severo monito ai tanti ‘saggi‘ che non potranno mai accedere a ciò che i ‘parvuli‘ possono vedere, con innocenza e gioia. La seriosità conduce a straordinari vicoli ciechi, e l’allegria ed il sorriso dei Bimbi rendono la vita ben più armonica. Tanto più in Alchimia.