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“La Bugia” del Marchese Palombara … 5

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Tuesday, June 18, 2024 by Captain NEMO

Dopo una Primavera meteorologicamente difficile (ma quanto meravigliosa per quelli che sono riusciti a “crogiolarsi” con chiara Luna), eccoci alle porte del ‘grande caldo’: e siccome l’alchimista operativo segue da vicino il ciclo ‘naturale’ così come ce lo offre Madre Natura, riprendo in mano lo studio de “La Bugia” del Marchese Massimiliano Palombara; lo avevamo lasciato qui, alle prese con la Purificazione della Pelle, e quindi proseguiamo con lui nell’ottima resa del codice cartaceo[1] da parte di Mino Gabriele: si tratta ora di ‘liberare’ il suo Re …

Mentre io stavo travagliando del continuo per la liberazione del Re, … facevo i miei conti che tanto maggiore sarebbe stato il premio che speravo, e tanto più che non avevo a dividere a farne parte con altri compagni, oltre la confidenza ed amicizia che averei in tutto di mia vita avuto con lui, certo che avrei possuto in tutte le mie occorrenze disponere di lui e di tutte le sue forze, mentre da me e per causa mia averebbe con la vita ricuperato e la libertà e il regno.”.

Si potrebbe/dovrebbe notare che: A) ciò che segue è un altro, nuovo, processo operativo; da compiersi, nell’intento del Marchese, dopo la Purificazione della Pelle: B) l’operazione è del tutto ‘privata’, non condivisa con ‘altri compagni’: il Marchese vi si dedicherà dunque zitto-zitto; C) il ‘premio che sperava’ è il ‘disponere’ del Re.

Ecco come si accinge a ‘liberare’ il Re:

Sì che avendo preso della calce viva asciutta e del sale armoniaco, e ben presto e l’uno e l’altro con la sua dose proporzionata, posi il tutto dentro ad una torta di vetro ed a foco gagliardo. Ne cavai una certa quantità d’acqua chiara, la quale poi unita con un’altra parte di acqua forte sflemmata, feci di queste doi acque un’acqua sì possente e gagliarda che in poco tempo ruppi le catene di duro ferro e li ceppi con i quali il Re era incatenato, e con i quali non si poteva né movere né camminare al dispetto di Saturno che ne aveva cura …”.

Talmente diretta e chiara la ricettina iniziale, che non necessita di commento alcuno; senza dubbio l’alchimista accuorto già saprà che qualsivoglia ‘acqua forte’ non entra mai in una vera operazione alchemica.

Seguendo le ben conosciute allegorie della letteratura alchemica, Il buon Marchese prepara una soporifera pozione … per addormentare le Guardie della prigione in cui è rinchiuso il Re (seme di giusquiamo, papavero, una libbra di oppio; triturato il tutto, vi aggiunge due chiare d’uovo ed un tot di acqua di mandragora; poi distilla la pozione e la mescola a del vino; una sera, lo immaginiamo quatto-quatto, le fa avere ‘secretamente a bere con bella maniera alle guardie…’). E fu così che “Conforme successe che furono addormentate con tal liquore, ebbi comodità di operare a mio comodo le ben chiuse e forti porte e trovato il Re che già mi stava aspettando …”, il prigioniero ed il suo liberatore fuggono guardinghi nella notte, verso la casa del Marchese (il racconto assomiglia alla storiella con cui Sendivogius avrebbe ‘liberato’ Sethon, il vero ‘Cosmopolita’; ma questa è un’altra storia, peraltro imprecisa).

Questo film del Seicento prosegue ora con il Marchese che deve fare i conti con il risveglio delle guardie ed il rischio di essere scoperto; così ponza-che-ti-ponza, decide di prender due piccioni con una fava: “… nascondere la persona reale … cioè salvarlo ed insieme finir di ridurlo totalmente al compimento del suo essere, mentre ancora non era arrivato alla totale sua perfezione;”. Il Re insomma, ha ancora “… nelle mani e nelli piedi e nel collo … i ferri che ancora non li avevo possuti finir di levare, per la prescia e per il poco tempo avuto, e ritrovandomi nel mio giardino di casa uno struzzo, tanto feci che quell’animale con l’avidità di pascersi di quei ferri si ingoiò con quelli il Re e se lo mangiò, ed a ciò di facile io vi acconsentii perché giudicai cha quello era un calor proporzionato per ridurre al fine la cominciata impresa.”.

Formidabile, no? … chi legge lo Script del film, non può che sogghignare alla trovata dell’Autore: … siccome le guardie che hanno bevuto il beverone soporifero, mo’-se-so’-svejate, il sornione Marchese (Romano-de-Roma) che fa? Corre in giardino ed acchiappa uno struzzo (chi non ha nel suo giardino qualche struzzo?), che naturalmente si ingoia il Re … e lo digerisce!

Ciò fatto stiedi sempre vigilante aspettando che lo struzzo si dovesse far un ovo, che poscia il medesimo da lui covato, da quello similmente ne doveva, conforme le regole dei maghi, risorgere il mio Re, il quale rinato perfetto con tutte le disposizioni delle membra era certo che poteva poi comparire in pubblico senza esser riconosciuto né dalla guardia né da altri, … Aspettai pertanto che il Re si finisse di digerire e concocere ascoso dentro le viscere dello struzzo, il quale finalmente fece il bramato ovo, che covato da quello con ogni diligenza ne nacque un bambino con la testa coronata di perle bianchissime, tutta intarsiata di risplendentissimi diamanti, sembrando quel corpicciolo una massa di perle lucenti che nella bianchezza passavano le nostre …”.

Qui si impone a mio avviso una pausa: il testo si conclude con considerazioni più Philosophicæ, che riporterò in un altro Post.

Durante la pausa, anticipo un passaggio finale di Massimiliano Palombara, che spiega cosa sia il risultato di questa operazione alchemica, sul quale magari si possa con calma fare qualche riflessione prima teorica e poi pratica:

… benché con mille nomi sia nominato … dicendo io di certo che benché nel principio derivi da tre, con tuttociò appena è uno, … non essendo altro che quella magnete cattolica o sperma del mondo dalla quale naturalmente pigliano l’origine e nascono tutte le cose.

Ed è meravigliosa e singolare avendo un’essenza investigabile, non essendo né caldo né secco o d’altra qualità, avendo una perfettissima adeguazione con le minime sue parti, e perché è incorrottibile nessun elemento si accosta a travagliarlo, essendo similitudine del cielo, anzi l’istesso cielo senza essere soggetto alla destruzione: vera quinta essenza della cosa più perfetta che seppe procreare la divina Natura, acqua dell’oceano, acqua vite, benedetta e purgatissima acqua, che in effetto non è acqua, né acqua piovana o scaturente da altra o simile scaturigine, ma crassa, permanente e conforme la riflessione dei savi, secca, e che non inumidisce o bagna la mano di chi la tocca. Celeste e duplicato Mercurio … chiamato da Avicenna anima del mondo.”.

Nel 1986 Paolo Lucarelli ricordò: ‘… Guglielmo di Conches nelle sue glosse “In Timeum” scriveva: “Anima mundi est naturalis vigor rerum quo quedam res habent tantum moveri, quedam crescere, quedam sentire, quedam discernere.”.


[1]La Bugia. Opera d’incerto Autore nella quale si tratta della vera Pietra dei Sapienti. 1656”, in Il giardino di Hermes, a cura di Mino Gabriele, Ed. Ianua, 1986.

“La Bugia” del Marchese Palombara … 2

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Friday, September 29, 2023 by Captain NEMO

Proseguo nella Parabola del buon Marchese.

A chi non è infuso di celeste sapienza, apporterà la lettura dei libri molta occasione di considerare che i loro discorsi sono pieni di equivoci e contraddizioni, che perciò il prudente ed accorto lettore dovrà sempre tenere accesa la bugia, acciò tra le oscurità della menzogna non inciampi nella profonda fossa dell’ignoranza.”.

Insomma, un buon consiglio, tutto omeopatico, no? “Similia Similibus Curentur”, dove nei nomina si cela il discrimine tra tenebra e Lux. Facilissimo da farsi, purché si ri-conosca, si sappia ri-conoscere, Lux; come pure, ovviamente, la propria, intima, Lux, quella originale, di nascita. Curiosamente, ma è la verità, entrambe hanno la loro Massa! E questo è un altro discorso …

Il nostro si avvia così a casa, ‘carico dell’erba celeste … colta nel colle’, che da tempi immemorabili è stata e sarà incognita all’ignorante; parola sua. Vediamo: … ma dove … dove ho letto dell’erbetta e del monte? Ah, … ecco … forse forse dal Pacifico Amante della Verità? Mi domando spesso, alla mia età, quante volte sia necessario ripetere la stessa cosa, affinché – al fine – si accenda Lux nel Cuore del cercatore.

La prende, la lava, la pulisce dalle impurità ‘che aveva nella radice’ (facili da separare: ‘non sono interne, né della sua natura’), la trita in atomi minutissimi, e la pone in un ‘vaso magico’, e la tiene sul fuoco ‘lento, vaporoso, aereo, non comburente’ – tipo quello del Trevisano – per asciugarla di una ‘certa umidità che a te ti deve essere molto ben nota’, dice. E … toh! … nasce così un Corvo! … Ah, caspita, … ma deve trattarsi del ‘vas negromanticum’ di Maria, l’Ebrea sorella di Mosè … no? Dal loggione: ‘Ecco, lo dicevo io, ci vuole un Magus, un incantesimo, una conjurationem esoterica e theophrasticam!’ dice, andando a raccattare il cappello a punta e il librone dei Grandi Grimori della Suprema congrega di Shalazam

NO. Dice Maier nell’Atalanta Fugiens, parlando di Triptolemo, commentando l’Epigramma XXXV: “… illud vas, quod Maria dicit, non esse negromanticum, sed regimen ignis tui sine quo nihil efficies.”. Punto. Basta questo, sapete? Ma ritengo sia bene prendere la Bugia indicata dal Marchese, ed accenderla con destro et ratto fiammifero, scoprendo che l’ignis tui … pur essendo senza dubbio un ignis, NON è il focherello che accendiamo sotto l’œuf-à-la-coque.

Pur avendo visto il Corvo, il buon Marchese scopre ben presto di non riuscire ad ‘aprirlo’: “ … per la mia poca pratica in operare [eh, sì … se non lavori, e tanto, e sempre, ci si trova presto tra i rovi!], poiché sebbene con certezza sapevo che dentro le viscere del suddetto corvo vi stava una bianca e pura colomba che nell’occhi  portava doi perle orientali, con il collo ricinto di risplendentissimi e ricchi diamanti, con tuttociò il corvo era sì duro, tenace e bestiale che non trovavo modo da pelarlo e strapparli le penne, che sì fortemente le tenevano avviticchiata ed intrecciata la carne e la polpa. … mi si nascondeva la chiave di questo carcere tenebroso ove innocentemente era ritenuto il mio Re, … e benché sapessi che Saturno era il custode di quella, lo trovai sempre tanto ostinato che non volse mai piegarsi alle mie calde preghiere, onde dando io in quel detto che dice: ‘comburite os nostrum igne fortissimo’, presi pertanto desperato il sopra narrato corvo e lo misi in un foco violentissimo e potente in forte vaso.”.

QED, … mal gliene incolse!

Così, ritorna al colle, in cerca della grotta che aveva trovato in precedenza; ma la trova sbarrata da una porta di Metallo, con sopra incise queste parole: “Io Mercurio, figlio di Maia per ordine di Giove sono disceso in terra, ed ho chiuso l’antro dove si trovano tutte le felicità umane e ne ho riportato la chiave in cielo.”. Evidentemente rattristato, fa per tornare a casa; ma incontra un vecchio barbuto ‘alto e asciutto’ che gli dice che Giove aveva fatto sbarrare l’antro per precauzione, ma contro gli altri mortali, e non contro il Marchese: “… poiché chi una volta gustò del nettare del cielo non è mai più escluso dalla famiglia di Giove, né vi è esempio che chi una volta fu eletto al sacro magistero, sia poi stato abbandonato da quella maestà, e sappi che se l’operazione <non> fosse difficile e laboriosa l’arte al certo perderebbe il nome di arcano …”; poi: “Giove che previde il tuo errore e che sapeva che dovevi ritornare all’antro, ordinò a Mercurio che avanti di chiuderlo mi consegnasse una cestola chiusa e sigillata, e la conservassi per doverla dare a te per quando di novo venivi all’antro, quale averesti trovo all’improvviso chiuso. Onde ecco che te la consegno e torna felice e ricordati che il gran padre Ermete ci avvisa con queste parole: ‘Separabis subtile a spisso, suaviter et magno cum ingenio, etc.’.”

Così, preso ‘il canestro’, se ne torna in Laboratorio, cominciando ad “operare di novo più sanamente” e con l’aiuto ricevuto riesce finalmente ad ottenere “ciò che l’occhio sapeva desiderare, mentre tutte le gioie del Perù erano fango appresso sì degna e non compresa visione …”.

Prima di concludere questa parte illuminata ed illuminante, credo utile ricordare che il buon Marchese aveva chiesto al vecchio chi egli fosse; e lui gli rispose: “Io sono un antico ministro di Mercurio che eternamente dimora albergo di fuora alla custodia dell’antro e sono quello che ti risposi li giorni addietra alle undici interrogazioni [qui] che mi facesti …”, confessandogli che le risposte (in realtà 10) che gli aveva dato venivano suggerite direttamente da Giove, nell’alto dei cieli.

Ciò detto, lo studioso d’Alchimia non potrà non ricordare il famosissimo episodio della vecchia (assieme ai suoi moniti, pesantissimi), della ‘vergine’ sua figlia, e delle ‘vesti’, e del ‘cofanetto’, e della ‘liscivia’ [vide in Tre Trattati Tedeschi di Alchimia del XVII Secolo, pp. 90-3], meditando per bene su quanto scrive in proposito Paolo Lucarelli (alle pp. 23-5).

Hai ottenuto l’eredità che ti ha lasciato mia figlia?” – “In verità, ho trovato il cofanetto, ma non sono proprio in grado di togliere quella veste di stracci, e la liscivia che mi hai dato non riesce a scioglierlo e nemmeno a intaccarla.” – “Tu cerchi di mangiare le lumache o i granchi col guscio? Non conviene che prima li prepari e li faccia maturare il vecchissimo cuoco dei pianeti? Ti ho detto che devi purificare il cofanetto bianco con la liscivia che ti ho dato, non la veste di stracci esterna e cruda; infatti prima di tutto devi bruciarla con il fuoco dei saggi, e allora tutto andrà bene.”, (alla p. 93).

Concludo avvertendo il lettore che l’apparente o ipotetica contraddizione tra i due sogni che si potrebbe presentare alla mente di chi lavora, è solo un ostacolo razionale; velenoso, e più pesante dei moniti della vecchia centenaria. Se invece riuscisse ad aprire il Cuore, con la Bugia dal sorriso omeopatico, Lux potrebbe forse illuminar meglio il cammino. Chissà …

Lo scoglio operativo di cui si parla, è identico: ma se si prestasse miglior attenzione tanto ai termini, tanto alle Maschere indossate dai vari personaggi … beh, forse quel fiammifero cui accennavo supra potrebbe finalmente essere acceso dall’appassionato … nel corpo giusto & col modo giusto! … il resto lo farà Madre Natura!

“La Bugia” del Marchese Palombara …

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , on Wednesday, September 13, 2023 by Captain NEMO

Stamane, more solito, vado dal fornaio; esco presto, l’aria è fresca e piacevole: incrocio un Runner, vestito in tuta spaziale come di prammatica, ma con bandana sexy sull’ormai tipico e noioso taglio di capelli para-qualcosa; un furgoncino di manovali passa, e uno di loro esclama: “ahò … ma ancora corri verso la libertà?”; “…si, eh! … poi ce vedemo stasera, ar bar!”, il furgoncino accelera ed una grigia zaffata di CO2 investe il Runner spazial-salutista. Io, per fortuna, cammino a mano destra, e mi salvo …

Detto questo a mo’ di Hors-d’œuvre, passo a presentarvi qualche passo d’Alchimia; da un po’ di giorni sono ritornato sul testo del Marchese Massimiliano Palombara (che in verità non è proprio un Savelli, ma un Palombara-e-basta, casata cadetta della vetusta casa Sabellica; poi, dal padre Oddo, prenderà il marchesato di Pietraforte, e la famosa Villa Trophea, nel paradisiaco Hortus della campagna della Roma del ‘600).

Il testo, per quanto noto come titolo, è poco conosciuto: il manoscritto originale venne presentato da Mino Gabriele nel suo Il Giardino di Hermes (1986); in precedenza (1983) Dama Partini aveva già pubblicato l’edizione di un altro manoscritto, il Reginense Latino 1521, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, proveniente dalla collezione di Christina di Svezia. Per ragioni che è poco rilevante specificare qui, preferisco il manoscritto autografo originale.

La Bugia – Opera d’incerto Autore nella quale si tratta della vera Pietra dei Sapienti si fa probabilmente risalire al 1656; il buon Marchese, dedica ben 12 capitoli a descrivere la sua lunga ricerca di lumi alchemici su tutti i testi sui quali riuscì a metter le mani, cercando ed acquistando le opere più rinomate. Come è di prammatica, si lamenta degli enigmi, degli inganni, delle contraddizioni, delle trappole di cui sono pieni tutti i testi alchemici degni di questo nome. E dopo 12 Capitoli, sempre di prammatica, offre la sua “… Parabola che con il lume della bugia sarà dal sapiente con somma facilità intesa e conosciuta” giurando e spergiurando che sarà onesto con il lettore … e va beh! … come ho detto, è prassi consolidata, no?

Aveva scritto al Cap. 5 che “ … finalmente, dopo varie riflessioni conclusi nell’animo che non poteva esser altro la materia che quella che dopo 22 anni di Studio, dopo infiniti argumenti e riflessioni – sento che Iddio mi ispira in un istante all’improvviso verso le 17 ore nel giorno di domenica alli tredici del mese di ottobre dell’anno 1652: parendomi che mi si aprisse l’intelletto che concludentemente, mentre quasi che con un raggio divino, mi si mostrasse quella vera luce la quale finora in tanto tempo sempre mi fu celata  con una densa nuvola d’ignoranza, avendo per il passato fatta esattissima riflessione a tutte l’altre materie fora che a questa.”.

Nella Parabola, il marchese si reca in campagna, su un’alta collina verso Oriente, “la più bella ed insieme la più alta ed eminente”; lì, a fatica, gli par di scorgere “ … una grotta [esposta in faccia all’Oriente] … l’intrata di essa era ricoperta di quantità di canne e spine che ivi eran nate … esse canne, battute talora da uno zefiretto … dal quale di quando in quando piegate, poteva perciò avere qualche lume del celato passo chi esattamente avesse il tutto osservato.”.

Le canne erano alimentate “… da un ruscello che derivando ed uscendo dalla narrata grotta erano del continuo da quello bagnate, che poscia calando con soave mormorio per la falda del monte e restringendosi veniva a formare un fonte, dove mi presupposi di certo che venivano a prendere i savi il prezioso liquore con le loro tazze, …”.

Dopo aver inciso su una quercia lì vicino “… le seguenti parole: fons ortorum[1] tanto per ricordare dove fosse quell’accesso nascosto, il nostro poetico Marchese, ‘sente’ – ovviamente – la voce di un oracolo, al quale rivolge 10 domande (le solite domande di un apprendista-cercatore d’Alchimia); l’oracolo gli risponde sempre in modo brevissimo: “Ut vir limo”, “Umili ortu”, ”Utor umili”, “Iuro multi”, “Tum vilior”, “Tu vir olim”, “Tu, umilior”, “Umor Luti”, “Romuli tui”, “Il tuo rio”.

E si prosegue: “Onde con quest’ultima risposta accertatomi meglio che il Mercurio desiderato era il rio o fiume minerale, che uscendo da una parte della miniera dei filosofi va calando per l’erbosi prati di tutto il mondo, mi confermai maggiormente, e tanto più che me lo chiamava mio, mentre senza aiuto di maestro alcuno, eccettuatone il favor divino, l’avevo ritrovato e ne avevo preso il possesso.”.

Quest’ultimo passaggio merita a mio avviso ogni tranquilla meditazione, ma molto, ma molto, approfondita: esso è preciso, inequivocabile, e – fisicamente – esatto, così come – alchimisticamente – rigoroso. Anche la chiusa finale parla chiaro: il maestro è solo la materia stessa (ma quella Materia! ,,, i.e., la Mater ea!), e si ri-trova, vale a dire viene ‘trovata di nuovo’; semplicemente, perché è presente e reperibile, essendo il nocciolo vero di ogni manifestazione di un qualsivoglia ‘corpus’. Altrettanto semplicemente, è ben nascosta, chiusa com’è nel cuore stesso della Materia. Quella fons, insomma, è racchiusa nell’intimo della Mater ea, laddove intimo è il superlativo di ‘intus’, ed esprime ‘ciò che è più dentro’.

Palombara afferma qui di averne preso ‘possesso’. Buon per lui, no? …

Evidentemente, per disporre di tale fons, occorre qualcosa, perché l’accesso al ‘dentro più dentro’ della Mater ea non è consentito con i mezzi volgari, ma soltanto con mezzi propri e disposti secondo le Leggi del Piano Naturale. Le quali – dato che attengono alla fisica Manifestazione dei corpi – sono di natura evidentemente Fisica, MA Alchimisticamente disposti secondo Madre Natura.

Pochi hanno parlato in modo onesto e/o somehow chiaro (per quanto possibile, ovviamente) di ‘come’ si possa fare; il Marchese Palombara lo farà a modo suo, e lo vedremo in un prossimo Post. Debbo tuttavia avvertire che come è ovvio che le 10 risposte fornite dall’oracolo sono tutte giochi di parole, o anagrammi assonnanti con ‘Vitriolum’, è altrettanto ovvio che:

A) non si tratta affatto del volgare solfato metallico ben conosciuto agli spagiristi e/o chimici d’oggidì;

B) non si tratta affatto di un grazioso e dotto Simbolo[2], come tutti – urbi et orbi – si sono affrettati a sottolineare; temo che, non sapendo che pesci pigliare, si sia fatto ricorso alla solita operazione intellettuale simbologica; ma siccome Alchimia nasce come una via operativa che manipola materie fisiche – pur dotate (che dico: … ricchissime!), come è Naturale, di Spiritus, il quale è anch’esso Materia, ma allo stato  ‘fluido’ – è bene non farsi menar per il naso: il Vitriol di cui si parla in Alchimia, da secoli e secoli, è un ‘corpus’, minerale.

Punto.

Buone riflessioni!

Ah, sì … scordai … : ritornando a casa, stavolta a mano sinistra, passa il vecchio Alvaro che va a falciar fieno nei campi: … il trattore passa e mi scarica addosso, gentile, … una corposa dose di CO2!

Pur nella sregolatezza c’è equilibrio, no? … 🙂


[1]ortorum’ NON è ‘hortorum’ [l’edizione di Dama Partini riporta ‘Hortorum’, MA come si ricava anche dal ms. Reg. Lat.1521 originale – al f. 15r – vi si legge ‘ortorum’!]: se il secondo termine in Latino è il genitivo plurale del sostantivo ‘hortus’, ad indicare ‘orto, giardino’, il primo termine è invece il participio passato del verbo deponente ‘orior’, declinato al genitivo plurale: esso indica ‘di chi è nato’, ciò che è ‘di chi è sorto’. Questa mia lettura non è casuale, e preferisco proporla piuttosto che tacerla: qualsiasi entrata in manifestazione ‘sorge’, implicando obbligatoriamente un ‘da dove’ ed un ‘a dove’; il ‘sorgere’ di ogni corpo è semplicemente un Moto, ‘da’ ‘a’. Ancora, debbo sottolineare che quel Moto cui si allude avviene nello Spazio, e quel Motus qui indicato si svolge in assenza totale di ciò che amiamo chiamare ‘tempus’, completamente al di fuori del ‘tempus’, dato che la Creazione è sempre e soltanto un continuum, senza inizio e senza fine; il nostro ‘tempus’ è insomma un’utile consuetudine locale, e NON Universale.

Ergo, quella ‘fons’, ‘il fonte del sorgere’ indicato dal Marchese Palombara illumina l’origine della Creazione e la meta dell’operatività alchemica.

[2] Ogni Simbolo, qualsiasi simbolo, può avere alcune centinaia di significati; tutti sempre leciti ed accettabili. Ma il gioco dei Simboli in Alchimia, pur essendo educativo, è sempre abusato, per tirar la copertuccia da qualche parte che faccia comodo a qualche intentus. Si tratta di un piacevolissimo gioco intellettuale, ma è declinato – purtroppo – come una sorta di magnete antropocentrico, che è di fatto sempre fasullo. Oltre al fatto che l’uomo non è affatto al centro di un qualsivoglia Universo (non potrebbe mai esserlo, anche perché un Universo non possiede né potrebbe mai possedere un centrum), si vuol sempre trascurare od omettere che un Symbolon ha sempre – e per forza, altrimenti NON sarebbe in grado si sussistere, nemmeno intellettualmente – da un Dyiabolon. Il nostro Universo ha forma Duale, ma tendiamo a scordarlo; forse perché è scomodo comprendere che Lux è nascosta in Tenebras. Figurarsi accettarlo!

Dimenticavo: il Symbolon era in origine un oggetto fisico, usato per riconoscersi: si spezzava, per esempio, un sigillo, una tazza, una pietra – in due parti: una a me, ed una a te. Poi la vita ci portava in giro per il mondo. Quando ci si reincontrava, magari l’aspetto fisico dei due era mutato, oppure occorreva dissipare qualche dubbio di appartenenza, di origine: si estraevano i due pezzi (i Symbola) e se combaciavano alla perfezione … ci si abbracciava; altrimenti … qualcuno mentiva! Semplice, no?

Potrebbe dunque mai il disegnino del Vitriol o quel che volete … essere un Symbolon cui dar credito d’abbraccio? Poi: … ma a che cosa diamine potrebbe mai servire un Symbolon in un laboratorio alchemico, che è un locus la cui padrona è Madre Natura?