Dopo una Primavera meteorologicamente difficile (ma quanto meravigliosa per quelli che sono riusciti a “crogiolarsi” con chiara Luna), eccoci alle porte del ‘grande caldo’: e siccome l’alchimista operativo segue da vicino il ciclo ‘naturale’ così come ce lo offre Madre Natura, riprendo in mano lo studio de “La Bugia” del Marchese Massimiliano Palombara; lo avevamo lasciato qui, alle prese con la Purificazione della Pelle, e quindi proseguiamo con lui nell’ottima resa del codice cartaceo[1] da parte di Mino Gabriele: si tratta ora di ‘liberare’ il suo Re …
“Mentre io stavo travagliando del continuo per la liberazione del Re, … facevo i miei conti che tanto maggiore sarebbe stato il premio che speravo, e tanto più che non avevo a dividere a farne parte con altri compagni, oltre la confidenza ed amicizia che averei in tutto di mia vita avuto con lui, certo che avrei possuto in tutte le mie occorrenze disponere di lui e di tutte le sue forze, mentre da me e per causa mia averebbe con la vita ricuperato e la libertà e il regno.”.
Si potrebbe/dovrebbe notare che: A) ciò che segue è un altro, nuovo, processo operativo; da compiersi, nell’intento del Marchese, dopo la Purificazione della Pelle: B) l’operazione è del tutto ‘privata’, non condivisa con ‘altri compagni’: il Marchese vi si dedicherà dunque zitto-zitto; C) il ‘premio che sperava’ è il ‘disponere’ del Re.
Ecco come si accinge a ‘liberare’ il Re:
“Sì che avendo preso della calce viva asciutta e del sale armoniaco, e ben presto e l’uno e l’altro con la sua dose proporzionata, posi il tutto dentro ad una torta di vetro ed a foco gagliardo. Ne cavai una certa quantità d’acqua chiara, la quale poi unita con un’altra parte di acqua forte sflemmata, feci di queste doi acque un’acqua sì possente e gagliarda che in poco tempo ruppi le catene di duro ferro e li ceppi con i quali il Re era incatenato, e con i quali non si poteva né movere né camminare al dispetto di Saturno che ne aveva cura …”.
Talmente diretta e chiara la ricettina iniziale, che non necessita di commento alcuno; senza dubbio l’alchimista accuorto già saprà che qualsivoglia ‘acqua forte’ non entra mai in una vera operazione alchemica.
Seguendo le ben conosciute allegorie della letteratura alchemica, Il buon Marchese prepara una soporifera pozione … per addormentare le Guardie della prigione in cui è rinchiuso il Re (seme di giusquiamo, papavero, una libbra di oppio; triturato il tutto, vi aggiunge due chiare d’uovo ed un tot di acqua di mandragora; poi distilla la pozione e la mescola a del vino; una sera, lo immaginiamo quatto-quatto, le fa avere ‘secretamente a bere con bella maniera alle guardie…’). E fu così che “Conforme successe che furono addormentate con tal liquore, ebbi comodità di operare a mio comodo le ben chiuse e forti porte e trovato il Re che già mi stava aspettando …”, il prigioniero ed il suo liberatore fuggono guardinghi nella notte, verso la casa del Marchese (il racconto assomiglia alla storiella con cui Sendivogius avrebbe ‘liberato’ Sethon, il vero ‘Cosmopolita’; ma questa è un’altra storia, peraltro imprecisa).
Questo film del Seicento prosegue ora con il Marchese che deve fare i conti con il risveglio delle guardie ed il rischio di essere scoperto; così ponza-che-ti-ponza, decide di prender due piccioni con una fava: “… nascondere la persona reale … cioè salvarlo ed insieme finir di ridurlo totalmente al compimento del suo essere, mentre ancora non era arrivato alla totale sua perfezione;”. Il Re insomma, ha ancora “… nelle mani e nelli piedi e nel collo … i ferri che ancora non li avevo possuti finir di levare, per la prescia e per il poco tempo avuto, e ritrovandomi nel mio giardino di casa uno struzzo, tanto feci che quell’animale con l’avidità di pascersi di quei ferri si ingoiò con quelli il Re e se lo mangiò, ed a ciò di facile io vi acconsentii perché giudicai cha quello era un calor proporzionato per ridurre al fine la cominciata impresa.”.
Formidabile, no? … chi legge lo Script del film, non può che sogghignare alla trovata dell’Autore: … siccome le guardie che hanno bevuto il beverone soporifero, mo’-se-so’-svejate, il sornione Marchese (Romano-de-Roma) che fa? Corre in giardino ed acchiappa uno struzzo (chi non ha nel suo giardino qualche struzzo?), che naturalmente si ingoia il Re … e lo digerisce!
“Ciò fatto stiedi sempre vigilante aspettando che lo struzzo si dovesse far un ovo, che poscia il medesimo da lui covato, da quello similmente ne doveva, conforme le regole dei maghi, risorgere il mio Re, il quale rinato perfetto con tutte le disposizioni delle membra era certo che poteva poi comparire in pubblico senza esser riconosciuto né dalla guardia né da altri, … Aspettai pertanto che il Re si finisse di digerire e concocere ascoso dentro le viscere dello struzzo, il quale finalmente fece il bramato ovo, che covato da quello con ogni diligenza ne nacque un bambino con la testa coronata di perle bianchissime, tutta intarsiata di risplendentissimi diamanti, sembrando quel corpicciolo una massa di perle lucenti che nella bianchezza passavano le nostre …”.
Qui si impone a mio avviso una pausa: il testo si conclude con considerazioni più Philosophicæ, che riporterò in un altro Post.
Durante la pausa, anticipo un passaggio finale di Massimiliano Palombara, che spiega cosa sia il risultato di questa operazione alchemica, sul quale magari si possa con calma fare qualche riflessione prima teorica e poi pratica:
“… benché con mille nomi sia nominato … dicendo io di certo che benché nel principio derivi da tre, con tuttociò appena è uno, … non essendo altro che quella magnete cattolica o sperma del mondo dalla quale naturalmente pigliano l’origine e nascono tutte le cose.
Ed è meravigliosa e singolare avendo un’essenza investigabile, non essendo né caldo né secco o d’altra qualità, avendo una perfettissima adeguazione con le minime sue parti, e perché è incorrottibile nessun elemento si accosta a travagliarlo, essendo similitudine del cielo, anzi l’istesso cielo senza essere soggetto alla destruzione: vera quinta essenza della cosa più perfetta che seppe procreare la divina Natura, acqua dell’oceano, acqua vite, benedetta e purgatissima acqua, che in effetto non è acqua, né acqua piovana o scaturente da altra o simile scaturigine, ma crassa, permanente e conforme la riflessione dei savi, secca, e che non inumidisce o bagna la mano di chi la tocca. Celeste e duplicato Mercurio … chiamato da Avicenna anima del mondo.”.
Nel 1986 Paolo Lucarelli ricordò: ‘… Guglielmo di Conches nelle sue glosse “In Timeum” scriveva: “Anima mundi est naturalis vigor rerum quo quedam res habent tantum moveri, quedam crescere, quedam sentire, quedam discernere.”.’
[1] “La Bugia. Opera d’incerto Autore nella quale si tratta della vera Pietra dei Sapienti. 1656”, in Il giardino di Hermes, a cura di Mino Gabriele, Ed. Ianua, 1986.