Finis Gloriae Mundi


Non tutto può essere spiegato in Alchimia. Anzi, per la verità, la maggior parte delle cose debbono essere scoperte attraverso lo studio e la sperimentazione, grazie ad una meditazione continuata, serena, disinteressata ed umile, che accompagna ogni étudiant lungo tutto il suo cammino nel bosco, sin dal primo inizio.

Tra le tante cose inspiegabili, vi è l’ormai famoso Finis Gloriae Mundi, dipinto da Juan de Valdés Leal

Juan de Valdés Leal (1662- 1690)
Juan de Valdés Leal (1622- 1690)

nel 1671 e posto, assieme all’altrettanto famoso In Ictu Oculi, nella Cappella dell’ Hospital de la Caridad a Siviglia. I due quadri , impressionanti allegorie delle vanità terrene di fronte alla morte, furono commissionati al pittore spagnolo da Don Miguel de Manara, Cavaliere dell’Ordine di Calatrava, che decise di erigere l’Ospedale per i poveri dopo essersi in qualche modo pentito della vita libertina e dissoluta che aveva condotta: la vita e la sorte di Don Miguel costituiscono di fatto l’ispirazione per i successivi lavori teatrali e musicali che culminarono nel Don Giovanni di Mozart (e – qualcuno non potrà non sobbalzare – in un’opera teatrale di Oscar Venceslas… Milosz de Lubicz !) . Fu Canseliet a rendere celebri i due quadri, sostenendo che Fulcanelli ne avesse una particolare predilezione: non a caso, probabilmente, Finis Gloriae Mundi era il titolo previsto per la terza opera di Fulcanelli, mai pubblicata. E’ ben noto, ormai, il furbo e pessimo tentativo di plagio editoriale perpetrato qualche anno fa da un tizio che, sotto il nome di Fulcanelli, di tutto parla tranne che di Alchimia in un libro inviato via Internet ad un noto ermetista francese che si prestò bellamente al gioco. Del vero Finis Gloriae Mundi, del vero Fulcanelli, nessuno sa nulla. Solo Jean Laplace, dopo la morte di Canseliet potè visionare la sinossi dell’opera, ovviamente ben diversa da quella maldestramente pubblicata. E fu lo stesso Laplace a ritrovare, fra le carte del Maestro, una cartolina di Siviglia ed una foto di Fulcanelli.

“…un petit rectangle de bristol phographique dentelé sur ses bords à la mode des années cinquante. Je suis tellement impressionné par ce que représente cette vénérable relique, que je n’ose en révéler l’existence… Qu’en faire? Détruire ? Il serait regrettable de volatiliser à tout jamais l’esprit magistral fixé sur la plaque sensible à tout ce qui irradie.”

“Il ne faut pas comprendre qu’un ectoplasme s’y soit imprégné. Je parle ici du visage qui n’a gardé du commun des mortels que la forme humaine et s’est enrichi d’une indescriptible expression.”

(J. Laplace, Index général dans l’Oeuvre complète d’Eugéne Canseliet, Ed. J.J. Pauvert)

Anche l’episodio narrato da Canseliet a proposito del suo famoso viaggio a Siviglia, dove avrebbe incontrato – attorno al 1954 – il suo Maestro ultracentenenario, ma in perfetta forma, deve probabilmente essere considerato con maggiore attenzione. Ma questo è un altro discorso…

Finis Gloriae Mundi - Juan de Valdés Leal
Finis Gloriae Mundi – Juan de Valdés Leal

Del quadro intitolato Finis Gloriae Mundi ormai si è detto tutto e di più. Come sempre, le interpretazioni sono soggettive e dunque perfettamente libere ed ammissibili. Certo è che il quadro, se ci si libera dello spirito lugubre che vi aleggia, presenta dei punti interessanti per chi studia Alchimia.

  • In primo piano, sulla sinistra, una bara rossa di un Vescovo, il cui cadavere è ormai scheletrico.
  • Sulla destra, una bara nera di un Cavaliere di Calatrava, con il cadavere ancora conservato.
  • Sullo sfondo sono adagiati ossa, crani ed uno scheletro.
  • In alto, uscendo da delle nubi, ammantata di stoffa rossa, una mano femminile, che porta il segno di una ferita, come fosse stata trafitta, regge una bilancia in perfetto equilibrio: nel piatto di sinistra un ariete, un cinghiale con un cuore rosso appoggiato sul ventre, un cane bianco e nero, ed un rospo; nel piatto di destra dei libri, un pane, un cuore portatore di croce con l’acrostico JHS, e vari oggetti e monili poco riconoscibili.
  • Sulla sinistra, semi illuminata da una luce proveniente da una finestra alta, una civetta appollaiata su un forziere.
  • Tre filatteri: “Finis Gloriae Mundi” davanti la bara del vescovo, “Ni Mas” sul piatto di sinistra, “Ni Menos” sul piatto di destra.

Jean Laplace, in una nota a proposito del quadro, vede nella bilancia un riferimento al ‘peso di natura‘ ed al Vitriol; e commenta:

Ce sel, moyen, mi spirituel, mi corporel, feu-eau, est le milieu entre le ciel divin et le monde sublunaire, il comprend ce que les anciens appelaient les eaux supérieures, non seulement parce que ce sont des ondes, mais aussi parce qu’elles sont susceptibles de prendre toutes les formes. Nous apprenons donc que ce sont ces eaux moyennes, ces ondes (feu-eau), le feu secret et le vitriol, qui serviront de balance, qui seront l’instrument de la catastrophe apocalyptique, lors du jugement – ni mas, ni menos ; ni plus, ni moins.

Finissant de se décomposer, l’évêque, vêtu de blanc, attend le moment de sa résurrection. Mais avant d’aller plus en avant, il convient de se pencher sur le sens du mot évêque. Nous aimerions apprendre comment certains lexicographes font venir le mot évêque du grec ou du latin épiscopos ou épiscopus. Certes, le sens y est mais il n’est pas possible que du mot épiscopos naisse le vocable évêque. Pour nous, évêque vient du grec épheika parfait de éphinmi signifiant qui permet, ordonne, recommande, mais aussi qui pousse, excite. On comprend mieux que ce mot ait pu donner évêque puisqu’il est courant par ailleurs de voir le ph se transformer en f ou v.”

Quale che sia la giusta origine della parola Vescovo, trovo singolare questa nota: perchè il Vescovo ‘…il est là, …mort‘. L’apocalisse ciclica, prefigurata da Fulcanelli, il famoso bouleversement di Canseliet, viene qui letta come dovuta alla morte del Sale in cui si è corporificato lo Spirito Universale !…la sua assenza vitale provoca inesorabilmente, secondo i Maestri, la ribellione di Madre Natura, ad ogni livello. Queste considerazioni sono ovviamente opinabili; ma mi domando se non vi sia un fondo di verità e di buon senso. Senza la presenza attuativa dello Spirito Universale, che è la vera vita di ogni manifestazione, tutto muore…e la Natura, trafitta, percée,  come la mano che regge la bilancia, ricomincia un Ciclo.  Forse per questo è davvero così importante l’ottenimento di questo Sale, veramente benedetto. Forse per questo un mio amico suole ripetere che gli alchimisti, nel loro silenzio, nel loro piccolo laboratorio, hanno una responsabilità gigantesca, se non persino fuori dal mondo. E se ne dovrebbe dedurre il motivo della tanta riservatezza che avvolge l’insegnamento operativo relativo a questa fase. L’Alchimista è veramente un piccolo demiurgo, e non si può, né si deve mai,  far giocare con il Fuoco Celeste chi non fosse PRIMA accettato dal Sacro, unico vero Guardiano della Soglia. In alcun modo.

Ma se il Vescovo nel quadro è ormai ridotto ad uno scheletro, il Cavaliere parrebbe star meglio: qualcuno dice che avrebbe addirittura gli ‘ocula‘ aperti…e che rappresenterebbe nientemeno che  lo stesso Don Miguel de Manara !

D’altro canto, un altro strano quadro di De Valdes Leal ci mostra proprio il nobile Cavaliere, ex libertino, che legge ad un parvulus ammicante la Regola dell’Hospital de la Caridad:

Don Miguel de Mañara leyendo la Regla de la Santa Caridad
Don Miguel de Mañara leyendo la Regla de la Santa Caridad – Juan de Valdés Leal

Sono certo che questa ulteriore nota intrigante di Jean Laplace – tratta dal suo Le Four Alchimique de Winterthur, Ed. Liber Mirabilis – Londra, 1992 – potrebbe solleticare qualche curioso:

Au frontispice du volume d’étude que nous proposons aujourd’hui, vous remarquerez qu’un Tout-petit (Parvulus) vetu de bure, ouvre le premier livre et porte l’index à ses lèvres pour signifier la nécessité du silence, geste que indique en outre l’importance de l’arcane suggéré. Don Miguel de Manara par opposition, se montre très éloquent dans sa lecture d’un second livre, ouvert lui aussi. Personnifiant la terre noire du caput mortuum du Grand Oeuvre, l’initié porte sur l’epaule gauche la croix, rouge, des chevaliers cistercensiens de Calatrava affiliés au Temple que rappelle le Beauceant blasonné au sol où un emballage sigillè et froissé, qui enveloppe l’ouvrage, porte cette suscription:

<A Don Miguel Manara Vicentelo de Leca cavallero de la Orden de Calatrava gde Dios. Provincial de la Hermandad y hermano Mor de la Ssta Caridad de Nro Senor Jesuchristo P. Mor. Sevilla>

Don Miguel de Manara - Juan Valdés de Leal

Don Miguel de Manara - Juan Valdés de Leal

Sur la table, comme pour un rappel discret, a été déposé un autre livre du meme auteur: Discurso de la Verdad, d’où nous extrayons cette phrase assez révélatrice des occupations alchimiques du fondateur de la Santa Caridad:

<L’humidité cherche, par la terre, son élément qui est l’eau où avec la force des rayons du soleil elle est èlevée en vapeur et convertie en eau>

Cette terre, récepctacle de l’umidité flegmatique et destinée a etre à nouveau séparée, cette masse (molem) cultivable, nou l’avons reconnue sans peine dans le coeur sommé d’une croix du blason de l’Hermandad

Anche in questo caso, val la pena di notare alcune cose:

  • Il pavimento a scacchi (il blasone del Beauceant).
  • Lo strano quadro su cui fa bella mostra di sè uno strano fiore, sormontato da una nube rossastra.
  • Tre Libri chiusi, due aperti
  • Due urne.
  • Un Caput nell’ombra.

In conclusione, com’è ovvio che sia, la Finis Gloriae Mundi riserva molte sorprese: alcune certo apocalittiche, altre più filosofiche e persino operative. Del resto, l’interesse di Fulcanelli a questo proposito doveva nascere da sicure e approfondite verifiche.

Ad ognuno le proprie riflessioni e conclusioni. Da parte mia, non posso che lasciarmi andare ad un diffuso senso di meraviglia…con un pizzico di inquietudine, però.

Come sempre: se una cosa deve accadere, accade. No?

Dimenticavo:…la civetta è il simbolo di Minerva, ed indica la Saggezza. Ora, curiosamente, la parola francese Sagesse veniva sottolineata da un astuto autore del ‘700 come la parola indicante …la materia prima degli alchimisti… !

7 Responses to “Finis Gloriae Mundi”

  1. Capitano,

    lei scrive cose sempre utili e interessanti.
    Non sapevo che anche un Lubicz fosse coinvolto in questa storia. Forse quei signori e signore che si incontravano in quella Parigi degli anni venti si divertivano molto più di quanto siamo capaci noi.
    Sono d’accordo con lei che il Vitriol sia unico e indispensabile…la visione di Laplace è piuttosto apocalittica; ma non è molto distante dalla realtà purtroppo. Stiamo messi maluccio, mi pare.
    Grazie per la Chouette…

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  2. Caro Capitano,

    lei sa bene quanto mi sia interrogato sulle previsioni apocalittiche di Fulcanelli e Canseliet: qui Laplace sembra più rassicurante, a suo modo, anche se concordo sulla responsabilità dell’alchimista se gioca con il Fuoco Celeste. Certo, nel suo ‘piccolo’ l’alchimista ‘sovverte’, se non altro, il SUO mondo, ne rovescia i valori, la prospettiva: ‘Non resterei un secondo di più’, sono parole a lei note, e chi mai direbbe una cosa del genere fra i ‘comuni mortali’ (mi veniva da dire ‘i babbani’…)? Non è già, così, sufficientemente ‘bouleverseè’ il mondo di chi ha pronunciato quelle parole?
    Mi interrogo anche sulla REALE EFFICACIA dell’azione degli Alchimisti, ma forse quel ‘reale’ è già una risposta sufficiente. Chissà se proprio in questa contraddizione fra la straordinarietà del risultato delle operazioni alchemiche e la sua apparente indifferenza sulle cose del mondo risieda uno dei nodi da sciogliere per rispondere alla domanda primordiale ‘A che serve l’Alchimia?’

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    • Caro Chester,

      la questione dell’Apocalisse è una questione su cui ben poco possiamo fare; come sempre è Madre Natura che fa, in base alla sua Intelligenza. Noi possiamo solo tentare di seguirne le orme e di fare cose buone e belle. Certo è che percorrendo il Bosco si incontrano molti segnali che mostrano che le leggi di Madre Natura non seguono l’etica umana o ciò che noi pensiamo sia il bene o il male.
      Quanto all’efficacia dell’azione degli alchimisti, essa è ovviamente sottile e fa parte di un Progetto ben più grande; il punto è riuscire a comprendere quel Progetto e seguirne le linee guida; facendo affidamento solo sul Cuore …e sulla Stella Polare!

      Captain NEMO

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  3. caro Capitano,

    Ammettere che lo Spirito liberato sia in grado di giudicare infallibilmente cosa è bene fu una folgorazione…
    lo Spirito non presenta caratteristiche di libero arbitrio (non avendo del resto quelle dell’intelletto) segue semplicemente la Legge (legge immutabile del divenire); la libertà sarebbe allora prerogativa dell’intelletto ma in stato di ignoranza, liberarsi del libero arbitrio la vera Libertà?
    “…l’uomo può fare ciò che vuole ma non può volere ciò che vuole…” (Nietzche)

    ripensavo leggendovi alle tante notti trascorse con Paolo intorno a questo semplice concetto…ripensavo a come è sottile quel diaframma che divide (vela) la nostra manifestazione…a come può (deve) essere semplice comprendere quando siamo riusciti a liberare la nostra immaginazione intuitiva…la conoscenza del Cuore NON è una conoscenza soggettiva ma una conoscenza simpatetica.

    sempre con gratitudine

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    • Caro Emil Sinclair,

      trovo molto stimolante la sua domanda su cosa davvero sia la Libertà: forse bisognerebbe prima riuscire ad accorgersi che il nostro Cuore ha un reale bisogno di manifestarsi e che i mille impedimenti alla sua libera espressione non sono soltanto dovuti agli altri, bensì causati dal nostro amare la nostra comoda cella; è molto rassicurante sentirsi prigionieri.
      La Natura, al contrario, è emozione e mai logica. Seguire le emozioni è entusiamante, certo, ma – per come abbiamo impostato il mondo, da secoli – sempre pericoloso. Forse per questo l’Alchimia è un’Arte, che richiede dedizione, passione e sacrificio. Senza nessuna garanzia di successo, ovviamente. E questo allontana i più…

      Captain NEMO

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  4. L’immagine lugubre del quadro riflette esattamente lo stato d’animo dell’Alchimista che si trova a sperimentare la dissoluzione prima, e la putrefazione poi.
    L’Artista attende con fiduciosa pazienza il ritiro delle acque e la buona novella portata dalla colomba, che ritornerà all’arca con il ramoscello verde nel becco, il dono di Dio, l’Acqua Viva, il Leone verde, la rugiada celeste che si può finalmente, e dopo tante fatiche e attese, raccogliere con senso di gioia e di speranza. E’ il vero antimonio, sale del saggi.
    Cosa dire di più.
    Un saluto ed un augurio di cuore a tutti i Pellegrini verso CampoStella.
    Antos

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  5. Il video non c’è più

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