Archive for the Alchemy Category

Equinozio di Primavera, 2024

Posted in Alchemy, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , , on Thursday, March 21, 2024 by Captain NEMO

Siamo entrati in Primum Vere (per la verità, siderealmente parlando, dal primo mattino di ieri) e dunque tra poco si accenderanno i Fuochi. Si tratta del Risveglio, che vale per tutti gli Esseri di Terra.

Auguro a tutti di vivere con intima serenità il rinnovamento del Ciclo dell’Esprit Universel, unica linfa universale di ogni forma di Vita.

Che il ricordo della Casa comune tra le Stelle accompagni tutti noi!

Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie IX

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, διαλέγομαι, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Thursday, January 18, 2024 by Captain NEMO

Ritorniamo ad esaminare  i Caissons dell’Hôtel Lallemant:

Questo terzetto, il penultimo, ci offre tre rappresentazioni tipiche d’Alchimia.

Cassone 23 – Il Livre Ouvert.

Fulcanelli accenna solo descrittivamente a questo Caisson:

Nous remarquons aussi le livre ouvert dévoré par le feu; …”.

[Le Mystère des Cathédrales – 1926, p. 134]

A proposito del libro – come indicato anche dall’amico ‘ijnuhbes’ – Fulcanelli scriverà in seguito:

Nous avons eu, à maintes fois déjà, l’occasion d’expliquer le sens du livre ouvert, caractérisé par la solution radicale du corps métallique, lequel, ayant abandonné ses impuretés et cédé son soufre, est alors dit ouvert. Mais ici une remarque s’impose. Sous le nom de liber et sous l’image du livre, adoptés pour qualifier la matière détentrice du dissolvant, les sages ont entendu désigner le livre fermé, symbole général de tous les corps bruts, minéraux ou métaux, tels que la nature nous les fournit ou que l’industrie humaine les livre au commerce. Ainsi, les minerais extraits du gîte, les métaux sortis de la fonte, sont exprimés hermétiquement par un livre fermé ou scellé. De même, ces corps, soumis au travail alchimique, modifiés par application de procédés occultes, se traduisent en iconographie à l’aide du livre ouvert. Il est donc nécessaire, dans la pratique, d’extraire le mercure du livre fermé qu’est notre primitif sujet, afin de l’obtenir vivant et ouvert, si nous voulons qu’il puisse à son tour ouvrir le métal et rendre vif le soufre inerte qu’il renferme. L’ouverture du premier livre prépare celle du second. Car il y a, cachés sous le même emblème, deux livres fermés (le sujet brut et le métal) et deux livres ouverts (le mercure et le soufre), bien que ces livres hiéroglyphiques n’en fassent réellement qu’un seul, puisque le métal provient de la matière initiale et que le soufre prend son origine du mercure.”.

[Les Demeures Philosophales – 1939, p. 304]

Ed ecco la mia personale traduzione:

“Abbiamo avuto, già più volte, l’occasione di spiegare il senso del libro aperto, caratterizzato per mezzo della soluzione radicale del corpo metallico, il quale, avendo abbandonato le proprie impurità e ceduto il suo zolfo, vien allora detto aperto. Ma qui si impone una precisazione. Sotto il nome di liber e sotto l’immagine del libro, adottati per qualificare la materia detentrice del dissolvente, i saggi hanno inteso designare il libro chiuso, simbolo generale di tutti i corpi grezzi, minerali o metalli, così come ce li fornisce la natura o come l’industria umana li consegna al commercio. Così, i minerali grezzi estratti dal giacimento, i metalli ottenuti dalla fusione, sono espressi ermeticamente per mezzo di un libro chiuso o sigillato. Allo stesso modo, questi corpi, sottoposti alla lavorazione alchemica, modificati per mezzo dell’applicazione dei processi celati, si traducono nell’iconografia grazie all’aiuto del libro aperto. È dunque necessario, nella pratica, estrarre il mercurio dal libro chiuso che è il nostro soggetto primitivo, al fine di ottenerlo vivente ed aperto, se vogliamo che possa a sua volta aprire il metallo e rendere vivo lo zolfo inerte che racchiude. L’apertura del primo libro prepara quello del secondo. Perché ci sono, nascosti sotto il medesimo emblema, due libri chiusi (il soggetto grezzo ed il metallo) e due libri aperti (il mercurio e lo zolfo), benché questi libri geroglifici non ne facciano realmente che uno solo, dato che il metallo proviene dalla materia iniziale e che lo zolfo trae la sua origine dal mercurio.”.

Il brano qui proposto proviene da uno dei Capitoli che amo di più, e che sono tra i più indicativi per la pratica Filosofale prima, e di Laboratorio poi: Les Gardes du Corps de François II, nella sezione dedicata allo studio della statua della Justice.

Lo studioso/studente potrà riflettere al meglio sulle chiare e preziose indicazioni di Fulcanelli, avvertendo che – more solito – le sue parole vanno ben comprese: per quanto veritiere e concise, Fulcanelli non scrive mai in modo banale.

Ma, tanto per sottolineare la ‘facienda’ – vale a dire ‘il da farsi’ – dei ‘processi celati’ cui accenna Fulcanelli, ecco un altro passo (ma ve ne sono ovviamente altri) che pare riferirsi sempre al doppio libro (che sono in realtà quattro ‘cose’; sebbene una certa cautela sia d’uopo quando si volesse tentare l’esatta comprensione di ciò che ha voluto comunicare), che riporto tal quale, la cui traduzione è molto semplice:

Ce livre fermé, symbole parlant du sujet dont se servent les alchimistes et qu’ils emportent au départ, est celui qui tient avec tant de ferveur le second personnage de l’Homme des Bois; le livre signé de figures permettant de le reconnaître, d’en apprécier la vertu et l’objet. Le fameux manuscrit d’Abraham le Juif, dont Flamel prend avec lui une copie des images, est un ouvrage du même ordre et de semblable qualité. Ainsi la fiction, substituée à la réalité, prend corps et s’affirme dans la randonnée vers Compostelle. On sait combien l’Adepte se montre avare de renseignements au sujet de son voyage, qu’il effectue d’une seule traite. « Donc en ceste mesme façon, se borne-t-il à écrire, je me mis en chemin et tant fis que j’arrivais à Montjoie et puis à Saint-Jacques, où, avec une grande dévotion, j’accomplis mon vœu. » Voilà, certes, une description réduite à sa plus simple expression. Nul itinéraire, aucun incident, pas la moindre indication sur la durée du trajet. Les Anglais occupaient alors tout le territoire : Flamel n’en dit mot. Un seul terme cabalistique, celui de Mont-joie, que l’Adepte, évidemment, emploie à dessein. C’est l’indice de l’étape bénie, longtemps attendue, longtemps espérée, où le livre est enfin ouvert, le mont joyeux à la cime duquel brille l’astre hermétique2. La matière a subi une première préparation, le vulgaire vif-argent s’est mué en hydrargyre philosophique, mais nous n’apprenons rien de plus. La route suivie est sciemment tenue secrète.”.

[Les Demeures Philosophales – 1939, pp. 172-3]

A titolo di commento, val la pena di dire, credo, che Fulcanelli indica con chiarezza che il famoso ‘Viaggio a Compostella’ è una metafora; nulla di più. E che il termine Mont Joie indica un Cairn, che in Inglese è un monticello di rocce/pietre, usato sia come marker di un percorso (montano, per esempio), sia come luogo di raduno dei soldati sul campo di battaglia: forse da questo è diventato celeberrimo il grido Mont Joie – Saint Denis, urlato orgogliosamente dai cavalieri di Carlo Magno, radunati attorno ad un altro marker, reso celebre da La Chanson de Roland: l’Oriflamma; quest’ultimo, oltre ad essere una lunga banderuola rosso scarlatto appiccata sulla cime di una lancia, può far sorridere l’alchimista accuorto: il termine suona un po’ come … l’origine della fiamma (si dice che Carlo Magno stesso lo portasse con la lancia in Terra Santa come arma per sterminare i Saraceni!; … o tempora, o mores!); così, in allegria, si chiude il mio personale esame del libro, aperto, tra le fiamme: la lancia di Carlo Magno, il Mont-Joie, ci conduce dritti dritti a Lancilotto – studiate, please, il magnifico Lo Chevalier de la Charette di Paolo Lucarelli – , che è Lancelot, l’Angioletto! … ohibò, sarà forse per questo che il Plafond dell’Oratoire (!) è zeppo di Angioletti e di tre Livres ouverts ????

3 ??? … Oh, my God!

Cassone 24 – La Colombe.

Fulcanelli: “… la colombe auréolée, radiante et flamboyante, emblème de l’Esprit; …”.

[Le Mystère des Cathédrales – 1926, p. 134]

Anche in questo caso, a mio parere, questo Caisson centrale rappresenta il risultato di ciò che è causato dalle azioni/operazioni legate ai due Caissons laterali; si tratta, in tutta evidenza, della Colomba rappresentante l’Esprit, più esplicitamente le Saint Esprit, più alchemicamente ed operativamente, l’Esprit Universel.

[Disegno di J.J Champagne]

Questo topos alchemico è così tipico, così ‘parlante’, così famoso, che non credo necessiti di commenti in questo piccolo studio: si sta parlando della discesa (meglio: dell’attrazione) dell’Esprit Universel NELLA Materia. Fulcanelli, laconicamente, indica soltanto che essa Colombe è sia Aureolata che Radiante che Scintillante/Fiammeggiante! … e questa precisione dei tre-aggettivi-tre mi pare derivare da una sua cultura più legata ad una Fisica (à la Louis de Broglie, per esempio) che soltanto squisitamente ermetica; beninteso, per non turbare troppo gli animi, è solo una mia opinione, eh?

En passant, oltre che segnalare che il Flamboyant è anche una bellissima arborescenza di color rosso caldo, il termine ha anche questi sinonimi: ardent, brillant, éclatant, étincelant, lumineux, pétillant, radieux, reluisant, resplendissant, rutilant, scintillant; questa Colombe, insomma, pare legata a Lux ed al suo colore, il quale – lo si sa – è frutto di un range di Frequenze restituite dal corpo in questione. Qualcuno ha mai visto una colomba … rossa? Risposta: quel rosso non si vede, poiché pare appartenere all’Infrarosso (letto e compreso come ‘sotto-il-rosso)’!

Chissà !

Cassone 25 – Il Corbeau et le Crâne

Fulcanelli scrive: ”… Le corbeau igné, juché sur le crane qu’il becquette, figures assemblées de la mort et de la putréfaction; …”.

E Paolo: “il corvo igneo, appollaiato sul cranio che sta becchettando, figure riunite della morte e della putrefazione; …”.

[Il Mistero delle Cattedrali – 2005, p. 289]

[Disegno di J.J Champagne]

Per cominciare: l’uccello che indica Fulcanelli è quello classico dell’iconografia alchemica, il Corvo, le Corp Beau; ed è sempre legato alla morte, simboleggiante la Putrefazione della materia in opera; in qual momento? … ai lettori la risposta.

Raramente appare avvolto dalle fiamme: in questo caso si tratterebbe di un kórax, ma igneo: uno zolfo igneo, il che apparirebbe tautologico, no? Quindi rappresenta forse un corpo nero come il Corvus corax, ma portatore di un fuoco, oppure si sta parlando magari d’altro? Il che equivale ad una domanda che posi, molti anni fa, in un mio Post sulla Calcinazione Filosofica (qui): “Domanda: si sta parlando di dar fuoco al corpo, o si sta parlando d’altro?”.

Ovviamente, tocca all’alchimista fare i conti con questa enigmatica rappresentazione.

Alla evocata Putrefazione si riferisce invece il teschio, il cranio: e qui, chi ha già messo-le-mani-in-pasta, saprà certo a qual corpo ci si riferisca, e – forse – pure al luogo operativo (o saranno luoghi, al plurale?); una primissima sintesi di questa rappresentazione, dunque, potrebbe essere che un certo qual corpo, in un certo qual luogo, viene messo in contatto, in un certo modo, con un … Corp Beau, ma dalle caratteristiche ignee; questo Corp Beau, come detto sopra, che è uno zolfo (di per sé igneo) sarebbe portatore di un fuoco, che induce la morte … del cranio! Doppio Ohibò, non credete?

Sia come sia, questo Cassone dovrebbe almeno solleticare la curiosità di chi studia Alchimia; se, come pare evidente, il tema sollevato in questa curiosa scultura è la morte, sono personalmente dell’idea che chi sostenesse che Étienne Lallemant abbia in qualche modo ispirato l’accurato scalpellino nel suo Livre des Heures grazie al teschio decorato dalla scritta ‘Memanto Mori’.

… beh, io credo che la sua tesi sarebbe ben lontana dall’indicare una morte umana. La morte qui evocata è la morte alchemica, il cui risultato – lo si creda o meno – consiste nella nascita di un nuovo corpo, nel venire in Essere di un nuovo corpo, animato da quell’Esprit Universel che vivifica la Materia, ri-animandola; mediante una nuova Forma. Si tratta palesemente della nascita di nuova Vita.

Fra le cose che colpiscono chi osservasse bene la scultura, v’è questo ambiguo, se così si può dire, uccello: curioso, perché non sembra un Corvo; piuttosto, forse, un Falco (Pellegrino?) … ora, chi avesse letto o consultato – giusto per fare un esempio facile – l’Atalanta Fugiens di Michael Maier, ricorderà senza dubbio l’incisione dell’Emblema XLIII, che recita ‘Audi loquacem vulturem, qui neutiquam te decipit.’:

L’Epigramma – accostando e il ‘vultur’ e il ‘corvus’ – fornisce in bell’evidenza un suggerimento; importante quanto semplice:

Montis in excelso consistit vertice vultur

Assiduè clamans; Albus ego atque niger,

Citrinus, rubeúsque feror, nil mentior: idem est

Corvus, qui pennis absque volare solet

Nocte tenebrosâ, mediâque in luce diei,

Namque arti caput est ille vel iste tuæ.”.

Come sempre, se non lo si fosse già fatto, studiare il passo del geniale Conte Palatino compiacerà chi già opera e magari lo potrebbe indurre ad elaborare nuove ipotesi; e incuriosirà – e non poco – chi si fosse appena addentrato un po’ nel Bosco Incantato della Dama!

Dimenticavo: … avete fatto caso a quelle specie di ‘campanelle’ fissate alle zampe del Falcone scolpito sul Plafond? Nell’Arte della Falconeria, ricorda ijnuhbes, riservata ai grandi Re del passato, il suono emesso da quelle grelots mentre il rapace era in volo, aiutavano il Real Falconiere a seguirne il volo … compaiono anche, per quanto con un tratto più primitivo, nel disegno di J. Julien Champagne.

Ora, nel testo di Maier che segue l’Epigramma in questione si dice che allorché gli avvoltoi/falconi iniziano a far le uova, ‘aliquid adferunt ex Indico tractu, quod est tanquam nux, intùs habens, quod moveatur, sonúmque subinde reddat’; e quando si sono ‘adattati’ una tal ’noce’ … allora producono molti feti; ma solo uno sopravvive, che viene chiamato

IMMUSULUS

… Chapeau …

À bientôt, mes Dames et mes Sires !

“La Bugia” —> Le Lavandaie …

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , on Wednesday, January 3, 2024 by Captain NEMO

Sollecitato da un commento del Signor Ptah, nel mio ultmo Post sul testo del Marchese Palombara (a proposito delle Lavandare), riporto qualche immagine relativa al Quinto Trattato, Parte I, Capitolo III, provenienti da Manoscritti e libri a Stampa:

[Da: TRISMOSIN, S. – Aurei Velleris oder der Güldin Schatz und Kunstkammer Tractatus III Alter und Newer – 1600]

[Da: TRISMOSIN, S. – Aureum Vellus oder Guldin Schatz und Kunstkammer darinnen der aller fürnemisten – 1598-1604]

[Da: TRISMOSIN, S. – Aureum Vellus oder Guldin Schatz und Kunstkammer, libri I-III – Stiftsbibliothek St. Gallen]

[Da: TRISMOSIN, S. – Splendor Solis, “Das große Waschfest vor der Stadt”, Miniaturmalerei aus o.g. Buch, ca. 1531]

[Da: TRISMOSIN, S. – Splendor Solis oder Sonnenglanz. Sieben Traktate vom Stein der Weisen, Weiberwerk – Kupferstichkabinett, Staatliche Museen zu Berlin]

Bene, … non mi resta che attendere il vostro parere su tali Sublimi-Azioni!

“La Bugia” del Marchese Palombara … 4

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Tuesday, December 26, 2023 by Captain NEMO

Presi come siamo nelle giuste e tipiche e sane pigrizie Festive, credo sia un buon tempo per proseguire nella lettura – e poi nello studio – della curiosa Parabola del Marchese Massimiliano Palombara: lo avevamo lasciato alle prese con le Purificazioni della Pelle del Re; e tal quale lo ritroviamo.

Ogni giorno più che mai dedito nell’opera incominciata, andavo speculando e giorno e notte il modo che dovevo tenere in proseguirla, onde ritornato a casa osservai che la pelle del Re pescata nel mare non aveva più la corona in capo, per il che mi credei che inavvertentemente mi fosse caduta la notte che sonnacchioso me ne ritornavo, ma osservata di novo la pelle con maggior diligenza, vi ritrovai alcuni atomi o punte di Sole, dal che argumentai che quell’acqua marina avesse avuto forza di unire, putrefare e solvere e la pelle e la corona e quanto vi era, essendo e la pelle e la corona tutta una cosa, e che l’una e l’altra si fosse meschiata insieme conforme in effetto successe, e mi quietai nel sospetto consaputo della perdita che mi presupponevo.”.

Ohibò … manca la ‘corona’! … e mo’???

(Sorrisini; … a stento trattenuti da alcuni defilati individui, compresi e disguised nella piccola platea dei lettori accuorti). Si ode, nel buio, uno che ammicca ad un compagno: ‘… atomi o punte di Sole!’.

Ora che siamo pure noi ‘consaputi’, il Marchese inizia una serie di elucubrazioni: dato che la Pelle era stata ‘strappata’ dal corpo-con-feci, forse aveva portato seco alcune zozzerie, e visto che pareva – essa Pelle – ‘alquanto insanguinata’, l’elucubrante Marchese decide di lavarla e purgarla al fine di ‘renderla odorifera e netta da ogni sozzezza’, ma siccome a casa non v’era ‘comodità di fontane’ né giammai poteva affidar la Pelle alle ‘lavandare o altri acconciatori di pelle’, decide di recarsi di nuovo, e di nascosto, al mare: detto fatto, avvolge la Pelle in un panno e scende tomo-tomo chiatto-chiatto ‘al mare (cosa meravigliosa)’.

E qui scopre un fenomeno bizzarro: ‘… mi pareva che quella pelle si movesse e che facesse forza d’intrar nell’acqua, non mi potevo immaginare se l’acqua faceva moto di tirar la pelle e la pelle si volesse movere per andar ad incontrar l’acqua, sembrandomi l’effetto del ferro che, con una distanza proporzionata, visibilmente si move e va ad incontrar la calamita, che poscia unita con quella non si distacca se non che con forza, mostrandovi natural renitenza.’.

Or che il Marchese ha scoperto il Magnetismo – che poi William Maxwell cristallizzerà dopo qualche secolo nel suo famose Set di Equazioni – dalla platea si ode una vocina fioca fioca, sotto voce, quasi un piccolo miagolio: ‘… Uè, Marchese, nun fate accussì … isso è ‘o Magnes, e nno ‘na calamita!’; e il suggeritore, viene messo a tacere con un veloce e compunto colpo di scarpone chiodato, di piatto, sulla nuca …

Il povero Marchese lotta con l’inattesa attrazione, al punto che ha proprio paura di essere trascinato pure lui nell’acqua ‘essendo in più quantità l’attraente che l’attratto’, per cui si ritrae ‘doi passi indietro’. Turbato dalla prospettiva di perder la Pelle in quel mare che ‘me l’averebbe absorta in istante nel suo seno avido ed arrabbiato di sentimento amoroso verso di quella’, pensa bene di ritornare a casa e prendere ‘un vaso capace’, per poi tornare al mare, cosicché – scrive – ‘avessi possuto prendere della sua acqua quella porzione che fosse stata adeguata al bisogno, per depurare e lavare la suddetta pelle, siccome feci.’.

Sempre guardingo, il nostro lascia la Pelle ad un tiro di sasso dal mare, poi preleva dalle onde del mare (onde, onde, onde; trattasi qui proprio di ‘onde‘, eh? … non quelle del Prince de Broglie!) ‘quella quantità e più schietta che giudicai al mio bisogno’, e torna là dove aveva posato la Pelle; poi – ‘posto il vaso in terra e presa la pella in mano per volervela attuffar dentro osservai che con forza mi scivolò e mi prevenne e da sé medesima a piombo se ne calò nell’acqua, dalla quale abbracciata con indicibile avidità, lussuriando se la strinse nell’avido seno a tal segno che di breve non la vidi più …’, il buon Marchese recupera la Pelle dall’acqua e la fa asciugare ‘al sole del mese più caldo dell’anno’ ed osservò che ‘le poste parti delle sue immondezze andava acquistando qualche purità’, cosicché decide di imitare lo stile delle ‘lavandare’, che ‘per depurare ed imbianchire le tele lavano ed asciugano i loro panni più e più volte, che lavando ed asciugando pervengono all’ultimo candore.’: … repetita juvant, no?

Tutto fatto, dunque? … Certo che no: ‘Per quello però che tocca all’operazione manuale, non essendo questo l’ultimo intento del mago, che postala in vaso netto e puro che non li potesse causare né odore né sapore né color cattivo, restai di mente contento, mentre di certo sapevo che di breve con quella pelle sì pura che di già si era disposta a prender altra forma, doveva risorgere il Re conforme la sirena del mar Negro mi aveva scritto (quella ‘firma‘, qui)’.

Palombara assicura che quanto ha scritto ‘… è una schietta verità fraterna e verace … ché chi ha fortuna d’arrivare a questa parte in questo 4° capitolo, descritta di facile ha la via aperta, senza alcun inciampo per poter penetrare nell’ultima camera, dove il Re tiene apparecchiati immensi tesori per corrispondere alla parola regia da lui data a chi l’avrà liberato dai duri ferri con i quali i suoi nimici l’incatenarono le mani, i piedi ed il collo tirannicamente, con tenerlo carcerato in una oscura secreta impaniato ed impeciato tra mille lordure, trattato non da Re ma da minimo schiavo o assassino, che benché da molti, anzi infiniti, sia cercato, non è ritrovo se non che da pochissimi che sono quelli che non osservano tanto l’abito vile con il quale è miseramente trattato, ma con la guida  di Demogorgone e di Saturno tanto si affaticano che lo trovano nascosto nel loro centro …’.

Chiusa canonica e da manuale, no?

… e siccome si va verso fine anno, il Caput Anuli, non farò commenti di sorta! … tutto è già più che chiaro.

[Salomon Trismosin – Aureum Vellus oder Guldin Schatz und Kunstkammer darinnen der aller fürnemisten – 1598-1604]

“La Bugia” del Marchese Palombara … 3

Posted in Alchemy with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Sunday, November 5, 2023 by Captain NEMO

Continuiamo l’esame della Parabola del buon Marchese.

Lieto per vedere che la mia operazione con l’aiuto di Dio camminava di bene in meglio, mi venne pensiero di prendere altre vie per pascere l’animo d’altre vedute, per sollevare la mente affaticata nei studi.”.

Questo innocente ‘cappellino’ di Palombara, dovrebbe/potrebbe avvisare lo studente studioso: ‘altre vie’, dice.

Ciò detto, il nostro lascia le colline e si reca verso il mare ‘con la sua vastità ed apertura dell’aria’; raggiunge uno scoglio sulla riva: ed ecco che dalle onde vede uscire una ‘locusta’; dall’incisione che accompagna questa parte del testo si vede bene che si tratta di un granchio,  ‘tutta affamata e presciolosa, mostrando un’interna passione e melanconia nell’animo, con cortese inchino mi salutò ed aperta una piccola scarsella che le pendeva dal fianco cava da quella una piccola lettera o viglietto e me lo consegna.’.

Sul bigliettino si legge: “PIX ALBA AMARA LUMINIS UMI”, che è evidentemente un acrostico di ‘Maximilianus Palombara’; più operativamente, il buon Marchese sostiene: “… additandomi brevemente con la materia tutta l’operazione, mentre effettivamente tutto il principio della seconda operazione, che è il fine della prima, non è altro in effetto che una pece bianca ed amara del lume della terra.”; leggere bene, meditare con calma … e stare accuorti, eh? Suggerisco di notare che si tratta del Lumen e non proprio della Lux.

Conscio di aver tirato un sassetto in piccionaia, il buon Marchese alza la posta: “Amara, dico, perché ancora non è perfetta né affatto concotta o matura, essendo un estratto o quinta essenza o splendore cavato dalla terra dei filosofi detta Saturno, o Latona o Sole non depurato che, giunto a questo segno, vien chiamato con il suo primo nome Giove.”. Naturalmente dice bene, e non mente … Anche se mi par di percepire un rapidissimo batter di palpebre, con l’inarcar del ciglio … c’è dell’altro, infatti.

Poscia osservo il sigillo di essa (i.e., della lettera/viglietto) che era una fiamma, benché voltata all’ingiù verso la terra, tanto conforme al suo naturale, tendeva verso il cielo.”. … Ah, però! Carina questa, no?

La missiva, una volta aperta, reca una firma “La sirena del Mar Negro”. Se è firma, essa è ferma, e dunque chiude … cosa? Aperte le danze in modo così perfettamente acconcio, sicuro di risvegliare l’attenzione persino del più distratto dei casuali lettori, Palombara riassume il testo del ‘viglietto’: siccome il Re che si cerca non riusciva a sopportare il gran caldo, una notte era sceso a bagnarsi e restò accidentalmente annegato; si trattava per il nostro di attendere che le onde lo portassero a galla, certo ‘estinto’, ma lacero e putrefatto. Il viglietto raccomandava al cercatore il ‘regio cadavere’ e che ‘se avesse saputo operare con i modi magici, gli sarebbe stato facile, pur morto, di riportarlo in vita.’. Così, il Marchese aspetta sullo scoglio, poi la superfice del mare cambia colore (!) e vede ‘avvicinarsi un cadavere … sformato dal suo essere, e quasi disfatto…’; il Marchese lo afferra per un braccio … ma si accorse subito ‘d’aver alzato dal mare un pezzo di sottil pelle priva di tutte l’ossa, di tutte l’interiora e carne.’. Il mare torna calmo e Palombara ripone la pelle in un guscio di testuggine (‘testudine marina’) trovata sulla spiaggia, si avvia a ritornare, ma il mare si agita di nuovo; ed emerge di nuovo il cadavere del Re, ma con il braccio di nuovo ricoperto di pelle; stupito, stende la mano e ne ritrae un altro pezzo di pelle, che mette assieme alla precedente; la scena e la raccolta si ripete altre due volte. Poi il cadavere non tornò più a galla. Mentre risale verso il luogo da dove era venuto, sempre portando con sé la testuggine piena di pelle raccolta, si accorge che stava arrivando un gruppetto di gente; per paura di venir accusato di aver ucciso il Re, il Marchese si nasconde tra le rovine nelle vicinanze: senza esser visto, capisce che si tratta di un gruppo di filosofastri che discettano della materia con cui comporre la Pietra.

Ed ecco che con grande stridore e strepito si apre a stento una porticina: ne esce ‘una vecchia donna di bello aspetto, ma carica d’anni infiniti, dalla quale ne uscivano alcuni raggi di sole, ed appoggiava l’antiche membra sopra di un bastone, nella cima del quale vi era una mezzaluna.’. La vecchia gli chiede che cosa stesse facendo lì, e Palombara le racconta di aver la pelle del Re con sé; la Natura – perché lei è Natura; chi altra poteva essere? – se ne rallegra molto e gli dice che era davvero fortunato; lui chiede se quella pelle fosse proprio di quel Re tanto cercato da tutti; risposta: ”Sappi che quella pelle, benché insanguinata e sozza, è la parte più nobile del Sole, e che fa  per il tuo mestiero e che insieme fa il tutto, né mi meraviglio che ciò ti apporti meraviglia, poiché questo è un Re a pochi del mondo noto, benché da tutti sia veduto, ed è forte, gagliardo, potente, che resiste al foco, al freddo e ad ogni intemperie più d’ogni altro, e ciò lo puoi da te medesimo argumentare dalla fatica che hai avuto in spogliarlo delle sue ossa, ancor che fosse dal mare putrefatto, che sebbene è morto risorgerà qual novella fenice se sarai prudente. Sì che sappi che sebbene il mare gli dié la morte con annegarlo, quello li dié prima la vita, poiché da quello nacque essendoli madre e genitrice, la quale, sebbene sa che deggia risorgere trionfante, con tuttociò come pietosa al parto dalle sue viscere non puol celare il suo dolore, dandone segno con oscurarsi e vestirsi di lutto tra i singulti e li pianti sì come averai veduto. Conserva dunque questa pelle, e serviti della sua madre, mentre quel medesimo mare che dopo la vita li dié la morte, è disposto di novo a porgergli miglior vita con eternarlo, e regolati con prudenza, pazienza, e secretezza.”. La vecchia se ne va, ed il Marchese se ne torna a casa, ‘carico della ricca e preziosa preda’.

Una favola cruda, certo, ma bella, no? Si direbbe un racconto classico, un’allegoria ritrovata decine di volte nei buoni testi d’Alchimia. Eppure, a ben leggere, si coglie tra le righe qualche piccolo particolare di un certo interesse; nulla di veramente rivoluzionario, ma che colui che si ritrovasse avanzato lungo il cammino operativo non faticherà a riconoscere;

L’immagine che emerge appare infatti quasi come un dagherrotipo, dai colori così sfumati, dolcemente sbiaditi, caratteristici, affascinante: come sempre, gran parte dei lettori vi troverà pane per i loro Simbolici dentini; ma è davvero ridicolo affermare che l’Alchimia – grazie a brani come questo – possa mai esser un’Arte ed una Pratica di natura simbolica, non credete?

La fase operativa riguarda Latona, naturalmente; e, più in generale, ciò che si chiama ‘purificazione’. Ma prima di ‘purificare’ occorre evidentemente prima disporre di quel corpo; poi, memori di quanto riportato nel passo di cui ho parlato in precedenza (qui), disporre del corpo che lo potrà purificare; infine, con una certa manualità, effettuare la ‘dealbatio’, lo sbiancamento di Latona. A proposito del brano precedente, invito ancora a studiarlo al meglio, riflettendo. Non poco; molto: melius abundare quam deficere, eh?

Quanto a Latona, Maier – citando il Clangor Buccinæ – recita: “È un corpo imperfetto composto da sole e luna”; ma, prosegue Maier, Latona – secondo Poeti e scrittori antichissimi – è madre del sole e della Luna, ovvero di Apollo & Diana, altri ne fanno la nutrice; Diana nasce per prima (Luna, e l’albedo, infatti appare per prima), e Diana sarà la levatrice di Apollo.

Per chi fosse proprio curioso, riporto il passo: “Dealbate ergo Latonem: idest, æs cum Mercurio, quia Latone est ex Sole & Luna compositum corpus imperfectū citrinum: quod cùm dealbaueris, & per diuturná decoctione ad pristinam citrinitatem perduxeris, habes iterū Latonem eodem modo ductibilé, & ad quantitatem tibi placitam: tunc intrasti per ostium, & habes artis principium.[1].

Come ha scritto il buon Marchese poco sopra (“… terra dei filosofi detta Saturno, o Latona o Sole non depurato che, giunto a questo segno, vien chiamato con il suo primo nome Giove”), qualcuno potrebbe cadere nel dubbio: nel Mito, Latona è la madre di Febo ed Artemide, il cui padre è Giove, la cui sposa è Era; insomma Giove, attratto dalla gran beltà di Latona, si congiunge con lei di nascosto dalla ovviamente gelosa Era (la quale farà inseguire Latona dal serpente Pitone, per ogni dove). Latona, fra l’altro, è una Titanide, figlia di Febe e Ceo, a loro volta figli di Urano e Gea; perché mai, dunque, Palombara allude al ‘primo nome Giove’? Mettendo per un attimo da parte la genealogia proposta nel Mito, Sir Isaac Newton potrebbe aiutarci un tantino: nel suo Index Chemicus, una sorta di gran taccuino in cui annotava gli appunti frutto dei suoi studi alchemici, alla voce Jupiter Philosophorum, scrive:

Jupiter Philosophorum, qui a juvando dictus est ac de quo tot fabulæ introductæ sunt, non est Jupiter vulgi sed subjectum philosophicum, ex quo omnis tinctura petenda est, materia philosophica quæ in Aquilæ forma Ganimedem in Cælum evexit, quæ in aurum mutata Danaæ in gremium decidit, quæ sub forma Cygni albi Lædam compressit, etc. Nisi enim ad volatum sit idonea aut ad lapsum suo pondere apta materia, non est Jovis nomine digna cum ne minimum juvare possit Artificem sed plurimum morari.”.

La facile traduzione del suo Latino seicentesco ci fa sorridere per l’acutezza e l’intuizione, ma è – soprattutto, credo – piuttosto interessante: il ‘Sole non depurato’ a questo punto delle operazioni prende – nell’opinione del Marchese – … il nome del focoso amante di Latona, cioè ‘Giove’ (o Jupiter Newtoniano che dir si voglia). Nomen est Omen, no?

Ora, relativamente all’evidente necessità delle ripetizioni della ‘raccolta’ di ciò che Palombara chiama ‘pelle’, ricordo quante e quante volte io ed il buon Fra’ Cercone ci siamo interrogati su questa famosa frase di Fulcanelli:

C’est cet esprit, répandu à la surface du globe, que l’artiste subtil et ingénieux doit capter au fur et à mesure de sa matérialisation.”.

Fulcanelli si riferisce a questo medaglione del Porche Central di Notre-Dame de Paris:

la cui didascalia recita: “I materiali necessari all’elaborazione del solvente.

Ecco il primo paragrafo del commento di Fulcanelli, nella traduzione di Paolo:

Il nono soggetto ci permette di penetrare più a fondo il segreto della fabbricazione del Dissolvente universale. Una donna indica – allegoricamente – i materiali necessari alla costruzione del vaso ermetico; tiene alta una tavoletta di legno che assomiglia ad una doga di botte, la cui essenza ci è rivelata dal ramo di quercia che adorna lo scudo. Ritroviamo qui la sorgente misteriosa scolpita sul contrafforte del portico, ma il gesto del nostro personaggio tradisce la spiritualità di questa sostanza, di questo fuoco di natura senza cui quaggiù non può crescere né vegetare nulla. Questo è lo spirito diffuso sulla superfice del globo, che l’artista sottile e ingegnoso deve catturare durante la sua materializzazione. Aggiungeremo ancora che occorre un corpo particolare che serva da ricettacolo, una terra attrattiva dove possa trovare un principio suscettibile di riceverlo e di ‘corporificarlo’. «La radice dei nostri corpi è nell’aria, dicono i saggi, e le loro cime stanno in terra». È il magnete racchiuso nel ventre di Ariete che va colto al momento della nascita, con destrezza e abilità.”.[2].

Fantastico: più mi capita di rileggerlo, e più ne ravviso la chiarezza esemplare e tradizionale. Ovviamente, val la pena di approfondire, studiando con cura anche il seguito.


[1] Vide Clangor Buccinæ, in Artis Auriferæ quam Chemiam Vocant, Basileæ – 1593, p. 503.

[2] Vide Fulcanelli, Il Mistero delle Cattedrali, Roma – 2005, p. 150.

Tu chiamale, se vuoi, … Emozioni …

Posted in Alchemy, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Uncategorized, Various Stuff with tags , , , , , , , , on Wednesday, October 11, 2023 by Captain NEMO

Mio dolce Fratello,

A giudicare da quel che ogni tanto mi racconti, sempre con quel tuo gran sorriso da gigante buono, ho la certezza che tu stai meglio di me: il solito ‘giro d’orizzonte’ che ogni giorno faccio, da buon marinaio, porta informazioni sempre più velenose, immagini di orrori senza fine e testimonianze di immane egoismo; e sopraffazione, tormento, violenza, barbarie, atrocità senza fondo né fine, continua. Ogni cosa ormai viene benedetta dall’infamia di idee ed ideologie diaboliche, sempre contrapposte, cattive e malevole, malate, tossiche, spacciate dai Media e dai Social e dalle varie Politiche (sempre scolpite in un marmo che si sgretola il giorno dopo!) come perle di salvifica&somma saggezza.

Nessuno sa più cosa significhi Essere.

Assieme. Condividere. Abbracciare. Aiutare.

Mi mancano moltissimo le nostre chiacchierate: che fossero sui massimi sistemi o sul come preparare un buon piatto di pasta (Fettuccine Burro&Alici, Sir?), abbiamo avuto l’enorme fortuna di amarci e di divertirci, camminando assieme alla ricerca delle Rote Magne. So quel che ora ti circonda, e so quanta Lux riscaldi il tuo bel Cuore. Chissà … qualche stella appare e scompare lungo le rotte del Cielo, immenso, sterminato; senza Terminus. Il Dio del Limite.

Che te lo dico a fare che qui Natura si è completamente riorganizzata: che i Cicli hanno mutato di partenze ed arrivi, che il Tremblement del Mutamento è grande, e che l’uomo inebetito dal ‘salviamo il mio sedere’ non marcia più secondo il ritmo sottile di Madre Natura; si danza à-la-folie, al viene-come-viene, al che me-ne-frega-se-tu-muori, alla disperata disarmonia.

Se solo sapessero, o si ricordassero che “come me soni, … così te ballo!” … Bah.

Guardo il Cielo, so perché appare blu, e ti penso, Fratello Fra’ Cercone, Fra’ Birbone.

Si diceva, un tempo, che curiosity-kills-the-cat: ci siamo fatti un mucchio di risate sulla stupidità di questa frase che denota la saggezza idiota di chi ormai ha trovato la quadra, visto che i gatti se ne fregano, e che adorano la Curiositas, ne fanno la loro ragion d’Essere, il loro piccolo Mantra silenzioso, la loro bandiera di esploratori del non visto. Bah … qui, ormai, la Curiositas è merce sparita dagli scaffali, dagli zaini e dall’Origo. Ieri mi è capitato di viaggiare in Pullman con un mucchio di giovani liceali di ritorno da scuola: chini, incollati, incatenati sui loro telefonini, con il pollice opponibile che non si oppone più al disarticolante movimento di swipe-and-click, con gli occhi presi da immagini artificiali e artificiose rapidissime, da canzoni che non cantano più nulla, ingobbiti, inkazzati, e totalmente indifferenti al magnifico panorama di boschi e valli e colori che attraversavamo, assieme. Appunto, assieme. Non un solo commento sulla bellezza offerta al cuore ed ai sensi da Madre Natura; in un campo, al limite della macchia, ha fatto capolino un giovane cerbiatto, immobile: lui ha visto il Pullman rombante e spargi-puzza, e si è fermato ad osservare il bestione di metallo, urlante; non uno dei quaranta e passa ragazzi lo ha notato, manco l’autista. Non uno, eppure era bene in vista, non lontano. Come prima: Bah …

Come sai, sto continuando a scrivere, a tradurre, dove e come posso, qualche amato testo d’Alchimia; lo affiderò come sempre al vento … chi lo incontrerà, oggi o domani, potrà afferrarlo, come una foglia, e poi giudicare se buttarlo a dormire tra la polvere oppure studiarlo. Ognuno fa quel che può e vuole: il resto non mi interessa.

Più.

Abbiamo perduto la battaglia contro noi stessi: la differenza tra Essere e Avere è oramai inutile, il sottile legame si è spezzato. Ha vinto, more solito, Avere. Essere è un lusso smarrito, che appartiene soltanto a chi ha assaggiato, magari sol per un attimo, il profumo ed il sapore inebriante e straziante dell’ ἓν τὸ πᾶν.

A presto, mio dolce Compagno d’Avventure: … ti voglio un bene immenso!  

“La Bugia” del Marchese Palombara … 2

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Friday, September 29, 2023 by Captain NEMO

Proseguo nella Parabola del buon Marchese.

A chi non è infuso di celeste sapienza, apporterà la lettura dei libri molta occasione di considerare che i loro discorsi sono pieni di equivoci e contraddizioni, che perciò il prudente ed accorto lettore dovrà sempre tenere accesa la bugia, acciò tra le oscurità della menzogna non inciampi nella profonda fossa dell’ignoranza.”.

Insomma, un buon consiglio, tutto omeopatico, no? “Similia Similibus Curentur”, dove nei nomina si cela il discrimine tra tenebra e Lux. Facilissimo da farsi, purché si ri-conosca, si sappia ri-conoscere, Lux; come pure, ovviamente, la propria, intima, Lux, quella originale, di nascita. Curiosamente, ma è la verità, entrambe hanno la loro Massa! E questo è un altro discorso …

Il nostro si avvia così a casa, ‘carico dell’erba celeste … colta nel colle’, che da tempi immemorabili è stata e sarà incognita all’ignorante; parola sua. Vediamo: … ma dove … dove ho letto dell’erbetta e del monte? Ah, … ecco … forse forse dal Pacifico Amante della Verità? Mi domando spesso, alla mia età, quante volte sia necessario ripetere la stessa cosa, affinché – al fine – si accenda Lux nel Cuore del cercatore.

La prende, la lava, la pulisce dalle impurità ‘che aveva nella radice’ (facili da separare: ‘non sono interne, né della sua natura’), la trita in atomi minutissimi, e la pone in un ‘vaso magico’, e la tiene sul fuoco ‘lento, vaporoso, aereo, non comburente’ – tipo quello del Trevisano – per asciugarla di una ‘certa umidità che a te ti deve essere molto ben nota’, dice. E … toh! … nasce così un Corvo! … Ah, caspita, … ma deve trattarsi del ‘vas negromanticum’ di Maria, l’Ebrea sorella di Mosè … no? Dal loggione: ‘Ecco, lo dicevo io, ci vuole un Magus, un incantesimo, una conjurationem esoterica e theophrasticam!’ dice, andando a raccattare il cappello a punta e il librone dei Grandi Grimori della Suprema congrega di Shalazam

NO. Dice Maier nell’Atalanta Fugiens, parlando di Triptolemo, commentando l’Epigramma XXXV: “… illud vas, quod Maria dicit, non esse negromanticum, sed regimen ignis tui sine quo nihil efficies.”. Punto. Basta questo, sapete? Ma ritengo sia bene prendere la Bugia indicata dal Marchese, ed accenderla con destro et ratto fiammifero, scoprendo che l’ignis tui … pur essendo senza dubbio un ignis, NON è il focherello che accendiamo sotto l’œuf-à-la-coque.

Pur avendo visto il Corvo, il buon Marchese scopre ben presto di non riuscire ad ‘aprirlo’: “ … per la mia poca pratica in operare [eh, sì … se non lavori, e tanto, e sempre, ci si trova presto tra i rovi!], poiché sebbene con certezza sapevo che dentro le viscere del suddetto corvo vi stava una bianca e pura colomba che nell’occhi  portava doi perle orientali, con il collo ricinto di risplendentissimi e ricchi diamanti, con tuttociò il corvo era sì duro, tenace e bestiale che non trovavo modo da pelarlo e strapparli le penne, che sì fortemente le tenevano avviticchiata ed intrecciata la carne e la polpa. … mi si nascondeva la chiave di questo carcere tenebroso ove innocentemente era ritenuto il mio Re, … e benché sapessi che Saturno era il custode di quella, lo trovai sempre tanto ostinato che non volse mai piegarsi alle mie calde preghiere, onde dando io in quel detto che dice: ‘comburite os nostrum igne fortissimo’, presi pertanto desperato il sopra narrato corvo e lo misi in un foco violentissimo e potente in forte vaso.”.

QED, … mal gliene incolse!

Così, ritorna al colle, in cerca della grotta che aveva trovato in precedenza; ma la trova sbarrata da una porta di Metallo, con sopra incise queste parole: “Io Mercurio, figlio di Maia per ordine di Giove sono disceso in terra, ed ho chiuso l’antro dove si trovano tutte le felicità umane e ne ho riportato la chiave in cielo.”. Evidentemente rattristato, fa per tornare a casa; ma incontra un vecchio barbuto ‘alto e asciutto’ che gli dice che Giove aveva fatto sbarrare l’antro per precauzione, ma contro gli altri mortali, e non contro il Marchese: “… poiché chi una volta gustò del nettare del cielo non è mai più escluso dalla famiglia di Giove, né vi è esempio che chi una volta fu eletto al sacro magistero, sia poi stato abbandonato da quella maestà, e sappi che se l’operazione <non> fosse difficile e laboriosa l’arte al certo perderebbe il nome di arcano …”; poi: “Giove che previde il tuo errore e che sapeva che dovevi ritornare all’antro, ordinò a Mercurio che avanti di chiuderlo mi consegnasse una cestola chiusa e sigillata, e la conservassi per doverla dare a te per quando di novo venivi all’antro, quale averesti trovo all’improvviso chiuso. Onde ecco che te la consegno e torna felice e ricordati che il gran padre Ermete ci avvisa con queste parole: ‘Separabis subtile a spisso, suaviter et magno cum ingenio, etc.’.”

Così, preso ‘il canestro’, se ne torna in Laboratorio, cominciando ad “operare di novo più sanamente” e con l’aiuto ricevuto riesce finalmente ad ottenere “ciò che l’occhio sapeva desiderare, mentre tutte le gioie del Perù erano fango appresso sì degna e non compresa visione …”.

Prima di concludere questa parte illuminata ed illuminante, credo utile ricordare che il buon Marchese aveva chiesto al vecchio chi egli fosse; e lui gli rispose: “Io sono un antico ministro di Mercurio che eternamente dimora albergo di fuora alla custodia dell’antro e sono quello che ti risposi li giorni addietra alle undici interrogazioni [qui] che mi facesti …”, confessandogli che le risposte (in realtà 10) che gli aveva dato venivano suggerite direttamente da Giove, nell’alto dei cieli.

Ciò detto, lo studioso d’Alchimia non potrà non ricordare il famosissimo episodio della vecchia (assieme ai suoi moniti, pesantissimi), della ‘vergine’ sua figlia, e delle ‘vesti’, e del ‘cofanetto’, e della ‘liscivia’ [vide in Tre Trattati Tedeschi di Alchimia del XVII Secolo, pp. 90-3], meditando per bene su quanto scrive in proposito Paolo Lucarelli (alle pp. 23-5).

Hai ottenuto l’eredità che ti ha lasciato mia figlia?” – “In verità, ho trovato il cofanetto, ma non sono proprio in grado di togliere quella veste di stracci, e la liscivia che mi hai dato non riesce a scioglierlo e nemmeno a intaccarla.” – “Tu cerchi di mangiare le lumache o i granchi col guscio? Non conviene che prima li prepari e li faccia maturare il vecchissimo cuoco dei pianeti? Ti ho detto che devi purificare il cofanetto bianco con la liscivia che ti ho dato, non la veste di stracci esterna e cruda; infatti prima di tutto devi bruciarla con il fuoco dei saggi, e allora tutto andrà bene.”, (alla p. 93).

Concludo avvertendo il lettore che l’apparente o ipotetica contraddizione tra i due sogni che si potrebbe presentare alla mente di chi lavora, è solo un ostacolo razionale; velenoso, e più pesante dei moniti della vecchia centenaria. Se invece riuscisse ad aprire il Cuore, con la Bugia dal sorriso omeopatico, Lux potrebbe forse illuminar meglio il cammino. Chissà …

Lo scoglio operativo di cui si parla, è identico: ma se si prestasse miglior attenzione tanto ai termini, tanto alle Maschere indossate dai vari personaggi … beh, forse quel fiammifero cui accennavo supra potrebbe finalmente essere acceso dall’appassionato … nel corpo giusto & col modo giusto! … il resto lo farà Madre Natura!

“La Bugia” del Marchese Palombara …

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , on Wednesday, September 13, 2023 by Captain NEMO

Stamane, more solito, vado dal fornaio; esco presto, l’aria è fresca e piacevole: incrocio un Runner, vestito in tuta spaziale come di prammatica, ma con bandana sexy sull’ormai tipico e noioso taglio di capelli para-qualcosa; un furgoncino di manovali passa, e uno di loro esclama: “ahò … ma ancora corri verso la libertà?”; “…si, eh! … poi ce vedemo stasera, ar bar!”, il furgoncino accelera ed una grigia zaffata di CO2 investe il Runner spazial-salutista. Io, per fortuna, cammino a mano destra, e mi salvo …

Detto questo a mo’ di Hors-d’œuvre, passo a presentarvi qualche passo d’Alchimia; da un po’ di giorni sono ritornato sul testo del Marchese Massimiliano Palombara (che in verità non è proprio un Savelli, ma un Palombara-e-basta, casata cadetta della vetusta casa Sabellica; poi, dal padre Oddo, prenderà il marchesato di Pietraforte, e la famosa Villa Trophea, nel paradisiaco Hortus della campagna della Roma del ‘600).

Il testo, per quanto noto come titolo, è poco conosciuto: il manoscritto originale venne presentato da Mino Gabriele nel suo Il Giardino di Hermes (1986); in precedenza (1983) Dama Partini aveva già pubblicato l’edizione di un altro manoscritto, il Reginense Latino 1521, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, proveniente dalla collezione di Christina di Svezia. Per ragioni che è poco rilevante specificare qui, preferisco il manoscritto autografo originale.

La Bugia – Opera d’incerto Autore nella quale si tratta della vera Pietra dei Sapienti si fa probabilmente risalire al 1656; il buon Marchese, dedica ben 12 capitoli a descrivere la sua lunga ricerca di lumi alchemici su tutti i testi sui quali riuscì a metter le mani, cercando ed acquistando le opere più rinomate. Come è di prammatica, si lamenta degli enigmi, degli inganni, delle contraddizioni, delle trappole di cui sono pieni tutti i testi alchemici degni di questo nome. E dopo 12 Capitoli, sempre di prammatica, offre la sua “… Parabola che con il lume della bugia sarà dal sapiente con somma facilità intesa e conosciuta” giurando e spergiurando che sarà onesto con il lettore … e va beh! … come ho detto, è prassi consolidata, no?

Aveva scritto al Cap. 5 che “ … finalmente, dopo varie riflessioni conclusi nell’animo che non poteva esser altro la materia che quella che dopo 22 anni di Studio, dopo infiniti argumenti e riflessioni – sento che Iddio mi ispira in un istante all’improvviso verso le 17 ore nel giorno di domenica alli tredici del mese di ottobre dell’anno 1652: parendomi che mi si aprisse l’intelletto che concludentemente, mentre quasi che con un raggio divino, mi si mostrasse quella vera luce la quale finora in tanto tempo sempre mi fu celata  con una densa nuvola d’ignoranza, avendo per il passato fatta esattissima riflessione a tutte l’altre materie fora che a questa.”.

Nella Parabola, il marchese si reca in campagna, su un’alta collina verso Oriente, “la più bella ed insieme la più alta ed eminente”; lì, a fatica, gli par di scorgere “ … una grotta [esposta in faccia all’Oriente] … l’intrata di essa era ricoperta di quantità di canne e spine che ivi eran nate … esse canne, battute talora da uno zefiretto … dal quale di quando in quando piegate, poteva perciò avere qualche lume del celato passo chi esattamente avesse il tutto osservato.”.

Le canne erano alimentate “… da un ruscello che derivando ed uscendo dalla narrata grotta erano del continuo da quello bagnate, che poscia calando con soave mormorio per la falda del monte e restringendosi veniva a formare un fonte, dove mi presupposi di certo che venivano a prendere i savi il prezioso liquore con le loro tazze, …”.

Dopo aver inciso su una quercia lì vicino “… le seguenti parole: fons ortorum[1] tanto per ricordare dove fosse quell’accesso nascosto, il nostro poetico Marchese, ‘sente’ – ovviamente – la voce di un oracolo, al quale rivolge 10 domande (le solite domande di un apprendista-cercatore d’Alchimia); l’oracolo gli risponde sempre in modo brevissimo: “Ut vir limo”, “Umili ortu”, ”Utor umili”, “Iuro multi”, “Tum vilior”, “Tu vir olim”, “Tu, umilior”, “Umor Luti”, “Romuli tui”, “Il tuo rio”.

E si prosegue: “Onde con quest’ultima risposta accertatomi meglio che il Mercurio desiderato era il rio o fiume minerale, che uscendo da una parte della miniera dei filosofi va calando per l’erbosi prati di tutto il mondo, mi confermai maggiormente, e tanto più che me lo chiamava mio, mentre senza aiuto di maestro alcuno, eccettuatone il favor divino, l’avevo ritrovato e ne avevo preso il possesso.”.

Quest’ultimo passaggio merita a mio avviso ogni tranquilla meditazione, ma molto, ma molto, approfondita: esso è preciso, inequivocabile, e – fisicamente – esatto, così come – alchimisticamente – rigoroso. Anche la chiusa finale parla chiaro: il maestro è solo la materia stessa (ma quella Materia! ,,, i.e., la Mater ea!), e si ri-trova, vale a dire viene ‘trovata di nuovo’; semplicemente, perché è presente e reperibile, essendo il nocciolo vero di ogni manifestazione di un qualsivoglia ‘corpus’. Altrettanto semplicemente, è ben nascosta, chiusa com’è nel cuore stesso della Materia. Quella fons, insomma, è racchiusa nell’intimo della Mater ea, laddove intimo è il superlativo di ‘intus’, ed esprime ‘ciò che è più dentro’.

Palombara afferma qui di averne preso ‘possesso’. Buon per lui, no? …

Evidentemente, per disporre di tale fons, occorre qualcosa, perché l’accesso al ‘dentro più dentro’ della Mater ea non è consentito con i mezzi volgari, ma soltanto con mezzi propri e disposti secondo le Leggi del Piano Naturale. Le quali – dato che attengono alla fisica Manifestazione dei corpi – sono di natura evidentemente Fisica, MA Alchimisticamente disposti secondo Madre Natura.

Pochi hanno parlato in modo onesto e/o somehow chiaro (per quanto possibile, ovviamente) di ‘come’ si possa fare; il Marchese Palombara lo farà a modo suo, e lo vedremo in un prossimo Post. Debbo tuttavia avvertire che come è ovvio che le 10 risposte fornite dall’oracolo sono tutte giochi di parole, o anagrammi assonnanti con ‘Vitriolum’, è altrettanto ovvio che:

A) non si tratta affatto del volgare solfato metallico ben conosciuto agli spagiristi e/o chimici d’oggidì;

B) non si tratta affatto di un grazioso e dotto Simbolo[2], come tutti – urbi et orbi – si sono affrettati a sottolineare; temo che, non sapendo che pesci pigliare, si sia fatto ricorso alla solita operazione intellettuale simbologica; ma siccome Alchimia nasce come una via operativa che manipola materie fisiche – pur dotate (che dico: … ricchissime!), come è Naturale, di Spiritus, il quale è anch’esso Materia, ma allo stato  ‘fluido’ – è bene non farsi menar per il naso: il Vitriol di cui si parla in Alchimia, da secoli e secoli, è un ‘corpus’, minerale.

Punto.

Buone riflessioni!

Ah, sì … scordai … : ritornando a casa, stavolta a mano sinistra, passa il vecchio Alvaro che va a falciar fieno nei campi: … il trattore passa e mi scarica addosso, gentile, … una corposa dose di CO2!

Pur nella sregolatezza c’è equilibrio, no? … 🙂


[1]ortorum’ NON è ‘hortorum’ [l’edizione di Dama Partini riporta ‘Hortorum’, MA come si ricava anche dal ms. Reg. Lat.1521 originale – al f. 15r – vi si legge ‘ortorum’!]: se il secondo termine in Latino è il genitivo plurale del sostantivo ‘hortus’, ad indicare ‘orto, giardino’, il primo termine è invece il participio passato del verbo deponente ‘orior’, declinato al genitivo plurale: esso indica ‘di chi è nato’, ciò che è ‘di chi è sorto’. Questa mia lettura non è casuale, e preferisco proporla piuttosto che tacerla: qualsiasi entrata in manifestazione ‘sorge’, implicando obbligatoriamente un ‘da dove’ ed un ‘a dove’; il ‘sorgere’ di ogni corpo è semplicemente un Moto, ‘da’ ‘a’. Ancora, debbo sottolineare che quel Moto cui si allude avviene nello Spazio, e quel Motus qui indicato si svolge in assenza totale di ciò che amiamo chiamare ‘tempus’, completamente al di fuori del ‘tempus’, dato che la Creazione è sempre e soltanto un continuum, senza inizio e senza fine; il nostro ‘tempus’ è insomma un’utile consuetudine locale, e NON Universale.

Ergo, quella ‘fons’, ‘il fonte del sorgere’ indicato dal Marchese Palombara illumina l’origine della Creazione e la meta dell’operatività alchemica.

[2] Ogni Simbolo, qualsiasi simbolo, può avere alcune centinaia di significati; tutti sempre leciti ed accettabili. Ma il gioco dei Simboli in Alchimia, pur essendo educativo, è sempre abusato, per tirar la copertuccia da qualche parte che faccia comodo a qualche intentus. Si tratta di un piacevolissimo gioco intellettuale, ma è declinato – purtroppo – come una sorta di magnete antropocentrico, che è di fatto sempre fasullo. Oltre al fatto che l’uomo non è affatto al centro di un qualsivoglia Universo (non potrebbe mai esserlo, anche perché un Universo non possiede né potrebbe mai possedere un centrum), si vuol sempre trascurare od omettere che un Symbolon ha sempre – e per forza, altrimenti NON sarebbe in grado si sussistere, nemmeno intellettualmente – da un Dyiabolon. Il nostro Universo ha forma Duale, ma tendiamo a scordarlo; forse perché è scomodo comprendere che Lux è nascosta in Tenebras. Figurarsi accettarlo!

Dimenticavo: il Symbolon era in origine un oggetto fisico, usato per riconoscersi: si spezzava, per esempio, un sigillo, una tazza, una pietra – in due parti: una a me, ed una a te. Poi la vita ci portava in giro per il mondo. Quando ci si reincontrava, magari l’aspetto fisico dei due era mutato, oppure occorreva dissipare qualche dubbio di appartenenza, di origine: si estraevano i due pezzi (i Symbola) e se combaciavano alla perfezione … ci si abbracciava; altrimenti … qualcuno mentiva! Semplice, no?

Potrebbe dunque mai il disegnino del Vitriol o quel che volete … essere un Symbolon cui dar credito d’abbraccio? Poi: … ma a che cosa diamine potrebbe mai servire un Symbolon in un laboratorio alchemico, che è un locus la cui padrona è Madre Natura?

JWST 1 – Preambolo, pre-ambulatorio …

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Uncategorized, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Sunday, September 3, 2023 by Captain NEMO

25 Dicembre, 2021 – Kourou, Guiana Francese, 12:20 GMT.

Su un vettore Ariadne 5 l’European Space Agency (ESA) lancia il James Webb Space Telescope (JWST), con la missione di esplorare lo spazio profondo. La sua destinazione è un punto preciso dello spazio, chiamato Sun-Earth Lagrange Point 2 (L2), a circa1.5 milioni di kilometri da Terra. Il Punto Lagrangiano L2 è uno dei 3 punti – identificati da Joseph-Louis Lagrange, geniale matematico del XVIII secolo – in cui l’attrazione sia di Sol che di Terra permette ad un terzo corpo (JWST) di orbitare intorno a Sol e Terra in una posizione meta-stabile[1] che possa assicurare al JWST di A) rimanere sempre al di fuori dall’ombra di Sol e di quella di Terra, B) mantenere costante l’allineamento SolTerra-JWST (faccia calda del JWST, a 88°C; faccia fredda del JSWT, a -233°C), C) proteggere la faccia fredda del JWST dalla radiazione luminosa e calorica proveniente dal Sol, Luna, e Terra.

[dice: “… ma che c’entra Alchimia?”]

Per percorrere l’orbita assegnata JWST impiega circa sei mesi, grazie alle attrazioni gravitazionali combinate di Sol e Terra; ecco una ricostruzione dell’orbita del telescopio, che credo utile e fonte di riflessioni (per i pochissimi curiosi):

[dice: “… ma che c’entra Alchimia?”]

JSWT opera con uno specchio di Berillio-Oro che raccoglie Fotoni puntati nella direzione prescelta dal Centro di Controllo di Terra che comunica H24/7D con gli strumenti alloggiati sulla faccia calda del Satellite.

JSWT raccoglie dati sull’universo elaborando lo Spettro della Radiazione Infrarossa (IR), quella cioè a Lunghezza d’Onda (WL) lunga (la WL si riferisce alla distanza tra due apici o due ventri dell’Onda in osservazione): la missione di JWST è quella di osservare una gamma di frequenze che va dalla lunga WL dello Spettro VisibileRosso – al Medio Infrarosso (0,6 – 28,3 μm, dove μm sta per micrometro e indica 1 milionesimo di metro).  I dati, pre-elaborati da uno spettrometro e da un sistema di Imaging installati a bordo, vengono poi trasmessi a Terra al Deep Space Network (DSN), basato su tre antenne in Australia, Spagna e California.

Ciò detto a mo’ di Inception, passo a mostrare ciò che è arrivato al DSN pochi giorni fa:

A parte la bellezza mozzafiato, il fatto è che – ce lo hanno spiegato i vari astronomi ed astrofici legati al Progetto JWST – [dice: “… ma che c’entra Alchimia?”] – questa immagine fissa una “culla di giovani stelle”: si tratta di una zona di Spazio in cui si ritiene – ad oggi – sia ospitata una delle regioni più vicine a Terra in cui si ‘formano’ le stelle; si trova in Rho Ophiuchi, un complesso di nubi galattiche complesse; questa sorta di ‘star-nursery’ dista da Terra ca. 390 anni-luce. Tanto per annoiare, credo valga la pena ricordare che

1 anno-luce = ca. 9.460.730.472.580,8km

che si pronuncia come ca. 9.461 miliardi di kilometri. Per cui, tanto per annoiare una ‘nticchia in più … questa immagine dipinge una nursery di stelle che dista da tutti noi all’incirca 3.689.684.884.306.500,8km, che si pronuncia come ca. 3.689.684 miliardi di km. (ehm … scusate, colpo di tosse!).

[dice: “… ma che c’entra Alchimia?”]

Questa trasmissione è stata catturata ed elaborata da JWST tra Marzo e Aprile scorsi, e ci mostra come sono nate una cinquantina di Stelle in quella piccolissima zona di Ophiucus … ciò che ha – letteralmente – ‘colpito’ gli specchi di JWST sono Fotoni; viaggiando alla velocità della luce, hanno attraversato quella distanza di cui sopra in poco meno di quattro secoli del nostro ‘tempo’.

[Apro una Parente … : … visto quella stella che ‘rompe’ il suo guscio di materia proto-stellare? … sembra una replica di un piccolo, locale, “Fiat Lux“; il Chaos oscuro si apre, e mostra la Lux interna della coltre del Chaos, illuminata da Lux! … chiudo la Parente.]

Come si sa, dunque, (e, come tutti, ci scansiamo immediatamente da quel ‘sapere‘ …) è che questa immagine mozzafiato, bellissima, poetica, racconta di qualcosa che è accaduto, laggiù, … quattro secoli fa!

Uno potrebbe domandarsi: ed … ora … cosa c’è laggiù?

Risposta: non lo sappiamo, e nessuno degli 8 e passa miliardi di compagni-di-viaggio del nostro magnifico pianeta-prigione-che-stiamo-devastando – in questo esatto momento, mentre leggiamo – può sapere nulla-di-nulla in proposito. Vista la distanza, pur vicina in termini galattici, se anche attendessimo un altro secolo per sviluppare altra tecnologia d’osservazione, senza dubbio più raffinata ed efficiente, i nostri posteri (no, noi non ci saremo) dovranno in ogni caso attendere altri quattro secoli per … avere un’altra foto di quella minuscola zona di Spazio.

La Materia in quella zona, qualsiasi aspetto di materia ‘vesta’ … in cinque secoli sarà semplicemente ‘mutata’. Potrebbe essere evoluta in nuove galassie, sistemi planetari, essere stata mangiata e divelta in pezzettoni da uno scontro di galassie bibliche, essere collassata in qualche Black Hole (l’Universo ne è pieno!), o quel che volete. Di certo quest’immagine meravigliosa … sarà ‘mutata’.

Lo chiamano: ‘DIVENIRE’.

[dice: “… ma che c’entra Alchimia?”]

Ora, alcune brevi considerazioni:

  1. La possibilità per JWST di poter ‘vedere’ su distanze così grandi (i.e., 390 anni-luce) è data da un evento previsto/descritto da Einstein nella sua Teoria della Relatività Generale: si tratta della famosa Lente Gravitazionale, che si verifica (in particolari condizioni) – grazie alle Masse che intercorrono tra osservatore (JWST) e Oggetto osservato (Ro Ophiuchi) – quando il Campo Gravitazionale (tra JWST e Ro Ophiuchi) genera una deformazione del tessuto dello Spazio-Tempo; per usare un esempio popolare: prendete un pezzo di carta, e mettete “JWST” nella zona dell’angolo basso sx del foglio, e “Ro Ophiuchi” nella zona dell’angolo alto dx del foglio; unite con un pennarello i due punti (quella sarebbe la traiettoria lineare che descrive la distanza fisica tra i due punti); ora, se il Campo Gravitazionale fosse abbastanza sostanzioso in termini di grandezza (cioè se le Masse presenti tra loro interagenti [gravitazionalmente] lungo la traiettorie fossero significativamente massive, e varie altre amenità), allora il foglio si deformerebbe/piegherebbe – lungo la direzione perpendicolare alla traiettoria disegnata – sotto l’effetto del Campo Gravitazionale risultante; i due punti “JWST” e “Ro Ophiuchi” ora sono molto vicini, e quindi “Ro Ophiuchiappare come ingrandito per “JWST” … lo Spazio-Tempo si è deformato/piegato, e da “JWST” – come per effetto di una potente lente –  “Ro-Ophiuchiappare più vicino; in soldoni, pur sempre difficilotti da afferrare, è come se i Fotoni che viaggiano da “Ro Ophiuchi” a “JWST” venissero in qualche modo accelerati (MA, attenzione, NON è completamente vero!) dalle varie ‘buche-gravitazionali‘ (dove giacciono i corpi massivi di cui sopra), perché per ogni buca ‘sorvolata’ dai Fotoni in transito lo Spazio-Tempo circostante ogni singola buca, si deforma/piega un po’ … il viaggio sembra diventare, insomma, più breve!
  2. Va detto, che questo è un banale ed orrendo escamotage esemplificativo, estremamene grossolano e non proprio oggettivamente veritiero: ma fa il suo lavoro per spiegare cos’è ‘sta benedetta Lente Gravitazionale. La sostanza è che – secondo quel che disse Einstein – la Gravità deforma/piega il tessuto[2] dello Spazio-Tempo. Comunque sia, la Lente Gravitazionale NON accorcia la distanza che i Fotoni debbono percorrere nel loro viaggio da “Ro Ophiuchi” a “JWST: è solo l’immagine che raggiunge lo Specchio di JWST che appare ingrandita nonostante la piccolezza della zono osservata; si tratta, insomma, di un effetto virtuale, nulla di più (fra l’altro, come tutte le lenti, l’effetto della Lente Gravitazionale deforma l’immagine stessa, che può presentare aloni, curvature dei bordi, sfocature e via dicendo; alcuni filtri software possono oggi aggiustare l’immagine, ma essa resta un’informazione – pur magnifica – virtuale).
  3. Le immagini elaborate da JWST provengono da rilevazioni nello spettro dello IR e al di là dell’IR; ciò significa che – se noi fossimo in questo preciso momento là, vicino a Ro Ophiuchi – NON vedremmo ciò che l’analisi spettrale ha ricostruito ed elaborato; lo spettro del visibile di noi Umani (con Lunghezza d’Onda λ compresa tra 390nm e 700nm) non rileverebbe ciò che vediamo nelle foto di JWST, ma vedremmo/osserveremmo altro (cosa, non ci è dato sapere…). Questa scelta da parte del Team JSWT è dovuta al fatto che la rivelazione di Lunghezze d’Onda appartenenti all’IR ed oltre ci permette di rilevare/osservare zone spaziali del Cosmo che hanno una “età” fino a oltre 13,5 miliardi di anni: così si potrà disporre di dati base con i quali poter esaminare la nascita delle prime stelle e delle prime galassie apparse nell’Universo primordiale. Il che non né poco, né banale. Quando la luce è emessa da un oggetto che si allontana, la Lunghezza d’Onda che riceviamo è più lunga rispetto a quella emessa, e si dice che è spostata ‘verso il rosso’, cioè la zona che corrisponde all’estremo inferiore dello Spettro del Visibile: questo è il RedShift. Il RedShift cosmologico, tuttavia, non è dovuto all’eventuale ‘allontanamento’ fisico di un oggetto da noi (Stella, Galassia, Cluster), quanto al fatto che il tessuto (meglio: il Volume del tessuto) dello Spazio-Tempo si dilata, si espande … il che deve far riflettere. E non poco, dato che in Creazione il tempo assoluto … NON esiste.
  4. È del tutto comprensibile che i giornalisti ed i divulgatori abbiano dato il risalto che merita a questa straordinaria immagine; però qualcuno è arrivato ad usare espressioni iperboliche: “… un vero e proprio viaggio nel tempo”, e via dicendo … il che, evidentemente. non è affatto corretto, in alcun senso; nessuno ha viaggiato nel tempo, né tantomeno il JWST. Chi ha viaggiato sono stati i Fotoni, i quali – è bene ricordarlo, A) hanno viaggiato attraverso uno Spazio, e B) … ancora viaggiano, e sempre viaggeranno, portando con loro le informazioni che saranno sempre ‘vecchie’ di quattro secoli. Non intendo minimamente denigrare l’eccelso lavoro compiuto dal fantastico Team di ricercatori, anzi. Ma, mi chiedo, perché non indirizzare ogni tanto l’attenzione di noi spettatori di questo meraviglioso Film epocale e galattico sul vero protagonista … del viaggio?

Cos’è il Fotone? … sarebbe importante presentarlo al pubblico, e pure ai bambini. Perché, senza il Fotone … non sapremmo nulla di nulla, non soltanto dell’incredibile ‘nascita’ di una proto-Stella, ma anche di molto, molto altro: l’Informazione.

Già, perché in assenza di informazioni l’Universo tutto, tutto il nostro Universo, (ma anche gli altri) non potrebbe sussistere (l’avevo detto già somewhere, over the rainbow: … sub-sistere).

Ciò che chiamiamo Fotone, che ci pare sempre un termine fantascientifico, è il Carrier, il portatore di Lux, della Forma della Lux. Vorrei sottolinea due cose:

La prima: tutti sanno che il Fotone ha a che fare con la ‘luce’, senza ‘sta ‘luce’ non potremmo leggere un libro di notte. E ciò basta a tutti, per ritornare bellamente a ciò che stavamo facendo, no? Eppure, direbbe qualcuno; eppure

Rileggetevi, se vi va, la piccola explicatio fornita da Richard Feynman nel Post precedente: l’irrispettoso genio della Fisica nel 1983 osò affermare nel suo QUED (ma lo ripeterà in molte sue comunicazioni, sia semplici che complesse) che – per ‘lui’ – ‘luce’ è “… all of that…”: ‘ tutto ciò’ è ‘luce’. … E cos’è quel ‘ciò’? … lo ha scritto, detto e ripetuto, centinaia di volte, ma lo ha fatto in modo che a Napoli chiameremmo accuorto: l’intera scala delle Frequenze di ‘luce’. Brividino? Ora, quali sono i limiti di una Frequenza di una radiazione?? Facile ed intuitivo: teoricamente, da 0 a ∞; più praticamente, un tantino più grande di 0 ed un pochino più piccolo di ∞. Brividuccio? … insomma, è la Radiazione. La quale secondo Louis de Broglie ha – lo sappiamo tutti – una doppia natura: Corpo e Onda! … Se quell’altro genio assoluto (ma ben più pacato di Feynman) della Fisica del Prince de Broglie (Nobel 1929) ha aperto un baratro nella nostra inutile Logica, … comincia a venire in ‘luce’ cosa implicano le due trovate dei due Fisici? Feynman (Nobel 1965) e de Broglie hanno gettato non un sassolino nello stagno, ma hanno aperto uno squarcio su come funziona l’Universo. Esso Universo vuoto non è (non potrebbe mai esserlo, non soltanto per le considerazioni Filosofiche di Cardano: ‘Vacuum non Datur’), bensì è pieno zeppo di una radiazione di doppia natura, ovviamente quantizzata, in Moto perenne, trasportante Informazioni: LUX. In assenza di LUX, non v’è Materia, alcuna. Non ci sarebbero ‘corpi’: non ‘sussisterebbero’, non possono ‘sussistere’. Non ci sarebbero ‘corpi’ nell’Universo; ergo, neanche nei crogioli degli alchimisti.

[dice: “… aaahhh, … ecco l’Alchimia!”]

Vedo già i soliti gnoti ed ignoti che cominciano a muoversi sui loro sedili, improvvisamente leggermente più scomodi: “… ma, … insomma … lei ha le prove?”, “… ma come fa a dirlo?”, “… lei vuole fantasticare!”, “… ma è una balla, dai!”.

Alla mia età, non mi importa proprio di discutere sui ‘ma’; mi piacerebbe però iniziare ad osservare e partecipare, assieme, ad un radicale cambiamento: prima del punto di vista sul senso di ciò che chiamiamo, tutti, ‘vivere’; poi, scorgere pian piano dei mutamenti via via più profondi nella pratica del ‘vivere-di-ogni-giorno’ e del – assiemepro-gredire: per come ho camminato, vi racconto ciò che ho trovato, studiato e praticato. Poi, ognuno ci farà quel che vuole …

Posso solo sorridere, felice. Tutto qui.

Tutto l’Universo è stato immerso, è immerso, sarà immerso in un flusso, un mare di portata letteralmente ‘Universale’ – oh, meravigliosa Dama Alchimia! – di provvidi ed amorevoli, ed indispensabili, e nutrienti ‘corpuscoli-ondine’ che abbiamo inteso chiamare Fotoni (i.e., particelle di Fuoco).

Tutti i ‘corpi’ sussistono, esistono e divengono grazie a questi graziosi ‘corpuscoli-ondine’  (carriers, portatori di un bouquet di Grazie, non di una sola Grazia!).

L’interazione dei Fotoni con un ‘corpo’ ha due modalità, in funzione dell’angolo d’incidenza del flusso: A) l’urto, il rimbalzo (in gergo: lo Scattering), che i nostri organi ‘vedono’ come ‘colore’; B) la penetrazione, che i nostri organi non sono in grado di rilevare.

Nel caso A), parte della frequenza dei Fotoni interagenti con il ‘corpo’ viene – come sommatoria ∑ di Frequenze – assorbita dal ‘corpo’ sotto forma di Informazione (sotto forma di radiazione, ondine); la parte di frequenza non assorbibile viene restituita – da parte del ‘corpo’ come una nuova frequenza di doppia natura (corpuscoli-ondine), che i nostri organi percepiscono e decodificano come ‘colore’.

Nel caso B), il Fotone/i Fotoni penetrante/i penetra, entra all’interno del ‘corpo’ sotto forma di radiazione (ondine), e – passando l’Informazione trasportata – alterano il corpo (come un’Energia’; pur minima, infinitesima, ma ‘Energia’ (nelle diverse declinazioni, come previsto dal Piano Naturale). “La somma fa il totale”.

Tutte le Informazioni eventualmente passate ad un ‘corpo’ vengono immagazzinate nella struttura interna, intima, del ‘corpo’: sotto forma di Frequenze, esse sono sempre accessibili dalla intelligenza (c’è chi la chiama ‘coscienza’, ‘cum+scientia’, ‘sapere assieme’) del ‘corpo’ stesso. Nei ‘corpi’ più semplici – vale a dire quelli che hanno subito meno specificazioni nel loro Divenire – tale accesso è quasi immediato, non complesso, bensì del tutto Naturale; nei corpi lontani dalla loro origine (l’entrata in Manifestazione), tale accesso richiede un lavoro estremamente difficile, lunghissimo; non basta una vita per un essere umano. Ecco il motivo per cui in Alchimia operativa (lascio da parte quella cosiddetta Spirituale e Simbolica, che perciò non hanno alcuna utilità reale) si parla della Reincrudazione della Materia come necessaria, indispensabile.

Per attuare una qualsivoglia Reincrudazione è necessario disporre di una sorta di Antenna (ricevente e trasmittente); tale ‘corpo’ molto particolare ha la Forma e la Struttura di ciò che gli Alchimisti seri (nei secoli, pochi; davvero pochi) hanno chiamato Sal. “Hinc sunt Leones”, però … perché è facilissimo cadere nella trappola e restarci, incoscienti, per anni, anni, e anni. Sia come sia, in mancanza della esatta comprensione della modalità ‘Sal’ …. Nessuna Reincrudazione vera accade; accade invece un simulacro della reincrudazione: del tutto inutile.

In questo scenario, dovrebbe balzare all’occhio ed al Cuore del navigante che …

siamo praticamente fottuti!

In effetti, lo dico da anni, e certo non per primo (Paolo docet, per esempio) noi tutti siamo in una prigione; dorata, magnifica, ma una prigione; uscirne si può, talvolta, ma occorre un esprit libero da tutti i “credo”, siano essi filosofici, scientifici, religiosi, e via dicendo. Un ‘credo’ è un tappo invalicabile, non frantumabile, nemmeno con l’esplosivo.

Se siamo in prigione, un motivo c’è; senza dubbio alcuno.

E se esiste un tappo di tali fattezze, … beh, temo sia molto consigliabile liberarsi, una volta per tutte, di qualsivoglia ‘credo’.

Ma, ovviamente, si sente già ululare … : ”Ma… insomma … non sono libero di ‘credere’?

A mio avviso, la Libertà è Universale, ed il ‘credere’, ogni ‘credere’, è Locale.

Poi, … ognuno si comporta come vuole, no? Chi sono io per dirti in cosa ‘credere’?

Quindi, per tornare alla stupenda e commovente immagine che dà conto della nascita delle proto-stelle in un remotissimo e piccolissimo spazio del nostro Universo, noi tutti – in prigione – siamo investiti da un continuo flusso di corpuscoli-ondine, visibili e non visibili; essi/esse sono Carrier di vagoni di informazioni, ma sotto forma di energia quantizzata. Altro che likes e amenità varie … riceviamo sempre e tutto. Il problema è che noi umani non siamo capaci 1) di rendercene conto, 2) come decodificare, accedendovi, quelle informazioni. Per fortuna, le Materie alchemiche nei crogioli, … sanno come e cosa fare!

Non ci credete? … benissimo; torno a sorseggiare il mio caffé , fumando la mia vecchia Peterson.

Sia come sia, ammesso che ci si renda finalmente conto che la prigione esiste, e che rendersene conto non è un’elegante espressione retorica (cioè buona per gli allocchi; anzi, visto che esistono gli allocchi (vale a dire: ‘noi’, quelli che si sono accorti delle sbarre della comoda cella), è meglio afferrare tutto ciò che si riesce a trovare, rubare, inventare, in barba ai nostri simili e in barba alla grandezza di Madre Natura), a ‘noi allocchi’ più che protestare, disperati, occorre ‘fare’; ‘fare’ per uscire; augurandoci di non comportarci poi – come Paolo avvertiva e ammoniva – come quelli che una volta fortunosamente usciti, entrano subito nel famoso Supermercato, quello con somma arguzia posto proprio due metri dopo il buco d’uscita; pieno letteralmente di ogni ‘ben di Dio’, e per di più esposti con il cartello ‘È Tutto Gratis!, riempite il carrello e recatevi al Check Out!| comprano le cose meravigliose più disparate … e rientrano di corsa in prigione, così da aver ancora maggior potere sugli ‘allocchi’.  Qualsiasi veste indossi, l’uomo è sempre uguale a se stesso …

Per avviarmi alla conclusione di questo primo spunto ‘fotonico’, riporto ciò che vien detto in un trattato a me molto caro: Récréations Hermétiques, ai ff.1-2 …

Les éléments ont un Centrum Centri que tous les yeux ne peuvent apercevoir; et ils ont de plus un Centre Commune dont les prétendus savants n’osent approcher, crainte de dévoiler leur turpitude (La lumière).

Cette chaleur caustique accompagnée de la lumière que l’on appelle communément feu, nest pas l’élément de ce nom, dont les Sages ont voulu parler. On prend en cette circonstance les effets pour la cause, et on va plus loin que les Rhéteurs, qui prennent au moins la partie pour le tout.

Le feu est un fluide éminemment subtil, procédant directement de la lumière que l’on nomme, tantôt électrique, tantôt Galvanique ou Magnétique &c, suivant ses diverses modifications, ou plutôt c’est la lumière elle-même dérivée de sa source et dont elle demeure détachée. Il n’est ni froid ni chaud, et la chaleur ou le froid ne sont point des corps …

La Lumière, principe de vie et de mouvement peut être considérée comme l’acte unique de la création ; tout le reste n’en est que la conséquence.”.

A titolo di mero spunto di riflessione, riporto qui un frammento del mio commento, relativo al brano di cui sopra:

Tutti gli Elementi hanno un Centro nascosto (il Centrum Centri) ed un Centro di comune origine: quest’ultimo è ciò che chiamiamo Luce.

La Luce – quella Luce originaria – si evidenzia nell’Elemento Fuoco, che nulla ha a che fare evidentemente con il fuoco che sperimentiamo comunemente nella nostra vita, essendo questo soltanto il fenomeno esteriore dell’azione da parte del Principio Luce. Questa doppia caratteristica della Luce (luce e fuoco), che curiosamente trova il suo contraltare, un vero e proprio specchietto per le allodole, nella doppia natura corpuscolare ed ondulatoria del fotone della Fisica moderna, è in realtà un’unica cosa: Luce. Secondo l’autore, quando la Luce è distaccata dal suo focolare di nascita essa assume la veste dell’Elemento Fuoco. Val la pena di notare che, a scanso di trappole mistiche o di spunti interpretativi misteriosi, l’autore non dice dove sia questo focolare originario: se ne deve dedurre, dunque, che tale localizzazione semplicemente non esista. Per difficile che possa sembrare per la nostra logica, la cosa è molto semplice: la Luce di cui parla l’autore non è soggetta alla limitazione tipica di ogni manifestazione costituita dallo spazio e dal tempo, ma continuamente ’è’, lungo ogni dove e durante ogni quando. La Luce originaria ed originante è l’agente unico, senza spazio e senza tempo, che agisce la manifestazione, ogni manifestazione: l’agire della Luce si trasforma nell’atto della Creazione, che è priva di un prima e di un dopo comprensibili secondo modelli umani. Essa è intesa come l’evento primario da parte di Madre Natura in un divenire che ha le caratteristiche di un continuum puro, privo cioè delle specificazioni di luogo e di durata e di ogni attributo di logica, etica, desiderio o scopo. Queste specificazioni e questi attributi sono puntelli imprescindibili per la nostra razionalità, indispensabili per noi esseri umani per sopravvivere nella nostra manifestazione, ma del tutto inesistenti, anche perché affatto necessari, nel grande Progetto Naturale della Creazione.”, in Commento, da Anonimo, Récréations Hermétiques, Edizioni Lulu, 2011.

Auguro a chi volesse partecipare a questo cambiamento ogni serenità nella riflessione, che possa preludere al ‘fare’, in cerca di Libertà luminosa; non necessariamente quello alchemico, ci mancherebbe; ma quello di tutti i giorni, il proprio, quello personale. Quello intimo.

Senza cambiamento nelle azioni e senza Libertà dai legacci vari … difficile sarà riuscire a camminare.

Alla prossima! …

Ooooooops … dimenticavo: l’anonimo autore delle Récréations Hermétiques, aggiunge un chicca, che merita di essere assaporata, perché è davvero squisita: “… l’Univers signifiant l’unité retorurnée ou renversés …“.

SIMULARE EST MEUM



[1] I Punti Lagrangiani sono dati dalle 5 Soluzioni fornite da Eulero e Lagrange al famoso ‘problema dei tre corpi’ della Meccanica Analitica (vale a dire: trovare le orbite di tre corpi che si attraggono reciprocamente sotto la legge di Gravitazione Universale, usata da Newton), su cui non mi dilungherò qui.; i 3 punti (L1, L2, L3) sono meta-stabili e giacciono sempre sulla medesima linea di congiunzione, e necessitano di piccoli aggiustamenti (JWST corregge la sua posizione in modo fine grazie a micro razzi auto-orientanti, come anche grazie ad istruzioni comunicate dal Centro di Controllo), mentre 2 punti (L4 e L5) sono stabili, ed – essendo in posizione triangolare – non richiedono aggiustamenti, ma non garantiscono al corpo lì orbitante di essere sempre al di fuori dei coni d’ombra di Sol e Terra.

[2] Come per il foglio – che nell’esempio è ovviamente bi-dimensionale – anche il tessuto è bi-dimensionale, con tante buche&buchette a seconda della Massa del corpo che occupa la sua posizione individuale nello Spazio (non nel Tempo, per il semplice motivo che il Tempo assoluto NON esiste in Creazione). Però chi legge dovrebbe ALMENO fare lo sforzo di immaginare un VOLUME (tri-dimensionale, e NON una Superfice) che viene deformato/piegato. “Facile non è …” direbbe Yoda, ma così la cosa andrebbe descritta. Ma vi sono ALTRE complicanze, di cui – per non render troppo noiosa la lettura – tralascio di parlare.

… Sperando che possiate accettare Madre Natura come Essa è: … assurda!

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Wednesday, August 30, 2023 by Captain NEMO

Questo è un Post: … un tentativo di risposta a due domande poste dal gentile Sig. Loris, che ha avuto la bontà di porle. In questi tempi di terribile incertezza ed umana stupidità, ormai assurta al ruolo di un virus ben più terribile del Covid – perché questa stupidità schiaccia ed ottunde l’Anima pura dell’Essere -, ho pensato di formulare di getto un abbozzo di risposte, senza tanti fronzoli e salamelecchi. Eccolo:

Prima domanda: “… leggendo ciò che ha scritto mi è parso di intendere che ha visto ancora qualcosa di buono nel cuore delle masse o forse ho inteso male?”. Qui.

Se lei intende parlare delle masse umane del pianeta che temporaneamente abitiamo, concordo con lei: non v’è nulla di buono. Punto.

Tuttavia, anche in questo contesto, per così dire sociologico, temo vi sia il solito equivoco, dovuto – per tutti, me compreso – al velenoso (che dico: tossico!) radicamento del concetto di bene&male.

Siamo-quattro-amici-al-Bar (il Joe’s Bar, che non sta qua, ma sta ), e mentre sorseggiamo bevande a noi ‘terricoli‘ sconosciute, ridendo ed ammiccando, proverò a spiegarmi usando perline sparse su un tappeto di stelle, vere:

Occorre trovare un passaggio tra le procelle di Scilla e Cariddi, ove Scilla è il panteismo – tutto è Dio – e Cariddi il manicheismo – il mondo è governato da due principi opposti che esistono da sempre.

La conoscenza di un ente implica sempre la doppia nozione, di ciò che è e di ciò che non è, il lato positivo e il lato negativo, la sostanza e il limite. Il problema risiede dunque nel nostro umano metodo di conoscenza, il solo di cui attualmente disponiamo.”.

[Fra’ Cercone, scritto privato]

A proposito dell’Essere:

Infralle magnitudine delle cose che sono infra noi l’essere del nulla tiene principato.

[Leonardo Da Vinci, Cod. Arundel, f. 131r]

Cos’è ‘sto non-essere? Semplice semplice: è quella roba che la nostra mente avida di logica e di senso consequenziale desume dallo spazio e dal tempo in cui siamo forzatamente immersi; in parole povere: fuori dal locus e dalla duratio il non-essere non consiste (cum+sistere)! … Occhio che facile non è, direbbe il sornionissimo Yoda!

Cos’è ‘sto essere? Idem con patate, al forno o fritte, come meglio si preferisca: è quella roba che diventa intellegibile grazie ad una Forma, precisa quanto fondamentale in Creazione: il Verbo; diciamo, con Giovanni 1,14, “Et Verbum caro factum est.”, senza mai ben comprendere cosa diavolo significhi in termini di Physica, (NON capire! … ma C O M P R E N D E R E), capoccioni – come siamo – invaghiti della dottrina cui ci pieghiamo, salmodiando dotte perifrasi significative quanto un “boh! … che ne so?”, ben oltre i 90° concessi.

Parliamo di Physica, NON di Philosophia; perché sottolineo questo aspetto? … perché la Creazione, al di là di qualsivoglia considerazione di tipo religioso – che qui non c’azzecca proprio nulla – attiene esclusivamente al venire-in-essere della Materia, all’entrata cioè di quella cosa bizzarra che è la Materea, Madre di OGNI Essere, qui ed ovunque, prima e dopo. Punto.

Chi vi dicesse il contrario, merita tutta la tenerezza possibile … ma non sarà mai di alcun aiuto una volta che lascerete, come tutti, il nostro magnifico Planeta, Terra, prigione dorata degli innamorati della Mente (quelli che non scendono su Terra, sono gli altri, tutti gli altri, gli innamorati del Cuore). In parole poverissime: se, allorquando si parlasse di Creazione, non si considerasse la Physica come l’unico strumento con cui avventurarsi – fisicamente, eh? – nell’Universo … beh, fate come vi pare, ma non v’è molto altro da dire; arrivederci e grazie, così come fecero graziosamente sapere i Delfini (lasciatemelo dire: … les Dauphins) quando lasciarono Terra, con il famoso cartello “So long for all the fishes!”.

Se, come spero, foste aguzzati (aiguisée), avrete notato che proprio prima del termine ’Verbum’ c’è un ‘Et’; siccome quel termine ‘congiunge’, veniamo re-indirizzati alla famosa Mappa del venire-in-essere: “Verbum-Actio-Motus-Calor”, che esprime ciò che è lo scopo della Creazione: il Divenire. Quella ‘congiunzione’ iniziale, che precede ciò che Giovanni annuncia come l’Incarnazione, è il legame con la Fonte, la Sorgente, l’Origine (qui da noi lo chiamiamo Dio; ma ha tanti nomi, tutti accettabili, tutti, beninteso, rispettabili).

L’incarnazione è l’espressione concreta della Forma, ed è quindi obbligatoriamente ‘finita’: anche perché una Forma vista come una cosa ‘astratta’ … è del tutto inutile!

Questo venire-in-essere di OGNI corpo viene attuato (è l’Actio, di cui sopra), lo sappiamo bene dal catechismo, dallo Spirito Santo, il quale viene chiamato dagli Alchimisti, ma pure dai Physici ben accuorti, Spirito Universale: il quale “È” … LUX.

Ma LUX – notate bene, ma MOLTO bene, per favore – che in mancanza di un corpo da illuminare … non viene percepita, cioè … non sussiste (sub+siste); ciò non significa che ‘non c’è’, ma semplicemente che non rende manifesto il Corpo; una sottigliezza non-da-poco (ma stiamo parlando di Dio, no?) è quel ‘sub’: quasi ‘reggesse’, da ‘sotto’, che è in realtà un ‘dentro’, il Corpo. Ohibò …

Aggiungo: … stiamo parlando di Creazione, non del banale fenomeno con cui illuminiamo le scale o quel che volete quando scendiamo in cantina! … stiamo cioè affrontando “la problema” di COME un Corpo qualsivoglia, in qualsivoglia Universo, venga in-icto-oculi portato in Essere. Questa Actio può compierla SOLTANTO … LUX!

Ora si potrebbe dialogare – e non, tristemente, discutere – sul fatto che LUX ha una sua Massa, benché piccolissima: LUX è costituita di Fotoniportanti’, ma che possiedono Massa. Il punto è che LUX, ergo, NON è solo quella che percepiamo quando accendiamo la lampadina, o quella di Sol & Luna, bensì è tutta la Radiazione che permea l’Universo (meglio: gli Universi): ecco spiegato il segreto ammantato da Sacro Mistero del perché gli alchimisti parlano della famosa ‘luce nera’: ma ciò ci porterebbe troppo Off Topic.

Quando dico ‘luce’ in queste conferenze, non voglio indicare semplicemente la luce che possiamo vedere, dal rosso al blu. Succede che la luce visibile è solo una parte di una lunga scala che è analoga ad una scala musicale in cui ci sono note più alte di quelle che potete sentire ed altre note più basse di quelle che potete sentire. La scala della luce può essere descritta da numeri – chiamati frequenze – e man mano che i numeri diventano più alti, la luce va dal roso al violetto, all’ultravioletto. Non possiamo vedere l’ultravioletto. Ma può lasciare il segno su una placca fotografica. È sempre luce, soltanto che il numero è differente. (Non dovremmo essere così provinciali: ciò che rileviamo direttamente con il nostro proprio strumento, l’occhio, non è l’unica cosa [che esiste] nel mondo!). Se continuiamo semplicemente a cambiare il numero, usciamo fuori verso i raggi X, raggi Gamma, e così via. Se cambiamo il numero nell’altra direzione, andiamo dal blu alle onde del rosso, dell’infrarosso (calore), onde televisive, e radio onde. Per me, tutto questo è ‘luce’.”

[Richard Feynman, QED, p. 13]

Dimenticavo: “QUED” significa Quantum ElectroDynamics, i.e. ElettroDinamica Quantistica; però significa anche – prodigioso Feynman – Quod Erat Demostrandum!” … e va beh!

A questo punto, dopo le rinfrescanti parole di uno dei più grandi Fisici degli ultimi tempi, quello che veniva a far lezione con camicia Hawaiana, sandali e bonghi (l’ordinario di Fisica vestiva sempre la sua grisaglia, tristissima ed austera, ed i suoi tomoni avevano rigorosamente la copertina grigio topo sub-inferiore, con quella carta giallina, anni ‘30).

Torno ad res: se sono riuscito a far balenare il quadro del dualismo ontologico della Creazione, concludo la mia prima risposta; occorre tener conto che il concetto di un Bene qualsivoglia e/o di un Male qualsivoglia sono oggetti intellettuali, soggettivi, e dunque sempre falsi, fallaci, fuorvianti. Ciò che conta, invece e tanto più alla bisogna, è comprendere (mi ripeto, lo so: NON capire!) che in Creazione, il navigante DEVE fare i conti con la doppia realtà; non se ne scappa, né se ne potrebbe mai scappare (se non tornando una volta per tutte a fondersi nella Hylé; ma se non si riuscisse ad e-volvere (toh!) verso l’IGNOTUS entro le 13 vite, … pare, dicono, che si torna in prigione-senza-passare-dal-via!).

Il Bianco ed il Nero sono la substantia stessa del tessuto Spaziale (il tempo è solo uno strumento percettivo, del tutto locale), dove LUX trasferisce la potenza del Verbum; se c’è Bene, c’è Male. E versa vice, of course. Senza dubbio si può scegliere, al proprio meglio, DOVE camminare … quel che conta, a mio modestissimo avviso, è uscire dalla ‘massa sociale’ e incamminarsi solitari verso una destinazione alla nostra portata; ma liberi, liberissimi da qualsiasi fardello, sia esso intellettuale, culturale, iniziatico, religioso, e via dicendo … Lo dico perché il territorio dove alla fine potrebbe improvvisamente trovarsi il navigante è un locus dove nulla ‘funziona’ come pensiamo, come siamo stati addestrati, come speriamo. NULLA. Ovviamente, neppure le regole della Fisica valgono in quel locus: c’è un’altra Fisica con cui fare i conti, ben più semplice, basica, ma estremamente aliena alla nostra Mente. Occorre cimentarsi in un nuovo studio se si è interessati … a non tornare in Prigione!

Vedete, ricordo che Paolo disse (ma non ricordo ora ‘dove’ lo disse) che l’Alchimista non ha una Weltanschauung, intesa come una visione del mondo; in effetti, se è molto fortunato, potrebbe capitargli di vedere il mondo per quel che è, e non di avere una banale visione; ma, io credo, se esercitasse il proprio Giudizio nell’approvare o disapprovare un evento, un fenomeno, farebbe un errore tragico: perché, lo si creda o no, il mondo è ‘pensato’; da Dio?, da Buddha? dal Grande Ciaparche Verde? … e persino da tutti noi, e dico tutti? Ma, a ben vedere … che diamine importa sapere ‘chi è che pensa il mondo’?

Non sarebbe ben più interessante, e salutare, rendersene finalmente conto, ed accettare – con il sereno Love, Devotion and Surrender – di vivere liberi?… e con una meta?

Il problema della ‘destinazione’ è che il solo porsi tale problema è tutta fuffa, comoda, che ci para sempre il sederino: ponetevi una destinazione, che sia una vostra libera scelta, non lo scimmiottare chi viene additato Magister, o Influencer, o quello applaudito dal Consensus accademico: per favore, chinatevi sui libri, da soli, e cercate; con calma; camminando. Sempre. Imparate ad essere soli, e ad essere allo stesso tempo Fratelli, e non fratelli! Anche del diverso. Che cosa farete se incotrerete un abitante di Reticuli? Se parlerete di ‘tolleranza’ verso l’altro, le porte non si apriranno, mai.

Amor è la Forza che muove il creato tutto.

Nient’altro.

Una volta raggiunta la prima ‘destinazione’, non fermatevi più di tanto; un bicchier d’acqua (Solvente dell’Universo!), una passeggiata calma in un luogo ameno della Natura, e stabilite una nuova ‘destinazione’, con la medesima postura di cui sopra. Non fatevi ingannare dagli ‘altri’, tantomeno dal sottoscritto! … l’unica vera Maestra è Madre Natura, Materea. Procedete sereni, pian piano, studiando e trasferendo nella pratica le cose che avrete rinvenuto camminando … e-volverete. E così via. Lo spostamento del limite vi farà, nel tempo, camminare.  Sarete sempre più soli, ma sempre più assieme a Madre Natura.

Vedete, se qualcuno si cimentasse con la lunghissima riflessione (meditazione?) sulle conseguenze terribili del solo Principio di Indeterminazione di Heisemberg, o si interrogasse sull’affermazione di Einstein per cui ‘il mondo esiste perché qualcuno è in grado di pensarlo’ … chissà, potreste pian piano scoprire da soli l’unica Mappa utile per tornare a Casa …  

Così, dopo questo lungo pistolotto, che mi auguro almeno rischiari un po’ l’inizio di un cammino, torno a sottolineare l’importanza di ‘ciò che è all’interno della Massa’. Ho già detto e spiegato, fino alla noia, cosa sia la Massa (Sir Isaac Newton, Philosophiæ Naturalis Principia Mathematica, 1687, Definitio I); tale definizione DEVE esser letta in Latino e meditata per anni, allo scopo di studiar meglio, praticar meglio e raggiungerne una Comprensione; per anni, e anni. La Massa è quantitas Materiae, ma costituita (NON composta!) in un modo estremamente arguto, bizzarro; più che bizzarro. Dietro e dentro quella Definitio, viene svelato candidamente quel locus terribilis di cui ho parlato prima; lì, sta una delle porte più importanti della Creazione. E, per rispondere finalmente al quesito del Sig. Loris, nel cuore di quel locus, gli Alchimisti, se sono benvoluti (per usare un termine caro a Paolo; ma siamo tutti benvoluti, credetemi) possono … osservare tutto ciò che è da osservare! Non c’è nulla di magico, o di mistico, o di ermetico, o iniziatico che dir si voglia: è Physica, all’Opera ed in Opera. Punto. Per ovvi motivi, non mi è possibile parlarne.

Quanto alla seconda domanda: “… un Vulcano Lunare è una Luna arietina? Giacché il simbolo unisce, se acquisisse la concezione del simbolo la moderna scienza diverrebbe iniziatica?”. QUI.

Rispondo: … Uhm, doppio uhm; posto, con tutto il rispetto, che non conosco il suo livello di studio e/o di pratica alchemica, al suo quesito si potrebbe rispondere positivamente o negativamente; a patto cioè di intendersi. Il Vulcano Lunatico indica generalmente il Fuoco Segreto, eterno dilemma di chi inizia il cammino operativo. Le dico subito che qualsiasi elucubrazione della mente la porterà fuori strada. La faccenda è in realtà semplice; proprio perché la chiamo ‘faccenda’, intendo dire che è una ‘facienda’, vale a dire qualcosa ‘da fare’. Vi è insomma una ‘pre-parazione’. Per come ho camminato, mi permetto di riportarle il passo che precede quel riferimento al Vulcano Lunatico, tratto da Jean d’Espagnet, L’Ouvrge Secret de la Philosophie d’Hermez – 1651, al Canone 69, p. 310:

Or cette regeneration du monde fe fait par le moyen d’vn esprit de feu, qui defcend en forme d’vne eau, qui oste toute la tache, & le deffaut originel de la matiere; car l’eau des Philofophes est le feu mefme, laquelle est efmeuë, & efleuée par la chaleur du bain: mais prenez garde que la feparation des eaux fe faffe en poids, & mefure; …”.

Spero che lei parli un po’ di Francese, così da apprezzare – divertendosi – le indicazioni de Le Président, grandissimo Alchimista. In ogni caso, non è difficile: … e… sì, nel corso del tempo, si dovrà cimentare con il Francese e soprattutto il Latino.

Il passo si riferisce ad un procedimento operativo piuttosto avanzato, e si sta parlando, come vede, dello Spirito Universale, uno spirito di fuoco che discende in forma d’acqua … si noterà che d’Espagnet implica – qui senza dirlo – che quello Spirito sia stato canonicamente attirato … quando? … a lei rispondere; se avrà ben studiato le due opere di d’Espagnet ne trarrà senza dubbio preziose indicazioni; le quali, tuttavia, debbono poi essere messe alla prova manuale, in Laboratorio. Più e più volte. Come consiglio spassionato, personalmente diffiderei non poco del passo di Grillot de Givry, che era un occultista, e non un alchimista. Però faccia lei, no? …

Sulla Luna arietina, … sorrido. Mi permetta di non risponderle, per il momento.

Quanto alla questione del Simbolo, che secondo lei ‘unisce’ … personalmente ho seri dubbi. L’Alchimia, come altre Arti, ha sempre fatto larghissimo uso dei Simboli: ma ciò ha fatto sì che chiunque si sentisse in diritto di affermare tutto ed il contrario di tutto; si è insomma verificata una Separazione, e non certo un’unione, né tantomeno una COMPRENSIONE, che scaturisce solo dal sottoporre una Teoria alla Sperimentazione. Il Simbolo vale poco se non si è prima studiato in modo assiduo, audace e libero su testi ottimi (pochi, sa?) e poi – almeno – iniziato a confrontarsi con la manualità e l’operatività. Alchimia si ‘fa’ con le mani, non con le elucubrazioni e le parole di quelli che fanno i maestri ma non si sono mai abbassati, come il contadino, sulla terra. Naturalmente, non mi riferisco a lei …. Ma ai tanti, tantissimi, troppi, che nei secoli si sono proclamati portatori di verità.

Se poi, come lei chiosa, la ‘scienza’ possa mai diventare ‘iniziatica’ … beh, le dirò: … spero proprio di no! La Scienza è già sin troppo ricca di troppi Dogmi, che la ammantano di inesplicabili meraviglie (in genere false) e di assoluti non-sense. Occorre Conoscenza, ma quella beninteso oltre il confine, al di là delle Colonne d’Ercole … e se poi ci mettessimo pure delle’ iniziazioni’, … oh, mamma mia … sarebbe la fine di ogni speranza! Ovviamente, questa è solo la mia opinione. Di più non posso e non intendo dire.

Grazie per la pazienza nel leggere …

A bientôt, Monsieur …

Ciao Stregatto! … Ça va?

Posted in Alchemy, Alchimia, Alchimie, Various Stuff with tags , , , , on Friday, July 14, 2023 by Captain NEMO

Caro Paolo,

tutto corre e tutto scorre.

Credo tu sappia che qui tutto va assumendo le frequenze di una diffusa e scoordinata follia: altro che battimenti d’onda. Un coacervo di disarmonia. Sarebbe un fenomeno molto divertente da osservare e studiare: come un esperimento, per valutare meglio il come si possa generare l’analogo di un Black-Hole, ma nel sociale, nell’umano, nell’intimo, nelle vite di microbi incapaci di essere consapevoli che c’è proprio dell’altro al di là del proprio spazio vitale; quell’ immensa distanza per il microbo è pari ad un nostro centimetro. Diversità di consapevolezza, e di prospettiva.

Contemplare: impresa dalle sfumature preziose, e facile, ma lontana dalla mente dei malati terminali, di chi si proclama assennato, pur non avendo più alcun senno. E va beh … Prima o poi Madre Natura penserà a come riequilibrare questa nostra prigione, dorata.

Manchi molto, come sempre; quel tuo baffo che adorna il tuo sorriso sornione, quello sguardo sereno ed elegante. Ti so ben occupato, e penso molto spesso a te, ed agli amici – pochissimi – del Joe’s Bar: scruto il Cielo della notte, alla ricerca di un piccolo refolo che dia sollievo e speranza in questa calura, letteralmente infernale. A sentir gli esperti, Terra non ha un problema di clima critico; no, i pochi che ne parlano, lo fanno in punta di un discorso politico, e poi sociale, e poi eco-green, e poi quant’altro; con parole del tutto inadatte per apprezzare quel che sta succedendo: tutto corre e tutto scorre, a velocità elevatissime; tutto è fuori scala, ed aumenterà … Nessuno ha compreso che se non hai compreso come Madre Natura procede, come crea e come annulla, non ha alcun senso protestare, e/o lamentarsi. In Ictu Oculi … e poi si ricomincia. Ma la prigione resta prigione.

I crogioli hanno rivelato il cuore della trasformazione in corso, con risultati eclatanti per chi è stato toccato dal Fato. Pochi sanno guardare dentro: dentro il cuore della massa, e dento il proprio Cuore.

Il gioco procede: mi piacerebbe avvertire, almeno i più cari. Ma so che è del tutto inutile. Lascio che i sorrisi giungano agli occhi di chi incontro: anche al bar, sorseggiando una tazzina di caffè; non c’è davvero molto altro da fare.

Alchimia, e la sua impagabile bellezza, si è immersa ben sotto le onde: non è andata via, siamo noi che stiamo andando via, persi come siamo dietro alle nostre pretese di arroganza ed egoismo; non abbiamo uguali, noi umani.

Alchimia non mancherà mai. Siamo sempre noi, tutti, che manchiamo all’appello, alle promesse di vera Fratellanza, quella unica, antica. Non quelle dei tanti club e delle tante declinazioni, a seconda di come ci incliniamo: … lei è un saggio che viene da Saltimbocca-alla-Romana, oppure il Gran Mogol delle anziane Marmotte di Paperopoli, 2, la Vendetta-Risorta? — Ah, Mon ami … !

Ripenso spesso al nostro incontro, chez toi; quanta vera semplicità, senza alcun orpello, senza alcuna maschera e cappello. Mi hai dato tanto, e cerco di dare a mia volta: dove e come posso.

Sono però stanco, molto stanco. Non ho desiderio di altro, se non di pace, e passo lento, e occhi pieni di stelle.

Non vedo l’ora di riabbracciarti, ridendo, come due bambini innamorati della bimbitudine; e di stringere forte anche il mio adorato Fra’ Cercone: che si starà facendo un pacco di risate trasteverine, mentre mi guarda sciogliermi sotto il caldo insopportabile …

Per il momento, ti mando il mio abbraccio più forte; con le stesse mani strette dalle tue, quando quella notte mi dicesti: ‘Vai, accendi il tuo fuoco!”, con gli occhi pieni della tua gioia, e di tanta allegria.

Captain NEMO

Androgino … il PadreMadre!

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Sunday, May 28, 2023 by Captain NEMO

What Cosmic jest or Anarch blunder

The human integral clove asunder

And shied the fractions through life’s gate?

… che in Italiano suona come

Quale scherzo cosmico o errore dell’Anarca

Ha spaccato l’umano integrale

E gettato le frazioni attraverso la porta della vita?

[Hermann Melville, After the Pleasure Party]

Stuzzicato da alcune riflessioni proposte nei Commenti al mio ultimo Post, ho pescato tra i miei scaffali un libro-perla di Elémire Zolla, che mi è sempre parso bellissimo: L’Androgino- L’umana nostalgia dell’Interezza, edito da Red Edizioni nel 1989 (ma originalmente pubblicato nel 1980, in Inglese).

Prima di riportare qualche riflessione dell’Alchimista del Verbo, segnalo la scelta non casualmente algebrica/matematica della elegante quanto rabbiosa terzina di Melville: l’Integrale (operazione simboleggiata da ) esprime la Sommatoria (il simbolo è Ʃ; la quale non è proprio il valore espresso da una somma, quanto l’unione di valori risultanti da punti/posizioni secondo un’analisi punto-per-punto di un percorso lungo una Funzione) dei valori assunti da una Funzione in un certo intervallo, secondo un indice arbitrario ma stabilito, del quale occorre fornire il valore assunto dalla Funzione al punto d’inizio e al punto della fine (Integrale Definito); senza voler annoiare, l’Integrale descrive insomma il valore di un’Area, di una superficie delimitata “dal rettangoloide compreso tra l’asse delle ascisse, le parallele all’asse delle ordinate condotte per gli estremi dell’intervallo considerato, e il diagramma della Funzione da integrare” (Treccani). L’Operazione di Integrazione, insomma, è l’operazione inversa al Calcolo Differenziale, fissato genialmente da Newton nei suoi Principia. Le Frazioni, invece, le conoscono tutti: esprimono il rapporto tra due valori, vale a dire in quante parti può essere diviso/fratto il valore espresso dal numeratore (quello che sta in alto) dal valore espresso dal denominatore (quello che sta in basso) [Nota: a causa di un orrendo ‘errore di stompa‘, come Clouseau avevo invertito i nomi dei due termini; chiedo scusa per la mia baggianata di portata epocale! … adesso la frazione è correttamente definita!].

In quest’ottica, dunque, ‘spaccando’ un integrale – à la Melville – si otterrebbero dei pezzetti che sono in realtà aree, micro superfici, i cui valori potrebbero certo essere rappresentati da Frazioni … trovare le quali, però, richiederebbe un po’ di tempo, e sforzo. Ciò ci porterebbe a dire che la Vita di un Essere sarebbe soltanto una manciata di rapporti tra valori a noi sconosciuti (le ‘fractions’, gettati alla rinfusa alla Ianua, alla Porta della Creazione attraverso cui quell’Essere transita, per poi iniziare a ruzzolare come un ravanello inebetito lungo il corso dello Spazio … MA, quei pezzetti erano – PRIMA – … un Integrale, umano. Concludo questa folle visione, avvisando che – se proprio si volesse dar retta a Melville, visto che immaginare che quell’umano potesse essere una superfice ci porterebbe ad assomigliare ad  un cartone animato piatto, a mo’ di un geroglifico egiziano l’eventuale Integrale Melvilliano forse meglio corrisponderebbe ad un Integrale lungo uno Spazio a più dimensioni, in modo che – in quello Spazio del PRIMA della Creazione di Materia – quell’Hylé fosse almeno popolata da salvifici Volumi, più che da piatte Superfici. Ohibò !

Ciò detto, e ammirando in ogni caso la bella sintesi di Melville, rabbiosa e malinconica, torno ad res:

L’archetipo dell’androgino si aggira per le terre. Gli uomini, toccati dalla sua ombra, si addolciscono e allentano la presa sui loro rudi e contratti ruoli e convincimenti maschili. Le donne si risvegliano a nuovi spazi, nitidi e glaciali, a piani di precisa coordinazione in cui cominciano a tracciare con calma il proprio cammino.

In una prospettiva metafisica, l’incontro con l’androgino è sempre stato inevitabile. Quando la mente s’innalza al di sopra dei nomi e delle forme, non può che toccare il punto in cui anche le divisioni sessuali vengono superate. Sulla via verso la trascendenza totale, i mistici incontrano l’esperienza visionaria dell’amore e del matrimonio divino, in cui essi divengono le estatiche spose della divinità. Nella maggior parte dei sistemi religiosi l’androgino è simbolo dell’identità suprema e rappresenta il livello dell’essere non-manifesto, la sorgente di ogni manifestazione, che corrisponde numericamente allo zero, il più dinamico ed enigmatico dei numeri, somma dei due aspetti dell’Unità: +1-1 = 0. Lo zero simboleggia l’androgino in quanto origine della numerazione, della divisibilità e della moltiplicabilità.”.

[Salomon Trismosin, Splendor Solis – XVI secolo]

L’Androgino, o Rebis alchemico, è alato come Sofia ed è in tal senso una personificazione della saggezza cosmica.

Un’ala è rossa e l’altra è bianca, a indicare gli spiriti dell’oro e dell’argento, del sole e della luna, del sangue o del latte del corpo vivente della natura. Indossa un abito nero bordato di giallo, che suggerisce il nero della materia prima androgina in cui tuttavia sono presenti in potenza le correnti della vita metallica aurea. Il verde del paesaggio è il prodotto della mescolanza dei colori di Rebis. Egli/ella regge con la mano destra un cristallo, in cui i suoi colori appaiono in successione convergente al centro, dove va collocato l’uovo o seme minerale che l’Androgino porta nella mano sinistra, lunare. Secondo la teoria alchemica, lo spirito lunare agirà nell’uovo, provocando la putrefazione della calce spenta della terra, fino ad attivare in essa il nucleo solare latente che risorgerà allora in un corpo cristallino vivo e capace di crescita, così come l’acredine del fuoco provoca la putrefazione delle morte ceneri e della sabbia in un fluido vivente che diviene infine vetro.”.

[Rosarium Philosophorum – ca. 1550]

Materia prima androgina sopra un’urna, le cui quattro sezioni rappresentano i quattro elementi. Le ali ne denotano l’incipiente volatilità, dovuta alla reazione che coinvolge l’energia solare, centripeta, e l’energia lunare, centrifuga (il re e la regina), in un processo spirale di fermentazione. Riassumendo il simbolismo del disegno: i principi solare e lunare , compenetrandosi sopra la croce degli elementi 🞢, formano il segno di Mercurio con le ali della volatilità rivolte verso l’alto.”.

[Michael Maier, Symbola Aureæ Mensæ – 1617]

Ermete Trismegisto, il leggendario fondatore dell’Alchimia, addita il mistero primordiale della natura, il principio del fuoco che avvolge nella sua quadruplice fiamma gli opposti essenziali, sole e luna, maschio e femmina, zolfo e mercurio, che danno luogo all’unità androgina in ogni atto di concezione e nascita in natura.

[J.D. Mylius, Philosophia Reformata – 1617]

Essi circondano la terra concentrando su di essa le influenze astrali, e nel centro della terra si combinano in un triangolo, o piuttosto, tridimensionalmente, in una piramide, che è la forma del cristallo di sale (sia dei Sali marini, sia degli allumi minerali, femminili). Il lato destro del triangolo corrisponde al principio sulfureo maschile, il lato sinistro al principio mercuriale femminile e la base del triangolo al principio salino. La figura contenuta all’interno allude alla quadratura del cerchio, simbolo dell’androginia. La progressione va perciò dal triangolo al quadrato e infine al cerchio. La natura opera allo stesso modo in tutti e tre i regni, quello aereo, quello vegetale e animale, e quello minerale, perché in ciascuno di essi l’armonia deriva dallo stesso accoppiamento di opposti, dalla stessa congiunzione dei princìpi solare e lunare.

[Stolcius, Viridarium Chymicum – 1624]

La congiunzione può essere raffigurata da un serpente (la natura) con la testa di leone (che divora il fuoco e la putrefazione) e la coda a forma di testa d’aquila (volatilità), nell’atto di estrarre da se stesso l’invisibile e impalpabile rugiada interna che dà compattezza agli elementi più sottili del corpo. In essa è racchiuso il potere del sole e della luna, che il serpente stringe tra le sue spire. Il processo è triplice. Esso inizia con una fase androgina embrionale che, nel caso dei metalli, corrisponde all’impregnazione di un terreno nitroso e salino 🜔 da parte di un vapore corrosivo e acre (🜍 e ). I due princìpi vengono raccolti insieme dalla luce solare che penetra nel terreno sotto forma di rugiada. La stessa rugiada che nutre la vita delle piante attiva questo processo di volatilità sotterranea. Il prodotto è detto ‘materia prima’, o ‘Rebis’, o ‘Androgino di Fuoco’ (poiché entrambi i principi sono acri e brucianti), o ‘Adamo’ (poiché entrambi sono il principio primo della generazione nel mondo minerale).”.

[Anon, Codex Germanicus Monacensis 398, XV secolo]

La radice di questo processo viene spesso indicata come il Drago Velenoso. Nella figura è una nuvola di teste caprine, dalle cui barbe si innalzano un ragazzo e una ragazza che si avvolgono a spirale intorno alle gambe dell’Androgino. … L’Androgino è una situazione globale, che ‘accade’ quando il principio della luce, del sole e della luna, viene catturato da un terreno aspro e velenoso e comincia a fermentare. Nella seconda fase entrano in opera i vapori di salnitro, che corrodono e affinano l’Androgino. L’Androgino ora gonfia la terra e soffia via i vapori che l’anno penetrata, purificandoli nel corso del processo e rendendoli fluidi. Questa fase viene detta ‘bagno dell’Androgino’ o della copppia regale. Essa è seguita dalla terza ed ultima fase, in cui dal marasma emerge una pasta vitrea e viscosa, detta ‘Pietra dei Filosofi’, o ‘la Perla’, o ‘l’Occhio del Pesce’, o il ‘Primo Magnete’, perché attrae dal terreno circostante tutto ciò di cui ha bisogno.“.

[ehm … viste le quattro-corone-quattro + le due-corone-due?]

Beh … c’è abbastanza pane per tutti i denti, non vi pare? … Mi raccomando: … siate bravi, … e fate i bravi, eh?

Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie VIII

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Wednesday, May 3, 2023 by Captain NEMO

Rientriamo nella Chapelle, che sembra un tempo aver avuto un ruolo in qualche modo anche liturgico, come vediamo da questa immagine d’epoca:

Se la presenza di un Altare e di una sorta di incavo laterale decorato (la famosissima Crédence) ci parlano di un uso religioso, difficile è riconoscerlo come tale quando esaminiamo alcuni Caissons, decisamente un po’ troppo espliciti nelle loro rappresentazioni scultoree; su questo curioso soffitto, oltre a quelli che abbiamo già esaminato sin qui, il terzetto di cui ci occuperemo oggi è decisamente ludico:

Il percorso che si dipana lungo questa sorta di scacchiera vede qui altri due Angelots, giocanti e giocosi, che evidentemente alludono al Cassone nel loro mezzo.

Cassone 20 – Lo Cheval de Bois.

Fulcanelli scrive: “Enfin, l’image suivante représente le ludus puerorum commenté dans la Toison d’or de Trismosin et figuré d’une manière identique: un enfant fait caracoler son cheval de bois, le fouet haut et la mine réjouie.”.

La traduzione di Paolo è, more solito, perfetta. “Infine, l’Immagine seguente rappresenta il ludus puerorum commentato nel Toson d’Oro di Trismosin e raffigurato in modo identico: un bambino fa caracollare il suo cavallo di legno, la frusta alta e l’espressione gioiosa.”.

[Fulcanelli, Il Mistero delle Cattedrali – 2005, p. 290]

L’Angioletto è un maschietto, nudo ma coiffé, ed impugna la sua frusta mentre cavalca il suo amato cavalluccio. Si tratta evidentemente di un bel gioco, no? Eppure, se vogliamo parlare d’Alchimia, v’è dell’altro.

Per prima cosa leggiamo il ‘commento’ di Salomon Trismosin, come indicato da Fulcanelli, nell’Edizione del 1612, all’articolo terzo:

Il terzo grado dei Naturalisti è la Sublimazione, mediante la quale la terra massiva& grossolana si converte nel suo contrario umido, & si può agevolmente distillare dopo che essa si sia mutata in questa umidità: perché non appena l’acqua si è ridotta & organizzata come mescolanza per influssione nella sua propria terra, essa non trattiene più in alcun modo la qualità dell’aria, elevandosi poco a poco & gonfia la terra trattenuta sino ad allora in fondo a causa della sua siccità beata & smisurata, come un corpo compatto & ben pressato; la quale nondimeno vi riprende i propri spiriti & si estende più in largo a causa dell’influenza di questo umore che si assorbe all’interno, & si mantiene mediante la sua infusione all’interno del corpo solido sotto forma di una nube porosa & simile a quest’acqua che galleggia nell’uovo, vale a dire l’anima della quinta sostanza che noi chiamiamo a buon merito, tinctus, fermentum, anima, oleum, per essere la materia più necessaria & la più vicina alla Pietra dei Saggi; tanto più che da questa sublimazione provengono delle ceneri, le quali propriamente (ma soprattutto per mezzo dell’assistenza di Dio, senza la cui bontà nulla riuscirà) si attribuiscono dei limiti & misure di fuoco, il quale è chiuso & racchiuso come da bastioni naturali. Ripley ne parla così & nello stesso nostro senso: fa, dice, un fuoco nel tuo vetro, vale a dire nella terra che lo tiene racchiuso. Questo breve metodo sul quale ti abbiamo liberamente istruito, mi sembra la via più corta & la vera Sublimazione Filosofica, per arrivare alla perfezione di questo pesante lavoro, giustamente paragonato per la sua purezza & candore ammirevole, al mestiere ordinario delle donne, vale a dire al lavatoio, che ha questa proprietà di rendere infinitamente bianco ciò che in effetti in precedenza appariva sporco & pieno di lordure, come la seguente figura ti farà conoscere perfettamente. Ma ancora prima io voglio mostrare che non sono il solo che offre i medesimi aspetti alla nostra Opera che il mestiere delle donne, non essendoci nulla di così comune nei migliori Autori che questa giusta similitudine. Il Ludus Puerorum lo chiama ‘fatto di femmine & gioco di bambini’, dato che i bimbi si sporcano & si rotolano nella lordura dei propri escrementi, rappresentando questa nerezza tratta dalle proprie mistioni naturali del nostro corpo minerale, senza altra operazione d’artificio che il suo fuoco caldo & umido, digerente & vaporoso; la qual nerezza & putrefazione viene pulita mediante la bianchezza che in seguito prenderà il suo posto facendosi una casa pulita & purgando di ogni lordura questa prima cuccia imperfetta. Così come la donna si serve di una liscivia & di un’acqua chiara per dare al suo bimbo la pulizia richiesta alla sua intera conservazione.

[mia personale e rapidissima traduzione]

Ohibò! … alla faccia della ‘brevità’! … Sia come sia la faccenda ludica viene qui descritta con un interessante dettaglio, credo. L’immagine che precede questo commento è questa:

… e quella a cui Trismosin si riferisce è ben più famosa:

Prima di continuare però, a costo di annoiare, credo utile riportare il monito del Ludus Puerorum, cioè il trattatello scritto nel Latino del 1523, facile e istruttivo:

Debet autem triplex ludus puerorum præcedere opus mulierum. Pueri enim ludunt in tribus rebus. Primo cum muris frequenter vetustissimis. Secundo cum urina. Tertio cum carbonibus. Primus ludus materiam lapidis ministrat. Secundus ludus animam augmentat, Tertius ludus corpus ad vitam præparat. Ex flore sanguinis fit Sal petra, cum primo ludo puerorum. Quo facto restat ipsum animare, & frequenter cum suo compari in aquam solvere, cum duobus alijs puerorum ludis, qui necessarij sunt, usque ad tertium calorem nostri Elixiris in opere mulierum, quod opus earum est coquere; qui ergo potest capere capiat.

[Vide l’Incipit faustè, dal Tractatus Opus Mulierum, et Ludus Puerorum dictus]

Cassone 21 – La Grenade Ignée.

Fulcanelli commenta questo Cassone così: “… la calcination philosophique, symbolisée par une grenade soumise à l’action du feu dans un vase d’orfèvrerie; au-dessus du corps calciné, on distingue le chiffre 3 suivi de la lettre R, qui indiquent à l’artiste la nécessité des trois réitérations du même procédé, sur laquelle nous avons déjà plusieurs fois insisté.”.

E Paolo: “… la calcinazione filosofica, simboleggiata da una melagrana sottoposta all’azione del fuoco in un vaso d’oreficeria; sopra al corpo calcinato si distingue la cifra 3 seguita dalla lettera R, che indica all’artista la necessità di tre reiterazioni dello stesso procedimento su cui abbiamo già insistito parecchie volte.”.

[ibidem]

Tutti sanno che la tradizione ermetica affida alla bellissima Melagrana il simbolo della fertilità; non mi dilungherò su questo, ma vi riporto il Mito arcaico ma terribile ad essa legato, raccontato da Alfredo Cattabiani:

… la Madre degli dèi, detta Cibele o Agdistis e descritta come un androgino, fu evirata per ordine della corte olimpica con uno stratagemma. C’era una sorgente alla quale soleva dissetarsi. Dioniso, che aveva il compito di separare la virilità da lei, ne tramutò l’acqua in vino. Agdistis-Cibele bevve l’insolita bevanda cadendo in un sonno invincibile; e il dio che stava in agguato, legò con una fune il suo membro maschile ad un albero.

Quando l’androgino si fu destato dall’ebrezza, balzò in piedi con uno slancio poderoso che permise alla fune di evirarlo mentre un fiotto di sangue inondava la terra: sangue magicamente fecondo se dal terreno sorse un melograno con un frutto. Il quale attirò un giorno l’attenzione della figlia di Sangarios, dio fluviale: Nana, dal nome identico a quello babilonese della Grande Dea microasiatica. La fanciulla colse il frutto appoggiandolo al grembo: ma la melagrana sparì magicamente, fecondando l’ignara principessa. Dal miracoloso concepimento nacque Attis di cui Agdistis-Cibele si innamorò perdutamente non abbandonandolo nemmeno per un attimo; e quando il figlio divino, divenuto un giovanetto, fu sul punto di sposarsi e di abbandonarla, lo fece impazzire spingendolo ad evirarsi il giorno stesso delle nozze. Attis morì dissanguato, e dal sangue sparso fiorirono viole mammole.”.

L’androgino primordiale Agdistis, in un altro mito, sarebbe nato dal seme di Zeus sparso su Terra in seguito ad un focoso accoppiamento con Cibele (sempre lei, si belle); il seme divino piovve dal cielo e cadde su una roccia, per cui Agdistis è ‘figlia/o della roccia’. Si noti che Cibele è sia madre (femmina) che figlio/a (androgino).

[Cattabiani, Calendario, Rusconi – 1988, p. 160]

Cassone 22 – L’Angelot avec le tourniquet

Fulcanelli scrive: ”L’ange «qui fait tourner le monde» à la façon d’une toupie, sujet repris et développé dans un petit livre intitulé: Typus Mundi, œuvre de quelques Pères Jésuites; …”.

E Paolo: “l’angelo che «fa girare il mondo» come una trottola, soggetto ripreso e sviluppato da un piccolo libro intitolato Typus Mundi, opera di alcuni Padri Gesuiti.”.

[ibidem]

L’angioletto stavolta è vestito: sarà forse un’angioletta? … chissà! Comunque, il ginocchio poggiato a terra, sta preparandosi al suo Jouet, molto popolare a quel tempo: il tourniquet è una sorta di toupie, una trottola, ma primitiva; dopo aver svuotato la noce centrale, ed aver leggermente separato i due gusci, ha fissato la sua cordicella ad uno dei vertici di una barretta nascosta all’interno, perpendicolare all’impugnatura; poi, avvolge la cordicella, e – lanciato un sassolino in una casella di una griglia disegnata per terra (una sorta di Luna, o Stella, il nostro vecchio e amato gioco da bimbi) – salta nella casella con una gamba sola e mentre compie il salto tira velocemente, e con forza, la cordicella, facendo girare la croce di legno solidale con l’asse della sua toupie. Il punto è che la toupie non deve mai fermarsi; per cui, una volta che la cordicella è stata srotolata, la forza applicata al primo tiro fa girare la toupie in senso contrario, riavvolgendo la cordicella (en avant & en arriéré); ma prima che la croce smetta di girare, l’Angioletto deve riprendere il sassolino, gettarlo in un’altra casella più avanti (verso la Casa della Luna), saltare – sempre con una gamba sola – nella nuova casella e ripetere l’operazione. Se la croce si ferma, ha perso, ed è costretto a tornare alla casella-base da cui è partito … e rifare il tutto! Ma, naturalmente, tocca adesso ad un altro compagno di giochi …

Questo trittico sembra dunque centrato sul ‘gioco da bambini’, il cui centro è qui rappresentato da questa grenade ignée, fissata da quel 3R; la raffigurazione di questa grenade si osserva anche all’esterno dell’Hôtel Lallemant: all’angolo della Corte Superiore, l’ultima finestra in alto della Tourelle mostra … 3 grenades, di cui le due laterali in fiamme, e quella centrale – posta su un supporto à torchon – la rivela, come una massa vera e propria.

Allora, si potrebbe pensare che questa grenade non sia soltanto una bella decorazione: … ma piuttosto il risultato di quell’operazione presentata dall’enigmatico Caisson 21 (qui), dove avevamo incontrato quella sorta di ‘E’ curiosamente adagiata in orizzontale tra le fiamme. Quindi, se uno si rileggesse, con tutta calma e serenità, l’altrettanto curioso Incipit del Ludus Puerorum … forse quel ‘3’ indica non soltanto – ma giustamente! – le trois réitérations du même procédé, … ma anche una ‘Eallo specchio, che appare invertita. Ho scritto ‘si potrebbe pensare’, e la mia è soltanto una proposta di riflessione (toh!). In accordo con i migliori autori, dirò che il procedimento semplice ed unico, è sempre il medesimo, nella cui reiterazione l’Artista deve però essere consapevole che la Materia nel crogiolo, nel suo intimo, … muta, pur essendo la stessa. Per dirla tutta, se l’operazione avrà successo, si disporrà della melagrana, che come abbiamo letto con Cattabiani, è il frutto dell’albero che spunta (preferisco ‘sorge’) dalla terra fecondata, da cui nascerà il bellissimo Attis … non fatevi ingannare, però; il Sal Petra di cui parla il Ludus Puerorum, non è il comune salnitro, bensì … proprio il Sale Pietra, o Sale della Pietra stessa. Senza sale, lo sappiamo tutti, … come potremmo mai ‘salare‘? … o si dice ‘salire’? Mah … non sarà la stessa cosa?

À bientôt, mes Dames et mes Sires !

Zì Baldone alchemico, ovvero lo Zabaglione dello Zibellino

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Monday, April 17, 2023 by Captain NEMO

Primavera prepara quel che c’è da preparare ogni anno; che piova o tiri vento, scende l’Esprit che è un portento! … In quest’ottica di rilassato tempo d’attesa, leggo e rileggo quel che mi piace.

Ecco qualche scampolo, qualche spigolatura, di alcuni passaggi di pazzi-saggi che hanno ritenuto di lasciar tracce del loro riflettere e del loro maneggiar, com’è d’uopo e d‘uso in Alchimia. Ho tradotto velocemente, cercando di mantenere l’aderenza con il modo di scrivere dell’epoca, e – siccome mi paiono tutti belli ed interessanti – … mi asterrò dal commentarli, lasciando a chi vorrà leggerli l’onere e l’onore di gettare alle ortiche qualsiasi logica e razionalità; solo in absentia totale della ratio si potrà forse intravedere la luce di queste perline sfuse, gettate alla rinfusa. Quell’eventuale lucore che potrebbe apparire dopo un’intuizione da bimbi, dovrà poi essere passato all’onere della pratica, al forno.

Si tratta di un andare avanti & indietro, tra buoni libri e pratica di Laboratorio, un moto ripetuto e portato avanti ad ogni piè sospinto, con tenacia e gentilezza ed allegria: Madre Natura è sempre munifica verso che ha scelto di seguirla. Datevi il tempo per entrare nella mentalità di questi pazzi-saggi, che è enormemente lontana dalle nostre: tutto è semplice in Natura, ed ogni Cercatore – come si vedrà – deve per forza usare una sorta di auto-traduzione di ciò che ‘sente’ nel Cuore quando si contempla la bellezza inenarrabile dell’Alchimia. Ma tutti stanno parlando del medesimo ed unico modus operandi; ognuno farà il suo buon Zabaglione, e all’assaggio mostreranno spunti e punte di leggere sfumature; ma il Primum Ens dello Zabaglione è sempre e soltanto Uno. Come è Naturale che sia, no?

Ah, dimenticavo: … perché Zibellino? Risposta facile: è l’Hermine, una specie di martora (Martes Zibellina) dal pelo estremamente soffice; in Araldica l’Armellino è uno smalto simboleggiato da una curiosa puntinatura, di bianco moscata di nero. Voilà!

La Prassi (o Pratica, scegliete voi)

Prendi la Vergine alata ottimamente lavata & mondata, impregnata con il seme spirituale del primo maschio, gravida con gloria rifluente di intemerata verginità, le tinte guance emetteranno con colore purpureo: unisci quella con il secondo maschio senza sospetto d’adulterio, dal cui seme corporeo di nuovo concepirà, e partorirà infine una prole del sesso di entrambi da venerare, donde sorgerà una schiatta immortale di potentissimi Re.”

[Jean d’Espagnet – Arcanum Hermeticæ Philosophiæ Opus – Parisiis, 1623, Canone 58]

Prima Figura, Paragrafo primo, Spiegazione

Quando lo Spirito universale del mondo o della natura si è diffuso nel Fuoco centrale della la Terra e ha iniziato a lavorarvi, si trova legato ad una forma ed un aspetto umidi e liquidi mercuriali, ed espulso in avanti dall‘Archeo della terra come unaria impregnata, congelato da Saturno e, diventato in un certo qual modo il limo molto metallico che si chiama sperma dei metalli, gettato ai piedi dellartista il quale, avendolo riconosciuto come il più grande tesoro del mondo, lo porta con gioia a casa, l’introduce nella dimora di vetro, lo lega al Mercurio celeste, poi lo rinchiude. Sopra di lui spunta allora il corvo nero nella putrefazione, il quale, dopo la sua nuova nascita nel regno del Paradiso, si trasforma in Diana fissa e infine nel Figlio coronato del Sole.

[L’Enfant Hermaphrodite du Soleil et de la Lune – Mayence. 1752]

Nella sublimazione filosofica del Mercurio, ovvero prima preparazione, un Erculeo lavoro incombe su chi opera; infatti Giasone – senza Alcide – invano avrebbe tentato la spedizione Colchica;

Uno da una nota sommità mostrava la pelle dorata come Principio che tu possa prendere;

L’altro quanto fardello subisca.[1]

La soglia infatti viene custodita da bestie cornute, che respingono chi si avvicina avventatamente non senza danno; soltanto le armi di Diana & le colombe di Venere ammansiscono la loro ferocia, se il fato ti chiama.

[Jean d’Espagnet – Arcanum Hermeticæ Philosphiæ Opus – Parisiis, 1623, Canone 42]

Tuttavia fratello mio non devi pensare, né cadere nel sospetto, come hanno insegnato quei furfanti bugiardi, che il Mercurio e lo Zolfo siano la prima materia dei metalli: infatti nelle vene della terra, dove i metalli crescono, non si trovano né il Mercurio né lo Zolfo, perché li hanno semplicemente plasmati per [trarre in] inganno, come pure il fuoco elementare, detto Zolfo, e il liquore Mercurio. Allo stesso modo, hanno chiamato il fuoco elementare il nostro Sole e il liquore la nostra Luna, al solo scopo di ingannare la gente. E li hanno chiamati anche spirito e anima: difatti il fuoco elementare l’hanno chiamato anima, e il liquore elementare spirito, perché le cose elementari sono invisibili. Così tra lo spirito e l’anima non c’è differenza; infatti l’anima è fuoco invisibile e lo spirito umidità invisibile.

… tutte le cose sono state distribuite in tre nature; e sebbene queste tre nature dal punto di vista corporeo siano distinte in vegetale, animale e minerale, esse, pur sempre elementari, quindi occultamente, hanno avuto origine da una sola sostanza.

Tutte hanno una sola ed unica radice, dalla quale verdeggiano e crescono, che gli Antichi, per inganno, hanno chiamato prima materia o Hylé. Mentre non è altro che un fuoco elementare occulto, col proprio Liquore, che gli Antichi chiamarono umido radicale e non hanno parlato da inesperti: il Liquore infatti è la radice di ogni creatura.

[Via Veritatis Unicæ, in Musæum Hermeticum – Francofurti, 1671]

Quindi, quando le tue materie sono unite, che sono il nostro e il nostro , non pensare come molti Alchimisti vanamente immaginano, che il morire del sole seguirà immediatamente, certamente no, noi abbiamo aspettato per un lungo e noioso periodo, prima che fosse fatta la riconciliazione tra l’acqua e il fuoco; e questo gli invidiosi hanno misticamente compreso in un breve discorso, quando al primo inizio del loro lavoro hanno chiamato la loro Materia Rebis, ossia fatta di due sostanze, secondo il Poeta,

Rebis sono due cose unite, eppure è una sola,

Dissolta, affinché Sole o Luna siano soltanto Sperma.

Sappi dunque una indubbia verità, che sebbene il nostro divori il Sole , non lo fa come i Chimici Fantastici sognano, perché anche se il si unisce col nostro , dopo un anno li separerai l’uno dall’altro nella loro propria natura a meno che tu li cuocia insieme in un conveniente grado di fuoco, altrimenti non saranno alterati; chi affermerà il contrario non è un Filosofo.

[Philalethe – Secrets Reveal’d – London, 1669, Chap. 24]

“ ‘Ti ho detto di purificare con somma cura questo canestro bianco con la lisciva donata, che è estratta da essa e non questo straccio che va asportato e che è crudo, ma prima è necessario che tu lo bruci con il fuoco dei sapienti, & allora la cosa riuscirà felicemente’: a tal fine, mi diede delle braci coperte di seta bianca, con ulteriore spiegazione, cosicché da queste braci dovevo eccitare il fuoco Filosofico, interamente artificioso, & bruciare lo straccio da asportare; e allora subito il canestro bianco che dovevo trovare mi sarebbe [apparso].

[Adrian von Mynsicht (alias Madathanus) – Aureum Seculum Redivivum – Francofurti, 1677]

Abbiamo detto, e lo ripetiamo, che l’oggetto della dissoluzione filosofica è l’ottenimento dello zolfo che, nel Magistero, gioca il ruolo di formatore coagulando il mercurio chi gli è aggiunto, proprietà che trae dalla sua natura ardente, ignea e disseccante. «Ogni cosa secca beve avidamente il suo umido», dice un vecchio assioma alchemico. Ma questo zolfo, al momento della sua prima estrazione, non è mai spoglio del mercurio metallico col quale costituisce il nucleo centrale del metallo, chiamato essenza o seme. Da qui risulta che lo zolfo, conservando le qualità specifiche del corpo dissolto, non è in realtà che soltanto la parte più pura e più sottile di questo corpo stesso. Di conseguenza, abbiamo il diritto di considerare, con la pluralità dei maestri, che la dissoluzione filosofica realizza la purificazione assoluta dei metalli imperfetti. Ora, non vi è esempio, spagirico o chimico, di un’operazione suscettibile di dare un tale risultato. Tutte le purificazioni di metalli trattati con metodi moderni non servono che a sbarazzarli delle impurità superficiali meno tenaci. E queste, portate della miniera o conseguenti alla riduzione del minerale, sono generalmente poco importanti. Al contrario, il procedimento alchemico, dissociando e distruggendo la massa di materie eterogenee fissate sul nucleo, costituito da zolfo e di mercurio molto puri, rovina la maggior parte del corpo e la rende refrattaria a ogni riduzione ulteriore.

Ma ciò che distingue la soluzione filosofica da tutte le altre, e le assicura perlomeno una reale originalità, è che il dissolvente non si assimila al metallo basico che gli è offerto; ne allontana soltanto le molecole, per rottura di coesione, s’impadronisce delle parcelle di zolfo puro che possono trattenere e lasciano il residuo, formato dalla maggior parte del corpo, inerte, disgregato, sterile e completamente irriducibile. Non si saprebbe dunque ottenere con esso un sale metallico, come si fa per mezzo degli acidi chimici. Del resto, conosciuto dall’antichità, il dissolvente filosofico non è stato mai utilizzato che in alchimia, da manipolatori esperti nella pratica del giro di mano speciale che esige il suo uso. è lui che i saggi hanno in vista quando dicono che l’Opera si fa con una cosa unica. Contrariamente ai chimici e spagiristi, i quali dispongono di una raccolta di acidi diversi, gli alchimisti non possiedono che un solo agente, che ha ricevuto quantità di nomi diversi, di cui ultimo in data è quello di Alkaest.

[Fulcanelli, Les Demeures Philosophales – Paris, 1964, Tome II]


[1] Si tratta di una citazione dalla Chrisopœia di Augurellus, al Libro II: “Alter in auratam nota de vertice pellem / Principium velut ostendit, quod sumere possis; / Alter onus quantum subeas.

A Scottish Dancing for the Salmo Salar

Posted in Alchemy, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , , , , on Monday, April 3, 2023 by Captain NEMO

Molti anni fa, sulle rive dello Spey, ebbi la rarissima fortuna di incontrare uno Scozzese che mi insegnò l’arte nascosta del Single & Double Spey Casting; scoprii più tardi, sdraiati sulla riva ombrosa e sorseggiando un ottimo Single Malt Whisky accompagnato da Dark Chocolate e mele, che era stato un Seaman di Her Majesty; lo si vedeva dagli occhi, marini, profondi, intensi, silenziosi. Questo wild scottish Gentleman era pure stato il miglior FlyCaster instructor per Daiwa, ma – da bravo Scoto – finì per lasciare la comoda posizione per dedicarsi alla costruzione manuale delle sue mitiche FlyCasting Rod (Amorphous Whisker Fly, Spey casting special); ne ho ancora una, firmata. Così, per 50 Sterline ebbi il privilegio di esser seguito passo dopo passo da questo allegro e schivo personaggio, che mi mostrò come danzare nelle acque del fiume che tanto amava.

Qualche anno dopo, sullo stesso fiume, ma al solito beat, sbucò all’improvviso dai cespugli, mentre riflettevo sul perché – nonostante fossi diventato proprio bravo nella danza dello Spey Casting – non riuscivo a pescare molti salmoni; mentre la sera, al Pub, tutti raccontavano di ricchi bottini. L’amico mi guardò e mi chiese: “ma … dove lanci la tua mosca?” “Beh, nel fiume, nello stream … no? Dove diavolo dovrei lanciarla?”. Mi guardò di sottecchi, con un’aria di sommessa commiserazione. “Se tu fossi un salmone … dove ti metteresti … prima di risalire ancor più upstream?”; “Ma … non so … il fiume è grande e grosso, pieno d’acqua … seguirei la corrente, il mainstream … no?”. Stavolta scoppiò in una risata, con gli occhi che quasi gli lacrimavano. “Già … la corrente è fortissima sott’acqua, … e perché mai un salmone stanco della estenuante nuotata dal mare fino a qui dovrebbe recuperare le forze continuando a nuotare come un idiota (e mi lanciò un’occhiata, allusiva) contro il mainstream? … rifletti, young fellow … le cose non sono come pensi, sai?”, e girò le palme verso l’alto, stringendosi nelle spalle. “Il Salmone non è stupido: ora guarda il fiume, con calma, … vedi quegli eddies, piccoli, lenti, … lì, verso riva, sotto quei grossi massi… riesci a vederli? … no, non lì … lì, dove vedi piccoli riflessi, quelle piccole creste d’argento sulla superfice, quasi a riva, … dove l’acqua è scura, più tranquilla …lui sta in un buco, in una grossa cavità, dove l’acqua è profonda e scura, in attesa, … attento, senza farsi vedere …” Quando fu certo che il mio sguardo puntava nella direzione di quell’eddy, Seaman JL esclamò, a bassa voce: “Lì … mettigli la mosca proprio lì, leggermente upstream, ma solo e soltanto lì; falla atterrare senza splash, in silenzio, come una mosca, … non come un’esca!”; “Ma … saranno almeno trenta metri, è praticamente sull’altra riva … come …”; mi interruppe, bruscamente “Ascolta, … parla a bassa voce, non ti far vedere … lui vede il tuo riflesso e la tua ombra … tu danza lentamente, senza far rumore, … e metti la mosca laggiù; hai imparato bene la tecnica, no? … ora fallo, e basta, … OK?”, e si accese la sua sigaretta, sdraiato a pancia in giù sulla riva. Feci un gran respiro, cercai di calmare la mente recalcitrante, e lanciai… rimasi stupefatto di come la lenza volava nel vento esattamente dove stavo guardando … ffrrrrr … e un attimo prima che la mosca toccasse l’acqua argentea di quell’eddy …. Eccolo là, un magnifico salmone saltò ed afferrò la mosca, per rituffarsi sotto il masso. Seaman JL scoppiò a ridere, rotolandosi nell’erba, con grandi pacche delle mani sulle cosce “… visto, ragazzo? … questa è Arte, questa è la Gioia, … ora portalo a riva, piano piano … non tirare … non tirare mai; … play the fish, boy … just play the fish …. Poi ci beviamo uno shot, e ti racconterò altre storie … ti ho mai detto della lontra che mi guidò verso la tana del più grande salmone che abbia mai preso? …. Ahhahaha!”.

Mi ci vollero più di 40 minuti per riuscire a portare a riva il mio bel salmone … Seaman JL mi insegnò a liberarlo, il Catch & Release … e passammo le seguenti due ore a guardare il cielo e le nuvole grosse e bianche che scorrazzavano nel cielo azzurro, bevendo, ridendo e fumando; due vecchi bambini, ma così felici; semplicemente felici. E poi via, a continuare al Pub del paese, tra birre, ballate, risate e quelle indimenticabili volute di fumo, basso, come le luci giallastre … la notte era gelida; ma che giornata. Che giornata.

Se per caso ci si chiedesse cosa diavolo c’entri questo racconto con Alchimia e Philosophia Naturalis … rispondere sarebbe lungo e tedioso. Però, mi piace garbatamente segnalare che:

Il Salmone di cui si parla viene chiamato Salmo Salar: a parte la curiosa doppia presenza di un suono che ci guida verso Casa, l’etimo pare provenire da ‘salire’, dal verbo ‘salio’: si tratta in realtà di un doppio etimo: ‘saltare’ (ma anche ‘zampillare’) e ‘salare’.

Il Salmone atlantico in Primavera attraversa grandi distanze in mare per poi ri-salire il fiume, grazie all’olfatto straordinario ed alla memoria di quando, giovane smolt, discese per la prima volta dall’acqua dolce verso l’acqua salata. La ri-salita verso la Casa e nell’acqua dolce (i.e., non salata), caratterizzata dai famosi salti (leaps), parte in Primavera (è lo Spring Run), e richiede moltissima forza: giunti nel luogo adatto, la femmina scava una buca di una ventina di centimetri nella ghiaia di fiume, in un letto al riparo della corrente, e depone le uova; poi il maschio le feconda, e – generalmente – poco dopo muore; la femmina, invece, ri-scende il fiume verso l’acqua salata, e lì in seguito morirà. Il Ciclo è grosso modo questo …

Inoltre, il termine ‘eddy’ è il nostro ‘mulinello’: il piccolo vortice svolge il suo lavoro di portare ossigeno aereo e qualche insetto che supera … l’orizzonte dell’evento … verso il fondo, con un moto spiraleggiante; ed è forse per questo che il salmone si riposa al di sotto dell’eddy, protetto dalla cavità, e dall’ombra.

Ecco, è tutto sempre molto semplice in Natura. Ma, all’epoca, io pensavo che la Natura fosse quella che vedevo con gli occhi; Seaman JL, invece, la conosceva molto meglio, la vedeva con altri occhi, con Sentimento. E tranquilla Consapevolezza. L’aveva compresa, era dentro Natura. Era un Filosofo? … chissà, non credo … ma di certo era molto più sensibile di me. E sono certo che lassù, nel Cielo, da autentico Scoto, se la ride ancora della grossa …

Primavera, 2023 …!

Posted in Alchemy, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , on Monday, March 20, 2023 by Captain NEMO

Rieccoci, dopo un altro giro lungo la Spirale dello Spazio del nostro Universo: oggi, alle 22:24, scocca il momento dell’uguaglianza tra Giorno e Notte! L’Equinozio, la consueta rinascita, provvida di Spirito Universale, pervaderà il nostro magnifico Pianeta … tra un po’, come gioiosi uccellini, timidi e nascosti, si riaccenderanno i fuochi dei Foux! …

Come forma d’augurio, sono felice di proporvi La Primavera di Antonio Vivaldi; e lo faccio invitandovi ad ascoltarne l’interpretazione magica di María Dueñas, rarissimo talento di virtù e leggiadria musicale.

In questa registrazione, del 2015, la bimba aveva tredici anni: mentre la ascoltate, osservatela con calma, socchiudendo gli occhi come fa lei, vestita di Rosso: … è fuggitiva, come il nostro buon Servus? … oppure è rossa, come il suo compagno nascosto? … o forse entrambe le cose? … è lei che suona il violino, … oppure è lei che suona il suo cuore nascosto, perduta nella poesia della musica del Prete Rosso?

Non sarà che ri-suona … sè stessa?

A tutti auguro una magnifica Primavera: tutti ne abbiamo bisogno, no?

A chi accenderà il suo picciol foco per invitare l’Esprit Universel ad installarsi nel cuore segreto della sua amata Materea, un augurio … con un tono di Vert!

Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie VII

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Pietra Filosofale with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Friday, February 10, 2023 by Captain NEMO

Ritorniamo a studiare il curioso soffitto della stanza che stiamo esaminando; la stanza viene chiamata generalmente ‘Chapelle’, anche se – strictu sensu – non sembra tale; ma – lato sensu – … lo è: il termine ‘cappella’ viene – pare – proprio dal Francese ‘chape’, che è la nostra ‘cappa’; si tratta del mantello, la cui epitome in terra di Francia è quella legata a San Martino, di Tours: prima di convertirsi al Cristianesimo, Martinus – un Germanico, nato in Pannonia – faceva parte di un’Ala degli Equites catafractarii Ambianenses, la cavalleria pesante generalmente dedicata alla protezione dell’Imperatore. Forse per questo – e per celebrarne le doti di Charitas – viene raffigurato (in una scultura che sovrasta il cancello d’entrata del castello di Höchst) vestito di elmo e corazza mentre taglia in due il proprio mantello (la ‘chape’) per donarlo ad un pover’uomo (il quale è, in questa raffigurazione, pure zoppo…):

Così nacque la venerazione da parte dei Re di Francia per la ‘chape’: si dice che la parte rimasta sulle spalle del buon Martinus venne conservata con ogni possibile onore e riverenza dai Re dei Franchi Merovingi, nell’Abbazia di Marmoutier a Tours, e veniva persino indossata in battaglia dal Re; da allora divenne una delle reliquie più preziose di Francia, quando Carlomagno la affidò ai monaci di Saint Denis. Il religioso che portava la ‘cappa Sancti Martini’ fuori dal reliquiario veniva chiamato ‘capellanum’, per cui tutti i sacerdoti al servizio degli eserciti vennero chiamati ‘cappellani’. Da qui, con le solite approssimazioni linguistiche, il luogo dove il ‘chapelain’ custodiva la ‘chape’ divenne … la ‘chapelle’, che poi indicò sempre un locus appartato di una chiesa e di particolare importanza nella liturgia, dove in genere veniva conservato qualcosa di prezioso.

Il famoso proverbio ‘Per un punto Martin perse la Cappa’, invece, sembra non aver nulla a che fare con San Martino, bensì con un abate del XVI secolo, il quale volendo abbellire la propria Abbazia, affidò ad un artigiano la realizzazione di un cartello di benvenuto che accogliesse i pellegrini: ”Porta patens esto. Nulli claudatur honesto.”; ma il pover’uomo sbagliò la posizione del ‘punto’, per cui la scritta diventò “Porta patens esto nulli. Claudatur honesto.”. Oltre l’imbarazzo inevitabile per lo sbaglio e il non aver controllato, la cosa arrivò fino al Pontefice, così che Martinus perse pure la ‘cappa’, … ma quella di Abate!

Ciò detto, torniamo ai Caissons, in questa settima serie.

Cassone 19 – Una Mérelle con lo scarabeo-scorpione.

Fulcanelli in proposito scrive: “… une large coquille, notre mérelle, montre une masse fixée sur elle et ligaturée au moyen de phylactères spiralés. Le fond du caisson qui porte cette image répète quinze fois le symbole graphique permettant l’identification exacte du contenu de la coquille”.

La traduzione di Paolo è, more solito, perfetta. “… una larga conchiglia, la nostra capasanta, mostra una massa fissata su di lei e legata da filatteri a spirale. Il fondo del cassettone che porta quest’immagine ripete quindici volte il simbolo grafico che permette l’esatta identificazione del contenuto della conchiglia.”.

[Fulcanelli, Il Mistero delle Cattedrali – 2005, p. 289]

C’è chi sostiene che non si tratti di una conchiglia, ma a me pare evidente che si tratti proprio della ‘capasanta’ … o ‘santa capa’ che dir si voglia. Ma la cerniera della valva pare leggermente rotta, in alto, come per mostrarne il contenuto, normalmente nascosto da due valve quando la mérelle è chiusa; voglio dire che sembra che l’immagine rappresenti qualcosa che in condizioni normali non si vede. La ‘massa’ è fissata da un unico filatterio in realtà, a formare una sorta di ‘otto’: potrebbe rappresentare – come sostiene il mio amico injubes – il percorso delineato dai punti massimi dell’ombra dello gnomone di una meridiana, proiettati a mezzogiorno: in un intero ciclo solare, formano per l’appunto questo andamento spiraleggiante (si tratta di un percorso fisicamente rilevabile osservando in cielo il moto di Sol per un anno, dalla stessa posizione, ad una stessa ora: si chiama Analemma, qui). Se così fosse, la ‘legatura’ cui accenna Fulcanelli è dovuta al ‘vincolo’, generalmente dovuto al Mercurio, che trattiene uno Zolfo, il qual Zolfo, … viene fissato: … Ohibò!

Ma cos’è questa massa, della quale Fulcanelli non dice una-parola-una? Questo insettone appare ben strano, e c’è chi dice che sembra figurare un miscuglio di due corpi, un corpo di due nature: la grossa testa sembra quella di uno scarabeo cornuto, ed il corpo (sei zampe e due chele) e la coda (munita di pungiglione, o di una doppia chele) paiono indicare uno scorpione. Lo scarabeus (Ogni scarrafone è bello a mamma soja), che spingeva davanti a sé una palla di sterco e terra, era venerato in Egitto come un simbolo di resurrezione/rigenerazione; si chiamava kheperer, ed era nella palla di sterco che il coleottero custodiva le sue uova; l’abitudine venne collegata al mito del dio Khepri, il Sole che sorge ciclicamente generato dalla terra, così come appare sull’orizzonte, all’alba. Quanto allo scorpione, a parte che la sua puntura velenosa può essere mortale, non mi vien in mente granché.

Poi le ‘E’: ne sono visibile dodici, e potrebbero essere quindici se ne immaginiamo altre tre dietro la mérelle. Fulcanelli sostiene che quella ’E’ è “… il simbolo grafico che permette l’esatta identificazione del contenuto della conchiglia”. … Ho la sensazione che il gioco nascosto sia davvero sottile. Ma forse è meglio, per non guastar la festa, andare avanti …

Cassone 20 – L’Angelot … et les coquilles.

Fulcanelli commenta questo Cassone così: “Dans une autre figure, nous retrouvons l’enfant, – qui nous paraît jouer le rôle de l’artiste, – les pieds posés dans la concavité de la fameuse mérelle, et jetant devant lui de minuscules coquilles issues, semble-t-il, de la grande.”.

E Paolo: “In un’altra figura ritroviamo il bambino – che ci sembra rivesta il ruolo dell’artista – con i piedi posti sulla concavità della famosa capasanta e che getta davanti a sé minuscole conchiglie, provenienti, così sembra, dalla grande”.

[ibidem]

Il paffutello angioletto è ben pettinato ed ha un’aria tutto sommato paziente e serena: pare occupato a far cadere le conchigliette;  ma che senso avrebbe visto che sembrano figlie della grande su cui è comodamente seduto? Non sarebbe più facile semplicemente estrarle manin-manina dalla mérelle-Mère? Forse – e dico forse – le sta pulendo, con quel cesto di vimini? Le getta in aria, come per separare qualche sporcizia?

Beh, ci vorrà u po’ di tempo; ecco perché ha quello sguardo assorto …

Come abbiamo visto nell’esame di qualche altro Cassone, troviamo spesso nel Livre des Heures di Étienne Lallemant l’ispirazione; ma stavolta … è proprio precisa:

Curiosa corrispondenza, no? … dimenticavo: il Putto raffigurato nelle Heures è privo d’ali, mentre quello scolpito sul soffitto è in bella evidenza munito di alucce; e, a ben guardare, le piccole cerniere delle piccole conchiglie, tanto quelle scolpite che quelle dipinte … potrebbero essere prese per alucce, pure loro!

Cassone 21 – La ‘E’ tra le fiamme ….

Fulcanelli: “Le même signe, – substitué au nom de la matière, – apparaît dans le voisinage, en grand cette fois, et au centre d’une fournaise ardente.”.

E Paolo: “Lo stesso segno – sostituito al nome della materia – appare, questa volta più grande, nelle vicinanze, [e] in mezzo ad una fornace ardente.”.

[ibidem]

Torniamo dunque a quella ‘E’, misteriosa. Tanto per cominciare vi mostro come si apre il Livre des Heures di Étienne Lallemant :

Nel Capolettera di Étienne lo scarabeo proprio non c’è: per cui, o lo scalpellino di Jean si è sbagliato (la testa così grossa ed il corpo privo di anellature non assomigliano a quelli di uno scorpione), … oppure l’insettone di cui sopra, rappresenta solo uno scorpione, anche se raffigurato non proprio fedelmente[1]. A voi l’ardua sentenza!

Lo sfondo del magnifico Capolettera è il ben noto Blasone dei Lallemant, qui cosparso di ‘E’ (come nel Cassone 19, a dx della serie); al centro la bella valva della mérelle, aperta, in cui – guarda caso! – un nero scorpione viene ‘fissato’ dal filatterio che recita ‘Salus tu feris das’ (Tu ferisci, [tu] dai salute; lo scorpione ferisce, la mérelle guarisce); la pagina è quella corrispondente alla liturgia del 31 Dicembre, ed inizia con il Salmo 69 della Vulgata: “Deus, in adiutorium meum intende”. Come ho scritto in precedenza, Étienne potrebbe aver lasciato la carriera di avvocato al Parlement de Paris in seguito ad una pena d’amore, per poi prendere i voti e diventare Canonico di Tours e Bourges; il Livre des Heures, da lui commissionato, venne probabilmente completato prima del 1500, ed alla sua morte passò al fratello Jean Lallemant le Jeune; Jean, dunque, si è certamente ispirato alle decorazioni del Livre per la progettazione dei Cassoni di questa bizzarra Chapelle… ma torniamo a Fulcanelli: perché mai quel ‘signe’ potrebbe indicare la materia misteriosa (che figura dodici o quindici volte nel Cassone di dx)? Si potrebbe pensare ad un glifo che è ben presente in alcune antiche tavole che rappresentano simboli alchemici: la ‘E’ o la ‘Ɛ’ vi figura generalmente come la ‘cinis’, la cenere. Naturalmente, osservando il Cassone, l’operazione è certamente una Calcinazione; però, non è detto che quella ‘E’ bruci da sola: sembra che le fiamme, a punta, avvolgano e penetrino una sorta di corpo indefinito, ma senza spigoli, piuttosto confuso (al centro, sullo sfondo, addirittura si erge una specie di montagnola, che assomiglia a … qualcosa che si è rappreso; chissà); dice “… s’igne?”; risposta “… certo che s’igne, ma chilla E nun s’igne; è l’altro che s’igne, capatost’!”.

Se questa balzana ipotesi fosse degna di una qualche attenzione, allora in questa ‘fornace ardente’ ci sono due corpi: uno è misterioso, l’altro potrebbe essere rappresentato dal simbolo della cenere; … quale cenere? Per di più, c’è un apparente paradosso: in Alchimia operativa, la cenere è l’ovvio risultato di una Calcinazione; da quella cenere, sempre indicata dai buoni autori come ‘meravigliosa’ si deve poi estrarre un Sal, anzi il Sal, il quale è estremamente importante, perché … è il Sal Petræ, che non è ovviamente il Salnitro, bensì il vero Sale della Pietra, cioè della vera materia dell’Opera. Emozionati? … però, chi non ha lavorato obbietterà giustamente che, a rigor di logica, sarebbe del tutto assurdo pretendere di calcinare ancora una volta un sale, il quale è già il frutto di una calcinazione; eppure …

Allora, logica a parte, risponderei con una immagine, ben conosciuta, tratta dal Donum Dei:

Di fronte alla consueta perplessità dell’obbiettore, non profferirei altra parola che ‘cinis cinerum’; per poi aggiungere, de surcroit, che il nomen Étienne corrisponde al nostro Stefano; dice Wiki: “Στέφανος (Stéphanos, latinizzato in Stephanus), che letteralmente significa “corona” …”.

Direi io, all’obbiettore: “Parbleu, Monsieur … Sans une Couronne le Dauphin ne sera jamais un Roi, n’est pas?

A supporto del momento, vi lascio con un brano tratto da quale genio assoluto che fu Monteverdi, di scarsa qualità purtroppo, ma emozionante per il modo con cui il conduttore, Messer Marco Mencoboni, dirige il coro, davanti e dietro di sé; dalla Cattedrale di Lisbona, ecco a voi il Domine ad Adjuvandum, dall’incredibile Vespro della Beata Vergine:

Se poi, presi da Joie et curiosité, voleste dilettarvi dell’intero Vespro, di assoluto valore alchemico, vi lascio in santa pace (per un’ora e quarantaquattro minuti) con Sir John Gardiner, nell’esecuzione capolavoro tenutasi à la Chapelle Royale de Versailles:

À bientôt, mes Dames et mes Sires

tiens, mais encore … une autre Chapelle ?


[1] Ma lo scalpellino potrebbe essersi ispirato a raffigurazioni pittoriche coeve; in queste, per esempio, i soldati romani che assistono alla crocifissione di Gesù portano l’insegna dello scorpione, raffigurata su stendardi o scudi militari:

Oratorio di San Giovanni Battista, Urbino
Convento di Santa Maria degli Angioli, Lugano

La Candelora: … briciole sparse

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Thursday, February 2, 2023 by Captain NEMO

Si dice che “Alla Candelora de l’inverno semo fora“; oggi è una bellissima giornata, e si percepisce un sottile ma pervasivo profumo di Primavera, incipiente. Approfitto del buon clima per tornare a sedermi sui gradini della porta, munito di una buona pipa carica di profumi, a contemplare il cielo; azzurro. Guardo le poche nuvolette puffose mosse dal vento. Maestrale, marino, salutare. Nuvolette deliziose, che formano e sformano, allegre, silentissime. Le piante sono molto timidamente in leggero sboccio; sono timide, dopo le freddure dei Giorni della Merla.

Mi torna in mente una vecchia storiella che sostiene che – chissà quando – i merli una volta erano bianchi, ma che per il freddo si riparavano nei comignoli fumanti; e divennero neri. Sorrido, e riguardo il cielo; azzurro. Il vento è talmente gentile che stormi di piccioni – sempre pigri e fastidiosi per la spropositata produzione di guano che adorna i tetti del paese – si involano, cavalcano l’onda del vento, che per noi è invisibile. Evoluzioni e divertissements.

Tutto è davvero bello e tranquillo, quest’oggi. Mi volto verso la chiesa: Chiusa. Il buon parroco … forse dorme? Oggi si dovrebbero portare i Ceri in chiesa, per esser bene-detti. Nessuno. Bah…

Si portavano in chiesa, credo a Marsiglia, i ceri da far bene-dire, ma spenti; si scendeva nella cripta, dove stava la Notre Dame de Confession, la Vergine Nera; nell’ Abbazia di Saint Victor a Marsiglia c’era questa:

Fulcanelli aprì Le Mystère des Cathédrales con questa bella tavola di J.J. Champagne; e scriveva, mi pare, che questa Vierge

… ci presenta un bell’esempio di antica arte statuaria, plastica, ampia e opulenta. Questa figura piena di nobiltà tiene uno scettro nella destra e ha la fronte cinta da una corona a triplice fiorone.“;

… nel simbolismo ermetico, la terra primitiva, quella che l’artista deve scegliere come soggetto della sua grande opera.  È la materia primitiva, allo stato minerale, come esce dai giacimenti metalliferi, profondamente infossata sotto la massa rocciosa.“;

… Nel cerimoniale prescritto per le processioni di Vergini nere, non si bruciavano che ceri di colore verde.“.

… per poi chiosare (Les Demeures Philosophales, Chap. ‘Le Cadran Solaire du Palais Holyrood‘, – Paris 1964, Pauvert – Tome II, p. 317]:

Cette légende contient, derrière le voile allégorique, la description du travail que doit effecture l’alchimiste pour extraire, du minéral grossier, l’esprit vivant et lumineux, le feu secret qu’il renferme, sous forme de cristal translucide, vert, fusible comme de la cire, et que les sages nomment leur Vitriol.“.

Ah, Monsieur le Maître Fulcanelli… ‘il velo allegorico‘.

Mentre tiro buffetti di buoni profumi dalla mia pipa, guardando lo spettacolo del Cielo, ricordo un passo di Paolo, segnalato a suo tempo da Fra’ Cercone:

” …‘C’è un metodo ancora più segreto, insegnato da Joël Joze: basta captare nelle pupille di ogni essere vivente le immagini di tutte le cose visibili, condensarle, fissarle, comprimerle secondo metodi noti solo a lui, ottenerne, grazie a un procedimento sorprendente e vertiginoso la sintesi chimica; perché queste immagini proiettate sullo schermo appaiano subito in METAFORE-ANIMATE. Joël Joze chiama queste proiezioni così particolari
VIAGGI IN KALEIDOSCOPIO
Trasformate nello stesso apparecchio, per mezzo di misteriosissimi fluidi, di sali e di metalli preziosi, le Visioni si concentrano istantaneamente sotto forma di pastiglie platinate che possono poi servire a un numero illimitato di esperienze.
Così, ciascuno di noi, secondo le sue tendenze, scoprirà il SENSO NASCOSTO di ogni cosa
…. M. Joze pretendeva semplicemente di rigenerare il nostro Pianeta.

(da un post di Paolo Lucarelli, in un bel Forum di una volta, in data 2 febbraio [Candelora!] 2005)”.

Passa una tortora (una delle Doves … chissà se sa di appartenere a Diana!), velocissima si posa su un ramo; mi vede e fa ‘tu-tuuu-tu‘, dunque è un maschietto; cerca la sua femmina, chissà dov’è …. Avete mai fatto caso che fanno il loro richiamo solo quando sono … fisse? … Mai in volo! Continuo ad osservare Cielo e nuvole e tortora, che gioca a nascondino: ‘il velo allegorico‘ e ‘le metafore animate‘…

La cosa straordinaria della Philosophia è che essa è del tutto inutile, non serve ad alcuna delle attività usuali di noi uomini; non ha davvero una applicazione che porti profitto, vantaggio, potere; si dice infatti ‘filosofeggiare‘, per indicare un’attività tutto sommato trascurabile, perché viene considerata una sorta di trastullo intellettuale. Eppure … l’abitudine di portar ceri da bene-dire, spenti, ai piedi della nascoste Vierges Noires, per far sì che, una volta accesi, … diventino verdi … beh, certo ha solo il fascino di una bizzarra abitudine popolare, da analizzare forse mediante l’antropologia. Ma qual’è il senso nascosto di questi atti devozionali? … Solo aspetti della fede religiosa?

Guardando il grande cielo, azzurro, percorso dal vento salato … il protagonista nascosto di questo prezioso quadro Naturale è l’Esprit Universel, quello vivant et lumineux, che – così come è nascosto al’interno della Vierge Noire – è però reso ben manifesto dai fenomeni mirabili che osserviamo in giornate come questa. Come percepirlo? Basta fare il ‘vuoto‘, ed il ‘pieno‘ arriva subito.

Facile facile; spegnete la testa. Punto. Staccate la spina e godetevi Madre Natura all’opera …!

Di cosa potremmo aver più bisogno? Meglio: di cos’altro possiamo aver bisogno? Tutto è già qui, tutto da contemplare, tutto da bene-dire; poi basta ‘fare‘, senza grande sforzo, senza aspettarsi nulla; ma ‘fare‘. Con la medesima tenacia con cui il vento, soffia. Sempre. Senza posa.

Madre Natura è provvida e ‘fa‘; agisce; invisibile, ma ‘fa‘. Diversamente dagli uomini. Tutti ne parlano, buoni e cattivi che siano: se ne discute, se ne discetta, la si celebra, la si calpesta …

Un po’ come l’Alchimia: se ne discute, se ne discetta, la si celebra, la si calpesta … ma pochi, davvero pochissimi, ‘fanno‘.

Rientro in casa, e sorridendo passo davanti alla porta del mio piccolo Laboratorio: Locus terribilis est iste … presto tornerò ai miei Jeux prediletti!

Un Duetto, tra Baphomet e Graal

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, διαλέγομαι, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on Saturday, January 28, 2023 by Captain NEMO

Il lungo capitolo ne Le Dimore Filosofali su La Salamandra di Lisieux è certamente uno dei più interessanti, ed anche dei più belli della seconda opera firmata sotto l’aliasFulcanelli‘. Chiunque studi Alchimia, prima o poi incappa in questo vero e proprio trattato all’interno del libro dedicato all’esame di alcune ‘dimore‘; è dedicato al Fuoco, nelle sue varie declinazioni, sia a livello squisitamente dottrinale, sia in termini di operatività.

Nel tempo, stuoli di scholars e di studenti si sono estesi sull’interpretazione dei passi più famosi, alla ricerca di risposte alle eterne domande che qualsiasi buon testo d’Alchimia sottopone al lettore. Queste interpretazioni, pur lecite, restano pur sempre ‘interpretazioni‘; soltanto il lavoro al forno, assiduo, allegro, silente e continuato potrà permettere un giorno – Si te Fata vocant, come si dice – di ritornare sul passo letto tante volte, interpretato tante volte, conosciuto quasi a memoria, per scoprire che le cose supposte non stavano proprio come la nostra mente voleva leggerle. Si tratta di un processo ben conosciuto da chi pratica l’Arte con passione, e fedeltà a Madre Natura. Solo Madre Natura è la vera e unica Maestra, soltanto le Materie, da questa provvida Madre accudite ed accarezzate, possono svelare il loro segreto mutarsi, la loro danza segreta, eterna, magnifica, meravigliosa; e sempre sorprendente. Quel santo giorno in cui il miracolo avviene, la sorpresa è sempre enorme, sempre inaspettata. E le lacrime affiorano, chinati sul crogiolo, sporchi, stanchi e sudati … la cosa, la manipolazione, l’atto, è cosa difficilissima, proprio per la sua irragionevole semplicità.

Tanti anni fa, alla ricerca di tracce ed indizi di studio sul Fuoco, io e Fra’ Cercone decidemmo di tradurre meglio l’edizione de Le Dimore Filosofali, la prima delle Mediterranee, quella del 1973, tradotta dall’edizione del 1964 di Pauvert. Quella edizione, come scoprimmo pian piano leggendo e studiando le edizioni in Francese, era molto imprecisa e talvolta … un po’ distratta (absit injuria verbis!). Così, ci dedicammo a ri-tradurre i passi che più ci interessavano. Nel tempo, abbiamo accumulato, forse come tanti altri Studenti, un bel po’ di carta, in vari formati e disposizioni; così, mentre cercavo di mettere ordine nell’eterno disordine degli appunti, carteggi, copie, note, e via dicendo, ho ri-trovato questo piccolo essai, sul Bafometto e sul Graal.

Sotto sotto, ça-va-sans-dire, l’oggetto, lo scopo, l’intento iniziale, di questo capitoletto nel capitolone, è un altro. E siccome mi è capitato tra le mani per caso, l’ho preso come un piccolo e gentil signum da parte di Fra’ Cercone che, lo ricordo, si diede un bel da fare per rispettare se non altro la lettera di Fulcanelli & C., in modo che – visto che lo studio dei buoni testi ci ha sempre appassionato – lo spirito con cui era stato architettato non ne venisse stravolto.

Ho provveduto a ri-controllarlo – sia il sottoscritto che il mio compagno di studi avevamo fatto qualche errore minore, e qualche dimenticanza – basando questo breve lavoro di oggi sull’Editio Princeps del 1930, la prima edizione; prima che tutto l’ambaradam ben conosciuto e ben amato prendesse partenza e involo. Non che quella di Pauvert fosse errata, ma così … tanto per rendere dolce omaggio al profumo della Qualitas originale.

La cosa che mi ha fatto sorridere è che questo capitoletto VI fu scritto – credo – da due compagni, Fulcanelli e Dujols; né il sottoscitto né Fra’ Cercone potremmo neanche allacciar le scarpe ai due personaggi, magnifici per la loro erudizione, geniali per il modo magistrale con cui la propongono. Così, ho pensato che per chi non conoscesse il Francese – e visto che non c’è una traduzione Italiana de Le Dimore all’altezza dell’edizione de Il Mistero fatta da Paolo – potrebbe essere utile leggere il passo in questione. Lo trovate nella sezione Pages, qui accanto, a dx; chi lo volesse potrà anche scaricarlo (qui) ed aggiungerlo ai propri documenti di studio.

Volutamente, ho escluso qualsivoglia notula interpretativa mia o del buon Frate: è lo studente che dovrà, se vorrà, elaborare le proprie.

Speriamo che il nostro piccolo lavoro comune di tanti anni fa possa essere utile a qualcuno che inizierà il cammino dell’Arte, in questi tempi davvero singolari.

Buona lettura, ma – soprattutto – Buono Studio!

Tres Tractatus de Metallorum Transmutatione

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , on Monday, January 16, 2023 by Captain NEMO

Sono certo che Fra’ Cercone sorriderà nel constatare che – finalmente – il nostro ultimo lavoro comune vede quest’oggi la luce: non mi è stato facile prendere la decisione di portarlo alle stampe, perché la sua presenza mi manca moltissimo. Davvero tanto. Però, era una cosa che andava fatta, compiuta. La commozione è grande, per motivi ed emozioni tutte private, ma la Fratellanza che ci lega merita questo e molto altro.

Qualche tempo dopo la pubblicazione del nostro Philalethe Reveal’d, leggendo, consultando e studiando molte opere del perfido ma onesto ‘pacifico amante della verità’, decidemmo di tradurre assieme il suo Tres Tractatus de Metallorum Transmutatione; se qualcuno si chiedesse perché, la risposta è semplice: … ci è piaciuto molto!

Nell’introduzione dell’Editio Princeps del 1678 – dedicata al Candido et Veritatis Philosophica Cupido Lectori – Martin Birrius (riteniamo che lui ne fosse l’autore) cita una frase appartenente al Corpus Hermeticum:

Cupio rerum naturam discere, Deumque cognoscere[1]

che è la risposta di Ermete Trismegisto al quesito di Pimandro: “Che cosa desideri udire e contemplare? Che cosa ami apprendere o conoscere per mezzo del pensiero?[2]

Se, come è noto, Pimandro – ma, dopo aver mutato aspetto (!) spalanca ad Ermete ‘…una visione illimitata, tutto quanto divenuto luce, sereno e lieto; …’, Birrius chiarisce al Candido Lettore che gli Antichi Sapienti non trovarono la risposta a questo desiderio mediante la contemplazione delle stelle e dei corpi celesti, o nelle altre cose fisiche contenute in questo mondo sublunare, bensì soltanto nella gemma preziosissima, nascostissima nel cuore della Materia, chiamata Arcano dei Filosofi e miracolo della Natura.

Sarà vero? … visto quanto Philalethe si è speso, dedicato, esteso, proprio su questo Arcanum, sia sul piano teorico e dottrinale, sia sul piano operativo … forse risulterà più comprensibile il nostro interesse per questo splendido trattato, probabilmente poco conosciuto nella sua interezza.

Così, su Lulu, ho preparato, d’accordo con Fra’ Cercone, due Edizioni, identiche nei contenuti (250 pagine): una in Bianco&Nero (qui), ed una a Colori (qui), stampate naturalmente su carte di peso diverso; così, ci auguriamo, ognuno sceglierà quale eventualmente acquistare. La traduzione è stata fatta sull’Editio Princeps di Amsterdam (1678) con due edizioni di controllo (negli anni, il trattato ha visto varie edizioni e traduzioni), cui abbiamo aggiunto le nostre personali considerazioni, che proponiamo a chi studia e pratica Alchimia.

Dobbiamo aggiungere che, nonostante il titolo, ci è parso che l’obiettivo per così dire didattico di Philalethe NON fosse la trasmutazione metallica (benché praticamente tutti nel ‘600 cercassero il modo di produrre oro), bensì … altro.

Ci auguriamo che qualcuna possa trovar utile il nostro lavoro.

Buona lettura e buono Studio!


[1]Amo apprendere le cose della natura, e conoscere Dio.”; è il versetto 3.

[2]Quid est, quod et audire, et intueri desideras? Quid est, quod discere aut intelligere cupis?”; è la parte finale del versetto 1.

Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie VI

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Tuesday, January 10, 2023 by Captain NEMO

Passate le Feste, riprendo lo studio del Plafond dell’Oratoire dell’Hôtel Lallemant con la sesta serie di Cassoni; non senza ricordare che – da questo punto in poi del ‘percorso’ tra Putti e oggetti vari – … l’aria cambierà leggermente; dopo infatti aver esaminato i due pilastri laterali, secondo Fulcanelli dedicati al Mercurio e lo Zolfo, la serie dei Caissons si estende verso l’unica finestra della supposta Chapelle, verso la Luce. A mio modesto avviso, da questo punto d’equilibrio in poi, i soggetti sono più dedicati, alchemicamente parlando, alle fasi che sottendono l’operatività dopo l’ottenimento del Mercurio e dello Zolfo; come è noto, si tratta ora di operazioni che riguardano la parte più sottile delle Materie in Opera. Dunque, sempre a mio avviso, il tenore dei contenuti dei Caissons sono mirati più all’Esprit che ad altro, ora in procinto di liberarsi ed agire nell’intimo delle Materie attraverso le loro proprie Mutazioni. L’enigma delle rappresentazioni si fa dunque più spirituale, non per l’aspetto religioso evocato cui molti hanno voluto legarsi, quanto proprio per il profumo in qualche modo etereo che li permea.

Ciò detto, torniamo allora ad immergerci, è il caso di dirlo, nella serie che ci attende.

Cassone 16 – Un Angelot in chemin, munito di Bâton e Filatterio.

Fulcanelli non commenta questo Cassone.

L’Angioletto – maschietto, nudo e ben pettinato – è leggermente meno paffuto del solito, e pare gettar lo sguardo al cammino percorso, o a qualcosa che sta alle sue spalle. Porta sulla spalla sinistra un evidente Bâton du Compagnon: direbbe il mio amico tresteverino: “ … e cche vvor dì ?” … come ho detto, l’enigma si fa più … enigmatico, no? Il Compagnonnage è (esiste ancora oggi, per quanto modernizzato alla bisogna) un fenomeno tipicamente francese, molto antico e ben radicato, che vide il suo apice tra il ‘500 ed il ‘600. Non è questo il luogo per esaminarne le origini e le declinazioni, ma basti dire, per quel che ci riguarda qui, che venivano chiamati Compagnons dei giovani viaggiatori che compivano un Tour de France (no, non si tratta del ciclismo, eh?) che poteva durare dai tre ai sette anni, e che – nel corso del loro Tour personale – imparavano un mestiere, quasi sempre legato alle Arti della Costruzione: carpentieri, stampatori, fabbri, maniscalchi, tagliapietre, scalpellini, incisori e via dicendo. La Confraternita, naturalmente – nata forse con le Cattedrali Medioevali -, si arricchì via via di complicati rituali: iniziazioni, padrini, soprannomi, battesimi con l’acqua ed il vino, prove, giuramenti di segretezza, parole di passo, e quant’altro; a differenza della più tarda Massoneria (specie quella del ‘700, che annoverava nelle sue Logge ed Obbedienze un gran numero di nobili, nobilastri e prodi militari), il Compagnonnage era più legato agli operai, veri protagonisti manuali delle arti che venivano loro affidate; tuttavia, per quanto affascinante possa risultare una Confraternita, qualsiasi Confraternita, antica o moderna che sia, essa è fatta di uomini, che, con i loro pregi, si portan inevitabilmente dietro (sempre) i loro tristi difetti; così, anche il Compagnonnage, si sviluppò con forti divisioni e confronti tra i vari gruppi di ‘eletti’ (quelli che di più litigavano per la supremazia erano Les Enfants de Salomon, Les Enfants de Maître Jacques e  Les Enfants du Père Soubise), convinti di essere portatori della solita abusatissima tradizione (con la minuscola); confronti che spesso uscivano dalla semplice dialettica per sfociare in conflitti persino fisicamente violenti, che durarono per decenni, e più. E come poteva andare la faccenda, quando si interpreta la Tradizione piegandola al potere e controllo, e non se ne conosce né il senso né l’origine? … More solito, no?

Tornando ad res: il Bâton era un oggetto emblematico del Compagnon, che all’interno dell’impugnatura aveva una cavità, nella quale venivano conservati i documenti pertinenti al grado, all’appartenenza alla loge-mère, e varie amenità; la punta, invece, era ovviamente legata o alla difesa, o al semplice e comune appoggio nel camminare: il nostro Angelot lo mostra in bella evidenza.

Alle sue spalle si srotola un Filatterio, che si poggia sull’impugnatura, forse per indicarne la cavità (?). Alla luce di quanto detto, insomma, si potrebbe ritenere che la scultura voglia segnalare: A) – il Compagnonnage; B) la necessità di un percorso, un cammino, particolare; C) la canna, al cui interno di nasconde qualcosa di estremamente utile per l’Opera; quest’ultima ipotesi potrebbe meritare una chiosa, leggera leggera: Prometeo nascose il fuoco dentro una canna di νάρθηξ, come Eschilo recita nel Desmotes (109-10): ‘A caccia vado della furtiva fonte di un fuoco di cui riempir la canna.’.

Questo Bâton, inoltre, figura a iosa nelle curiose illustrazioni che arricchiscono il Livre des Heures di Étienne Lallemant; le abbiamo già incontrate studiando le serie precedenti; ve ne mostro un altro paio, assieme a due capolettera ‘parlanti’, anche per apprezzare la bellezza dell’acquerello.

Cassone 17 – Un Leone ed un Braciere capovolto.

Fulcanelli commenta questo Cassone così: “Voici maintenant un vase renversé, échappé, par rupture de lien, à la gueule d’un lion décoratif qui le tenait en équilibre: c’est une version originale du solve et coagula de Notre-Dame de Paris.”.

La traduzione offerta da Paolo è assolutamente preziosa e perfetta: “Ecco un vaso rovesciato, sfuggito grazie alla rottura di un legaccio dalle fauci di un leone decorativo, che lo teneva in equilibrio: è una versione originale del solve et coagula di Notre Dame di Parigi.”.

Come sempre, consiglio di legger con calma e tranquillità, anche dietro le righe, le due versioni, senza cercarne una logica, sempre forzata; logica inutile, di fatto; a guardar bene, infatti, non si può che sorridere della astuta benevolenza con cui i due alchimisti hanno voluto costruire questa frase apparentemente secca ma significativa.

Se c’è chi ritiene che Fulcanelli si riferisca alla Planche XIV dell’edizione originale de Le Mystère des Cathédrales (intitolata La Dissolution – Combat des deux Natures; nell’Edizione italiana è la Tavola XXV), oppure alla Planche XII (intitolata La Reine terrasse le Mercure, Servus Fugitivus; nell’Edizione italiana è la Tavola XXI)[1], forse si dovrebbe tener presente che esiste anche un’altra possibilità, cioè quella rappresentata dalla Planche XVII (intitolata Solve et Coagula; nell’Edizione italiana è la Tavola XXVIII):

… che Fulcanelli presenta come “… l’homme retourné, qui traduit au mieux l’apophtegme alchimique solve et coagula, lequel enseigne à réaliser la conversion élémentaire en volatilisant le fixe et fixant le volatil; …”.

Naturalmente, come accade spesso nello studio dei testi, il lettore dovrà trovare la sua propria soluzione, tenendo presente che – sebbene la tecnica operativa possa talvolta apparire simile – è il contesto operativo il terreno da cui partire per riflettere, vale a dire ciò che precede e ciò che deve seguire.

Ciò detto, il Caisson è tra i più belli ed interessanti: questo renversement parlante, mostra che sua maestà le Lion (solaire?) trattiene tra le fauci (la gueule) i resti ‘del legaccio che lo teneva in equilibrio’; si dovrebbe ritenere, pare, che – prima della rupture – il ‘legame’ … teneva; insomma, manteneva il Vaso (ohibò!) in equi-librio; dopo, par di dover concludere che una parte di quel legame … resta nella gueule del Lion. … Sornione ‘sto Leone così solare, non vi pare? … Tutti sanno che simboleggia lo Zolfo, ma ricordo che l’ultra-famoso Lion Vert (☿), stringe tra le fauci un Sole sanguinante (i.e., che prima sanguina, perché è sang-l-ant), e tutti i migliori autori ci informano che dopo questa operazione il Lion Vert, inteso come quello acerbo, diverrà il Lion Rouge (🜍), maturo … prima di stupirsi troppo di questa misteriosa mutazione, val la pena ricordare cosa scrisse a proposito del ‘Lion’ quell’Illuminato mattacchione di Dom Pernety:

In generale è ciò che [i Filosofi Chimici] chiamano il loro Maschio o il loro Sole, sia prima che dopo il confezionamento del loro mercurio animato. Prima del confezionamento, è la parte fissa, o materia capace di resistere all’azione del fuoco. Dopo il confezionamento, è ancora la materia fissa che occorre utilizzare, ma più perfetta di quanto fosse prima. All’inizio era il Leone Verde, [e] diventa Leone Rosso per mezzo della preparazione. È con il primo che si fa il mercurio, & con il secondo che si fa la pietra o l’elixir. … Quando si servono del termine Leone per significare il loro mercurio, vi aggiungono l’epiteto qualificativo verde, per distinguerlo dal mercurio digerito & fatto zolfo.

[Pernety, Dictionnaire Mytho-Hermétique – 1758]

Consiglierei di continuare la lettura dell’intero brano, specie quello che Pernety attribuisce a Ripley.

Quanto al Vaso, sottolineo che esso – pur rovesciato – è evidentemente fiammeggiante.

Cassone 15 – L’Angelot courant e lo Chapelet.

Fulcanelli commenta: “Un second sujet, peu orthodoxe et assez irrévérencieux, suit de près: c’est un enfant essayant de briser un rosaire sur son genou.”.

Per prima cosa va detto che, come abbiamo visto nella Serie III (qui), non si tratta propriamente di un Rosario, cioè l’oggetto legato alla liturgia religiosa, quanto dello Chapelet che decora tutti i blasoni dei componenti della Confraternita dei ‘Chevaliers de l’ordre de Notre-Dame de la Table-Ronde’, che ho mostrato qui; è composto da cinque decine i cui Pater erano d’oro, e gli Ave di corallo, legati da un filo di seta verde. Quello qui raffigurato pare composto da tredici grani divisi in cinque paia a partire dalla piccola croce patente (a sx), e termina con tre grani dalla parte della frangia (a dx). Visto che lo Chapelet raffigurato nei blasoni dell’Ordre è ben più lungo di questo, si ha l’impressione che i numeri a cui si allude non siano proprio casuali …

Questo è quello appartenuto a Jehan Lallemant l’aineé:

Da: Statuts et armoiries des chevaliers de la Table Ronde de Bourges
Ms. Harley 5301- British Library

L’Angioletto, dai capelli riccioluti, sembra correre; ma potrebbe anche essere inginocchiato: in quest’ultima lettura si potrebbe forse capire perché Fulcanelli affermi che l’Angioletto tenti di rompere il filo del Chapelet; in questo caso … sta forse sottolineando il desiderio di rompere un legame?

Per concludere: come per alcune serie, direi che il tema centrale di questa, infatti, sia la rupture del lien: il Caisson centrale è affiancato dai due Putti alati; quello di destra suggerisce uno stato antecedente, da cui è partita tutta l’Opera, mentre quello di sinistra rafforza il momento topico, quella della mutazione del verso (il renversement), che è tutto centrato sul ruolo del legame (le lien). L’enigma sottile cui accennavo all’inizio potrebbe essere riassunto dalla ben nota raccomandazione delle nonne:

Chi ben comincia, è alla metà dell’Opera!

À bientôt, mes Dames et mes Sires …


[1] Secondo Fulcanelli, questa Tavola si riferisce ad una tecnica poco utile: “Or, nous ne voyons pas quel avantage on pourrait retirer d’une solution de mercure obtenue à l’aide du solvant philosophique, celui-ci étant l’agent majeur et secret par excellence.”.

Christmas, 2022

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , on Saturday, December 24, 2022 by Captain NEMO

É difficile guardare il mondo e non provare un certo senso di smarrimento, oggi. Eppure, tutto va avanti come se nulla fosse o nulla stesse accadendo.

Mi pare di avvertir dentro che senza Consapevolezza del perché siamo qui, del motivo per cui siamo TUTTI qui scesi, a ri-trovarci, … domani, chissà, potremmo non ritrovare la vera strada verso Casa. Così, per queste ‘feste‘ ho pensato di tornare al passato, e forse al mio futuro, nelle amatissime terre di Scozia.

Loch Lomond è un grande e magnifico specchio d’acqua, un gioiello di bellezza. E di Force. vivente, legato a mille ricordi del sogno Scoto, di Libertà e Fratellanza (scritte con la maiuscola, perché ormai quelle antiche e forti parole di cristallo sono desuete, accantonate, impolverate, nel profondo dei cuori, sempre dimenticate, sostituite malamente dai surrogati che abbiamo scelto di abbracciare).

Si tratta di un malinconico, ma struggente e splendido canto d’Amor, per la Terra e per tutti gli Amati Amanti d’Amore. Puro, dolce, semplice.

Eccone una rara versione dei Corries:

E questa è una versione più moderna, di Ella Roberts:

Così, dal mio cuore, auguro a tutti di ri-trovar Pace e Amor del Creato, che anima ogni cosa,

così in alto come in basso!

Le Comte de Gabalis

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Monday, November 28, 2022 by Captain NEMO

“S’éloignant du domaine cabalistique, où il a présenté la femme Salamandre comme la plus belle, puisque constituée du feu universel, «principe de tous les mouvements de la Nature», dont elle habite la sphère élevée, l’abbé Montfaucon de Villars expose bientôt la manière de subjuguer cette créature élémentaire, par le truchement du matras philosophique, soit qu’on regarde, de l’extérieur, l’évidente convexité de sa panse, ou qu’on envisage, à l’intérieur, le mystère de sa concave rotondité:

« Il faut purifier & exalter l’élément du feu, qui est en nous, & relever le ton de cette corde relâchée. Il n’y a qu’à concentrer le feu du monde par des miroirs concaves, dans un globe de verre; & c’est ici l’artifice que tous les Anciens ont caché religieusement, & que le divin Théophraste a découvert. Il se forme dans ce globe une poudre solaire, laquelle s’étant purifiée d’elle-même, du mélange des autres Elémens ; & étant préparée selon l’art, devient en fort peu de tems souverainement propre à exalter le feu qui est en nous ; & à nous faire devenir, par manière de dire, de nature ignée. »”,

[Eugène Canseliet, Préface à la Deuxième Edition de Les Demeures Philosophales – Febbraio 1958]
[Montfauçom de Villars – Le Comte de Gabalis, ou Entretiens sur les Sciences Secretes – Dicembre 1670 ]

Molti e molti anni fa, appena letta la seconda Prefazione di Canseliet nel primo volume de Le Dimore Filosofali, pubblicata dalle Edizioni Mediterranee nel 1973, nulla ovviamente sapevo del Conte di Gabalis; appuntai però il titolo, con il proposito di cercarlo presso la Biblioteca Nazionale, dove mi recavo per ricopiare sul mio quadernone i trattati i cui titoli andavo trovando nei libri d’Alchimia che leggevo, per poi studiarli. In seguito, trovai il trattatello in una traduzione italiana, pubblicata da Phoenix nel 1985; eccone il brano in questione, a p. 29:

Se volete riconquistare il dominio sulle Salamandre, bisogna purificare ed esaltare l’elemento del Fuoco che è in noi, e rialzare il tono di questa corda rilassata. Non c’è che da concentrare il fuoco del mondo in un globo di vetro per mezzo di specchi concavi: questo è l’artificio che tutti gli antichi hanno nascosto gelosamente, e che il divino Teofrasto ha scoperto. In questo globo si forma una polvere solare che, purificatasi da sola dalla mistura degli altri elementi, e preparata secondo l’arte, diviene in assai poco tempo sommamente adatta ad esaltare il fuoco che è in noi ed a farci diventare, per così dire, di natura ignea.”.

A parte qualche leggero adattamento dei termini, scoprii che la traduzione italiana de Le Dimori Filosofali – che ovviamente avevo preso per ‘buona’ – riportava “… che poiché si è purificata da sé medesima, con la mescolanza con altri elementi; ed essendo preparata secondo l’arte, …”; così, andai alla libreria Aseq, e trovai subito, per fortuna, l’edizione Francese di Pauvert, del 1964. Letto il brano, ora quella frase aveva un altro significato.

Fu solo parecchi anni dopo che riuscii ad accedere alla versione originale del trattatello (1670), in formato digitale, e fui certo della perfetta citazione riportata da parte del provvido Maître de Savignies.

Sarebbe oltremodo lungo, a questo punto, affrontare la faccenda legata all’Abbé Nicholas Pierre Henry Montfauçon de Villars (ca. 1635 – 1673) e al suo trattato: se la sua vita fu senza dubbio spericolata,  Il Conte di Gabalis divenne però un Best-Seller, che ha attraversato, per vari motivi, tre secoli e più: la fama di questo assurdo e divertente lavoro gli valse nemici e amici, al punto che – grazie ai traduttori Inglesi – Montfauçon venne persino tacciato di esser stato un ‘delatore’ di qualche supposto segreto Rosa-Croce (per questo, dice la leggenda, assassinato sulla via per Lyon grazie ad una ‘sentenza Vehemica’!).  Sulla sua vita e sulla sua opera più famosa, naturalmente si sono accapigliati fior di esperti da allora sino al giorno d’oggi: manca solo che qualcuno ne faccia il protagonista di un film, tanto questo guascone para-ermetico è simpatico e detestabile.

Proseguo: consultando il mio vecchio quadernone, trovai qualche anno dopo un altro appunto, proprio a proposito di questo curioso passo di de Villars: “… concentrare il fuoco de mondo in un globo di vetro per mezzo di specchi concavi”. Questo accorgimento davvero singolare nel panorama della letteratura alchemica, incuriosì anche il buon Fra’ Cercone, e ne parlammo sporadicamente: concordammo che l’idea aveva una qualche possibilità di esser credibile, ma il costruire un ammennicolo capace di seguire il Sole poco ci interessava; ancora anni dopo, al tempo del vecchio Forum Montesion, ricordo che qualcuno mi inviò persino due o tre foto di un ingegneristico apparato meccanico che era stato progettato e costruito alla bisogna. Insomma questa faccenda era quantomeno ben conosciuta, e tutti quelli che in qualche modo si occupano d’Alchimia conoscono Le Comte de Gabalis, e tutti a ragione o a torto ammiccano e arricciano il naso. Ma tant’è … sia come sia, insomma, Montfauçon de Villars ha lasciato il segno!

En passant, bisogna sapere che il sapiente guascone creò il suo capolavoro per scopi precisi, come una furba critica a doppio taglio, sia nei confronti dei credo religiosi vari (all’epoca in perenne scontro), che nei confronti di chi invece dava credito al mondo degli ‘Elementali’; Montfauçon ci andò giù pesantemente, sostenendo nel suo libello che gli umani non avrebbero mai dovuto accoppiarsi tra loro, bensì con i vari Elementali, così da dar vita ad esseri più elevati e più vicini alla divinità; che dire poi della figuraccia del Diavolo[1], il quale è un allocco e che non ha alcun potere, né sugli umani e tantomeno sugli Elementali? Comunque il libro paradossale è molto divertente: tuttavia, è ormai attestato che il furbo e sapiente de Villars creò il suo capolavoro letterario attingendo a piene mani dal De Nymphis di Paracelso, ma mescolando all’opera originale dell’immenso Teofrasto … una traduzione, peraltro rimaneggiata e adattata, di una versione del De Nymphis (in Latino) preparata per spiegare chi fosse mai stata la Ninfa Egeria: l’autore di questa traduzione ad hoc era stato Blaise de Vigenére! Non contento del cut&paste, però adattato qua&là al suo spirito libertineggiante e provocatorio (raccomandazione: le femmine dei Salamandri sono ben più belle e sensuali delle nostre femmine), il nostro deve anche aver letto Sendivogius, pare, visto che il grande Gabalis è un tedesco, ma di provenienza Bohema, piuttosto Polacca (nelle traduzioni Inglesi, diventa un Danese); poteva mancare che i primi due dei suoi Entretiens sono attribuiti, parola per parola, a delle Lettere provenienti – parrebbe[2] – da un altro scavezzacollo, stavolta italico, il maraviggioso e incredibile Cavaglier Borri (pare del 1666, da L’Aia)? Insomma, pare, che l’Abate guascone – per quanto animato da intenti dissacranti e scellerati – non fosse proprio un ignorante delle cose, per così dire, esoteriche/ermetiche; e fu certamente per questa aura di io-so-delle-cose-mentre-voi-non-sapete-una-ceppa che a cavallo tra ‘800 e ‘900 in tutta Europa, ed in particolare in Francia, tutti i salotti alti considerano il libro di Montfauçon de Villars … una veritiera Opera d’Arte!

E qui entrano in campo, addirittura, Anatole France (1844 – 1924; e Fulcanelli. L’ultra-famoso bon Thibault era un ben conosciuto da Fulcanelli, così come raccontò Canseliet:

“… les faits remontent à 1920, à l’année où ayant quitté le cap d’Antibes, Anatole France, qui était revenu à son logis princier de la Villa Saïd, vint embrasser son vieux camarade des jours anciens. Fulcanelli ne laissa pas de faire de grâves remarques sur l’état de sa santé, qui éveillait autour de lui une inquiétude légitime. Celle-ci devait, hélas ! se justifier au mois d’Août, lorsque survint l’accident cardio-vasculaire, responsable d’une paralysie, heureusement momentanée. Donc le samedi saint, troisième quantième d’avril et premier de la pleine lune, très sagement assis à la petite table renaissance qui jouxtait le meuble rempli de livres rares et précieux, je savourai la chance enviable d’assister à l’entretien du Maître avec son bon Thibault.”[3].

A quell’epoca France aveva già pubblicato La Rôtisserie de la Reine Pédauque[4]; il grande scrittore in gioventù frequentava Papus[5], il quale gli fece leggere Le Comte de Gabalis; mentre secondo Canseliet[6] fu Fulcanelli a suggerire al suo buon amico l’idea del romanzo sulla famosa Rôtisserie. Molti, ancora oggi, lo descrivono come un Romanzo ‘a chiave’, e addirittura qualcuno al di là delle Alpi vede nel giovane protagonista, Elme-Laurent-Jacques-Ménétrier – chiamato Tournebroche dal padre e padrone della Rôtisserie, il ‘gira-lo-spiedo’ – l’altrettanto giovane Eugène Canseliet; però, dato che il romanzo è del 1892, e che Canseliet ancora non era nato, questa ‘trovata’ non ha certamente fondamento. Se poi si vuol giocare su qualche fonema, il lettore sorriderà al nome dell’abate Jérôme Coignard, del rabbino Mosaïde, del sapiente ed un po’ sinistro filosofo Hercule d’Astarac

Anatole France, insomma, trasmuta il racconto originale di Montfauçon in un’elegante parodia, costruita con uno stile letterario di gran pregio, e molto godibile: ma ciò che appariva eventualmente misterioso nel racconto originale, perde un po’ della sua forza; il brano di Gabalis sopra riportato, e che giustamente colpì Canseliet, viene riportato così (è d’Astarac che parla):

… il alla poser la main sur le globe qui tenait la moitié de la table. — Ce ballon, ajouta-t-il, est plein d’une poudre solaire qui échappe à vos regards par sa pureté même. Car elle est beaucoup trop fine pour tomber sous les sens grossiers des hommes. … Sachez donc qu’il se trouve dans ce ballon une poudre solaire souverainement propre à exalter le feu qui est en nous. Et l’effet de cette exaltation ne se fait guère attendre. Il consiste en une subtilité des sens qui nous permet de voir et de toucher les figures aériennes flottant autour de nous.”.

Fulcanelli aveva una grande considerazione per il talento letterario del suo bon Thibault, ma forse questa sorta di volgarizzazione lo lasciava titubante, chissà …

Quel brano de Le Comte de Gabalis, pur con gli inevitabili piccoli adattamenti causati dalle traduzioni e dal passar del tempo, figura così nella traduzione in Italiano nel 1751:

Se si vuol ricuperare l’imperio sulle Salamandre, bisogna purificare e sublimare l’elemento del fuoco che è in noi, e così rimettere in tuono questa corda alterata. Non si ha a fare altro se non concentrare il fuoco del mondo per mezzo di specchi concavi in un globo di vetro; e questo è l’artifizio che tutti gli antichi hanno religiosamente occultato, e che ‘l divino Teofrasto ha scoverto. Si forma in questo globo una polvere solare la quale, dopo che si è per se stessa spogliata dal mescuglio degli altri elementi ed è stata preparata secondo l’arte, si rende in pochissimo tempo eccellentemente propia a sublimare il fuoco che è in noi, e a trasformarci, per così dire, in una natura ignea.”.

Non ci si sorprende se l’anonimo deus-ex-machina di questa traduzione, apparsa a Napoli[7] – intitolata Il Conte di Gabalì (con l’accento sulla ’i’) – fu quel genio assoluto del ‘700 italiano: Raimondo di Sangro, Principe di San Severo. Non mi dilungherò qui sulle vicende di quegli anni a Napoli, laddove il Principe – di fronte al decreto di scioglimento delle Logge da parte di Re Carlo III di Borbone – compì la sagace piroetta del doppio inganno, così tipica di quel modus comportandi.

Sia come sia, questa benedetta polvere solare arrivò sin nel ‘900: tutti conoscono La Poussière de Soleils di quell’altro genio: il dandy ricchissimo Raymond Roussel, il quale decise nel 1926 di mandare in scena al Théâtre Saint-Martin una pièce che fu un vero e proprio fiasco, ma enormemente applaudito da Breton e da tutti i Surrealisti; al punto che in Fronton Virage Breton affermò di avere la

« … quasi certitude que Raymond Roussel s’est appliqué, au moins ici, à nous fournir les rudiments nécessaires à la réalisation de ce que les alchimistes entendent par le Grand Œuvre et qu’il l’a fait après tant d’autres, par les seuls moyens traditionnellement permis. »

E Canseliet, naturalmente, apprezzò molto sia l’opera di ‘teatro delle frasi’ di Roussel che l’endorsement di Breton.

Ho voluto sottolineare l’interesse di quel passo di Montfauçon de Villars perché risuona senza dubbio d’Alchimia; ma di che si tratta? … meglio: come diavolo si può raccogliere la poudre solaire con il metodo così apoditticamente proposto? Diciamo che, classicamente, la pratica della Grande Opera viene generalmente svolta percorrendo due operatività diverse tra loro, pur con la medesima Dottrina: la Via Umida, al pallone e generalmente lunga, e quella Secca, al crogiolo e generalmente corta. Come si sa, sono esistite, esistono, e sempre esisteranno, altre varianti e/o preparazione di Particularia, e – ancor più che naturalmente – una moltitudine di supposte ‘istruzioni segrete’, queste ultime inventate di sana pianta da chi non ha compreso come opera Madre Natura nella Creazione e nel Divenimento della Materia (vero e proprio ciarpame, che tutti gli alchimisti hanno incontrato, incontrano, incontreranno) …

Ora, ammettendo – a livello di mera ipotesi ‘da salotto’ – che il fine dell’operatività alchemica possa essere l’ottenimento della ultra-famosa Polvere di Proiezione (con cui trasmutare i metalli imperfetti in corpi perfetti), il fatto è che senza la preventiva preparazione del più che famoso Fuoco Segreto … ogni operatività alchemica è destinata all’illusione, e al conseguente fallimento. La natura fisica di questo corpo misterioso ha l’aspetto di un sale, ma gli alchimisti ne parlano come di qualcosa che ha a che fare con l’acqua; il Fuoco Segreto apre – per così dire – i corpi. Perciò, si dice che all’interno di quelle due procedure operative generali – la via Secca e la Via umida – occorra preparare, preventivamente, … qualcosa, senza la qual cosa si va a sbattere contro il muro, solidissimo, di Madre Natura. Ciò detto, quella polvere solare, sembra essere consonante – con ogni prudenza possibile, beninteso – con quel qualcosa. A ben vedere, ma prendendola molto alla larga, la condensazione di luce solare all’interno di un contenitore di vetro (chiuso) richiede specchi capaci di concentrare la radiazione in un punto immateriale, generalmente supposto essere al centro del contenitore; già questo è molto difficile, per una serie di ragioni che non starò qui ad enumerare: ma, il punto è che quel ‘punto immateriale’, in cui i raggi solari debbono essere concentrati necessita per forza di cose di una materia, una substantia. Chiaramente l’aria è fatta di corpi, ed i fotoni luminosi possono (meglio: potrebbero?) produrre quella curiosa condensazione dalla materia di cui è permeata l’aria che respiriamo … però, io credo che manchi qualcosa all’artifizio descritto dal furbo abate Montfauçon. Ritengo infatti, che quel sale che potrebbe essere ottenuto con questo apparato, con enormi sforzi tecnici, non sia proprio perfettamente utile alla bisogna dell’alchimista. Cosa manca? … la mia risposta: il Magnes. In Alchimia, ciò che apre i corpi è una sostanza Spirituale, la quale deve poggiare su una substantia materiale; ma precisa, adatta alla bisogna alchemica allestita dall’alchimista; chiarisco subito, a scanso di equivoci barbini, che il Magnes alchemico nulla ha a che fare con il magnetismo della Fisica. Proprio nulla. Fra l’altro, Herr Georg von Welling, nel 1760 scrisse:

Non possiamo fare a meno di dire che il Conte de Gabalis doveva esser stato un pessimo Filosofo: sentiva battere, ma non capiva il suono[8], altrimenti non avrebbe scritto a lungo sul modo di concentrare la rossa Polvere Solare in un globo di vetro, facendo sì che qualcun altro si impegnasse a raccogliere questo rosso Zolfo dei Saggi maschile; probabilmente sta dicendo qualcosa di quel che può accadere con il globo di vetro: non dice niente del ‘magnetischen Vehiculo’, per cui vogliamo tacere.’.”

[Georg von Welling, Opus Magus-Cabbalisticum et theosophicum: darinnen der Ursprung, Natur, Eigenschaften und Gebrauch des Saltzes, Schwefels und Mercurii, in dreyen Theilen beschrieben … – 1760, p. 484]

Tuttavia, la segnalazione – pur incompleta – dell’Abate guascone è interessante e suggestiva: la radiazione di Lux è la protagonista unica ed indiscussa del fenomeno fisico-alchemico del Magnes, la cui Causa va indagata come una peculiarità di uno stato della Materia, colta, per dirla con Philalethe, “nell’ora della sua nascita”; questa peculiarità, ignorata ed estremamente nascosta, dà conto di quella misteriosa proprietà della materia nel corpo acconcio (il Magnes): l’attrazione dello Spirito Universale di cui ogni buon autore ha parlato; tale attrazione, lo ripeto, nulla ha a che fare con il fenomeno del magnetismo ben conosciuto da tutti.

Chi volesse approfondire, troverà nell’Introitus Apertus di Philalethe (al Cap. IV, figlio del III) pan-per-i-denti!


[1]Le démon est trop malheureux et trop faible pour avoir jamais eu le plaisir de se faire adorer.”.

[2] In realtà si tratta di un patente falso: la Chiave del gabinetto Ermetico del Cavaglier Gioseppe Francesco Borri Milanese “dedicata da un anonimo al preteso autore con una lettera feroce nella quale lo chiama ‘Il Cristo Falso’, ‘l’alchimista truffiere’, ‘il coglionatore de’ curiosi’”, fu elaborato da Girolamo Arconati Lamberti (ca. 1645-1733), un altro libertino. Va detto, che, in questo falso, il passo a proposito del “…concentrare il fuoco del mondo …” è assente dalle supposte Lettere di Borri.

[3] In Alchimique Mémoires.

[4] Scritto nel 1892 e pubblicato nel 1893. La Regina Pièd’Oca è un personaggio ben noto in Francia, nato probabilmente in Borgogna, e deve il suo nome alla curiosa rappresentazione della sua gamba (generalmente la sinistra) dove in molte gravures e statue (purtroppo distrutte durante la Rivoluzione) la Reine mostrava un piede palmato!… ciò sarebbe stato dovuto al fatto che nel Mito popolare questa donna fosse legata all’acqua.

[5] Lo riferisce Victor-Émile Michelet in Les compagnons de la Hiérophanie, 1937; d’altro canto è lo stesso Anatole France che, in un suo articolo pubblicato nella Revue Illustrée del 15 Febbraio 1890, racconta di una lunga conversazione con Papus (Docteur Gérard Encausse); France – scettico e razionalista – era però incuriosito dal ‘domaine d’Hermès’; non approfondì molto la ricerca, però ‘… il en rapporta quelque chose. C’est alors que la lecture du Comte de Cabalis [sic] lui suggéra La Rôtisserie de la Reine Pédauque. Mais si cet agréable roman est d’une jolie littérature, il n’a pas la portée de celui de l’abbé de Villars.’ [da L’Initiation, n° 1, 1960].

[6] In La Tourbe des Philosophes, n° 14, 1981.

[7] L’indicazione della stamperia ‘Pickard’ (Londra) è ovviamente fittizia: si trattava in realtà della stamperia di proprietà del Principe, che già era stata utilizzata per altre sue pubblicazioni. Quanto alla traduttrice indicata come una ‘Dama Italiana’, vi sono alcune ipotesi sul suo nome (Maria Angela Ardinghelli?), ma potrebbe anche esser stato uno stratagemma per nascondere in realtà il Principe stesso. Il volume include la traduzione da parte dell’Abate Antonio Conti de ‘Il Riccio Rapito’ di Alexander Pope (The rape of the Lock – 1714) – il quale si era dichiaratamente ispirato a Montfauçon per raccontare le relazioni amorose ed erotiche tra spiriti elementali e gli esseri umani -, e l’enorme successo dell’opera di Pope aveva a sua volta generato un rinnovato interesse per Le Comte de Gabalis, ripubblicato più volte ed adattato in seguito per compiacere il pubblico femminile di lingua inglese; si può ipotizzare che il Principe abbia voluto prendere tre-piccioni-con-una-fava: ammiccare all’attire femminile della materia ‘salamandrica’ (corredata da Silfidi, Gnomi e genietti), portare alla luce l’imprinting apparentemente Rosacruciano del testo, e segnalare allo stesso tempo un’opera dai contenuti da lui reputati interessanti (il ‘Sistema’ di de Villars). I due testi (francese ed inglese) arrivarono al Principe da Venezia, tramite l’Ambasciatore d’Inghilterra, sir Robert Darcy, 4th Earl of Holderness,.

[8] Figurativamente: … che, pur sentendo le campane suonare, non coglieva il suono dell’ora (o non distingueva che ora fosse).

… come si fa?

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie with tags , , , , , on Tuesday, November 22, 2022 by Captain NEMO

Oltre a qualche commento, ricevo talvolta delle bizzarre richieste, del tipo: “… servono i libri, in Alchimia?”, “… ma devo imparare il Latino per studiare Alchimia?”, e potrei continuare … ma ve le risparmio.

Normalmente non rispondo, perché tutte hanno lo stesso sapore della trita, noiosa, domanda retorica: “… perché sei un Ribelle?” … come se un Ribelle dovesse ancora spiegare che ogni Impero non supporta, né sopporta, Libertà … Mah … tra Star Trek e Star Wars ho scelto Star Wars … credo perché mi divertiva molto di più. Il che è naturalmente opinabile per chi fosse invece appassionato delle straordinarie avventure del Captain Kirk & C. nel corso dei propri viaggi ‘to boldly go where no man has gone before’. Ognuno va dove vuole, no? Fossero questi i problemi …

Però, visto che qualcuno addirittura mi manda messaggi per ‘scambiare&condividere’, ‘indizi’, ‘consigli’, ‘riflessioni’, ‘info’, ‘suggerimenti’ d’Alchimia sui Social[1], mi cimenterò in questo arduo compito, riassumibile – credo – in quest’altra eterna domanda:

Serve studiare?”.

La domanda è talmente cretina che la sua ovvia risposta (“Sì!“) viene sempre recepita con espressioni di meraviglia, miracolo, stupore, lacrime agli occhi, e ‘oh, … grazie Capitano, grazie … che cosa meravigliosa ci ha detto!”. Alla mia età, non posso far altro che eclissarmi, il più velocemente ed invisibilmente possibile. Se infatti, alla mia età, è ancora comprensibile tentare di spiegar in poche parole quale sia lo scopo dell’Alchimia (… facile non è, direbbe Yoda), davvero avverto una certa stanchezza a dover replicare che “Ovviamente, come per qualsiasi cosa, se non studi, mai potrai avere l’opportunità di imparare a Conoscere. Exempli gratia, … come avrebbe mai potuto un medico prima e omeopata poi, riuscire ad escogitare una cura del tutto Naturale con diluizioni oltre la soglia dell’immaginabile, per di più efficace? Se non si fosse chinato sui testi astrusi del fondatore, scritti dal germanico padre di quella medicina, da tutti rigettata, con Amore e passione e sorriso sempre sincero … per anni … tu ancora ti chiedi se ‘serve studiare’?”. Lo so, pare una sviolinata; ma una buona volta, “Reddite ergo, quæ sunt Cæsaris, Cæsari et, quæ sunt Dei, Deo” … Poffarbacco!

Però, però … proverò a rispondere alla domanda cretina, magari argomentandola un tantino; proverò dunque a partire da una linea, una linea di confine.

L’Ignoranza di tutti noi umani è di proporzioni realmente Universali: non c’è aggettivo che la riesca a qualificare, che sia capace di smuovere l’inane erede dei Sapiens dalla sua postura di dominio, di sicumera, di potere, di controllo. Racconto sempre che la primissima questione – davvero la primissima – che Paolo volle affrontare quando ci incontrammo nel suo Studio (seduti per terra, tolte le scarpe; non ci eravamo mai incontrati) fu l’origine della nostra razza: “L’Umanità è il frutto di un terribile errore genetico, siamo il risultato di un esperimento mal riuscito.”, esordì. Punto.

Ricordo che concordai, un po’ sorpreso che non mi chiedesse delle mie letture o dei miei studi in Alchimia, o di Fisica, di libri e di ipotesi: risposi che avevo letto e studiato il racconto della Creazione Sumera (scoprii che avevamo la stessa identica edizione, quella di Oxford) e che ero rimasto stupefatto che nessuno ne avesse tratto una qualche conseguenza, se non altro a livello filosofico. “Lo so. L’Uomo è condannato al nulla. Siamo pericolosi, e – soprattutto – del tutto inutili al processo della Creazione generale, quella dell’Universo, quella della Materia.”. Ri-punto. E qui mi fermo.

Ora, per tentare di dare la mia personale risposta (meglio opinione?) sulla domanda “I libri servono in Alchimia?”, v’è necessità (Teorema di Gödel) di impostare un Assioma, basato su quella linea di confine[2]:

Nessuna Esperienza è fonte di Conoscenza in assenza di una precedente Teoria.

Come in qualsivoglia Dottrina, di qualsivoglia natura e complessità, pensare di iniziare a praticare Alchimia senza PRIMA aver studiato – a lungo e molto in profondità – è un’ovvia stupidaggine; dovrebbe esser lapalissiano, ma la domanda, pur cretina, alligna dentro ognuno di noi. I motivi per i quali ‘alligna’ sono grosso-modo i seguenti:

  1. la letteratura alchemica è, numericamente parlando, sterminata;
  2. gli scritti sono originati in diverse culture e lungo un arco di tempo molto, molto lungo;
  3. la nostra civiltà, specie dopo l’Illuminismo, ha creato scuole/gruppi di pensiero che interpretano la Dottrina Alchemica secondo canoni e posture di comodo, e generalmente di parte;
  4. per secoli, l’Alchimia è stata manomessa nella sua diffusione culturale, a causa di interpreti che hanno tentato di piegarla al proprio credo personale e/o di scuola;
  5. per secoli, l’Alchimia è stata molto spesso sbeffeggiata, criticata, come una Chimera per i creduloni.

Nei fatti, è davvero molto difficile avventurarsi nello Studio dei testi alchemici; eppure, nessun suonatore d’Oboe potrebbe mai suonare il suo amato strumento se PRIMA non avesse studiato – a lungo e molto in profondità – i testi (e non pochi, ça-va-sans-dire); nessun medico potrebbe mai prendersi una ‘Laura’ se non dopo un percorso di studio su testi complessi, difficili e – in molti casi – assolutamente obbligatori; nessun marinaio potrebbe mai pretendere di comandare una petroliera se non avesse studiato il ‘come si fa‘ a navigare in ogni possibile legato e declinazione.  Per cui – pur in presenza delle ragioni sopra esposte – chi ritenesse di voler iniziare a ‘metter le mani in pasta’ (alchemica), come si suol dire, non solo perderebbe il suo tempo, ma avrebbe fortissime probabilità di illudersi di esser approdato al senso ed alla misura dell’Alchimia vera. Amiamo l’illusione, e detestiamo faticare.

Detto ciò, occorre tuttavia rendersi conto del compito enormemente complesso, lungo, difficile che si intraprende una volta che si decidesse di avvicinarsi allo Studio della Materia Alchemica; per non parlare, poi, dell’eventuale approfondimento, ancor più complesso, lungo, difficile; va da sé che questo approfondimento può aver un solido senso soltanto a condizione che l’impresa iniziale (l’intraprendenza) sia stata per lo meno oltre-la-media, ed al contempo accompagnata da una buona dose di Fortuna (la bella e sfuggente Signora con la Voile). Già qualcuno sbotta: “Ohibò…”.

All’interno di questo lungo percorso di studio, assiduo, l’intraprendente Neofita deve subito rendersi conto che:

nella letteratura alchemica, per le ragioni sopra elencate, esistono testi ‘buoni’ e testi ‘non buoni’ (che chiamerò ‘ciarpame’)[3]; come distinguerli? … risposta semplice: magari studiando anche un po’ di Storia dell’Alchimia, e studiando in ogni caso un numero altissimo di autori; nel corso dello studio emergeranno patenti assurdità, incongruenze, falsità, ipotesi, scenari, e via dicendo. Magari, consultando chi fosse un po’ più avanti nel cammino di Studio, che potrà fornire il suo consiglio, il suo parere (da prendere, in ogni caso, sempre cum grano salis); chi cerca e studia (e poi praticherà, eventualmente) deve rendersi conto che Alchimia si studia e si fa … completamente ‘da soli’; in termini marinareschi, si tratta esattamente di una ‘traversata in solitario’, enormemente lunga. Ars longa, vita brevis. Da Marinaio, avverto comunque che nessuna traversata al mondo (e pure in altri mondi) può mai essere intrapresa in mancanza di un’accuratissima progettazione, preparazione, e – soprattutto – allestita e percorsa con assidua passione e tenacia. Non è uno svago, un elegante hobby, non è roba da intellettuali; si tratta di Amor, quello che move il Sol è l’altre Stelle; quell’Amor che nello Specchio di Alice si legge Forza. Se poi qualcuno lo facesse per acquistar ‘prestige’, o altre emerite prebende, per essere ammessi e poi sedere in qualche salotto o gruppo o setta … si accomodi; il mondo ne è sempre stato pieno, ne è ancora pieno, ne sarà ancora pieno. Chi ha viaggiato in solitario, peraltro, li riconosce al volo … e li lascia discettare sulle loro comode poltrone.

A questo proposito, a maggior ragione, avverto il Neofita di mai fidarsi di chi dicesse di esser il … possessore della bussola, quella segreta, quella santa e canonica, quella benedetta, quella trasmessa … e via dicendo. Se c’è una cosa che è letale alla Queste alchemica, è proprio l’ammantarsi di ‘chiacchere & distintivo’.

Il Ribelle è tale per il fatto che è libero[4], e che proprio non sopporta le prigioni dell’Impero.

Un altro buon consiglio è di metter mano alla distruzione totale delle nostre/vostre credenze, delle trovate e ritrovamenti della scienza (in minuscolo) odierna, dell’ermetismo da sofisticata vetrina che troverete in tutti i migliori supermercati esoterici, e via dicendo: la Conoscenza che abbiamo di Madre Natura NON corrisponde alla incredibile semplicità di Madre Natura, Madre della Creazione, di ogni cosa, di tutti noi. Riprendete in mano i buoni testi di Aristotele, Platone, Plotino, Parmenide, Empedocle, Filone et alia, conditeli della Sapienza Islamica antica: aiuterà, e non poco… andate a ritroso, perché – è solo la mia povera convinzione, beninteso – Alchimia NON è di questa Terra; a ben guardare (dopo averla almeno studiata per bene), si tratta – forse, eh? – di spezzoni di un’antichissima Scienza (qui in Maiuscolo), estremamente aliena da quella umana; la Logica usata nel cuore della Materia, la logica usata nella Dottrina alchemica, è enormemente diversa dalla logica della razza umana. Lo iato, si avverte, si annusa impalpabilmente da buon inizio, poi, cammina-cammina, il baratro appare in tutto il suo splendore; i nostri antichi Filosofi, forse per qualche mirabile miracolo, ne hanno percepito, ritrovato, rintracciato stralci, pezzi, costituenti, particelle; e nella nostra antichità nacque la Philosophia Naturalis, che è la Teoria, (il Modello, diremmo noi con il linguaggio odierno) della Dottrina d’Alchimia, che ne è l’espressione sperimentale, pratica, manuale.

Poi, c’è il problema del linguaggio utilizzato dagli autori dei testi; qui intendo parlare non tanto della consueta modalità allegorica (Fulcanelli et alia docent) e della intricata simbologia, quanto proprio degli usi del parlar e dello scrivere impiegati dagli autori nel corso dei secoli; pretendere di intendere un passo scritto nel ‘500, nel ‘600, secondo le convenzioni logiche, culturali, intellettuali del ‘900 … significa condannare la traversata ad arrivare ad un porto finto (sì, c’è Portofino, e Portofinto!). Così, si insinua la seconda domanda, sempre sussurrata, le sopracciglia inarcate, il volto stupito, come qualcosa che si vorrebbe proprio evitare: “… ma … ma … debbo imparare pure il Latino? … il Francese?”.

La risposta sta nell’ultra famosa affermazione di Eugène Canseliet: “Traduttore, traditore”. Prima di entrar nello specifico, occorre ricordare che il nostro ‘tradurre’ viene da ‘traducere’, con il senso di ‘far passare, condurre fuori da’, mentre il nostro ‘tradire’ viene da ‘tradere’, per ‘consegnare, mettere qualcosa in mano a qualcuno’. Se il ‘qui me traditurus est’ punta dritto a Giuda, ‘tradere’, d’altra parte, ha dato ‘tradizione’: due significati opposti, dal medesimo etimo.

In Alchimia, nello studio di un buon testo alchemico, è di fatto inevitabile confrontarsi con una ‘traduzione’; e per rendersi conto se la traduzione che leggiamo, che studiamo, sia ‘buona’ o meno, l’unica soluzione possibile è quella di andarsi a leggere il testo nella sua lingua originale; ergo, conoscere il Latino, o il Francese, o l’Inglese, o il Tedesco è a mio avviso decisamente utile, se non talvolta necessario; altrimenti si corre il rischio di venir spesso condotti fuori strada, specie in Alchimia, dove la terminologia bizzarra, l’allegoria, l’allusione, l’ammiccamento degli autori, tanto più quando sono accreditati come ‘buoni’, è di prammatica. Lo so, nessuno ha più voglia di addirittura riprendere in mano una lingua, morta o straniera che sia. Eppure … sarebbe un vantaggio. Altrimenti, occorre fidarsi del traduttore; sono davvero pochi quelli attenti, specie in Alchimia; consiglio sempre di andare a verificare, se e quando possibile, una buona versione originale (anche trovare una ‘buona’ edizione in lingua originale è molto spesso cosa difficile; anche gli editori si prendono innumerevoli libertà: l’Alchimia del ‘600, per esempio, è piena di testi di ottimo valore dottrinale, resi e interpretati però dall’esperto di turno all’epoca: anche in questo caso, si cade dalla padella nella brace). Si dice infatti che un traduttore di un testo alchemico DEVE conoscere molto bene l’Alchimia: solo così il lettore eviterà di leggersi panzane, prendendo purtroppo per buona l’interpretazione del traduttore in-experito. Apro una ‘parente’, come diceva Totò, per dire che mi auguro che le mie stesse traduzioni siano confrontate con l’edizione originale: io stesso cerco naturalmente di ‘far passare’, di ‘condurre fuori’ dal testo dell’autore il miglior termine, il miglior periodo possibile; ma si tratta pur sempre della mia lectio, ed io non sono portatore di un Vangelo alchemico. Ovviamente cerco sempre di riflettere quando traduco qualcosa, sia perché debbo rispondere alle regole della Tradizione alchemica, sia perché il sottile errore di interpretazione è sempre in agguato. Personalmente, memore del monito di Canseliet, cerco sempre di ‘mettere, consegnare nelle mani’ del lettore qualcosa di ‘buono’, con il senso di ‘tradizionale’; si dovrebbe quindi meglio dire che “Un buon traduttore deve essere un buon traditore”, lasciando a voi tutti la imprescindibile libertà di interpretare la frase in un senso, … o in un altro.

In ogni caso, il mio consiglio è che i libri d’Alchimia sono indispensabili, e che vanno studiati più, e più, e più volte; ma che almeno siano ‘buoni’ è importante, se non volete affogare nel ciarpame. Evitate come la peste i venditori di bussole, di sogni, di ermetici azzeccagarbugli, e quant’altro, di cui il mondo è pieno persino oggigiorno. Non lasciatevi affascinare da nessuno, e lasciatevi affascinare dalla Dama. Abbiate il coraggio di mettervi in cammino da soli, certi che esso sarà lunghissimo, estremamente impegnativo, enormemente complesso, consumante. Vi dovrete spaccar-la-testa, per decenni e decenni: … altrimenti, ditemi, come farete a gettarla via?

E magari, forse un giorno, avrete la ventura di incontrare un vostro consimile; un ribelle, solitario, seduto sotto la sua bella Quercia, a contemplare le nuvole che scorrono in Cielo. Giudicherete voi il da farsi, con il Cuore, non con l’ingannevole testa.

Chiudo con Proust:

Le seul véritable voyage, le seul bain de Jouvence, ce ne serait pas d’aller vers de nouveaux paysages, mais d’avoir d’autres yeux, de voir l’univers avec les yeux d’un autre, de cent autres, de voir les cent univers que chacun d’eux voit, que chacun d’eux est.

[À la recherche du temps perdu – La Prisonnière]


[1] Quando qualcuno pronuncia quel termine, rispondo sempre che si dovrebbe dire ‘Socials’, visto che l’aggettivo quando viene usato come sostantivo richiede il plurale, sia in Italiano che in Inglese; e che al limite, sarebbe più appropriato dire almeno ‘Social Media’, visto che il sostantivo ‘Media’ è di per sé plurale. Funziona sempre, ed io posso sgattaiolare più facilmente …

[2] Questa locuzione, che uso spesso quando tento di spiegare a che cosa possa servire Alchimia, ha proprio i connotati di un luogo, un locus; dove tutto avviene, dove si avvia ogni moto; lì, tra il ‘di qua’ e il ‘di là’ – entrambi fisici spazi, coesistenti e coincidenti, sebbene costituiti di Materie con funzioni diverse – esiste una zona non visibile, non riportata su alcuna mappa, dove avviene la transizione dal continuo al discontinuo e viceversa, in qualsivoglia Universo. Esattamente in quella zona, in quell’estensione minuscola di spazio, ma di estensione immensa quanto l’Universo stesso, entrano e escono le ‘cose’, e soffia lo Spirito della Vita di quelle ‘cose’. Senza interruzione alcuna. In silenzio, ma nella Lux, senza alcun clamore, eternamente, perché il tempo non ha lì alcuna utilità o necessità di sorta. In quella zona, prende residenza in un batter di ciglia quella Sostanza Universale che tutto anima e tutto permea, e poi s’en va; lì, verso quella zona, gli alchimisti fanno rotta con i propri piccoli, fragili crogioli, i loro nascosti Vaisseaux. Marinai invisibili, innamorati, orientano le loro materie, guidati dalla provvida Stella. Importante è l’esser Consapevoli di quanto Amor Madre Natura permea Creazione; così in alto, così in basso.

[3] Queste opposte qualità si trovano, naturalmente, in qualsivoglia Dottrina: per parlar chiaro, anche in Fisica vige la medesima ventura; ed è naturalmente ben più facile essere a-critici e buttar giù un testo dotto, di caratura approvata dal consensus, freddo, monotòno, e nozionistico, piuttosto che darsi da fare per reperire e studiare – magari in un’altra lingua – altri testi universitari, più ricchi, più argomentati, con visioni e proposte ed idee plurali, e quindi ancor più complessi e difficili. In genere, il motivo di questa attitudine (meglio abitudine?) a deglutire ciò che ti passa la mensa-del-convento è quello di far ‘contento’ l’insigne professore, alla ricerca del “voto” più che del proprio “conoscere”.

[4] … E giù a parlar di Libertas, la mia, la tua, la loro, quella del Cielo, quella dell’Inferno (Sauron docet, no?). Dibattiti e tenzoni e citazioni a-più-non-posso, da secoli. … Non sarà che più che discettare di Libertà a colpi di intelletto per potersi dire “ho ragione io”, o di indossare abiti e sfoggiar stemmi, o di scegliere un ‘partito’ o un altro, basta Essere ciò che il Cielo soltanto può ‘animare’? Dimenticavo: ‘partito’ presuppone una ‘separazione’ … e che ci facciamo con i ‘rispettabili’ altri, quei diversamente pensanti? … ἓν τὸ πᾶν non è uno slogan, sapete? Se vi dicessero un giorno che devi separare il Mercurio dallo Zolfo o versavice, fatevi dire ‘come si fa’; perché chissà, … un giorno, ove mai il vento di Fortuna spirasse là dove vuol spirare, potreste scoprire che quei due Principia sono le maschere di un’unica ‘cosa’, e che – essi due – sanno essere liberamente identici … ah, i meravigliosi panorami d’Alchimia!

Bourges – Hôtel Lallemant, le due Colonne

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Saturday, November 5, 2022 by Captain NEMO

Riprendo il piccolo viaggio all’interno della Chapelle/Oratoire dell’Hôtel Lallemant: alla metà esatta della sua lunghezza si trovano due colonne, due piloni, due montanti, l’uno di fronte all’altro.

La loro posizione – a dividere esattamente i 30 Cassoni in due serie di 3×5 – evoca il punto, il momento dell’Equilibrio, una sorta di bilancia, e dunque un perno del lavoro: sia esso letto in modo architettonico/estetico, sia in modo alchemico/operativo, un perno è generalmente considerato un elemento di “capitale” importanza, come i due diversi capitelli che sormontano i due piloni; paiono speculari, ma un araldista li canterebbe ‘affrontati’…

Prima di iniziare, credo valga la pena notare che l’etimo del Latino ‘columna’ proviene da ‘còlumen’, ‘cùlmen’, ad indicare il culmine, la parte ‘più alta’ di qualcosa (in questo caso, architettonicamente parlando, il soffitto della piccola stanza); significativamente, il termine è legato alla radice ‘Kal’ (sanscrito ‘c’arami’), per ‘muovere’, ‘porre in movimento’, ‘spingere’; da cui deriva anche il termine Latino ‘cèllere’ per ‘muoversi’, che a sua volta genera ‘ex-cèllere’ per ‘sovrastare’, ed anche ‘celsus’, per ‘alto’, ‘sublime’; la radice sanscrita simile ‘çal çval’ indica anch’essa ‘muoversi’, con il senso di ‘alzarsi’, ‘muoversi verso l’alto’.

Con questi significati ben fissati in mente, vediamo di che si tratta, e leggiamo Fulcanelli nei due passi de Il Mistero delle Cattedrali, nell’ottima traduzione di Paolo Lucarelli:

… deux piliers carrés accotés aux murs et creusés sur leur face de quatre cannelures.”.

… due pilastri quadrati appoggiati al muro, con quattro scanalature scolpite di fronte.

[Fulcanelli, MdC – p. 285]

La Colonna di destra:

Quello di destra, rivolto verso l’unica finestra che illumina questa piccola stanza, porta tra le volute un cranio umano posto su una mensola di foglie di quercia, dotato di due ali. Traduzione espressiva di una nuova generazione, nata da quella putrefazione consecutiva alla morte che avviene nei misti quando hanno perso l’nima vitale e volatile. La morte del corpo lascia apparire un colore azzurro scuro o nero, tipico del Corvo, geroglifico del caput mortuum dell’Opera. È il segno e la prima manifestazione della dissoluzione, della separazione degli elementi e della futura generazione dello zolfo, principio colorante e fisso dei metalli. Le due ali sono state poste per insegnare che, con l’abbandono della parte volatile e acquosa, si realizza la dislocazione delle parti, e la coesione è spezzata. Il corpo, mortificato, cade in cenere nera, dall’aspetto di polvere di carbone. Poi, sotto l’azione del fuoco intrinseco sviluppato da questa disgregazione, la cenere, calcinata, abbandona le proprie impurità grossolane e combustibili. Nasce allora un sale puro, che la cottura colora poco a poco e riveste dell’occulta potenza del fuoco.”.

[Fulcanelli, MdC – p. 285-6]

Questo passaggio magnifico non necessita di alcun commento; da solo, basta e avanza per la perfetta comprensione prima e la giusta direzione dei lavori di Laboratorio poi. La putrefazione è la chiave di volta della nuova generazione; e quel teschio, quel cranio, oltre al suo aspetto apparentemente lugubre, o al suo simbolismo ermetico (a mio umile avviso spesso oggi troppo appesantito da simbolismi e significati un tantino fuorvianti che mancano di Lumière in chi li propone ai neofiti), è posto proprio al culmine dell’elaborato capitello. A proposito della Lux e di quel cranio che troviamo in moltissime opere letterarie, in sculture e dipinti, trovo divertenti un altro paio di innocui – ohibò – passaggi, tratti da uno scritto di Grasset d’Orcet, che Canseliet indicò come un ispiratore della Cabala Fonetica proposta da Fulcanelli; nel primo, l’eruditissimo personaggio parla dell’antica scienza dei costruttori (maçonnerie) [1]:

“… dal filo a piombo e dal cranio (crâne [2]), insegna, tanto presso gli antichi come i moderni, del grado di maestro o terzo grado, rappresentato sulla colonna Greco-druidica di Cussy dal Chirone greco dalle mani legate. Lo ritroviamo nel Poliphile sotto forma di un unicorno (licorne), ed ho raccolto nelle chiese d’Italia dei campioni di grimorii funebri composti da un giglio (lys) e da un cranio (crâne). In greco, chiron significa prigioniero; la traduzione moderna di licrane è lié à la chair (lié carn in vecchio francese). [3]

[Grasset-d’Orcet, La Preface de Poliphile – 1884, p. 58]
[Colonna, Hypnerotomachia Polyphili – 1727, p. 168-9]

Dopo questa breve escursione nel magico mondo della Langue des Dieux, ritorniamo al punto: come sappiamo, Étienne Lallemant, fratello di Jehan l’aîné e di Jehan le Jeune, si fece preparare il suo Livre des Heures; oltre alle numerose decorazioni con Angelots e Merelles, troviamo – in corrispondenza della parte riservata ai Vespera – due crani, uno dislocato ed uno intero:

Il filatterio recita ‘Memento mori’: il tema è naturalmente famoso, ed è stato usato in centinaia di rappresentazioni d’arte; tra esse vi propongo due curiosità:

[Philippe de Champaigne (sx), Memento Mori, Jean Morin (dx)]

Nel primo dipinto (a sx) si vede un vaso che ospita un tulipano rosso screziato, il Caput Mortuum e una clessidra.

Gli esperti affermano che il meno noto Jean Morin si sia ispirato a questo dipinto per realizzare questa sua incisione (a dx):

Oltre a notare l’inversione della posizione dei due oggetti che fiancheggiano il solito Caput, si vedono due nuovi oggetti: il primo, secondo alcuni esperti, sarebbe un ‘… costoso, segnatempo d’oro lavorato in modo intricato’.

Può essere, … però è curiosa la posizione delle supposte lancette (segna le 9:15 o le 14:45), no? … e se invece fosse una bussola, orientata verso il Caput? … Chissà. Il tulipano è stato qui sostituito da due rose, una in boccio (?), l’altra in fioritura ormai completa; sembra però che i due fiori, con un petalo caduto, indichino che il Caput ed i fiori siano tra essi legati, somehow; il testo sottostante recita ‘Quid terra cinisque superbis, Hora fugit, marcescit Honor; Mors imminet atra.’. Un alchimista potrebbe sorridere, un po’ come sembra fare quel crâne, … terra, cenere, e la nera morte (che, in questo caso non è la Morte Nera di Star Wars, che si chiamava Death Star!! … però, pochi sanno che nella serie le Death Star sono due …).

Prima di proseguire, segnalo al lettore curioso – gli Inglesi del ‘600 lo chiamavano il ‘Candid Reader’ – una piccola coincidenza: ecco come Charles Lutwidge Dodgson (aka Lewis Carrol) fece illustrare da John Tenniel il passaggio di Alice attraverso lo specchio:

[Lewis Carrol, Through the Looking-Glass – 1871]

Non trovate un po’ bizzarro che le due illustrazioni mostrino sulla mensola … proprio un orologio ed un vaso di vetro con dei fiori … ??? Come tutti sanno, uno Specchio provoca l’inversione, ed il soggetto centrale è Alice; continuando il gioco tutto eretico, pare che Alice derivi il proprio nomen dal sostantivo omonimo, che è naturalmente il pesciolino: la radice greca è Alikè (‘mare’), che a sua volta viene – anche questo lo san tutti – da ‘Als’, che è … ‘Sal‘; nell’Alto Germanico antico l’etimo è ‘Adalhaid’, che significa letteralmente ‘nobiltà’, ‘di nobile rango’: … un nobile sal … Mah!

Mi rendo naturalmente conto che il tutto ha il sapore di una vera follia, eppure … direbbe qualcuno. Solo un pazzo potrebbe immaginare che un sale possa mai provocare un’inversione (allegra, peraltro: … viste le facce sberleffe dell’orologio e del vaso al di là dello specchio?), servendosi di un teschio o di uno specchio, no? … quindi mi fermo qui, e chiedo a tutti scusa per aver impersonato, anche sol per un attimo, la maschera del povero Fou.

Proseguiamo; ecco qui un altro gioco grafico, dell’incisore fiammingo Cornelis Galle, il giovane:

Qui l’alchimista, oltre alla famosa frase, trova molto pane per i suoi denti: il titolo è ‘EXITUS ACTA PROBAT’, e il Caput dislocato, ma ‘laureato’ sfoggia una clessidra alata, poggiato su un libro chiuso da cui sembrano fuoriuscire due trompettesintralciate’, ma che emettono due fumi, attorniato da una pletora di paraphernalia [a destra, si vede il ‘vaso di vetro’ con le due rose di Jean Morin (sua moglie era fiamminga di nascita)]. Il titolo (che proviene dall’Ars Amatoria di Ovidio) viene generalmente tradotto come ‘Il fine giustifica i mezzi’, ma siccome tutto ciò di cui sto qui parlando ha in realtà un senso positivo, luminoso, e non cupo o tombale, preferisco immaginare che si legga come ‘Il risultato prova le azioni’ … compiute per raggiungere quel risultato. Dimenticavo: Clessidra viene dal greco Klepsydra, … da Kleptò e Ydor/Ydro, vale a dire ‘sottraggo/rubo acqua’.

La Colonna di sinistra:

Il capitello di sinistra mostra un vaso decorativo sulla cui bocca poggiano due delfini. Un fiore, che sembra uscire dal vaso, sboccia con una forma che ricorda quella dei gigli araldici. Tutti questi simboli ai riferiscono al dissolvente, o mercurio comune dei Filosofi, principio contrario allo zolfo, di cui abbiamo già visto l’elaborazione emblematica sull’altro capitello.”.

[MdC – p. 286]

Paolo traduce il francese ’flanquée’ usando il verbo ‘poggiare’; il termine si potrebbe anche tradurre come ‘fiancheggiata’, dato che è riferito alla ‘bocca’ del vaso; in questa lettura, il verbo indicherebbe anche una sorta di ‘aiuto’, con il senso di ‘aiuto protettivo’. Poi, oltre alle ragioni estetiche, ci si potrebbe chiedere perché lo scultore abbia raffigurato proprio dei delfini. Oltre ad essere un pesce, un Dauphin è il figlio primogenito di un Roi, di un re; la scultura mostra due Dauphins, i quali sono ‘poggiati’ o ‘fiancheggiano’ la bocca del vaso, e paiono piuttosto legati/interessati al fleur che sorge con la forma di un Lys, il Giglio di Francia; il fleur-de-lys appartiene alla famiglia degli Iris, che assomiglia (ma non lo è, propriamente parlando) al Giglio. Sarebbe oltremodo lungo parlare dell’origine del fleur-de-lys nella storia di Francia, ma l’histoire parla di un vecchio eremita che ricevette un drappo blu ornato di tre Lys-d’or da parte di un angelo, che l’eremita a sua volta donò a Clovis, che lo adottò come la sua Arma araldica: il nomen Lys deriverebbe da quello del fiume che attraversava la regione (che poi venne chiamata Flander, la Fiandra) nella quale si erano stabilite le prime tribù Franche, prima che entrassero nella Gallia.

Le armi di Francia e Provenza sono dunque: Azure, 3 fleur-de-lis or (dal 1376)

A questo punto, leggiamo il celebre e caritatevole passo di Eugène Canseliet:

“Quanto al fleur de lys, esso è il simbolo dell’art royal per eccellenza, perché mostra, nel suo mezzo, la punta che fa scaturire l’onda viva e pura dalla roccia. Al primo capitolo delle sue Mémoires, particolarmente impregnate dell’ermetismo che ne ha tessuto la trama e che traspare chiaramente, Frédéric Mistral fece questa interessante considerazione:

«Si deve anche ritenere che i fleurs de lis d’oro, armi di Francia e di Provenza, che brillavano su campo d‘azzurro, non fossero che fleurs de glais (gladiolo): “fleur de lis“ (fiordaliso) viene da “fleur d’iris” perché il gladiolo è un iris, e l’azzurro del blasone rappresenta bene l’acqua dove cresce le glais.».

Il félibre conferma dunque l’idea dell’acqua e del mercurio, che suscita il fleur de lys, e che sostiene, dal punto di vista della cabala, la fonte fonetica e iniziale: Glai e glaïeul (Gladiolo). Vocaboli che incontestabilmente provengono dal greco γλαιόϛ, glaios, eolico, per γλοιός, gloios, humeur visqueuse, boue (fango). Troviamo, nell’antico francese, il sostantivo glaie, che designa la boue (il fango).

Evidentemente, l’etimologia latina che scelsero i celebri lessicografi Emile Littré, Auguste Brachet  e Jean Scheler, è valida:

Gladius, gladiolus – glaive o spada, piccolo gladio o piccola spada.

Le due cabale, greca e latina, si completano per spiegare compiutamente il simbolismo del fleur de lys.”

[Eugène Canseliet, Due Luoghi Alchemici, pp. 135-6]

Come Paolo avverte nella relativa nota a piè di pagina, il gioco cabalistico e fonetico qui proposto deve essere ben ponderato.

Ora che la vicinanza tra il Gladiolus/piccola spada ed il Giglio/fleur-de-lys è stata stabilita, ricordando che per Grasset d’Orcet il giglio in Licarne significa ‘lié’, cioè ‘legato’, e che forse il tutto pare legato al termine ‘Lumière’, l’apparente confusione dovrebbe essere più chiara; e come non ricordare anche il famoso Lilium che cresce nelle ‘convalli’ (qui)? Philalethe, con perfida onestà, ne ha parlato bene in qualche sua opera; e Fulcanelli sottolinea che la forma del fiore che sboccia su questo capitello ricorda, per l’appunto, quella dei lis héraldiques.

L’héraut … annuncia.

Dobbiamo adesso concludere questo piccolo studio su questo punto-d’Equilibrio del soffitto della Chapelle/Oratoire dell’Hôtel Lallemant; ancora una volta, Fulcanelli stimola l’attenzione dello studente-studioso:

Alla base di questi due sostegni, una larga corona di foglie di quercia, attraversata da una fascia decorata con le stesse foglie, riproduce il segno grafico che corrisponde, nell’arte spagirica, al nome volgare del soggetto. Corona e capitello realizzano così il simbolo completo della materia prima, il globo che si rappresenta in mano a Dio. a Gesù e a qualche grande sovrano.”.

[MdC – p. 286]

et voilà, les jeux sont faits!

Come è di regola, nella letteratura alchemica ciò che è messo troppo in chiaro è in genere un piccolo inganno … se il ‘segno grafico’ spagirico è ovviamente quello del Salnitro, chi avesse ben compreso da dove Fulcanelli è partito e dove va a parare (in termini di Arte Alchemica e di Philosophia Naturalis) ricorderà che spesso si parla di “Una Res, Una Via, Una Dispositione;

ergo, … temo che di altro SAL qui si parli.

Alla prossima, Dames et Messieurs !


[1] Sarebbe estremamente lungo esporre il punto di vista di Grasset d’Orcet a proposito della maçonnerie; a suo modo di vedere la ‘scienza dei costruttori’ era di esclusiva origine Greca, Come si sa, l’erudito era un rigidissimo sostenitore del ruolo dell’antico idioma dei Galli, il Gaultique (derivato dal Greco, ma declinato, letto e parlato secondo le antique lingue Occitane, Provenzali, Piccarde, etc.). e il Poliphile è “… così come lo indica il suo titolo, la grammatica o il grimorio di San Gilpin (la grammaire o le grimoire des disciples de saint Gilpin), o, più esplicitamente, la grammatica di San Jean Glypant.” San Giovanni viene qui detto ‘Glifante’ perché ‘incide’, ‘segna’, ma con l’intento di ‘rappresentare’, come un ‘glifo su una pietra preziosa’. L’Apocalisse, viene vista da Grasset d’Orcet come ‘un trattato di glittica cristiana in lingua greca’; ed i ‘Gilpins’ consideravano san Giovanni (nella sua funzione di ‘Glifante’) come il ‘loro antenato e d il loro fondatore’. Il perno fondante di tutte le confraternite di costruttori antichi (secondo l’eruditissimo amico d Fulcanelli, gli unici e veri ‘maçons’) è dunque il san Giovanni, ma Glifante, di cui si deve e si può parlare usando esclusivamente le antiche lingue romanze, che costituivano il linguaggio popolare dell’antica Gallia. La Framassoneria francese, di epoca ben più tarda, ha ereditato in qualche modo talune ‘grammatiche’ antiche, ma in assenza del padroneggiare del Greco antico e dell’antica Langue Diplomatique, il senso ‘glifato’ di quegli scritti ed opere d’arte, il loro vero senso ‘nascosto’, resta del tutto celato sia all’ascoltatore, che al lettore, che all’osservatore. Ovviamente, Grasset d’Orcet apprese il Greco antico durante la sua permanenza in Grecia, durata quindici anni, e Rabelais era per lui ‘il solo che, nel suo famoso capitolo sullo stomaco, abbia provato che possedeva un pieno intendimento dell’identità delle dottrine gouliaresques o gaultiques con quelle di Platone.’, le quali erano un’eredità trasmessa dagli antichi druidi.

[2] Il termine crâne, oltre a significare teschio o cranio, può anche indicare aver coraggio (brave), oppure bravata (bravoure).

[3] Qui Grasset d’Orcet inserisce una nota: “Tuttavia il suo geroglifico più verosimilmente maçonique è una lucarne o finestra, e questo grado corrisponde al terzo evangelista Luca, forse vuol dire lumière?”. Lucarne, il nostro ‘lucernario’, si chiamava anticamente ‘lucerna’, per cui il passaggio fonetico Luc-Lux-Lumière è evidente; personalmente, trovo che Grasset d’Orcet sia stato – forse – un po’ più di un eruditissimo amico di Fulcanelli.

Tweedledee & Tweedledum

Posted in Alchemy with tags , , , , on Tuesday, October 11, 2022 by Captain NEMO

Blue skies
Smiling at me
Nothing but blue skies
Do I see

Bluebirds
Singing a song
Nothing but bluebirds
All day long

Blue days
All of them gone
Nothing but blue skies
From now on

Livelli …

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, διαλέγομαι, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , on Thursday, July 14, 2022 by Captain NEMO

Caro Paolo,

Un altro pico-pezzo di tempo-non-tempo è trascorso: tutto si muove e tutto scorre, così come Natura prevede. Il tuo ricordo è cristallizzato nell’Anima, ed è un sostegno dolce al mio camminare; e l’immagine del tuo allegro sorriso è sempre davanti ai miei occhi. Un gran conforto …

Certo sai che razza di maldestro torpore avvolge gli uomini di Terra, la nostra bellissima dimora: siamo “fissati” nella sua dura prigionia, e – chi sente – percepisce sempre la speranza di fuga-e-non-ritorno. Doppia realtà, un po’ speranza, un po’ dramma. D’altro canto, noi tutti abbiamo scelto di scender qua giù; o qua su? … chissà; ma che importanza può mai avere un “su” o un “giù” quando veniamo trasportati lungo le traiettorie straordinarie del Cosmo?

Comunque sia, pare che ormai siamo vicini ad un punto cruciale del nostro spazio-tempo, per usare un termine caro al baffuto – e pure lui sorridente – Herr Einstein; le Frequenze sono già avviate verso il loro riallineamento; ci sarà da divertirsi: molte cose le perderemo e molte cose nuove si affacceranno all’orizzonte dello Spirito. La cosa più divertente è che praticamente quattro gatti si sono resi conto del mutamento, radicale, ineludibile. E va bene così: chi ha conosciuto Madre Natura saprà come ‘saltar di livello’, un po’ qui & un po’ . Opportuno è danzare, au-pas de Dame Nature, direbbe uno Yoda Parigino, no? Livello, livello, …. Livello. Ah, mio splendido amico, alchimista di razza e fisico accortissimo. Livello, … ah Parbleu, Monsieur! Mi son fatto un mucchio di risate, come pure Fra’ Cercone!

Come è di prammatica, i cenacoli alchemici sono tutti ben ritirati, fuggiti, rinchiusi nelle loro super-nicchie, imbullonati comme-il-faut; nemmeno le Noccioline di Super-Pippo possono smuovere i loro dottissimi e ‘carissimi’ bastioni di austero basalto; alla faccia dell’Universale Alchimia. Da manuale, no?

Spero di aver presto tue notizie, sono curioso di quel che vai esplorando e facendo nella tua luminosa Dimora. E ti abbraccio, non virtualmente, non ‘fraternamente’; ma da antico vero Fratello, un po’ Scoto e un po’ Romano. Come la prima volta …

A presto, Paolo … porgi i miei saluti a tutti i buontemponi del Joe’s Bar!

Captain NEMO

Madame Lune

Posted in Alchemy, Alchimia, Alchimie with tags , , , , , on Monday, June 6, 2022 by Captain NEMO

Luna, Luna delle mie brame,

Sei la più bella del Reame!

Franco … Torneremo ancora …

Posted in Alchemy, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , on Wednesday, May 18, 2022 by Captain NEMO

Caro Franco,

chissà dove stai volando oggi; per noi sono trascorsi 365 ‘periodi‘ di spazio, ed ancora anneghiamo nell’ignoranza della Joie di Madre Natura.

Ho trovato oggi sul Web un tuo ultimo Canto, e mi sono commosso. Tanto.

Q U I

Manchi, … ma va bene così!

Primum Vere – 2022

Posted in Alchemy, Alchimia, Alchimie, Various Stuff with tags , , , , , , on Monday, March 21, 2022 by Captain NEMO

Be Lost in the Call

Signore, disse David, dato che non hai bisogno di noi,

perché hai creato questi due mondi?

Realtà rispose: Oh, prigioniero del tempo,

Ero un tesoro segreto di bontà e generosità,

e desideravo che questo tesoro fosse conosciuto,

così creai uno specchio: la sua faccia splendente, il cuore;

il suo dorso scurito, il mondo;

Il dorso ti darebbe piacere se non avessi mai visto la faccia.

Qualcuno ha mai prodotto uno specchio da fango e paglia?

Però pulisci il fango e la paglia,

e uno specchio potrebbe svelarsi,

Finché il succo non fermenta un po’ nella botte,

non è vino. Se vuoi che il tuo cuore sia luminoso,

devi fare un po’ di lavoro.

Il mio Re si rivolse all’anima della mia carne:

ritorni proprio come quando sei partita.

Dove sono le tracce dei miei doni?

Sappiamo che Alchimia trasforma il rame in oro.

Questo Sole non vuole una corona o una veste dalla grazia di Dio.

Egli è un cappello per cento uomini calvi,

un riparo per dieci che erano nudi.

Gesù sedeva umilmente sul dorso di un asino, bambino mio!

Come poteva uno zefiro cavalcare un asino?

Spirito, trova la tua via, nel cercare umiltà come un ruscello.

Ragione, percorri il cammino dell’altruismo verso l’eternità.

Ricorda Dio fino al punto che tu venga dimenticato.

Lascia che il chiamante ed il chiamato scompaiano;

perditi nel richiamo.

Jalal ad-Din Muhammad Rumi