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“La Bugia” del Marchese Palombara … 3

Posted in Alchemy with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Sunday, November 5, 2023 by Captain NEMO

Continuiamo l’esame della Parabola del buon Marchese.

Lieto per vedere che la mia operazione con l’aiuto di Dio camminava di bene in meglio, mi venne pensiero di prendere altre vie per pascere l’animo d’altre vedute, per sollevare la mente affaticata nei studi.”.

Questo innocente ‘cappellino’ di Palombara, dovrebbe/potrebbe avvisare lo studente studioso: ‘altre vie’, dice.

Ciò detto, il nostro lascia le colline e si reca verso il mare ‘con la sua vastità ed apertura dell’aria’; raggiunge uno scoglio sulla riva: ed ecco che dalle onde vede uscire una ‘locusta’; dall’incisione che accompagna questa parte del testo si vede bene che si tratta di un granchio,  ‘tutta affamata e presciolosa, mostrando un’interna passione e melanconia nell’animo, con cortese inchino mi salutò ed aperta una piccola scarsella che le pendeva dal fianco cava da quella una piccola lettera o viglietto e me lo consegna.’.

Sul bigliettino si legge: “PIX ALBA AMARA LUMINIS UMI”, che è evidentemente un acrostico di ‘Maximilianus Palombara’; più operativamente, il buon Marchese sostiene: “… additandomi brevemente con la materia tutta l’operazione, mentre effettivamente tutto il principio della seconda operazione, che è il fine della prima, non è altro in effetto che una pece bianca ed amara del lume della terra.”; leggere bene, meditare con calma … e stare accuorti, eh? Suggerisco di notare che si tratta del Lumen e non proprio della Lux.

Conscio di aver tirato un sassetto in piccionaia, il buon Marchese alza la posta: “Amara, dico, perché ancora non è perfetta né affatto concotta o matura, essendo un estratto o quinta essenza o splendore cavato dalla terra dei filosofi detta Saturno, o Latona o Sole non depurato che, giunto a questo segno, vien chiamato con il suo primo nome Giove.”. Naturalmente dice bene, e non mente … Anche se mi par di percepire un rapidissimo batter di palpebre, con l’inarcar del ciglio … c’è dell’altro, infatti.

Poscia osservo il sigillo di essa (i.e., della lettera/viglietto) che era una fiamma, benché voltata all’ingiù verso la terra, tanto conforme al suo naturale, tendeva verso il cielo.”. … Ah, però! Carina questa, no?

La missiva, una volta aperta, reca una firma “La sirena del Mar Negro”. Se è firma, essa è ferma, e dunque chiude … cosa? Aperte le danze in modo così perfettamente acconcio, sicuro di risvegliare l’attenzione persino del più distratto dei casuali lettori, Palombara riassume il testo del ‘viglietto’: siccome il Re che si cerca non riusciva a sopportare il gran caldo, una notte era sceso a bagnarsi e restò accidentalmente annegato; si trattava per il nostro di attendere che le onde lo portassero a galla, certo ‘estinto’, ma lacero e putrefatto. Il viglietto raccomandava al cercatore il ‘regio cadavere’ e che ‘se avesse saputo operare con i modi magici, gli sarebbe stato facile, pur morto, di riportarlo in vita.’. Così, il Marchese aspetta sullo scoglio, poi la superfice del mare cambia colore (!) e vede ‘avvicinarsi un cadavere … sformato dal suo essere, e quasi disfatto…’; il Marchese lo afferra per un braccio … ma si accorse subito ‘d’aver alzato dal mare un pezzo di sottil pelle priva di tutte l’ossa, di tutte l’interiora e carne.’. Il mare torna calmo e Palombara ripone la pelle in un guscio di testuggine (‘testudine marina’) trovata sulla spiaggia, si avvia a ritornare, ma il mare si agita di nuovo; ed emerge di nuovo il cadavere del Re, ma con il braccio di nuovo ricoperto di pelle; stupito, stende la mano e ne ritrae un altro pezzo di pelle, che mette assieme alla precedente; la scena e la raccolta si ripete altre due volte. Poi il cadavere non tornò più a galla. Mentre risale verso il luogo da dove era venuto, sempre portando con sé la testuggine piena di pelle raccolta, si accorge che stava arrivando un gruppetto di gente; per paura di venir accusato di aver ucciso il Re, il Marchese si nasconde tra le rovine nelle vicinanze: senza esser visto, capisce che si tratta di un gruppo di filosofastri che discettano della materia con cui comporre la Pietra.

Ed ecco che con grande stridore e strepito si apre a stento una porticina: ne esce ‘una vecchia donna di bello aspetto, ma carica d’anni infiniti, dalla quale ne uscivano alcuni raggi di sole, ed appoggiava l’antiche membra sopra di un bastone, nella cima del quale vi era una mezzaluna.’. La vecchia gli chiede che cosa stesse facendo lì, e Palombara le racconta di aver la pelle del Re con sé; la Natura – perché lei è Natura; chi altra poteva essere? – se ne rallegra molto e gli dice che era davvero fortunato; lui chiede se quella pelle fosse proprio di quel Re tanto cercato da tutti; risposta: ”Sappi che quella pelle, benché insanguinata e sozza, è la parte più nobile del Sole, e che fa  per il tuo mestiero e che insieme fa il tutto, né mi meraviglio che ciò ti apporti meraviglia, poiché questo è un Re a pochi del mondo noto, benché da tutti sia veduto, ed è forte, gagliardo, potente, che resiste al foco, al freddo e ad ogni intemperie più d’ogni altro, e ciò lo puoi da te medesimo argumentare dalla fatica che hai avuto in spogliarlo delle sue ossa, ancor che fosse dal mare putrefatto, che sebbene è morto risorgerà qual novella fenice se sarai prudente. Sì che sappi che sebbene il mare gli dié la morte con annegarlo, quello li dié prima la vita, poiché da quello nacque essendoli madre e genitrice, la quale, sebbene sa che deggia risorgere trionfante, con tuttociò come pietosa al parto dalle sue viscere non puol celare il suo dolore, dandone segno con oscurarsi e vestirsi di lutto tra i singulti e li pianti sì come averai veduto. Conserva dunque questa pelle, e serviti della sua madre, mentre quel medesimo mare che dopo la vita li dié la morte, è disposto di novo a porgergli miglior vita con eternarlo, e regolati con prudenza, pazienza, e secretezza.”. La vecchia se ne va, ed il Marchese se ne torna a casa, ‘carico della ricca e preziosa preda’.

Una favola cruda, certo, ma bella, no? Si direbbe un racconto classico, un’allegoria ritrovata decine di volte nei buoni testi d’Alchimia. Eppure, a ben leggere, si coglie tra le righe qualche piccolo particolare di un certo interesse; nulla di veramente rivoluzionario, ma che colui che si ritrovasse avanzato lungo il cammino operativo non faticherà a riconoscere;

L’immagine che emerge appare infatti quasi come un dagherrotipo, dai colori così sfumati, dolcemente sbiaditi, caratteristici, affascinante: come sempre, gran parte dei lettori vi troverà pane per i loro Simbolici dentini; ma è davvero ridicolo affermare che l’Alchimia – grazie a brani come questo – possa mai esser un’Arte ed una Pratica di natura simbolica, non credete?

La fase operativa riguarda Latona, naturalmente; e, più in generale, ciò che si chiama ‘purificazione’. Ma prima di ‘purificare’ occorre evidentemente prima disporre di quel corpo; poi, memori di quanto riportato nel passo di cui ho parlato in precedenza (qui), disporre del corpo che lo potrà purificare; infine, con una certa manualità, effettuare la ‘dealbatio’, lo sbiancamento di Latona. A proposito del brano precedente, invito ancora a studiarlo al meglio, riflettendo. Non poco; molto: melius abundare quam deficere, eh?

Quanto a Latona, Maier – citando il Clangor Buccinæ – recita: “È un corpo imperfetto composto da sole e luna”; ma, prosegue Maier, Latona – secondo Poeti e scrittori antichissimi – è madre del sole e della Luna, ovvero di Apollo & Diana, altri ne fanno la nutrice; Diana nasce per prima (Luna, e l’albedo, infatti appare per prima), e Diana sarà la levatrice di Apollo.

Per chi fosse proprio curioso, riporto il passo: “Dealbate ergo Latonem: idest, æs cum Mercurio, quia Latone est ex Sole & Luna compositum corpus imperfectū citrinum: quod cùm dealbaueris, & per diuturná decoctione ad pristinam citrinitatem perduxeris, habes iterū Latonem eodem modo ductibilé, & ad quantitatem tibi placitam: tunc intrasti per ostium, & habes artis principium.[1].

Come ha scritto il buon Marchese poco sopra (“… terra dei filosofi detta Saturno, o Latona o Sole non depurato che, giunto a questo segno, vien chiamato con il suo primo nome Giove”), qualcuno potrebbe cadere nel dubbio: nel Mito, Latona è la madre di Febo ed Artemide, il cui padre è Giove, la cui sposa è Era; insomma Giove, attratto dalla gran beltà di Latona, si congiunge con lei di nascosto dalla ovviamente gelosa Era (la quale farà inseguire Latona dal serpente Pitone, per ogni dove). Latona, fra l’altro, è una Titanide, figlia di Febe e Ceo, a loro volta figli di Urano e Gea; perché mai, dunque, Palombara allude al ‘primo nome Giove’? Mettendo per un attimo da parte la genealogia proposta nel Mito, Sir Isaac Newton potrebbe aiutarci un tantino: nel suo Index Chemicus, una sorta di gran taccuino in cui annotava gli appunti frutto dei suoi studi alchemici, alla voce Jupiter Philosophorum, scrive:

Jupiter Philosophorum, qui a juvando dictus est ac de quo tot fabulæ introductæ sunt, non est Jupiter vulgi sed subjectum philosophicum, ex quo omnis tinctura petenda est, materia philosophica quæ in Aquilæ forma Ganimedem in Cælum evexit, quæ in aurum mutata Danaæ in gremium decidit, quæ sub forma Cygni albi Lædam compressit, etc. Nisi enim ad volatum sit idonea aut ad lapsum suo pondere apta materia, non est Jovis nomine digna cum ne minimum juvare possit Artificem sed plurimum morari.”.

La facile traduzione del suo Latino seicentesco ci fa sorridere per l’acutezza e l’intuizione, ma è – soprattutto, credo – piuttosto interessante: il ‘Sole non depurato’ a questo punto delle operazioni prende – nell’opinione del Marchese – … il nome del focoso amante di Latona, cioè ‘Giove’ (o Jupiter Newtoniano che dir si voglia). Nomen est Omen, no?

Ora, relativamente all’evidente necessità delle ripetizioni della ‘raccolta’ di ciò che Palombara chiama ‘pelle’, ricordo quante e quante volte io ed il buon Fra’ Cercone ci siamo interrogati su questa famosa frase di Fulcanelli:

C’est cet esprit, répandu à la surface du globe, que l’artiste subtil et ingénieux doit capter au fur et à mesure de sa matérialisation.”.

Fulcanelli si riferisce a questo medaglione del Porche Central di Notre-Dame de Paris:

la cui didascalia recita: “I materiali necessari all’elaborazione del solvente.

Ecco il primo paragrafo del commento di Fulcanelli, nella traduzione di Paolo:

Il nono soggetto ci permette di penetrare più a fondo il segreto della fabbricazione del Dissolvente universale. Una donna indica – allegoricamente – i materiali necessari alla costruzione del vaso ermetico; tiene alta una tavoletta di legno che assomiglia ad una doga di botte, la cui essenza ci è rivelata dal ramo di quercia che adorna lo scudo. Ritroviamo qui la sorgente misteriosa scolpita sul contrafforte del portico, ma il gesto del nostro personaggio tradisce la spiritualità di questa sostanza, di questo fuoco di natura senza cui quaggiù non può crescere né vegetare nulla. Questo è lo spirito diffuso sulla superfice del globo, che l’artista sottile e ingegnoso deve catturare durante la sua materializzazione. Aggiungeremo ancora che occorre un corpo particolare che serva da ricettacolo, una terra attrattiva dove possa trovare un principio suscettibile di riceverlo e di ‘corporificarlo’. «La radice dei nostri corpi è nell’aria, dicono i saggi, e le loro cime stanno in terra». È il magnete racchiuso nel ventre di Ariete che va colto al momento della nascita, con destrezza e abilità.”.[2].

Fantastico: più mi capita di rileggerlo, e più ne ravviso la chiarezza esemplare e tradizionale. Ovviamente, val la pena di approfondire, studiando con cura anche il seguito.


[1] Vide Clangor Buccinæ, in Artis Auriferæ quam Chemiam Vocant, Basileæ – 1593, p. 503.

[2] Vide Fulcanelli, Il Mistero delle Cattedrali, Roma – 2005, p. 150.

Androgino … il PadreMadre!

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Sunday, May 28, 2023 by Captain NEMO

What Cosmic jest or Anarch blunder

The human integral clove asunder

And shied the fractions through life’s gate?

… che in Italiano suona come

Quale scherzo cosmico o errore dell’Anarca

Ha spaccato l’umano integrale

E gettato le frazioni attraverso la porta della vita?

[Hermann Melville, After the Pleasure Party]

Stuzzicato da alcune riflessioni proposte nei Commenti al mio ultimo Post, ho pescato tra i miei scaffali un libro-perla di Elémire Zolla, che mi è sempre parso bellissimo: L’Androgino- L’umana nostalgia dell’Interezza, edito da Red Edizioni nel 1989 (ma originalmente pubblicato nel 1980, in Inglese).

Prima di riportare qualche riflessione dell’Alchimista del Verbo, segnalo la scelta non casualmente algebrica/matematica della elegante quanto rabbiosa terzina di Melville: l’Integrale (operazione simboleggiata da ) esprime la Sommatoria (il simbolo è Ʃ; la quale non è proprio il valore espresso da una somma, quanto l’unione di valori risultanti da punti/posizioni secondo un’analisi punto-per-punto di un percorso lungo una Funzione) dei valori assunti da una Funzione in un certo intervallo, secondo un indice arbitrario ma stabilito, del quale occorre fornire il valore assunto dalla Funzione al punto d’inizio e al punto della fine (Integrale Definito); senza voler annoiare, l’Integrale descrive insomma il valore di un’Area, di una superficie delimitata “dal rettangoloide compreso tra l’asse delle ascisse, le parallele all’asse delle ordinate condotte per gli estremi dell’intervallo considerato, e il diagramma della Funzione da integrare” (Treccani). L’Operazione di Integrazione, insomma, è l’operazione inversa al Calcolo Differenziale, fissato genialmente da Newton nei suoi Principia. Le Frazioni, invece, le conoscono tutti: esprimono il rapporto tra due valori, vale a dire in quante parti può essere diviso/fratto il valore espresso dal numeratore (quello che sta in alto) dal valore espresso dal denominatore (quello che sta in basso) [Nota: a causa di un orrendo ‘errore di stompa‘, come Clouseau avevo invertito i nomi dei due termini; chiedo scusa per la mia baggianata di portata epocale! … adesso la frazione è correttamente definita!].

In quest’ottica, dunque, ‘spaccando’ un integrale – à la Melville – si otterrebbero dei pezzetti che sono in realtà aree, micro superfici, i cui valori potrebbero certo essere rappresentati da Frazioni … trovare le quali, però, richiederebbe un po’ di tempo, e sforzo. Ciò ci porterebbe a dire che la Vita di un Essere sarebbe soltanto una manciata di rapporti tra valori a noi sconosciuti (le ‘fractions’, gettati alla rinfusa alla Ianua, alla Porta della Creazione attraverso cui quell’Essere transita, per poi iniziare a ruzzolare come un ravanello inebetito lungo il corso dello Spazio … MA, quei pezzetti erano – PRIMA – … un Integrale, umano. Concludo questa folle visione, avvisando che – se proprio si volesse dar retta a Melville, visto che immaginare che quell’umano potesse essere una superfice ci porterebbe ad assomigliare ad  un cartone animato piatto, a mo’ di un geroglifico egiziano l’eventuale Integrale Melvilliano forse meglio corrisponderebbe ad un Integrale lungo uno Spazio a più dimensioni, in modo che – in quello Spazio del PRIMA della Creazione di Materia – quell’Hylé fosse almeno popolata da salvifici Volumi, più che da piatte Superfici. Ohibò !

Ciò detto, e ammirando in ogni caso la bella sintesi di Melville, rabbiosa e malinconica, torno ad res:

L’archetipo dell’androgino si aggira per le terre. Gli uomini, toccati dalla sua ombra, si addolciscono e allentano la presa sui loro rudi e contratti ruoli e convincimenti maschili. Le donne si risvegliano a nuovi spazi, nitidi e glaciali, a piani di precisa coordinazione in cui cominciano a tracciare con calma il proprio cammino.

In una prospettiva metafisica, l’incontro con l’androgino è sempre stato inevitabile. Quando la mente s’innalza al di sopra dei nomi e delle forme, non può che toccare il punto in cui anche le divisioni sessuali vengono superate. Sulla via verso la trascendenza totale, i mistici incontrano l’esperienza visionaria dell’amore e del matrimonio divino, in cui essi divengono le estatiche spose della divinità. Nella maggior parte dei sistemi religiosi l’androgino è simbolo dell’identità suprema e rappresenta il livello dell’essere non-manifesto, la sorgente di ogni manifestazione, che corrisponde numericamente allo zero, il più dinamico ed enigmatico dei numeri, somma dei due aspetti dell’Unità: +1-1 = 0. Lo zero simboleggia l’androgino in quanto origine della numerazione, della divisibilità e della moltiplicabilità.”.

[Salomon Trismosin, Splendor Solis – XVI secolo]

L’Androgino, o Rebis alchemico, è alato come Sofia ed è in tal senso una personificazione della saggezza cosmica.

Un’ala è rossa e l’altra è bianca, a indicare gli spiriti dell’oro e dell’argento, del sole e della luna, del sangue o del latte del corpo vivente della natura. Indossa un abito nero bordato di giallo, che suggerisce il nero della materia prima androgina in cui tuttavia sono presenti in potenza le correnti della vita metallica aurea. Il verde del paesaggio è il prodotto della mescolanza dei colori di Rebis. Egli/ella regge con la mano destra un cristallo, in cui i suoi colori appaiono in successione convergente al centro, dove va collocato l’uovo o seme minerale che l’Androgino porta nella mano sinistra, lunare. Secondo la teoria alchemica, lo spirito lunare agirà nell’uovo, provocando la putrefazione della calce spenta della terra, fino ad attivare in essa il nucleo solare latente che risorgerà allora in un corpo cristallino vivo e capace di crescita, così come l’acredine del fuoco provoca la putrefazione delle morte ceneri e della sabbia in un fluido vivente che diviene infine vetro.”.

[Rosarium Philosophorum – ca. 1550]

Materia prima androgina sopra un’urna, le cui quattro sezioni rappresentano i quattro elementi. Le ali ne denotano l’incipiente volatilità, dovuta alla reazione che coinvolge l’energia solare, centripeta, e l’energia lunare, centrifuga (il re e la regina), in un processo spirale di fermentazione. Riassumendo il simbolismo del disegno: i principi solare e lunare , compenetrandosi sopra la croce degli elementi 🞢, formano il segno di Mercurio con le ali della volatilità rivolte verso l’alto.”.

[Michael Maier, Symbola Aureæ Mensæ – 1617]

Ermete Trismegisto, il leggendario fondatore dell’Alchimia, addita il mistero primordiale della natura, il principio del fuoco che avvolge nella sua quadruplice fiamma gli opposti essenziali, sole e luna, maschio e femmina, zolfo e mercurio, che danno luogo all’unità androgina in ogni atto di concezione e nascita in natura.

[J.D. Mylius, Philosophia Reformata – 1617]

Essi circondano la terra concentrando su di essa le influenze astrali, e nel centro della terra si combinano in un triangolo, o piuttosto, tridimensionalmente, in una piramide, che è la forma del cristallo di sale (sia dei Sali marini, sia degli allumi minerali, femminili). Il lato destro del triangolo corrisponde al principio sulfureo maschile, il lato sinistro al principio mercuriale femminile e la base del triangolo al principio salino. La figura contenuta all’interno allude alla quadratura del cerchio, simbolo dell’androginia. La progressione va perciò dal triangolo al quadrato e infine al cerchio. La natura opera allo stesso modo in tutti e tre i regni, quello aereo, quello vegetale e animale, e quello minerale, perché in ciascuno di essi l’armonia deriva dallo stesso accoppiamento di opposti, dalla stessa congiunzione dei princìpi solare e lunare.

[Stolcius, Viridarium Chymicum – 1624]

La congiunzione può essere raffigurata da un serpente (la natura) con la testa di leone (che divora il fuoco e la putrefazione) e la coda a forma di testa d’aquila (volatilità), nell’atto di estrarre da se stesso l’invisibile e impalpabile rugiada interna che dà compattezza agli elementi più sottili del corpo. In essa è racchiuso il potere del sole e della luna, che il serpente stringe tra le sue spire. Il processo è triplice. Esso inizia con una fase androgina embrionale che, nel caso dei metalli, corrisponde all’impregnazione di un terreno nitroso e salino 🜔 da parte di un vapore corrosivo e acre (🜍 e ). I due princìpi vengono raccolti insieme dalla luce solare che penetra nel terreno sotto forma di rugiada. La stessa rugiada che nutre la vita delle piante attiva questo processo di volatilità sotterranea. Il prodotto è detto ‘materia prima’, o ‘Rebis’, o ‘Androgino di Fuoco’ (poiché entrambi i principi sono acri e brucianti), o ‘Adamo’ (poiché entrambi sono il principio primo della generazione nel mondo minerale).”.

[Anon, Codex Germanicus Monacensis 398, XV secolo]

La radice di questo processo viene spesso indicata come il Drago Velenoso. Nella figura è una nuvola di teste caprine, dalle cui barbe si innalzano un ragazzo e una ragazza che si avvolgono a spirale intorno alle gambe dell’Androgino. … L’Androgino è una situazione globale, che ‘accade’ quando il principio della luce, del sole e della luna, viene catturato da un terreno aspro e velenoso e comincia a fermentare. Nella seconda fase entrano in opera i vapori di salnitro, che corrodono e affinano l’Androgino. L’Androgino ora gonfia la terra e soffia via i vapori che l’anno penetrata, purificandoli nel corso del processo e rendendoli fluidi. Questa fase viene detta ‘bagno dell’Androgino’ o della copppia regale. Essa è seguita dalla terza ed ultima fase, in cui dal marasma emerge una pasta vitrea e viscosa, detta ‘Pietra dei Filosofi’, o ‘la Perla’, o ‘l’Occhio del Pesce’, o il ‘Primo Magnete’, perché attrae dal terreno circostante tutto ciò di cui ha bisogno.“.

[ehm … viste le quattro-corone-quattro + le due-corone-due?]

Beh … c’è abbastanza pane per tutti i denti, non vi pare? … Mi raccomando: … siate bravi, … e fate i bravi, eh?

Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie VIII

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Rientriamo nella Chapelle, che sembra un tempo aver avuto un ruolo in qualche modo anche liturgico, come vediamo da questa immagine d’epoca:

Se la presenza di un Altare e di una sorta di incavo laterale decorato (la famosissima Crédence) ci parlano di un uso religioso, difficile è riconoscerlo come tale quando esaminiamo alcuni Caissons, decisamente un po’ troppo espliciti nelle loro rappresentazioni scultoree; su questo curioso soffitto, oltre a quelli che abbiamo già esaminato sin qui, il terzetto di cui ci occuperemo oggi è decisamente ludico:

Il percorso che si dipana lungo questa sorta di scacchiera vede qui altri due Angelots, giocanti e giocosi, che evidentemente alludono al Cassone nel loro mezzo.

Cassone 20 – Lo Cheval de Bois.

Fulcanelli scrive: “Enfin, l’image suivante représente le ludus puerorum commenté dans la Toison d’or de Trismosin et figuré d’une manière identique: un enfant fait caracoler son cheval de bois, le fouet haut et la mine réjouie.”.

La traduzione di Paolo è, more solito, perfetta. “Infine, l’Immagine seguente rappresenta il ludus puerorum commentato nel Toson d’Oro di Trismosin e raffigurato in modo identico: un bambino fa caracollare il suo cavallo di legno, la frusta alta e l’espressione gioiosa.”.

[Fulcanelli, Il Mistero delle Cattedrali – 2005, p. 290]

L’Angioletto è un maschietto, nudo ma coiffé, ed impugna la sua frusta mentre cavalca il suo amato cavalluccio. Si tratta evidentemente di un bel gioco, no? Eppure, se vogliamo parlare d’Alchimia, v’è dell’altro.

Per prima cosa leggiamo il ‘commento’ di Salomon Trismosin, come indicato da Fulcanelli, nell’Edizione del 1612, all’articolo terzo:

Il terzo grado dei Naturalisti è la Sublimazione, mediante la quale la terra massiva& grossolana si converte nel suo contrario umido, & si può agevolmente distillare dopo che essa si sia mutata in questa umidità: perché non appena l’acqua si è ridotta & organizzata come mescolanza per influssione nella sua propria terra, essa non trattiene più in alcun modo la qualità dell’aria, elevandosi poco a poco & gonfia la terra trattenuta sino ad allora in fondo a causa della sua siccità beata & smisurata, come un corpo compatto & ben pressato; la quale nondimeno vi riprende i propri spiriti & si estende più in largo a causa dell’influenza di questo umore che si assorbe all’interno, & si mantiene mediante la sua infusione all’interno del corpo solido sotto forma di una nube porosa & simile a quest’acqua che galleggia nell’uovo, vale a dire l’anima della quinta sostanza che noi chiamiamo a buon merito, tinctus, fermentum, anima, oleum, per essere la materia più necessaria & la più vicina alla Pietra dei Saggi; tanto più che da questa sublimazione provengono delle ceneri, le quali propriamente (ma soprattutto per mezzo dell’assistenza di Dio, senza la cui bontà nulla riuscirà) si attribuiscono dei limiti & misure di fuoco, il quale è chiuso & racchiuso come da bastioni naturali. Ripley ne parla così & nello stesso nostro senso: fa, dice, un fuoco nel tuo vetro, vale a dire nella terra che lo tiene racchiuso. Questo breve metodo sul quale ti abbiamo liberamente istruito, mi sembra la via più corta & la vera Sublimazione Filosofica, per arrivare alla perfezione di questo pesante lavoro, giustamente paragonato per la sua purezza & candore ammirevole, al mestiere ordinario delle donne, vale a dire al lavatoio, che ha questa proprietà di rendere infinitamente bianco ciò che in effetti in precedenza appariva sporco & pieno di lordure, come la seguente figura ti farà conoscere perfettamente. Ma ancora prima io voglio mostrare che non sono il solo che offre i medesimi aspetti alla nostra Opera che il mestiere delle donne, non essendoci nulla di così comune nei migliori Autori che questa giusta similitudine. Il Ludus Puerorum lo chiama ‘fatto di femmine & gioco di bambini’, dato che i bimbi si sporcano & si rotolano nella lordura dei propri escrementi, rappresentando questa nerezza tratta dalle proprie mistioni naturali del nostro corpo minerale, senza altra operazione d’artificio che il suo fuoco caldo & umido, digerente & vaporoso; la qual nerezza & putrefazione viene pulita mediante la bianchezza che in seguito prenderà il suo posto facendosi una casa pulita & purgando di ogni lordura questa prima cuccia imperfetta. Così come la donna si serve di una liscivia & di un’acqua chiara per dare al suo bimbo la pulizia richiesta alla sua intera conservazione.

[mia personale e rapidissima traduzione]

Ohibò! … alla faccia della ‘brevità’! … Sia come sia la faccenda ludica viene qui descritta con un interessante dettaglio, credo. L’immagine che precede questo commento è questa:

… e quella a cui Trismosin si riferisce è ben più famosa:

Prima di continuare però, a costo di annoiare, credo utile riportare il monito del Ludus Puerorum, cioè il trattatello scritto nel Latino del 1523, facile e istruttivo:

Debet autem triplex ludus puerorum præcedere opus mulierum. Pueri enim ludunt in tribus rebus. Primo cum muris frequenter vetustissimis. Secundo cum urina. Tertio cum carbonibus. Primus ludus materiam lapidis ministrat. Secundus ludus animam augmentat, Tertius ludus corpus ad vitam præparat. Ex flore sanguinis fit Sal petra, cum primo ludo puerorum. Quo facto restat ipsum animare, & frequenter cum suo compari in aquam solvere, cum duobus alijs puerorum ludis, qui necessarij sunt, usque ad tertium calorem nostri Elixiris in opere mulierum, quod opus earum est coquere; qui ergo potest capere capiat.

[Vide l’Incipit faustè, dal Tractatus Opus Mulierum, et Ludus Puerorum dictus]

Cassone 21 – La Grenade Ignée.

Fulcanelli commenta questo Cassone così: “… la calcination philosophique, symbolisée par une grenade soumise à l’action du feu dans un vase d’orfèvrerie; au-dessus du corps calciné, on distingue le chiffre 3 suivi de la lettre R, qui indiquent à l’artiste la nécessité des trois réitérations du même procédé, sur laquelle nous avons déjà plusieurs fois insisté.”.

E Paolo: “… la calcinazione filosofica, simboleggiata da una melagrana sottoposta all’azione del fuoco in un vaso d’oreficeria; sopra al corpo calcinato si distingue la cifra 3 seguita dalla lettera R, che indica all’artista la necessità di tre reiterazioni dello stesso procedimento su cui abbiamo già insistito parecchie volte.”.

[ibidem]

Tutti sanno che la tradizione ermetica affida alla bellissima Melagrana il simbolo della fertilità; non mi dilungherò su questo, ma vi riporto il Mito arcaico ma terribile ad essa legato, raccontato da Alfredo Cattabiani:

… la Madre degli dèi, detta Cibele o Agdistis e descritta come un androgino, fu evirata per ordine della corte olimpica con uno stratagemma. C’era una sorgente alla quale soleva dissetarsi. Dioniso, che aveva il compito di separare la virilità da lei, ne tramutò l’acqua in vino. Agdistis-Cibele bevve l’insolita bevanda cadendo in un sonno invincibile; e il dio che stava in agguato, legò con una fune il suo membro maschile ad un albero.

Quando l’androgino si fu destato dall’ebrezza, balzò in piedi con uno slancio poderoso che permise alla fune di evirarlo mentre un fiotto di sangue inondava la terra: sangue magicamente fecondo se dal terreno sorse un melograno con un frutto. Il quale attirò un giorno l’attenzione della figlia di Sangarios, dio fluviale: Nana, dal nome identico a quello babilonese della Grande Dea microasiatica. La fanciulla colse il frutto appoggiandolo al grembo: ma la melagrana sparì magicamente, fecondando l’ignara principessa. Dal miracoloso concepimento nacque Attis di cui Agdistis-Cibele si innamorò perdutamente non abbandonandolo nemmeno per un attimo; e quando il figlio divino, divenuto un giovanetto, fu sul punto di sposarsi e di abbandonarla, lo fece impazzire spingendolo ad evirarsi il giorno stesso delle nozze. Attis morì dissanguato, e dal sangue sparso fiorirono viole mammole.”.

L’androgino primordiale Agdistis, in un altro mito, sarebbe nato dal seme di Zeus sparso su Terra in seguito ad un focoso accoppiamento con Cibele (sempre lei, si belle); il seme divino piovve dal cielo e cadde su una roccia, per cui Agdistis è ‘figlia/o della roccia’. Si noti che Cibele è sia madre (femmina) che figlio/a (androgino).

[Cattabiani, Calendario, Rusconi – 1988, p. 160]

Cassone 22 – L’Angelot avec le tourniquet

Fulcanelli scrive: ”L’ange «qui fait tourner le monde» à la façon d’une toupie, sujet repris et développé dans un petit livre intitulé: Typus Mundi, œuvre de quelques Pères Jésuites; …”.

E Paolo: “l’angelo che «fa girare il mondo» come una trottola, soggetto ripreso e sviluppato da un piccolo libro intitolato Typus Mundi, opera di alcuni Padri Gesuiti.”.

[ibidem]

L’angioletto stavolta è vestito: sarà forse un’angioletta? … chissà! Comunque, il ginocchio poggiato a terra, sta preparandosi al suo Jouet, molto popolare a quel tempo: il tourniquet è una sorta di toupie, una trottola, ma primitiva; dopo aver svuotato la noce centrale, ed aver leggermente separato i due gusci, ha fissato la sua cordicella ad uno dei vertici di una barretta nascosta all’interno, perpendicolare all’impugnatura; poi, avvolge la cordicella, e – lanciato un sassolino in una casella di una griglia disegnata per terra (una sorta di Luna, o Stella, il nostro vecchio e amato gioco da bimbi) – salta nella casella con una gamba sola e mentre compie il salto tira velocemente, e con forza, la cordicella, facendo girare la croce di legno solidale con l’asse della sua toupie. Il punto è che la toupie non deve mai fermarsi; per cui, una volta che la cordicella è stata srotolata, la forza applicata al primo tiro fa girare la toupie in senso contrario, riavvolgendo la cordicella (en avant & en arriéré); ma prima che la croce smetta di girare, l’Angioletto deve riprendere il sassolino, gettarlo in un’altra casella più avanti (verso la Casa della Luna), saltare – sempre con una gamba sola – nella nuova casella e ripetere l’operazione. Se la croce si ferma, ha perso, ed è costretto a tornare alla casella-base da cui è partito … e rifare il tutto! Ma, naturalmente, tocca adesso ad un altro compagno di giochi …

Questo trittico sembra dunque centrato sul ‘gioco da bambini’, il cui centro è qui rappresentato da questa grenade ignée, fissata da quel 3R; la raffigurazione di questa grenade si osserva anche all’esterno dell’Hôtel Lallemant: all’angolo della Corte Superiore, l’ultima finestra in alto della Tourelle mostra … 3 grenades, di cui le due laterali in fiamme, e quella centrale – posta su un supporto à torchon – la rivela, come una massa vera e propria.

Allora, si potrebbe pensare che questa grenade non sia soltanto una bella decorazione: … ma piuttosto il risultato di quell’operazione presentata dall’enigmatico Caisson 21 (qui), dove avevamo incontrato quella sorta di ‘E’ curiosamente adagiata in orizzontale tra le fiamme. Quindi, se uno si rileggesse, con tutta calma e serenità, l’altrettanto curioso Incipit del Ludus Puerorum … forse quel ‘3’ indica non soltanto – ma giustamente! – le trois réitérations du même procédé, … ma anche una ‘Eallo specchio, che appare invertita. Ho scritto ‘si potrebbe pensare’, e la mia è soltanto una proposta di riflessione (toh!). In accordo con i migliori autori, dirò che il procedimento semplice ed unico, è sempre il medesimo, nella cui reiterazione l’Artista deve però essere consapevole che la Materia nel crogiolo, nel suo intimo, … muta, pur essendo la stessa. Per dirla tutta, se l’operazione avrà successo, si disporrà della melagrana, che come abbiamo letto con Cattabiani, è il frutto dell’albero che spunta (preferisco ‘sorge’) dalla terra fecondata, da cui nascerà il bellissimo Attis … non fatevi ingannare, però; il Sal Petra di cui parla il Ludus Puerorum, non è il comune salnitro, bensì … proprio il Sale Pietra, o Sale della Pietra stessa. Senza sale, lo sappiamo tutti, … come potremmo mai ‘salare‘? … o si dice ‘salire’? Mah … non sarà la stessa cosa?

À bientôt, mes Dames et mes Sires !

Zì Baldone alchemico, ovvero lo Zabaglione dello Zibellino

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Monday, April 17, 2023 by Captain NEMO

Primavera prepara quel che c’è da preparare ogni anno; che piova o tiri vento, scende l’Esprit che è un portento! … In quest’ottica di rilassato tempo d’attesa, leggo e rileggo quel che mi piace.

Ecco qualche scampolo, qualche spigolatura, di alcuni passaggi di pazzi-saggi che hanno ritenuto di lasciar tracce del loro riflettere e del loro maneggiar, com’è d’uopo e d‘uso in Alchimia. Ho tradotto velocemente, cercando di mantenere l’aderenza con il modo di scrivere dell’epoca, e – siccome mi paiono tutti belli ed interessanti – … mi asterrò dal commentarli, lasciando a chi vorrà leggerli l’onere e l’onore di gettare alle ortiche qualsiasi logica e razionalità; solo in absentia totale della ratio si potrà forse intravedere la luce di queste perline sfuse, gettate alla rinfusa. Quell’eventuale lucore che potrebbe apparire dopo un’intuizione da bimbi, dovrà poi essere passato all’onere della pratica, al forno.

Si tratta di un andare avanti & indietro, tra buoni libri e pratica di Laboratorio, un moto ripetuto e portato avanti ad ogni piè sospinto, con tenacia e gentilezza ed allegria: Madre Natura è sempre munifica verso che ha scelto di seguirla. Datevi il tempo per entrare nella mentalità di questi pazzi-saggi, che è enormemente lontana dalle nostre: tutto è semplice in Natura, ed ogni Cercatore – come si vedrà – deve per forza usare una sorta di auto-traduzione di ciò che ‘sente’ nel Cuore quando si contempla la bellezza inenarrabile dell’Alchimia. Ma tutti stanno parlando del medesimo ed unico modus operandi; ognuno farà il suo buon Zabaglione, e all’assaggio mostreranno spunti e punte di leggere sfumature; ma il Primum Ens dello Zabaglione è sempre e soltanto Uno. Come è Naturale che sia, no?

Ah, dimenticavo: … perché Zibellino? Risposta facile: è l’Hermine, una specie di martora (Martes Zibellina) dal pelo estremamente soffice; in Araldica l’Armellino è uno smalto simboleggiato da una curiosa puntinatura, di bianco moscata di nero. Voilà!

La Prassi (o Pratica, scegliete voi)

Prendi la Vergine alata ottimamente lavata & mondata, impregnata con il seme spirituale del primo maschio, gravida con gloria rifluente di intemerata verginità, le tinte guance emetteranno con colore purpureo: unisci quella con il secondo maschio senza sospetto d’adulterio, dal cui seme corporeo di nuovo concepirà, e partorirà infine una prole del sesso di entrambi da venerare, donde sorgerà una schiatta immortale di potentissimi Re.”

[Jean d’Espagnet – Arcanum Hermeticæ Philosophiæ Opus – Parisiis, 1623, Canone 58]

Prima Figura, Paragrafo primo, Spiegazione

Quando lo Spirito universale del mondo o della natura si è diffuso nel Fuoco centrale della la Terra e ha iniziato a lavorarvi, si trova legato ad una forma ed un aspetto umidi e liquidi mercuriali, ed espulso in avanti dall‘Archeo della terra come unaria impregnata, congelato da Saturno e, diventato in un certo qual modo il limo molto metallico che si chiama sperma dei metalli, gettato ai piedi dellartista il quale, avendolo riconosciuto come il più grande tesoro del mondo, lo porta con gioia a casa, l’introduce nella dimora di vetro, lo lega al Mercurio celeste, poi lo rinchiude. Sopra di lui spunta allora il corvo nero nella putrefazione, il quale, dopo la sua nuova nascita nel regno del Paradiso, si trasforma in Diana fissa e infine nel Figlio coronato del Sole.

[L’Enfant Hermaphrodite du Soleil et de la Lune – Mayence. 1752]

Nella sublimazione filosofica del Mercurio, ovvero prima preparazione, un Erculeo lavoro incombe su chi opera; infatti Giasone – senza Alcide – invano avrebbe tentato la spedizione Colchica;

Uno da una nota sommità mostrava la pelle dorata come Principio che tu possa prendere;

L’altro quanto fardello subisca.[1]

La soglia infatti viene custodita da bestie cornute, che respingono chi si avvicina avventatamente non senza danno; soltanto le armi di Diana & le colombe di Venere ammansiscono la loro ferocia, se il fato ti chiama.

[Jean d’Espagnet – Arcanum Hermeticæ Philosphiæ Opus – Parisiis, 1623, Canone 42]

Tuttavia fratello mio non devi pensare, né cadere nel sospetto, come hanno insegnato quei furfanti bugiardi, che il Mercurio e lo Zolfo siano la prima materia dei metalli: infatti nelle vene della terra, dove i metalli crescono, non si trovano né il Mercurio né lo Zolfo, perché li hanno semplicemente plasmati per [trarre in] inganno, come pure il fuoco elementare, detto Zolfo, e il liquore Mercurio. Allo stesso modo, hanno chiamato il fuoco elementare il nostro Sole e il liquore la nostra Luna, al solo scopo di ingannare la gente. E li hanno chiamati anche spirito e anima: difatti il fuoco elementare l’hanno chiamato anima, e il liquore elementare spirito, perché le cose elementari sono invisibili. Così tra lo spirito e l’anima non c’è differenza; infatti l’anima è fuoco invisibile e lo spirito umidità invisibile.

… tutte le cose sono state distribuite in tre nature; e sebbene queste tre nature dal punto di vista corporeo siano distinte in vegetale, animale e minerale, esse, pur sempre elementari, quindi occultamente, hanno avuto origine da una sola sostanza.

Tutte hanno una sola ed unica radice, dalla quale verdeggiano e crescono, che gli Antichi, per inganno, hanno chiamato prima materia o Hylé. Mentre non è altro che un fuoco elementare occulto, col proprio Liquore, che gli Antichi chiamarono umido radicale e non hanno parlato da inesperti: il Liquore infatti è la radice di ogni creatura.

[Via Veritatis Unicæ, in Musæum Hermeticum – Francofurti, 1671]

Quindi, quando le tue materie sono unite, che sono il nostro e il nostro , non pensare come molti Alchimisti vanamente immaginano, che il morire del sole seguirà immediatamente, certamente no, noi abbiamo aspettato per un lungo e noioso periodo, prima che fosse fatta la riconciliazione tra l’acqua e il fuoco; e questo gli invidiosi hanno misticamente compreso in un breve discorso, quando al primo inizio del loro lavoro hanno chiamato la loro Materia Rebis, ossia fatta di due sostanze, secondo il Poeta,

Rebis sono due cose unite, eppure è una sola,

Dissolta, affinché Sole o Luna siano soltanto Sperma.

Sappi dunque una indubbia verità, che sebbene il nostro divori il Sole , non lo fa come i Chimici Fantastici sognano, perché anche se il si unisce col nostro , dopo un anno li separerai l’uno dall’altro nella loro propria natura a meno che tu li cuocia insieme in un conveniente grado di fuoco, altrimenti non saranno alterati; chi affermerà il contrario non è un Filosofo.

[Philalethe – Secrets Reveal’d – London, 1669, Chap. 24]

“ ‘Ti ho detto di purificare con somma cura questo canestro bianco con la lisciva donata, che è estratta da essa e non questo straccio che va asportato e che è crudo, ma prima è necessario che tu lo bruci con il fuoco dei sapienti, & allora la cosa riuscirà felicemente’: a tal fine, mi diede delle braci coperte di seta bianca, con ulteriore spiegazione, cosicché da queste braci dovevo eccitare il fuoco Filosofico, interamente artificioso, & bruciare lo straccio da asportare; e allora subito il canestro bianco che dovevo trovare mi sarebbe [apparso].

[Adrian von Mynsicht (alias Madathanus) – Aureum Seculum Redivivum – Francofurti, 1677]

Abbiamo detto, e lo ripetiamo, che l’oggetto della dissoluzione filosofica è l’ottenimento dello zolfo che, nel Magistero, gioca il ruolo di formatore coagulando il mercurio chi gli è aggiunto, proprietà che trae dalla sua natura ardente, ignea e disseccante. «Ogni cosa secca beve avidamente il suo umido», dice un vecchio assioma alchemico. Ma questo zolfo, al momento della sua prima estrazione, non è mai spoglio del mercurio metallico col quale costituisce il nucleo centrale del metallo, chiamato essenza o seme. Da qui risulta che lo zolfo, conservando le qualità specifiche del corpo dissolto, non è in realtà che soltanto la parte più pura e più sottile di questo corpo stesso. Di conseguenza, abbiamo il diritto di considerare, con la pluralità dei maestri, che la dissoluzione filosofica realizza la purificazione assoluta dei metalli imperfetti. Ora, non vi è esempio, spagirico o chimico, di un’operazione suscettibile di dare un tale risultato. Tutte le purificazioni di metalli trattati con metodi moderni non servono che a sbarazzarli delle impurità superficiali meno tenaci. E queste, portate della miniera o conseguenti alla riduzione del minerale, sono generalmente poco importanti. Al contrario, il procedimento alchemico, dissociando e distruggendo la massa di materie eterogenee fissate sul nucleo, costituito da zolfo e di mercurio molto puri, rovina la maggior parte del corpo e la rende refrattaria a ogni riduzione ulteriore.

Ma ciò che distingue la soluzione filosofica da tutte le altre, e le assicura perlomeno una reale originalità, è che il dissolvente non si assimila al metallo basico che gli è offerto; ne allontana soltanto le molecole, per rottura di coesione, s’impadronisce delle parcelle di zolfo puro che possono trattenere e lasciano il residuo, formato dalla maggior parte del corpo, inerte, disgregato, sterile e completamente irriducibile. Non si saprebbe dunque ottenere con esso un sale metallico, come si fa per mezzo degli acidi chimici. Del resto, conosciuto dall’antichità, il dissolvente filosofico non è stato mai utilizzato che in alchimia, da manipolatori esperti nella pratica del giro di mano speciale che esige il suo uso. è lui che i saggi hanno in vista quando dicono che l’Opera si fa con una cosa unica. Contrariamente ai chimici e spagiristi, i quali dispongono di una raccolta di acidi diversi, gli alchimisti non possiedono che un solo agente, che ha ricevuto quantità di nomi diversi, di cui ultimo in data è quello di Alkaest.

[Fulcanelli, Les Demeures Philosophales – Paris, 1964, Tome II]


[1] Si tratta di una citazione dalla Chrisopœia di Augurellus, al Libro II: “Alter in auratam nota de vertice pellem / Principium velut ostendit, quod sumere possis; / Alter onus quantum subeas.

Madame Lune

Posted in Alchemy, Alchimia, Alchimie with tags , , , , , on Monday, June 6, 2022 by Captain NEMO

Luna, Luna delle mie brame,

Sei la più bella del Reame!

Un Dittico, … e le sue folli copertine

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , on Wednesday, June 16, 2021 by Captain NEMO

Cercando e cercando, talvolta si trova qualcosa. No? … nonostante non sia Carnevale – preso da un ghiribizzo – ho pensato utile e divertente parlarvi di una piccola, vecchia, ‘trovata‘.

Sulla “Fête des Fous” si è scritto a iosa, qui, altrove ed in ogni dove: sul contenuto dissacrante della Messa, dei canti, e dei riti che la caratterizzavano si sono date le più varie interpretazioni. E sull’argomento (scomodo, ma certo bizzarro) – naturalmente – ognuno avrà un’opinione. Però, quel che ho ‘trovato’ interessante è una curiosa ‘veste’ di alcune copertine del Messale irriguardoso: una in particolare, quella conservata proprio presso la Bibliothèque Municipale di Sens:

Si tratta di due placche di quercia che racchiudono il famoso Messale della Fête des Fous (quello originale di Pierre Corbeil, Arcivescovo di Sens), realizzate in avorio scolpito con bordure d’argento (inventario: 2017.0.ARC.126), la cui datazione risale al V-VI secolo. Il lavoro mi pare molto bello, tanto che le due ‘copertine‘ furono poi scelte, nel XIII secolo, per rilegare il Messale vero e proprio. Naturalmente, nei secoli, l’opera è stata esaminata ed analizzata da molti esperti: la raffigurazione riguarda evidentemente – nella prima – il vino (che scorreva a fiumi durante la Festa, il giorno della Circoncisione), e Bacco; e – nella seconda, pare – Venere, Cybele, Diana; il tutto decorato con vari paraphernalia.

Tra i tanti esperti, uno dei più accreditati dal consensus, è stato l’erudito Aubin-Louis Millin de Grandmaison (Membre de l’Institut, et Conservateur des Médailles à la Bibliothèque Impériale de France), che ha pubblicato nel 1806 la Description d’un Diptyque:

Millin effettuò la sua analisi avendo certo visto le copertine vere e proprie, ma probabilmente si è poi basato su due disegni realizzati alla bisogna:

Così, ecco la prima tavola:

Ecco dunque qualche notula; dato che Millin divide l’esame della prima di copertina in tre parti, osserviamo la prima parte:

Millin: si tratta dei dettagli della Vendemmia; al centro, un uomo nudo (nell’immagine qui sopra è l’uomo al centro in basso), giovane, porta sulla testa un paniere pieno d’uva, e con la mano destra ne porta un altro; la testa è rivolta verso la ‘cuve‘ (la vasca che compare in alto a sinistra) dove deve versare il contenuto dei suoi due panieri. Nei pressi, si vede un villico che conduce un carro – pieno d’uva – trainato da due brebis (capre): il conducente è armato di massue (mazza) e indica con la destra la cuve (per l’erudito è un errore, perché i due animali dovrebbero essere piuttosto dei maschi, dei boucs, che sono per noi i capri, i becchi, consacrati tradizionalmente a Bacco). Più sopra, si vedono due uomini vestiti come il conducente del carro, con una semplice tunica con le maniche arrotolate: schiavi destinati ai lavori campestri; i due ammassano e sistemano i grappoli d’uva in grandi cesti di vimini, e non raccolgono l’uva dalla pianta che gli fa ombra, che – secondo lui – non è una vite (le foglie sembrano quelle di una palma, ma il tronco non sembra quello di una palma), ma si apprestano a gettarli nella grande cuve. Qui (in alto a sinistra), tre uomini nudi – di cui il primo ha le corna, e sono dunque dei seguaci di Bacco – pigiano l’uva. Il succo (le jus divin) esce da un muso di leone e cade in un gran vaso rotondo. Accanto, un carro a due ruote che trasporta una tonne (botte), ma trainato stavolta da boucs.

Mio commento: mi pare tutto sommato corretto; che poi si tratti di una palma, … se lo dice lui, mah!

Passiamo alla seconda parte:

Millin: si tratta di Bacco e della sua allegra brigata che assistono alla festa; c’è un Satiro con la testa ornata di corna di bouc, e suona in una conque (conchiglia) per avvertire dell’arrivo del dio di Nysa; questa conchiglia assomiglia a quelle usate dai Tritoni, e ricorda l’origine del nome buccinum che usualmente si dà a questa specie di trompette (trombetta). Il Satiro tiene per la briglia un cavallo scalpitante, il cui cavaliere veste una clamide. Il Satiro e il cavaliere aprono la marcia e si dirigono – secondo lui – verso la cuve; il cavaliere – sempre secondo lui – sarebbe il padrone della villa dove si sta vendemmiando, e Bacco lo sta seguendo per visitarla. Così, arriva il carro del dio, trainato da un Centauro e da una Centaura, i quali sorreggono un grande cantaro (un vaso, da cui si beve vino) mentre volgono lo sguardo verso Bacco: sul Centauro vi sarebbe poi una sorta di spessa criniera a marcare la separazione tra l’uomo ed il cavallo, sorretta – pare – da una grande cintura fissata al timone, per quanto non visibile. Il carro ha la forma di un carro da corsa o da guerra, con ornamenti sui bordi e decorazioni all’interno; il dio è in piedi, e non appare né giovane né effemminato, come – secondo lui – ci si dovrebbe aspettare: infatti è barbuto ed un po’ avanzato nell’età, come – secondo lui – è spesso rappresentato il ‘Bacchus vainqueur de l’Inde‘. Coronato di pampini, il tirso su cui si appoggia finisce con un fiore di foglie di vigna, e non come una pigna; la sua clamide è posata sulla spalla sinistra, mentre con la mano destra regge un cantaro ansato. Accanto a lui c’è Pan, che porta una bastone dai rami tagliati e che gli serve da pedum (credo si tratti dell’arcaico vincastro): egli sostiene il suo maestro Bacco, del quale è amico e generale (sic!).

Mio commento: Bacco è Dionysus, e la seconda parte del suo nome potrebbe forse riferirsi al Monte Nysa, alle cui Ninfe il piccolo Dionysus venne affidato. Sorrido di fronte alla possibile trompette, e per quanto non riesca a vedere la criniera sull’originale in avorio (ma presente nel disegno), né il timone del carro, non posso che prenderlo in parola; lo stesso vale per la terminazione del tirso, per l’aspetto di Bacco e la funzione di Pan.

Passiamo alla terza parte:

Millin: ecco tre divintà del mare, un vecchio Tritone tra due Nereidi, che portano sulla testa le chele di un’ecrevisse (una pannocchia, o un gambero); tutti e tre, con code marine, indossano una cintura di foglie d’acanto, per separare l’uomo dal pesce. Il Tritone tiene tra le mani un mostro marino con la testa di cane; ed una delle Nereidi (quella di destra) saluta con la destra il carro di Bacco mentre con la sinistra tiene una conque (conchiglia); l’altra tiene con la destra un ramo. Più in basso, dei pesci giocano nell’acqua: a sinistra c’è un delfino, e a destra un appartenente – secondo lui – al genere ostracion, un poisson coffre (pesce scatola). L’erudito si sorprende nel constatare che l’ignoto artista abbia raffigurato il carro di Bacco come fuor d’acqua, e che i due Centauri non abbiano ancora raggiunto terra. Secondo lui, Bacco qui rappresenta il Sole, che sorge dalle onde e favorisce con il suo dolce calore la vendemmia: le tre divinità marine – insomma – vedono Bacco sorgere dalle acque. Per cui, conclude l’autore, ‘Tutto prospera nella casa di campagna; e si dice che che è lo stesso Bacco, sostenuto da Pan, condotto dai Centauri, e preceduto da un Satiro, che viene in pompa a visitare e fecondare i possedimenti del propietario (della vigna).’.

Mio commento: non saprei se si tratti di pannocchie, di gamberi o di granchi, ma poco importa. Però il mostro marino con la testa di cane mi fa venire in mente un mostro all’origine dei Merovingi, la famosa Bistea Neptuni Quinotauri similis, il Quinotauro che avrebbe generato Meroveo. Ma la mia è, naturalmente, solo un’ipotesi. Quanto allo strano pesciotto di destra, potrebbe somigliare – con quelle scanalature sul dorso – anche ad una remora, il petit poisson noirâtre che talvolta fa il paio in Alchimia con il Dauphin, che è il figlio primogenito del petit roi. Che poi Bacco rappresenti qui il Sole … potrebbe esser vero. Se così fosse, però, l’intero contenuto di questa bella quanto bizzarra tavola di quercia potrebbe esser considerata sotto un’altra luce …

Questa interpretazione di Bacco/Sole è corroborata – secondo Millin – dal fatto che la seconda copertina mostra Diana/Luna su un carro che anch’esso sorge dalle onde del mare …

Passiamo dunque all’esame della seconda tavola:

Ed ecco la prima parte:

Millin: In alto a sinistra si vede Vénus (Venere) all’interno di una coquille (conchiglia): per il nosto erudito non si tratta di un’esatta rappresentazione della Vénus Anadyomène (vale a dire, la classica ‘Venere che sorge dal mare‘): per il fatto che porta una sola mano sui capelli e che sostiene un gran voile (velo) con il quale si avviluppa; quindi si tratta piuttosto di una Vénus marina, o che esce dal bagno. Il nostro è in qualche modo infastidito dall’imprecisione dell’autore in questa seconda copertina: se nella prima tutto era sequenziale e regolare, qui l’artista fa confusione: che ci sta a fare un soggetto marino in un luogo che non offre altro che una scena terrestre? Poi: un genio alato, tra due alberi (in alto, sulla destra), pesta qualcosa in un vaso coperto da un tessuto, che assomiglia ad un paniere. Vicino a lui vi sono due donne (sedute o sdraiate), e una di esse stende la mano verso un cane da caccia: forse l’artista ha voluto rappresentare delle compagne di Diana, che la dea viene a cercare quando Vénus brilla in cielo. Questa interpretazione – secondo il nostro – è probabile, visto che la coquille che porta Vénus è del tutto isolata e non si appoggia su niente di solido, mentre il piccolo genio e le due donne sono su un terreno che sembra elevato e alberato.

Mio commento: che Venere sia rappresentata in quel modo non mi pare un gran problema; fra l’altro, quel voile potrebbe anche essere inteso al femminile, imparentandola forse alla Fortuna (il che non guasta durante le vendemmie alchemiche, no?). Piuttosto, il genietto alato che pesta … è curioso in questo contesto: potrebbe trattarsi di un mercurietto? … ah, saperlo!

E passiamo alla seconda parte:

Millin: Il carro di Diana sorge dal seno delle acque, vestita con una lunga tunica, senza maniche (indossata – dice il nostro – quando non si debbono inseguire animali nel bosco! … e simbolo di castità). Al di sopra porta un peplum (peplo), fissato da due fibule; una terza fibula fissa il peplo alla cintura. Diana ha un grande voile (anche lei!) che s’alza nel vento, ad indicare la rapidità della sua corsa; sulla fronte è adornata del Croissant (Crescente) che è il suo simbolo. Tra le mani impugna una lunga fiaccola con cui illumina il mondo di notte: per questo è chiamata Lucifera, portatrice di luce. Un vegliardo con la testa ornata d’ali tiene le redini del carro; un giovane nudo porta un corbeille (cestino) piena di fiori e frutti, che pare offrire alla dea; i due si tengono per mano e reggono una conque (conchiglia). Il vecchio non può essere altro – dice lui – che Morpheus (Morfeo), mentre il giovane potrebbe essere il genio della natura; la trompette in forma di buccina indicherebbe che intendono celebrare l’arrivo della dea. Il carro a due ruote è più grande di quello di Bacco, ed è trainato da due tori; Diana viene anche chiamata Tauropus, a causa delle corna di luna che porta sul capo.

Mio commento: pur se non v’è dubbio che si tratti di Diana, quel velo (voile) gonfio di vento richiama ancora una volta Fortuna; quanto a Morfeo ed al genio della natura, non saprei che dire … manca fra l’altro lo strano mostriciattolo al centro della composizione, ma il nostro ne parlerà tra poco.

E arriviamo alla terza parte:

Millin: Come il Sole/Bacco, Luna/Diana sorge dal seno delle onde e rischiara la terra. In basso c’è Thalassa, la dea del mare, che con la sinistra stringe un mostro marino con la testa (e la parte anteriore del corpo) d’ariete (belier), mentre con la destra tiene un’aragosta (langouste). Nei pressi c’è una altro mostro con una bocca enorme, simile a quello che sta al centro della composizione (vide immagine della seconda parte); altri pesci giocano tra le onde.

Mio commento: concordo con il nostro erudito commentatore; però … però … si vede anche la testa di un delfino che sorge dalle onde, una sogliola (forse), un altro pesce scatola (o una remora?), e un altro, grosso, pesce-cane, ornato di una cintura d’acanto; sulla destra compare pure quel che sembra un fiore marino, chiuso (forse … un dattero di mare? … mah!). Il mare, insomma, pare piuttosto popolato, no?

Per concludere: questa bellissima opera d’arte, del V-VI secolo, non ha nulla da spartire con il contenuto della Messa dei Folli, il cui soggetto principale è senza dubbio l’Asino. Ma se Bacco e il vino e la vendemmia caratterizzano il tema della prima copertina, la seconda è curiosa: che ci fa Diana e la sua corte in questo giardino tutto femminile? Visto che di Luna si parla, forse ci si potrebbe ricollegare ad un certo corpo che si collega a sua volta a Cybele (si-belle), un topos che in Alchimia ha precise somiglianze con il tema marino che accomuna le due copertine. Se, infatti, la prima copertina ci parla del vino e della sua preparazione, e la seconda ci presenta quel mercurietto che pesta/pigia qualcosa legato alla Terra … entrambe sottolineano il ruolo di Sol, Luna ed una terza sostanza, accostata ad una Venere, un tantino Fortunata. Entambe le scene, pur terrestri, richiamano una Humiditas diffusa, che accomuna il tutto.

Direte: troppo alchemico! … già: proprio troppo alchemico. E a Sens tutti cantavano ‘Hi-Han‘, seguendo l’asino-canta-la-messa, sulle note di Orientis Partibus:

Così, mi auguro che qualcuno possa aver trovato interessante questa rapida passeggiata attraverso le due curiose copertine del Missel de la Fête des Fous … e magari apprezzerà anche una notula apposta sulla seconda di copertina del Missel, che riporta un distico ancor più curioso, scritto a mano (attribuito ad un tal Lubin, procuratore generale del baliato di Chartres), che precede l’Officium di Pierre de Corbeil:

Tartara Bacchorum non pocula sunt fatuorum

Tartara vincentes sic fiunt ut sapientes

Hi-Han !!!!

… una Terna, di Basilio Valentino

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VITRIOL

Tum omnia in omnibus invenies, quod est vis attrahens omnium metallicarum & mineralium rerum ex sale & sulfure ortarum, ac bis ex Mercurio progenitarum: Plus – inquam – me non decebit de eo, quod est omnia in omnibus, dicere, cum omnia in omnibus compræhensa sint.

Von dem grossen Stein der uhralten Weisen, dal Tripus Aureus

 

Verso la conclusione del Von dem grossen Stein der uhralten Weisen, questo è il monito di un cert’uomo, di grande senilità, dai capelli & la barba bianchi, come neve, vestito di porpora dalla testa ai piedi

Come promesso qui, riprendo l’esame di alcuni passi di Basilio Valentino dal suo Della Grande Pietra degli antichi Saggi; nel passare dall’Editio Princeps del 1599 del monaco Benedettino tedesco alla prima traduzione latina del 1618 da parte di Michael Maier (Tripus Aureus), poi alla traduzione francese del 1956 da parte di Eugène Canseliet (Les Douze Clefs de la Philosophie), fino alla traduzione Italiana del 1998 fatta da Paolo Lucarelli (Le Dodici Chiavi della Filosofia) – la sottile distinzione tra ‘tintura’ ed ‘Anima’ era andata in qualche modo smarrita. La tintura indica un corpo in cui si è per così dire stabilizzato uno Zolfo particolare che possiede la capacità di tingere un altro corpo; mentre l’Anima è quella proprietà universale dei corpi che attiene allo stabilirsi della fissità di un corpo. Perciò l’Anima in qualche modo precede l’instaurarsi della tintura in un corpo; è infatti soltanto grazie all’azione dell’Anima che un corpo, per esempio, può assumere la fissità, ed una volta che quest’ultima si sia stabilita in un corpo facente funzione di Zolfo, allora quello Zolfo – in seguito ad alcune procedure alchemiche – può finalmente tingere, cioè trasmettere ad un altro corpo non soltanto un colore esterno, ma anche una tintura interna fissa. Dom Pernety descrive la capacità di tingere con queste parole:

“TINGENTE: Proprietà richiesta alla Pietra dei Filosofi, o alla loro polvere di proiezione. Essa deve essere tingente, vale a dire adatta a fornire ai metalli imperfetti il colore & la tintura fissa e permanente dell’oro o dell’argento, a seconda del grado di perfezione a cui [la Pietra] è stata spinta.”.

Si intuisce facilmente che tale trasmutazione può avvenire grazie ad una sorta di infusione (mi si passi il termine) dell’Anima della Pietra dei Filosofi nel metallo imperfetto, che si trasforma all’istante – cioè, trasmuta – in metallo perfetto; d’altra parte, avvenuta la trasmutazione, il corpo della polvere di proiezione resta come scoria – inanimata– all’interno della lingottiera.

Ciò detto, ecco qualche perlina di Basilio Valentino, sempre tratte dal Della Grande Pietra degli antichi Saggi, ma che figurano prima del passo su Luna, Venere e Marte di cui ho parlato nel Post precedente (tratte dalla Traduzione italiana da parte di Paolo):

Prima di tutto riassumiamo schematicamente la sua visione del processo della Creazione:

Al principio, quando lo spirito era portato sulle acque e ogni cosa, fino ad allora, era coperta dalle tenebre, Dio … creò dal nulla il cielo e la terra e tutte le cose che in essi si trovano, visibili e invisibili … In effetti Dio ha fatto ogni cosa dal nulla.

E questa è la Creazione ex-nihilo, by-the-book; en passant, segnalo – come ho già fatto più volte – che nel racconto Biblico lo Spiritus e l’Aqua già erano presenti (creati?), ma avvolti dalla Tenebra; e che poi Dio creò – ex-nihilo – Cielo e Terra ed ogni cosa – visibile e invisibile – in essi implicitamente contenuti. Curiosamente Basilio qui tace sulla Lux … ma ritengo che lo faccia per non complicar troppo le cose, e correre invece verso la meta didattica che aveva in mente.

In tale Creazione, il Creatore per ogni natura non ha teso né alla distruzione né alla diminuzione. Vi ha messo un seme particolare perché ne avvenisse la crescita …

Dice: per ogni natura. Quanto ad esse, Basilio sostiene che il processo di sviluppo fosse espansivo; però, ad ogni buon conto, forse sarebbe utile riflettere sul fatto che in questa visione deve essere considerato soltanto, per così dire, … come ‘a dare’. Inoltre, si parla di un seme particolare, e del fatto che la creazione del seme è di esclusiva competenza divina.

Prosegue poi con la descrizione sul come avviene l’evento della generazione metallica:

… l’influenza celeste scende dall’alto e si mescola con le proprietà degli astri. In seguito, quando avviene questa congiunzione, i due fanno nascere come terza una sostanza terrestre, che è il principio del nostro seme, della sua prima origine, in modo che possa mostrare gli avi della sua generazione. Da questi tre nascono e appaiono gli elementi come l’acqua, l’aria e la terra. Questi in seguito, per mezzo del fuoco sotterraneo operano sino a produrre qualcosa di perfetto. Non possiamo trovare nulla di più all’inizio del magistero. Perciò Hermete e tutti prima di me hanno indicato tre principi. E sono stati trovati: l’anima intrinseca, lo spirito impalpabile e l’essenza corporale visibile.

Schematizzando, il processo iniziale proposto da Basilio è il seguente:

  1. Congiunzione di un’influenza celeste con le proprietà degli astri;
  2. Da questa Congiunzione nasce una terza sostanza, terrestre;
  3. Da questa terna nascono e appaiono gli Elementi Acqua, Aria e Terra;
  4. I tre Elementi – stimolati dal Fuoco sotterraneo – tendono a produrre un corpo perfetto.
  5. Quindi, i tre Principi Primi (i.e., l’influenza celeste, le proprietà degli astri, e la sostanza terrestre) danno luogo, attraverso la nascita e l’opera dei 3+1 Elementi, ad un corpo, in questo caso in esame, metallico.
  6. Questi tre Principi Primi sono chiamati Anima intrinseca, Spiritus impalpabilis, corporea visibilisqe essentia.

Basilio passa poi a spiegare che:

Quando queste tre sostanze coabitano, per mezzo dell’unione, del succedersi del tempo e di Vulcano, evolvono in sostanza palpabile, cioè in argento vivo, solfo e sale. Se questi tre sono condotti per mescolanza al proprio indurimento e alla propria coagulazione, così come la natura opera e richiede, producono un corpo perfetto …

Leggendo Maier, però, si nota che la frase iniziale suona così:

Non appena questi tre coabitano assieme, progrediscono per copulazione, per lo scorrere del tempo, e grazie a Vulcano in sostanza palpabile, cioè nell’argento vivo, zolfo & sale. …

 … dove il soggetto della frase è costituito da quei tre Principi Primi, i quali – coabitando assieme, e unendosi nel corso del tempo, grazie a ‘Vulcano’ – progrediscono in tre sostanze, palpabili.

Basilio continua precisando:

… questa è la verità di ogni verità: se l’anima, lo spirito e la forma metallici sono presenti, là si devono trovare anche l’argento vivo, il solfo e il sale metallici …

…che in Maier suona in modo quasi identico:

… questa è la verità di ogni verità; perché se sono presenti l’anima metallica, lo spirto metallico & la forma metallica del corpo, da lì [oppure: poi] debbono seguire senza dubbio l’argento vivo metallico, lo zolfo metallico & il sale metallico …

Segue poi un discorso che espone la differenza tra l’Uomo e gli animali: agli animali manca l’Anima, ed è per questo che l’uomo, dopo la morte, può invece sopravvivere – rinascendo – in un corpo glorificato; è grazie all’Anima – che resta dopo la morte – che sarà glorificato così che, una volta che l’Anima ‘ritornata’ abiterà in quel corpo (‘anima in corpus eius clarificatum reversa ibidem habitabit’), il corpo, l’anima e lo spirito si riuniscono in una [cosa] sola. Così la celeste glorificazione di quella cosa una verrà fatta conoscere per mezzo di quei tre, i quali mai potranno essere separati per tutta l’eternità.

In questa esposizione di stampo filosofico/teologico si coglie però il valore ed il ruolo esiziale attribuito all’Anima nella terna di Basilio Valentino, e si prosegue con una spiegazione di chiaro spessore alchemico, nella quale si sottolinea ancor più a cosa serva l’Anima:

In verità, lo spirito può dimorare in un corpo e non per questo seguirlo, dovendo questo corpo essere fisso, sebbene il corpo si compiaccia con lo spirito e lo spirito non sia affatto in conflitto col corpo. Infatti entrambi sono sprovvisti di quell’anima forte, preziosissima nobile e fissa, che incatena e rinsalda corpo e spirito, li conserva e li difende naturalmente da tutti i pericoli. Perché dove manca interiormente l’anima, non resta nessuna speranza di redenzione. Infatti la cosa senz’anima è imperfetta e questo è uno dei più grandi segreti dell’Opera.

Quel ‘compiacersi’ proposto da Canseliet traduce il ‘conveniat’ latino di Maier (da cum-venio), che a sua volta traduce il ‘ruhen’ di Basilio (‘riposarsi, trovarsi in quiete’): pare quindi che lo spirito ed il corpo ‘convengano in pace’, per così dire; ma – in assenza dell’Anima che ‘lega’ – se il corpo diverrà fisso non necessariamente lo spirito lo seguirebbe in quella fissità. In Alchimia, dunque, l’Anima ha il ruolo (la funzione) di ‘legarespirito e corpo lungo lo svilupparsi dei processi alchemici: avvenuto questo vincolo, se il corpo viene fissato, anche lo spirito ad esso connesso diventa fisso, e viceversa.

Quanto al ‘segreto’ che Basilio afferma di aver svelato – Res enim absque anima imperfecta est -, esso viene meglio precisato in un Sermone che Basilio raccomanda di leggere con grande intendimento:

… perché gli spiriti che si celano nei metalli sono diversi, uno più volatile o più fisso dell’altro, così come sono diseguali la loro anima (o, le loro anime) e i loro corpi. Qualunque metallo abbia riuniti in sé i tre doni della fissità, ha ottenuto la durezza con cui sopportare il fuoco e trionfare di tutti i suoi nemici.

Se è evidente che quei ‘tre doni della fissità’ qui si riferiscono più direttamente alla Pietra, l’indicazione appare importante anche quando – dopo quei tre Principi Primi, di cui supra – si entra nell’esame delle caratteristiche dei metalli specificati. Stiamo di fatto scendendo un gradino rispetto ai punti 5. e 6. descritti da Basilio; ogni metallo è costituito alchemicamente da un Mercurio, uno Zolfo ed un Sal, le cui caratteristiche (in qualche modo connesse alle Qualitates di nascita, vale a dire a ciò che in Philosophia Naturalis si chiama la rispettiva Specifica di Creazione) ovviamente variano secondo quella Specifica, che è l’Informazione che indirizza quel tal metallo nella progressiva specificazione (una discesa, dall’alto in basso). Per cui, ogni ‘metallo’ (ma … anche ogni corpo, no?) si presenta agli occhi dell’Artista con caratteristiche diverse.

E finalmente arriviamo al passo che abbiamo esaminato in precedenza, quello su La lasciva Venere; Basilio lo fa precedere da un brano a proposito di Luna, e lo fa seguire da un altro brano su Marte. Ecco come Luna viene presentata:

La Luna possiede in sé un mercurio fisso e per questa ragione non si dilegua così velocemente nel fuoco come gli altri metalli imperfetti, ma ne sopporta l’esame e lo dimostra più chiaramente con la sua vittoria quando il voracissimo Saturno non può trarre da lei alcun profitto.

Dato che siamo scesi di un gradino, Basilio ci parla del mercurio fisso di Luna. Segue poi il brano su Venere, che ho già esposto ed a cui rimando, che è a sua volta seguito da questo brano, su Marte:

Il sale fisso ha dato al bellicoso Marte un corpo solido, rozzo e saldo, con cui si manifesta la sua magnanimità d’animo, e quasi nulla può essere tolto a questo duce guerriero. Il suo corpo infatti è compatto a tal punto che difficilmente può essere ferito. Ma se la sua potente virtù è unita spiritualmente, per mescolanza e accordo, con la fissità della Luna e la bellezza di Venere, può svilupparsi una Musica abbastanza dolce, per cui alcune Chiavi siano giudicate degne di ricompensa di colui che è senza pane e che, salito al gradino più alto della scala, potrà sussistere particolarmente. Perché la qualità flemmatica e la natura umida della Luna devono essere seccate col sangue bruciante di Venere e la sua grande nerezza corretta col sale di Marte.

Il passo è molto bello, specie per chi – prima di lavorare in Laboratorio – ami studiare, allo scopo non scontato di almeno rendersi conto, per poi iniziare a farsi una migliore idea, di quel che si nasconde sotto la lettera di un autore alchemico stimato. Ecco allora la mia personale traduzione dello stesso passo dal latino di Maier, le cui nuances sono state elaborate & fissate assieme al fidato Fra’ Cercone (che ringrazio):

Il Sale fisso ha dato & concesso al bellicoso Marte un corpo robusto, durevole & denso, da cui viene mostrata la buona schiatta del suo animo, e a stento può essere strappato qualcosa a questo guerresco condottiero: infatti il suo Corpo è talmente compatto che a malapena può esser ferito. Se infatti la sua forte virtù si congiunge spiritualmente per mistione & concordanza con la fissità di Luna e la bellezza di Venere, si può armonizzare così soavemente quasi fosse Musica mediante la quale molte Chiavi vengono nobilitate col suo onore [i.e.: quello di Marte] affinché l’indigente possa fruire di particelle di nutrimento se sarà salito ad un livello superiore della scala: infatti la qualità flemmatica o umida di Luna deve venire essiccata col sangue ardente di Venere & la sua grande nerezza [deve] essere corretta dal Sale di Marte.

Per completezza, va detto che in entrambe le due versioni Tedesche i due termini da noi proposti come ‘indigente’ e ‘nutrimento’ – che nel Latino di Maier sono ‘egenus’ e ‘pane’ – vengono proposti come ‘durstig’ (‘assetato’) e ‘Brodt’ (‘Pane’); questi riferimenti sono stati confermati da una persona cara e paziente che ci ha aiutato a leggere i caratteri dell’Alto Tedesco, e la debbo ringraziare per la sua disponibilità ad esaminare un testo per lei tanto arcaico quanto astruso.

E torniamo al punto: nel testo che abbiamo esaminato, curiosamente Basilio non si occupa di alcun altro ‘metallo’ per approfondire il punto da lui proposto; solo Luna, Venere e Marte vengono esaminati dal punto di vista dei tre Principi Primi (eppure anche Sole, Giove, Saturno, Mercurio avrebbero caratteristiche degne di un qualche interesse). Dopo questi passi, Basilio consiglia di studiare le sue Dodici Chiavi, e all’uopo propone un bel racconto allegorico – peraltro di non difficile interpretazione – sulle peripezie del Mercurio, gettato in prigione da un Marte offeso, e detenuto da Vulcano; e nemmeno le buone arti di Luna e Venere riusciranno a liberarlo, anzi Venere viene persino ‘mangiata’! Ma in questo racconto, senza dubbio interessante, è completamente assente quell’esame così puntiglioso delle caratteristiche costitutive che ha indicato in precedenza.

A mio modesto avviso, dunque, – vista l’accurata architettura didattica con cui Basilio espone le proprie affermazioni su Luna, Venere e Marte – il fatto che Fulcanelli abbia potuto commettere quel banale errore di traduzione (i.e., tintura per anima) mi pare del tutto poco credibile; trattandosi de Les Demeures Philosophales – opera stampata nel 1930, e la cui edizione, proveniente dagli appunti di Fulcanelli raccolti e editati da parte di Canseliet e Champagne, avvenne dopo la scomparsa sia di Fulcanelli che di Dujols -, continuo a restar sorpreso che Canseliet non abbia poi mai provveduto a corregger meglio il testo in questione. Quanto alla curiosa esposizione di Basilio su Luna, Venere e Marte, mi pare che Canseliet l’abbia intesa come un’erudita lettura delle caratteristiche dell’Argento, del Rame e del Ferro, e nulla più.

E qui, mi fermo.

Riporto, per concludere, un piccolo intermezzo seminato dal famoso Monaco Benedettino, chiunque egli sia stato:

Se ora non vuoi comprendere ciò che conviene che tu intenda, non sarai designato per la Filosofia, oppure Dio la allontanerà da te.

Equinozio – Primavera 2019

Posted in Alchemy, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , on Wednesday, March 20, 2019 by Captain NEMO

Quest’anno abbiamo una Luna magica: non accadeva dal 1905 la corrispondenza tra Luna Piena e l’Equinozio di Primavera, e non riaccadrà prima del 2144!

L’alchimista non potrà che accogliere con allegria questa sincronicity: che i Foux, dunque, si apprestino a coccolare i loro Feux, con Amore, Gioia e Passione!

Buona Primavera, a tutti!

Riflessioni Lunatiche

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Various Stuff with tags , , , , , , on Wednesday, April 4, 2018 by Captain NEMO

Ogni volta che entro in Laboratorio sto bene, per quanto Locus Terribilis est iste. L’alchimista operoso ritrova la pace del silenzio, e si abbandona – finalmente – al poter domandare e rispondere non più ad un essere umano, ma ad esseri di natura silente, come i minerali. Stupiti? .. Non serve a nulla lo stupore: ogni minerale continuerà a vivere serenamente, con o senza lo stupore nostro. Ma dicevo dell’alchimista, nel suo privato luogo di studio e pratica: egli domanda ed interloquisce con Madre Natura, in un colloquio intimo, ma profondissimo, continuato, animato. Sempre più sorprendente, a dispetto della consuetudine serale. La Pace è con l’alchimista che segue Natura. Non v’è altro. Osserva, attento, il succedersi delle ‘comunicazioni’, delle informazioni che ‘in-formano’ la Materia in evoluzione. Ogni volta, ogni istante, ogni notte, incontra Luna e le sue meraviglie. Si dice che la Force sia una forma romantica propria del raccontar fiabe, si dice che il meraviglioso resti racchiuso nella scatola delle chimere, delle quali abbiamo bisogno per crederci ‘viventi’, acculturati, credenti, sapienti. Eppure la Force è proprio ciò che permette e spinge la Vita, ogni vita; siamo abituati ad elucubrare, secondo arguzia e fine dialettica, su ogni minuzia che la mente apparecchia per affermare il proprio dominio sul ‘come-stanno-le-cose’. Si dicono molte cose sul meraviglioso. Ma pochi, persino tra chi si occupa manualmente di Alchimia, si rendono conto che l’Opera è all’opera, sempre, in ogni vivente. Meraviglia non è un sogno, ma, semplicemente, una ‘cosa-da-guardare’: mirabile. Basta guardare per vibrare, letteralmente e persino fisicamente, come sta scritto nei libri antichi della Philosophia; i quali non sono quisquilie intellettuali, ma veri ‘manuali’. Noi elaboriamo sovrastrutture del tutto inutili, e poi protestiamo perché non comprendiamo. Mirare, ammirare, per fare. Invece, protestiamo, contestiamo, ci ergiamo. E stabiliamo. Eppure, è tutto già qui, tutto già lì, tutto, da sempre. In Opera. Luna attrae e Force scorre, potente. Se Luna piena è sintomo di massima forza, dovremo aumentare o diminuire i fuochi? Se Luna cala, perché mai non tenerne conto anche quando volessimo porger acqua ad un fiore che chiudesse quelle notte la corolla? La corolla, non assomiglia forse alla corona di un Re o di una Regina, piccoli o grandi che essi siano? Se un sasso, o ciò che ‘noi’ crediamo solo un sasso, ‘sente’ Luna e muta nel proprio divenire, e si sposta lungo l’asse del proprio luogo e del proprio tempo (non i nostri, ça-va-sans-dire), perché in armonia di fase con la frequenza del battito lento Lunare; se esso sasso ‘sente’ e muta, e si orienta e si occidenta, e mostra nuovo colore, se tutto “si” cangia senza parole e senza pensare, senza mente; se Madre Natura guida serena il cammino di ogni cosa vivente, incurante del nostro abbaiar sentenze dotte o dogmi ingannevoli o lamentazoni infinite … ebbene, perché mai continuiamo a sostenere che  – per esempio – Luna non induca mutamenti concreti anche in noi esseri umani? … mutamenti che non assecondiamo, né seguiamo più? … il ‘fiatar’ “…AMO!” (viene da quel ‘Fiat’ !!) in Luna che sale non avrà un grado ed una direzione specifica differenti (funzionalmente!) se Luna scende? L’andar su e l’andar giù, un alto e un basso, il battere, il periodo: definizione di un circuito, di un percorso, mirabile. Il periodo è alla base di ogni frequenza, alla base di ogni ciclo, di ogni circolo, di ogni ruota, di ogni irraggiamento, di ogni interazione del Campo (John Dee docet!), di ogni sentire, di ogni Musica: non è forse arcinoto che è “l’Amor che move il sole e l’altre stelle“? Dice: ma dai. Dico: guarda, studia e fai. Degnati di ‘fare’, di agire, MA … secondo Natura! Dico ancora: se un sasso ‘sente’ il ‘fiatar’ di Luna e si accorda a quell’Amor di cui sopra, possiamo ancora sostenere che il nostro ‘fiatar’ non debba accordarsi con quello di Natura? E poi ci si chiede “cosa” sia Ri-Sonanza, e ‘… come-si-fa’, o ‘… a che serve’? … e si dovrebbe continuare, più nel profondo delle cose nostre, ma scopriremmo scomodi altari sui quali la nostra mente non potrebbe mai posarsi indenne. Eppure così è, se vi pare.

L’alchimista è testimone del divenire in atto, in Opera. Non è difficile accorgersene quando si è soli, in pace, danzando con il battito lento di Luna. Si dimentica, l’alchimista, dei propri affanni, delle proprie convinzioni, dei propri graniti, delle proprie certezze: e osserva, sorridente, la facilità con cui tutto volge verso il vert, dans le Printemps. Magia? Fantasia? Esoterismo? Rosa Croce? … ma va là, non diciamo sciocchezze. Ogni vivente è un Servant di Madre Natura, unica vera guida di ogni mutamento. Il Progetto, il Blueprint, è il suo; siamo bimbi Servant. Tutto qui. Qualcuno potrebbe chiedere, con presupponente arguzia: “Servant? … saremmo ‘servitori’ di una vaga entità, frutto del nostro intelletto? … Non sarà che siamo noi, al contrario a dover guidare il nostro cammino, secondo Scuola, Ordine e Rito?” Potrei rispondere, in tutta serenità, che il vero arciere non è colui che si fregia di un titolo, o del Badge del XII° Gruppo Arcieri di Magister San Gelasio, Suprema Cripta 21 ‘La Foudre du Soleil“; no, sono ormai certo che il vero arciere, il vero Arjuna, sia in semplicità il Servant dell’Arco. Nulla di più e nulla di meno. Quando, e se, si raggiungesse questa serena consapevolezza, allora – forse – uno può essere (non ‘chiamarsi’) arciere. Servant. Dell’Arco. Dice: “… ma … lei intende il Royal Arch? … ‘quel’ Royal Arch’?“. Totò, Principe di Bisanzio, risponderebbe: ” … ma mi faccia il piacere!“.

Luna batte, ed il sasso e l’alchimista seguono il corso indicato, né dal luogo, né dal tempo.

Anche questa, credetemi, è la bellezza dell’Alchimia operativa:  dopo più di quarant’anni miei, danzo l’antica danza dei semplici. Il resto, consentitemelo, è privato. Tra me e la Regina Bianca.

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Full Moon rising…per i bimbi

Posted in Alchemy, Alchimie, Various Stuff with tags , , , , , , , , on Saturday, February 2, 2013 by Captain NEMO

“Ho detto che la luce era la sorgente comune non soltanto degli Elementi ma anche di tutto ciò che esiste, e che è ad essa, come al suo principio, che tutto si deve rapportare. Il Sole e le Stelle fisse che ce la inviano con tanta profusione ne sono come i generatori; ma la Luna, posta come intermediaria, temprandola con la propria umidità, le comunica una virtù generativa per mezzo della quale ogni cosa si rigenera qui in basso.

Tutti sanno al giorno d’oggi che la luce che ci invia la luna non è che un’improntadi quella del Sole, alla quale viene a mescolarsi quella degli altri astri. La Luna è di conseguenza il ricettacolo o il focolare comune di cui tutti i filosofi hanno inteso parlare: essa è la sorgente della loro acqua viva. Se dunque volete ridurre in acqua i raggi del Sole, scegliete il momento nel quale la luna ce li trasmette in abbondanza, vale a dire quando è piena o quando si avvicina alla sua plenitudine: avrete in questo modo l’acqua ignea dei raggi del Sole e della Luna nella sua più grande forza.” 

[Da Récréations Hermétiques]

Natura è sempre lì, giorno dopo giorno…con dolcissima Poesia. Anche questa è Alchimia.

Emozione.

C’è gente che va e che viene: una coppia, qualche curioso, dei bambini, due amici rilassati, un ragazzo con lo zaino…poi si torna alle varie occupazioni…e Luna sorge e Luna tramonta, senza chieder nulla e illuminando le nostre notti di una Luce che non vediamo.

Tutto accade e si muove con un senso a noi sempre più nascosto.