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“La Bugia” del Marchese Palombara … 2

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Friday, September 29, 2023 by Captain NEMO

Proseguo nella Parabola del buon Marchese.

A chi non è infuso di celeste sapienza, apporterà la lettura dei libri molta occasione di considerare che i loro discorsi sono pieni di equivoci e contraddizioni, che perciò il prudente ed accorto lettore dovrà sempre tenere accesa la bugia, acciò tra le oscurità della menzogna non inciampi nella profonda fossa dell’ignoranza.”.

Insomma, un buon consiglio, tutto omeopatico, no? “Similia Similibus Curentur”, dove nei nomina si cela il discrimine tra tenebra e Lux. Facilissimo da farsi, purché si ri-conosca, si sappia ri-conoscere, Lux; come pure, ovviamente, la propria, intima, Lux, quella originale, di nascita. Curiosamente, ma è la verità, entrambe hanno la loro Massa! E questo è un altro discorso …

Il nostro si avvia così a casa, ‘carico dell’erba celeste … colta nel colle’, che da tempi immemorabili è stata e sarà incognita all’ignorante; parola sua. Vediamo: … ma dove … dove ho letto dell’erbetta e del monte? Ah, … ecco … forse forse dal Pacifico Amante della Verità? Mi domando spesso, alla mia età, quante volte sia necessario ripetere la stessa cosa, affinché – al fine – si accenda Lux nel Cuore del cercatore.

La prende, la lava, la pulisce dalle impurità ‘che aveva nella radice’ (facili da separare: ‘non sono interne, né della sua natura’), la trita in atomi minutissimi, e la pone in un ‘vaso magico’, e la tiene sul fuoco ‘lento, vaporoso, aereo, non comburente’ – tipo quello del Trevisano – per asciugarla di una ‘certa umidità che a te ti deve essere molto ben nota’, dice. E … toh! … nasce così un Corvo! … Ah, caspita, … ma deve trattarsi del ‘vas negromanticum’ di Maria, l’Ebrea sorella di Mosè … no? Dal loggione: ‘Ecco, lo dicevo io, ci vuole un Magus, un incantesimo, una conjurationem esoterica e theophrasticam!’ dice, andando a raccattare il cappello a punta e il librone dei Grandi Grimori della Suprema congrega di Shalazam

NO. Dice Maier nell’Atalanta Fugiens, parlando di Triptolemo, commentando l’Epigramma XXXV: “… illud vas, quod Maria dicit, non esse negromanticum, sed regimen ignis tui sine quo nihil efficies.”. Punto. Basta questo, sapete? Ma ritengo sia bene prendere la Bugia indicata dal Marchese, ed accenderla con destro et ratto fiammifero, scoprendo che l’ignis tui … pur essendo senza dubbio un ignis, NON è il focherello che accendiamo sotto l’œuf-à-la-coque.

Pur avendo visto il Corvo, il buon Marchese scopre ben presto di non riuscire ad ‘aprirlo’: “ … per la mia poca pratica in operare [eh, sì … se non lavori, e tanto, e sempre, ci si trova presto tra i rovi!], poiché sebbene con certezza sapevo che dentro le viscere del suddetto corvo vi stava una bianca e pura colomba che nell’occhi  portava doi perle orientali, con il collo ricinto di risplendentissimi e ricchi diamanti, con tuttociò il corvo era sì duro, tenace e bestiale che non trovavo modo da pelarlo e strapparli le penne, che sì fortemente le tenevano avviticchiata ed intrecciata la carne e la polpa. … mi si nascondeva la chiave di questo carcere tenebroso ove innocentemente era ritenuto il mio Re, … e benché sapessi che Saturno era il custode di quella, lo trovai sempre tanto ostinato che non volse mai piegarsi alle mie calde preghiere, onde dando io in quel detto che dice: ‘comburite os nostrum igne fortissimo’, presi pertanto desperato il sopra narrato corvo e lo misi in un foco violentissimo e potente in forte vaso.”.

QED, … mal gliene incolse!

Così, ritorna al colle, in cerca della grotta che aveva trovato in precedenza; ma la trova sbarrata da una porta di Metallo, con sopra incise queste parole: “Io Mercurio, figlio di Maia per ordine di Giove sono disceso in terra, ed ho chiuso l’antro dove si trovano tutte le felicità umane e ne ho riportato la chiave in cielo.”. Evidentemente rattristato, fa per tornare a casa; ma incontra un vecchio barbuto ‘alto e asciutto’ che gli dice che Giove aveva fatto sbarrare l’antro per precauzione, ma contro gli altri mortali, e non contro il Marchese: “… poiché chi una volta gustò del nettare del cielo non è mai più escluso dalla famiglia di Giove, né vi è esempio che chi una volta fu eletto al sacro magistero, sia poi stato abbandonato da quella maestà, e sappi che se l’operazione <non> fosse difficile e laboriosa l’arte al certo perderebbe il nome di arcano …”; poi: “Giove che previde il tuo errore e che sapeva che dovevi ritornare all’antro, ordinò a Mercurio che avanti di chiuderlo mi consegnasse una cestola chiusa e sigillata, e la conservassi per doverla dare a te per quando di novo venivi all’antro, quale averesti trovo all’improvviso chiuso. Onde ecco che te la consegno e torna felice e ricordati che il gran padre Ermete ci avvisa con queste parole: ‘Separabis subtile a spisso, suaviter et magno cum ingenio, etc.’.”

Così, preso ‘il canestro’, se ne torna in Laboratorio, cominciando ad “operare di novo più sanamente” e con l’aiuto ricevuto riesce finalmente ad ottenere “ciò che l’occhio sapeva desiderare, mentre tutte le gioie del Perù erano fango appresso sì degna e non compresa visione …”.

Prima di concludere questa parte illuminata ed illuminante, credo utile ricordare che il buon Marchese aveva chiesto al vecchio chi egli fosse; e lui gli rispose: “Io sono un antico ministro di Mercurio che eternamente dimora albergo di fuora alla custodia dell’antro e sono quello che ti risposi li giorni addietra alle undici interrogazioni [qui] che mi facesti …”, confessandogli che le risposte (in realtà 10) che gli aveva dato venivano suggerite direttamente da Giove, nell’alto dei cieli.

Ciò detto, lo studioso d’Alchimia non potrà non ricordare il famosissimo episodio della vecchia (assieme ai suoi moniti, pesantissimi), della ‘vergine’ sua figlia, e delle ‘vesti’, e del ‘cofanetto’, e della ‘liscivia’ [vide in Tre Trattati Tedeschi di Alchimia del XVII Secolo, pp. 90-3], meditando per bene su quanto scrive in proposito Paolo Lucarelli (alle pp. 23-5).

Hai ottenuto l’eredità che ti ha lasciato mia figlia?” – “In verità, ho trovato il cofanetto, ma non sono proprio in grado di togliere quella veste di stracci, e la liscivia che mi hai dato non riesce a scioglierlo e nemmeno a intaccarla.” – “Tu cerchi di mangiare le lumache o i granchi col guscio? Non conviene che prima li prepari e li faccia maturare il vecchissimo cuoco dei pianeti? Ti ho detto che devi purificare il cofanetto bianco con la liscivia che ti ho dato, non la veste di stracci esterna e cruda; infatti prima di tutto devi bruciarla con il fuoco dei saggi, e allora tutto andrà bene.”, (alla p. 93).

Concludo avvertendo il lettore che l’apparente o ipotetica contraddizione tra i due sogni che si potrebbe presentare alla mente di chi lavora, è solo un ostacolo razionale; velenoso, e più pesante dei moniti della vecchia centenaria. Se invece riuscisse ad aprire il Cuore, con la Bugia dal sorriso omeopatico, Lux potrebbe forse illuminar meglio il cammino. Chissà …

Lo scoglio operativo di cui si parla, è identico: ma se si prestasse miglior attenzione tanto ai termini, tanto alle Maschere indossate dai vari personaggi … beh, forse quel fiammifero cui accennavo supra potrebbe finalmente essere acceso dall’appassionato … nel corpo giusto & col modo giusto! … il resto lo farà Madre Natura!

I due fumi della Profetessa…

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on Wednesday, April 7, 2010 by Captain NEMO

Uno dei testi più curiosi e famosi in Alchimia è quello attribuito a Maria l’Ebrea, detta anche la Profetessa. La leggenda vuole che la prima alchimista fosse addirittura la sorella di Mosé e Aronne, anche se è del tutto improbabile. Si tratta di un testo – il Dialogo di Maria ed Aros sul Magistero d’Alchimia – le cui origini si perdono nell’antichità, e delle quali – come per altri testi coevi (ca. IV° secolo) – temo che sarà impossibile saperne di più.

Il testo deve la sua fama alla sua concisione ed alla semplicità dell’esposizione, in forma di dialogo tra Maria ed un tale Aros (che secondo le solite improbabili leggende sarebbe Horus!); ma è ricordato da tutti soprattutto a causa di tre strani nomi che compaiono nella ricettina di Maria: Kibrist, Zubech ed Elzarog (con diverse varianti)! Visto l’esotismo dei termini, di probabile origine ebraica con una spruzzata di greco, il testo è diventato un classico di cui molti si sono divertiti a darne le più svariate interpretazioni. Pare anche che alla prima alchimista si debba la tecnica, ormai migrata addirittura in cucina, del ‘bagnomaria’, che per un alchimista è meglio chiamare Balneum Mariae!

E’ un’opera cui sono affezionato, perché fu una delle prime che andai a tradurmi dal francese presso la Biblioteca Nazionale: nel mio primo quaderno di studi fa ancora la sua figura, accanto al Re Kalid e a Giovanni dei Poveri.

La versione francese si può trovare in Bibliothèque des Philosophes Chimiques, di Jean Mangin de Richebourg (1740), quella latina in Theatrum Chemicum (1661), ma anche in Artis Aurifera, quam Chemiam vocant (1610); ne è stata fatta una traduzione italiana da Sabina e Rosario Piccolini in Il Filo d’Arianna – 42 trattati alchemici (2001).

La cosa interessante è il fatto che Maria afferma che l’Opera di imbiancamento si possa fare in un’ora!…E qui ogni étudiant dovrà riflettere bene: come si sa moltissimi libri d’Alchimia fanno iniziare l’Opera dove meglio piaceva all’autore, senza contare le molte, possibili, interpolazioni posteriori, specie per un testo così antico. Ma già la sola parola imbiancare dovrebbe dare un primo punto di repere per orientarsi meglio.

Riporto qui il passo famoso della ricetta di Maria, secondo le varie letture:

“ Marie – Prenez donc de l’alum, de la gomme blanche et de la gomme rouge, qui est le kibric des philosophes, leur or, et leur plus grande Teinture, et joignez par un véritable mariage la gomme blanche avec la rouge. Je ne sais si vous m’entendez.

Oui Madame, dit Aros, j’entends et je comprends ce que vous dites.

Réduisez tout cela en eau coulante, poursuivit Marie, et purifiez sur le corps fixe cette eau véritablement divine, tirée des deux soufres , et faites que cette composition devienne liquide, par le secret des natures, dans le vaisseau de philosophie. M’entendez vous, Aros ?

Oui, Madame, répondit Aros, je vous entends fort bien.”

(Versione francese Bibliothéque des Philosophes Chimiques, 1761)

“Maria – Prendete dunque Allume, Gomma Bianca e Gomma rossa, che è il Kibrich dei Filosofi, il loro oro e la loro più grande tintura, e congiungete tramite un vero matrimonio la Gomma bianca con quella rossa. Non so se mi avete capito.

Sì Signora – disse Aros – sento e comprendo ciò che dite.

Riducete tutto ciò in Acqua che scorre – proseguì Maria – e purificate sul Corpo fisso quest’Acqua veramente divina, estratta dai due Zolfi, e fate che questa Composizione divenga liquida, grazie al segreto delle nature, nel vaso di Filosofia. Mi comprendete , Aros?

Sì Signora – rispose Aros – vi capisco benissimo.”

(Versione italiana, Il Filo d’Arianna, 2001)

“Maria – Prendete dunque dell’Allume (Alum), della Gomma Bianca e della Gomma rossa, che è il Kibric dei Filosofi, il loro oro e la loro più grande tintura, ed unite attraverso un vero matrimonio la Gomma bianca con quella rossa. Non so se mi capite.

Sì, Signora – disse Aros – vi intendo e comprendo quello che dite.

Riducete tutto questo in Acqua colante – proseguì Maria – e purificate sul Corpo fisso quest’Acqua veramente divina, tirata dai due Zolfi, e fate che questa composizione divenga liquida, attraverso il Segreto delle Nature, nel vaso della Filosofia. Mi intendete , Aros?

Sì, Signora – rispose Aros – vi capisco molto bene.”

(Mia versione, 1978)

“Maria – Recipe alumen de Hispania, gummi album, & gummi rubeum, quod est kibric Philosophorum, & eorum Sol & tintura maior, & matrimonifica gummi cum gummi vero matrimonio. Inquit Maria: Intellexisti Aros? Utique domina: Dixit Maria: fac illa sicut aquam currentem, & vetrifica hanc aquam diem laboratam ex duobus zubech super corpus fixum, & liquefac illa per secretum naturarum in vase Philosophiae. Intellexisti nos, o domina.”

(Versione Artis Aurifera, quam Chemiam vocant…, 1610)

“Maria – Accipe gummi album, & gummi rubeum, quod est Kybric Philosophorum & eorum aurum, & matrimonifica gummi cum gummi vero matrimonio, hoc est: Fac ipsa sicut aquam currentem, & vitrifica hanc aquam divine laboratam ex duobus Zaybech super corpus fixum, & liquefac illa per secretum naturae in vase philosophiae.”

(Versione Theatrum Chemicum, 1661)

Come si vede, esistono piccole differenze; ma sembra di capire che il Kibric è un composto fatto da due o tre corpi: una cosa rossa, una bianca e – forse – da un ‘alum’ (che l’Artis Aurifera qualifica come un sale di Spagna. Lascio a chi legge il riflettere sulla cabala e la geografia e su chi ne ha parlato). Da questo composto si fa un’acqua corrente, un Mercurio, ricavata dai due Zaybech, cioè i due Zolfi, il bianco ed il rosso. Quest’acqua si fa prima vetrificare, poi la si fa liquefare sul corpo fisso, evidentemente uno zolfo, grazie al secretum naturae, nel Vaso della Filosofia. Al di là di un superficiale ermetismo, l’operazione indicata da Maria è davvero semplicissima, ed è indicativa di come nell’antichità la via seguita fosse quella della Natura, probabilmente ricavata dall’osservazione delle tecniche metallurgiche.

La cosa su cui riflettere è quella ‘vitrificatione’ ed il ‘secretum’. Se è facile poter comprendere il processo di vitrificazione, in uso sin dall’antico Egitto, in cui una polvere terrosa veniva portata sino alla calcinazione e fusa con l’aiuto di un fondente (ed eventualmente colorato grazie ad una ‘tintura’), più complesso e degno di riflessione è quel ‘secretum’ che può sia indicare un vero e proprio segreto, sia una vera e propria secrezione di una materia, grazie ad un abile artificio. Quanto al Vaso della Filosofia, chi studia Alchimia si sarà trovato molte volte, anche in testi di autori più tardi, di fronte all’apparente enigma del Vaso, che è legato – a mio avviso – proprio alla tecnica di lavorazione descritta da Maria.

L’affermazione con cui viene detto che l’acqua corrente è figlia della lavorazione di due zolfi, la gomma bianca e quella rossa, i due Zaybech, può essere interpretata in vari modi: più che pensare a due metalli diversi, cosa d’altro canto possibile se si legge la ricetta in senso squisitamente metallurgico, è bene ricordare che sia Sole che Luna hanno i loro zolfi propri, cosa che spesso viene tralasciata in nome della nostra logica moderna che è analitica e non sincretica. E da questo nasce l’interesse di questo testo, che sembra additare – in modo certo sibillino ma decisamente intrigante – un procedimento semplice quanto antico, di cui poco si parla nell’Alchimia moderna, se non ricordando la misteriosa Via caratterizzata dal misterioso adagio che recita ‘Una Via, Una Res, Una Dispositione’. Stando a questo assioma la Materia è una sola, portatrice in re ipsa, di Sole e Luna. Se si accetta questa proposizione, diventa facile capire come oggi si potrebbe chiamare quell’acqua corrente indicata da Maria e – riflettendo a fondo – del ‘come’ e del possibile ‘perché’ siano nate in seguito le varie Vie e procedimenti che sono conosciute in Alchimia operativa.

L’Elzarog, poi, è un’altra gomma, capace di fissare i due fumi: in Theatrum Chemicum (Vol. VI) il testo di Maria viene presentato in forma riassunta, ma è seguito da un piccolo capolavoro di Orthelius, Orthelii Explicatio verborum Mariae Prophetissae, che consiglio vivamente ad ogni étudiant: ricco di suggerimenti, anch’essi da interpretare correttamente, vi si riferisce che l’Elzarog, termine evidentemente arabo, è l’ “acua Saturni’, che ovviamente non ha nulla a che fare con il piombo: è un’ “acqua” capace di fissare un’aria, e dunque può essere più probabilmente accostata ad un sale dei moderni. Ma non voglio togliere ai curiosi il piacere di un’ utile lettura…

A titolo di ulteriore curiosità, riporto un altro passo di Maria:

“Recipe herbam albam claram inhonoratam optimam, existentem super monticulis, & tere ipsam recentem sicut est in hora sua nativitate, & illa est corpus verum fixum, non fugiens ab igne.”

Lo si confronti con un famoso passo tratto dal Cap. XIX dell’Introitus Apertus ad Regis Occlusum Palatium, di Filalete:

“Est tamen unum in Regno metallico, Originis mirae, in quo Sol noster propinquus est, quam in Sole e Luna vulgi, si in hora sua nativitatis eum quaeras, qui in Mercurio nostro liquescit, sic, ut glacies in aqua tepida & tamen Auro quodamodo assimilatur.”

Si direbbe proprio che Filalete conoscesse ciò di cui andava parlando Maria l’Ebrea, visto che anche lui narra – definendolo come un ‘segreto’ – di un ‘erbetta detta Saturnia’, da seppellire …proprio sotto un monte, con l’aiuto di Vulcano! A chiudere il cerchio ci pensa sempre Filalete, il quale in Fons Chemicae Philosophiae, conclude così (traduzione – in corsivo – di Paolo Lucarelli):

“Questo spirito è la forza ignea che si mescola all’acqua e vi risiede, mentre l’acqua a cui lo hai mescolato è il tuo vincolo, cioè il vaso o forno. Lo spirito della Saturnia è il fumo imbiancante, il vapore del monte è il fuoco e tutte queste cose sono il mercurio.

Avrai così l’erba Saturnia Vegetale, Regale e Minerale da cui, con carne grassa, si fa un brodo che non gli può essere paragonato nessun cibo al mondo.”

E Maria, la Profetessa:

“Radices huius operis sunt praedicti duo fumis & calx humida. Sed corpus fixum est de corde Saturni comprehndificans Tincturam. Et compar eius est corpus album et clarum de monticulis. Vas Hermetis quod Philosophi occultaverunt, non est vas nigromanticum, sed est mensura ignis tui.”

Maria l'Ebrea, la Profetessa - Symbola Aureae Mensae, M. Maier

Maria l'Ebrea, la Profetessa - Symbola Aureae Mensae, M. Maier

Kibrich, Zaybech, Elzarog, Herba, Saturnus, Vas Hermetis…non nigromanticum, sed mensura ignis tui!

Molti secoli dividono Maria da Filalete…ma l’Arte è sempre la stessa. Ermetica, certo, ma quanto deliziosa!