Archive for Atalanta Fugiens

Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie IX

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Ritorniamo ad esaminare  i Caissons dell’Hôtel Lallemant:

Questo terzetto, il penultimo, ci offre tre rappresentazioni tipiche d’Alchimia.

Cassone 23 – Il Livre Ouvert.

Fulcanelli accenna solo descrittivamente a questo Caisson:

Nous remarquons aussi le livre ouvert dévoré par le feu; …”.

[Le Mystère des Cathédrales – 1926, p. 134]

A proposito del libro – come indicato anche dall’amico ‘ijnuhbes’ – Fulcanelli scriverà in seguito:

Nous avons eu, à maintes fois déjà, l’occasion d’expliquer le sens du livre ouvert, caractérisé par la solution radicale du corps métallique, lequel, ayant abandonné ses impuretés et cédé son soufre, est alors dit ouvert. Mais ici une remarque s’impose. Sous le nom de liber et sous l’image du livre, adoptés pour qualifier la matière détentrice du dissolvant, les sages ont entendu désigner le livre fermé, symbole général de tous les corps bruts, minéraux ou métaux, tels que la nature nous les fournit ou que l’industrie humaine les livre au commerce. Ainsi, les minerais extraits du gîte, les métaux sortis de la fonte, sont exprimés hermétiquement par un livre fermé ou scellé. De même, ces corps, soumis au travail alchimique, modifiés par application de procédés occultes, se traduisent en iconographie à l’aide du livre ouvert. Il est donc nécessaire, dans la pratique, d’extraire le mercure du livre fermé qu’est notre primitif sujet, afin de l’obtenir vivant et ouvert, si nous voulons qu’il puisse à son tour ouvrir le métal et rendre vif le soufre inerte qu’il renferme. L’ouverture du premier livre prépare celle du second. Car il y a, cachés sous le même emblème, deux livres fermés (le sujet brut et le métal) et deux livres ouverts (le mercure et le soufre), bien que ces livres hiéroglyphiques n’en fassent réellement qu’un seul, puisque le métal provient de la matière initiale et que le soufre prend son origine du mercure.”.

[Les Demeures Philosophales – 1939, p. 304]

Ed ecco la mia personale traduzione:

“Abbiamo avuto, già più volte, l’occasione di spiegare il senso del libro aperto, caratterizzato per mezzo della soluzione radicale del corpo metallico, il quale, avendo abbandonato le proprie impurità e ceduto il suo zolfo, vien allora detto aperto. Ma qui si impone una precisazione. Sotto il nome di liber e sotto l’immagine del libro, adottati per qualificare la materia detentrice del dissolvente, i saggi hanno inteso designare il libro chiuso, simbolo generale di tutti i corpi grezzi, minerali o metalli, così come ce li fornisce la natura o come l’industria umana li consegna al commercio. Così, i minerali grezzi estratti dal giacimento, i metalli ottenuti dalla fusione, sono espressi ermeticamente per mezzo di un libro chiuso o sigillato. Allo stesso modo, questi corpi, sottoposti alla lavorazione alchemica, modificati per mezzo dell’applicazione dei processi celati, si traducono nell’iconografia grazie all’aiuto del libro aperto. È dunque necessario, nella pratica, estrarre il mercurio dal libro chiuso che è il nostro soggetto primitivo, al fine di ottenerlo vivente ed aperto, se vogliamo che possa a sua volta aprire il metallo e rendere vivo lo zolfo inerte che racchiude. L’apertura del primo libro prepara quello del secondo. Perché ci sono, nascosti sotto il medesimo emblema, due libri chiusi (il soggetto grezzo ed il metallo) e due libri aperti (il mercurio e lo zolfo), benché questi libri geroglifici non ne facciano realmente che uno solo, dato che il metallo proviene dalla materia iniziale e che lo zolfo trae la sua origine dal mercurio.”.

Il brano qui proposto proviene da uno dei Capitoli che amo di più, e che sono tra i più indicativi per la pratica Filosofale prima, e di Laboratorio poi: Les Gardes du Corps de François II, nella sezione dedicata allo studio della statua della Justice.

Lo studioso/studente potrà riflettere al meglio sulle chiare e preziose indicazioni di Fulcanelli, avvertendo che – more solito – le sue parole vanno ben comprese: per quanto veritiere e concise, Fulcanelli non scrive mai in modo banale.

Ma, tanto per sottolineare la ‘facienda’ – vale a dire ‘il da farsi’ – dei ‘processi celati’ cui accenna Fulcanelli, ecco un altro passo (ma ve ne sono ovviamente altri) che pare riferirsi sempre al doppio libro (che sono in realtà quattro ‘cose’; sebbene una certa cautela sia d’uopo quando si volesse tentare l’esatta comprensione di ciò che ha voluto comunicare), che riporto tal quale, la cui traduzione è molto semplice:

Ce livre fermé, symbole parlant du sujet dont se servent les alchimistes et qu’ils emportent au départ, est celui qui tient avec tant de ferveur le second personnage de l’Homme des Bois; le livre signé de figures permettant de le reconnaître, d’en apprécier la vertu et l’objet. Le fameux manuscrit d’Abraham le Juif, dont Flamel prend avec lui une copie des images, est un ouvrage du même ordre et de semblable qualité. Ainsi la fiction, substituée à la réalité, prend corps et s’affirme dans la randonnée vers Compostelle. On sait combien l’Adepte se montre avare de renseignements au sujet de son voyage, qu’il effectue d’une seule traite. « Donc en ceste mesme façon, se borne-t-il à écrire, je me mis en chemin et tant fis que j’arrivais à Montjoie et puis à Saint-Jacques, où, avec une grande dévotion, j’accomplis mon vœu. » Voilà, certes, une description réduite à sa plus simple expression. Nul itinéraire, aucun incident, pas la moindre indication sur la durée du trajet. Les Anglais occupaient alors tout le territoire : Flamel n’en dit mot. Un seul terme cabalistique, celui de Mont-joie, que l’Adepte, évidemment, emploie à dessein. C’est l’indice de l’étape bénie, longtemps attendue, longtemps espérée, où le livre est enfin ouvert, le mont joyeux à la cime duquel brille l’astre hermétique2. La matière a subi une première préparation, le vulgaire vif-argent s’est mué en hydrargyre philosophique, mais nous n’apprenons rien de plus. La route suivie est sciemment tenue secrète.”.

[Les Demeures Philosophales – 1939, pp. 172-3]

A titolo di commento, val la pena di dire, credo, che Fulcanelli indica con chiarezza che il famoso ‘Viaggio a Compostella’ è una metafora; nulla di più. E che il termine Mont Joie indica un Cairn, che in Inglese è un monticello di rocce/pietre, usato sia come marker di un percorso (montano, per esempio), sia come luogo di raduno dei soldati sul campo di battaglia: forse da questo è diventato celeberrimo il grido Mont Joie – Saint Denis, urlato orgogliosamente dai cavalieri di Carlo Magno, radunati attorno ad un altro marker, reso celebre da La Chanson de Roland: l’Oriflamma; quest’ultimo, oltre ad essere una lunga banderuola rosso scarlatto appiccata sulla cime di una lancia, può far sorridere l’alchimista accuorto: il termine suona un po’ come … l’origine della fiamma (si dice che Carlo Magno stesso lo portasse con la lancia in Terra Santa come arma per sterminare i Saraceni!; … o tempora, o mores!); così, in allegria, si chiude il mio personale esame del libro, aperto, tra le fiamme: la lancia di Carlo Magno, il Mont-Joie, ci conduce dritti dritti a Lancilotto – studiate, please, il magnifico Lo Chevalier de la Charette di Paolo Lucarelli – , che è Lancelot, l’Angioletto! … ohibò, sarà forse per questo che il Plafond dell’Oratoire (!) è zeppo di Angioletti e di tre Livres ouverts ????

3 ??? … Oh, my God!

Cassone 24 – La Colombe.

Fulcanelli: “… la colombe auréolée, radiante et flamboyante, emblème de l’Esprit; …”.

[Le Mystère des Cathédrales – 1926, p. 134]

Anche in questo caso, a mio parere, questo Caisson centrale rappresenta il risultato di ciò che è causato dalle azioni/operazioni legate ai due Caissons laterali; si tratta, in tutta evidenza, della Colomba rappresentante l’Esprit, più esplicitamente le Saint Esprit, più alchemicamente ed operativamente, l’Esprit Universel.

[Disegno di J.J Champagne]

Questo topos alchemico è così tipico, così ‘parlante’, così famoso, che non credo necessiti di commenti in questo piccolo studio: si sta parlando della discesa (meglio: dell’attrazione) dell’Esprit Universel NELLA Materia. Fulcanelli, laconicamente, indica soltanto che essa Colombe è sia Aureolata che Radiante che Scintillante/Fiammeggiante! … e questa precisione dei tre-aggettivi-tre mi pare derivare da una sua cultura più legata ad una Fisica (à la Louis de Broglie, per esempio) che soltanto squisitamente ermetica; beninteso, per non turbare troppo gli animi, è solo una mia opinione, eh?

En passant, oltre che segnalare che il Flamboyant è anche una bellissima arborescenza di color rosso caldo, il termine ha anche questi sinonimi: ardent, brillant, éclatant, étincelant, lumineux, pétillant, radieux, reluisant, resplendissant, rutilant, scintillant; questa Colombe, insomma, pare legata a Lux ed al suo colore, il quale – lo si sa – è frutto di un range di Frequenze restituite dal corpo in questione. Qualcuno ha mai visto una colomba … rossa? Risposta: quel rosso non si vede, poiché pare appartenere all’Infrarosso (letto e compreso come ‘sotto-il-rosso)’!

Chissà !

Cassone 25 – Il Corbeau et le Crâne

Fulcanelli scrive: ”… Le corbeau igné, juché sur le crane qu’il becquette, figures assemblées de la mort et de la putréfaction; …”.

E Paolo: “il corvo igneo, appollaiato sul cranio che sta becchettando, figure riunite della morte e della putrefazione; …”.

[Il Mistero delle Cattedrali – 2005, p. 289]

[Disegno di J.J Champagne]

Per cominciare: l’uccello che indica Fulcanelli è quello classico dell’iconografia alchemica, il Corvo, le Corp Beau; ed è sempre legato alla morte, simboleggiante la Putrefazione della materia in opera; in qual momento? … ai lettori la risposta.

Raramente appare avvolto dalle fiamme: in questo caso si tratterebbe di un kórax, ma igneo: uno zolfo igneo, il che apparirebbe tautologico, no? Quindi rappresenta forse un corpo nero come il Corvus corax, ma portatore di un fuoco, oppure si sta parlando magari d’altro? Il che equivale ad una domanda che posi, molti anni fa, in un mio Post sulla Calcinazione Filosofica (qui): “Domanda: si sta parlando di dar fuoco al corpo, o si sta parlando d’altro?”.

Ovviamente, tocca all’alchimista fare i conti con questa enigmatica rappresentazione.

Alla evocata Putrefazione si riferisce invece il teschio, il cranio: e qui, chi ha già messo-le-mani-in-pasta, saprà certo a qual corpo ci si riferisca, e – forse – pure al luogo operativo (o saranno luoghi, al plurale?); una primissima sintesi di questa rappresentazione, dunque, potrebbe essere che un certo qual corpo, in un certo qual luogo, viene messo in contatto, in un certo modo, con un … Corp Beau, ma dalle caratteristiche ignee; questo Corp Beau, come detto sopra, che è uno zolfo (di per sé igneo) sarebbe portatore di un fuoco, che induce la morte … del cranio! Doppio Ohibò, non credete?

Sia come sia, questo Cassone dovrebbe almeno solleticare la curiosità di chi studia Alchimia; se, come pare evidente, il tema sollevato in questa curiosa scultura è la morte, sono personalmente dell’idea che chi sostenesse che Étienne Lallemant abbia in qualche modo ispirato l’accurato scalpellino nel suo Livre des Heures grazie al teschio decorato dalla scritta ‘Memanto Mori’.

… beh, io credo che la sua tesi sarebbe ben lontana dall’indicare una morte umana. La morte qui evocata è la morte alchemica, il cui risultato – lo si creda o meno – consiste nella nascita di un nuovo corpo, nel venire in Essere di un nuovo corpo, animato da quell’Esprit Universel che vivifica la Materia, ri-animandola; mediante una nuova Forma. Si tratta palesemente della nascita di nuova Vita.

Fra le cose che colpiscono chi osservasse bene la scultura, v’è questo ambiguo, se così si può dire, uccello: curioso, perché non sembra un Corvo; piuttosto, forse, un Falco (Pellegrino?) … ora, chi avesse letto o consultato – giusto per fare un esempio facile – l’Atalanta Fugiens di Michael Maier, ricorderà senza dubbio l’incisione dell’Emblema XLIII, che recita ‘Audi loquacem vulturem, qui neutiquam te decipit.’:

L’Epigramma – accostando e il ‘vultur’ e il ‘corvus’ – fornisce in bell’evidenza un suggerimento; importante quanto semplice:

Montis in excelso consistit vertice vultur

Assiduè clamans; Albus ego atque niger,

Citrinus, rubeúsque feror, nil mentior: idem est

Corvus, qui pennis absque volare solet

Nocte tenebrosâ, mediâque in luce diei,

Namque arti caput est ille vel iste tuæ.”.

Come sempre, se non lo si fosse già fatto, studiare il passo del geniale Conte Palatino compiacerà chi già opera e magari lo potrebbe indurre ad elaborare nuove ipotesi; e incuriosirà – e non poco – chi si fosse appena addentrato un po’ nel Bosco Incantato della Dama!

Dimenticavo: … avete fatto caso a quelle specie di ‘campanelle’ fissate alle zampe del Falcone scolpito sul Plafond? Nell’Arte della Falconeria, ricorda ijnuhbes, riservata ai grandi Re del passato, il suono emesso da quelle grelots mentre il rapace era in volo, aiutavano il Real Falconiere a seguirne il volo … compaiono anche, per quanto con un tratto più primitivo, nel disegno di J. Julien Champagne.

Ora, nel testo di Maier che segue l’Epigramma in questione si dice che allorché gli avvoltoi/falconi iniziano a far le uova, ‘aliquid adferunt ex Indico tractu, quod est tanquam nux, intùs habens, quod moveatur, sonúmque subinde reddat’; e quando si sono ‘adattati’ una tal ’noce’ … allora producono molti feti; ma solo uno sopravvive, che viene chiamato

IMMUSULUS

… Chapeau …

À bientôt, mes Dames et mes Sires !

Serendipity – Two, in enker-grene

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Monday, September 11, 2017 by Captain NEMO

Presi come siamo dai vortici della vita d’ogni giorno – vortici che noi stessi creiamo, senza fallo, e nessuno escluso – perdiamo sempre di vista lo sguardo d’insieme della nostra piccola, minuscola astronave: Terra viaggia nel gran mare del nostro universo, non guardiamo neppure fuori dal finestrino, assorti in mille banalità, cui sempre diamo una dimensione come minimo epocale, troppo importante per occuparci di quisquilie fastidiosamente sofisticate come il Cosmo e le sue meraviglie. Eppure sono, le nostre, ridicole baggianate. Tutte.

Guardando fuori dal finestrino in questi giorni – e con antenne semplici, primitive ed alla portata di tutti – ci si sarebbe forse accorti che Sol, la nostra stella, emette un mucchio di ‘materia’ e che la nostra navicella vi naviga attraverso. Tra i tanti segni che Cielo accende per gli innamorati vi sono le Northern Lights. Il nome che abbiamo affibbiato a queste ‘luci nordiche’, ma che meglio sarebbe chiamare ‘luci polari’, è quello di ‘aurora’: per quanto il termine indichi comunemente il chiarore che segue l’alba e precede lo spuntar di Sol, in questo caso indica un fenomeno che è visibile al nostro occhio solo di notte (in realtà, accade ovviamente anche di giorno).

La spiegazione di quanto avviene in Cielo è sempre in corso di aggiornamento, come è d’uopo in ogni impresa, in ogni Queste umana, ma può essere riassunta in questo modo: a seguito della energia (nucleare e non) prodotta continuamente nel nucleo di Sol, la nostra stella – che è il centro di una super-astronave (il sistema di Sol, anch’esso in viaggio cosmico) con tante minuscole ‘navette’ come Terra – erutta continuamente materia d’ogni tipo ad altissima energia e velocità: la Fisica le chiama ‘particelle cariche’ (si parla di protoni ed elettroni, ma anche il neutrone è particella che neutra non è) e viaggiano alla velocità di oltre 800 km/s (ehm); il nomen di questo fenomeno è ‘vento solare’. Queste ‘eruzioni ‘ sono generalmente correlate alle famose ‘macchie solari’, le cui frontiere fluttuanti emettono per l’appunto una “eiezione coronale di massa” (CME, Coronal Mass Ejection). L’attività di questo fenomeno stellare, assolutamente comune e naturale avviene su Sol con un periodo di circa 11 anni (ogni giorno, Sol emette energia sotto forma di particelle, UV, IR e via dicendo per circa 170.000.000 GigaWatts, più di 7000 volte il consumo medio da parte di noi passeggeri ignari; ricordo che Energia è ‘struttura’ della materia, e non un misterioso evento mistico,  o insignificante; si tratta di un costituente fondamentale, tanto più in Alchimia). Bene: mentre facciamo le nostre importantissime cose, la nostra astronave sta attraversando proprio uno di questi periodi di grande attività.

Fatto è che questo ‘vento di Sol’ è per sua natura estremamente pericoloso per il nostro tipo di vita: quelle particelle cariche, accelerate, sono letali per il nostro ciclo vitale. Ed allora, provvidamente, la nostra astronave si è dotata, per Natura, di uno ‘Scudo’ che fende quel ‘Vento’. Lo ‘Scudo’ è generato a sua volta dal Nucleo della nostra astronave: ruotando il Nucleo ad altissima temperatura, l’energia prodotta al suo interno irradia verso l’esterno, producendo il Campo magnetico terrestre; il quale è ‘polare’, nel senso che le linee di forza sono ‘orientate’ lungo i Poli (magnetici, e non geografici); ciò fa sì che nelle zone polari il Campo Magnetico terrestre abbia la forma di due grossi ‘imbuti’. Un piccolo riassunto:

  • il ‘Vento di Sol’ e la sua influenza sul Campo Magnetico delle sue ‘navette’: a 2:24
  • lo Scudo (Campo Magnetico) di Terra: a 3:50 [le immagini dell’interazione tra la CME ed il nostro Scudo sono basate su dati reali raccolti dal sistema VENUS, in orbita]
  • la CME (Coronal Mass Ejection) ed il suo impatto sullo Scudo: a 4:44
  • le ‘particelle cariche’ emesse dalla CME precipitano all’interno degli ‘imbuti’ polari: a 5:00
  • il Campo Magnetico di Terra devia, attraendole come primo livello d protezione, le ‘particelle cariche’ verso i Poli, creando le Northern Lights: a 5:15
  • lo Scudo – attirate le ‘particelle’ – attiva il secondo livello di protezione; Aria interagisce con il ‘vortice’ di Plasma stellare: a 5:40
  • l’Ossigeno cambia il livello di alcuni suoi elettroni: eccitazione (colore Verde), ritorno allo stato naturale (Rosso): a 6:23
  • l’Azoto (Blu): a 6:27

Questo meraviglioso sistema di auto-protezione è in atto – per Natura – da milioni e milioni di anni. Tuttavia, le implicazioni sottili, non meno oggettive e materiali di quanto ‘vediamo’ con i nosttri sensi, sono molte. Ed importanti. Dato che ‘come in alto, così in basso, per il miracolo della cosa Una‘, mi permetto di suggerire che quel che accade attorno a Terra avviene identicamente anche nel crogiolo di ogni alchimista, senza che sia necessario un suo ‘credo’, o una ‘fede’: si tratta, in realtà, di un fatto, di un evento naturale, previsto e messo in atto da Madre Natura, secondo modalità ovviamente scalate e adattate al contesto del microcosmo alchemico.

Sotto la normale ‘apparenza’ degli effetti studiati dalla Fisica, esiste – non visto – il livello della ‘substantia‘ di tutti i corpi investiti dai fenomeni Naturali: di questo si è occupata – da millenni – la Physica Naturalis. E Alchimia, che ne è l’ineludibile specchio sperimentale, canta sempre la medesima musica, sottile, eterna, ugualmente meravigliosa; il ‘microcosmo’ sperimentale degli alchimisti è lo Speculum esatto del ‘macrocosmo’ di noi ignari passeggeri della nostra ‘navetta’, sballottata dai flutti stellari e galattici.  Ripeto: non è una fede; è, piuttosto, un fatto.

Poiché di fatto il modello atomico corrente è ‘modello’  – e non realtà oggettiva -, il cercatore deve riflettere: l’Unica Materia interagisce con sè stessa – in aspetti funzionali diversi – in continuo, in un processo di ‘scambio’ straordinario, nel quale materia combinata – ‘apparente’ ai sensi nelle sue molteplici funzionalità (per. es. ‘ossigeno’, ‘idrogeno’, ‘azoto’ e via dicendo) – si trasforma in materia pura e viceversa, secondo un sistema Naturale la cui portata supera qualunque nostra possibilità di replica: la trasformazione del continuo in discontinuo e poi di nuovo in continuo (in Alchimia è l’interazione Spirito-Corpo, entrambe ‘materie’) attiene a Madre Natura sola, e non alle specie create e trasformate. Diceva Paolo Lucaerlli che un alchimista non ha una weltanschauung, una ‘visione’ del mondo: in effetti, l’alchimista – quando opera nel silenzio pacifico del proprio piccolo laboratorio – non ha ‘visioni’; egli ‘guarda’ il mondo, vede il ‘microcosmo ed i suoi processi all’opera nel proprio crogiolo; la contemplazione del meraviglioso in opera, conduce – lentamente, per gradi – alla Conoscenza.

Nulla di ciò che esiste è oggettivamente ‘vero’. Tutto è in eterna trasformazione. Tutto. Non è dato altrimenti. I sensi sono strumenti estremamente parziali, insufficienti a discernere il vero dal falso. L’intelletto, poi, è nemico ancor peggiore, quando usato per affermare un potere, una supremazia, un controllo: questa è la malattia di noi ‘viaggiatori’, che si sia bassa manovalanza o alti sapienti, gran dottori della legge. Il saggio cammina nel silenzio, cammina come può, secondo Natura, scegliendo Lux e mai oscurità. Se si guarda la storia della nostra civiltà, si vede come sia l’oscurantismo, in ogni sua declinazione e paludamento, ad aver impedito l’ “infusione” naturale della Conoscenza su Terra. Madre Natura non compie actiones in base ad un proprio ego, ad una convenienza, ad una opinione, in base ad un credo, ad una fede, ad un’idea, ad un fanatismo. Tra i tanti passeggeri della nostra ‘Astronave’ solo l’essere umano fa l’esatto contrario, specie i vari sapientes d’ogni epoca e contrada, che hanno scelto il comodissimo oscurantismo nel nome di santi, martiri, fedi ed ideologie. Sed de hoc satis.

Il Merriam-Webster definisce ‘Serendipity‘ come “the faculty or phenomenon of finding valuable or agreeable things not sought for“; si direbbe un’ottima facoltà per ogni alchimista, per ogni cercatore, qualunque cosa egli/ella vada cercando. Osservando il fantastico danzar del ‘vento di Sol’ nel Cielo polare, il Green, il Vert, il Verde, colpisce il nostro cuore, senza una spiegazione. Possiamo solo dire: “…che meraviglia!“. Quel “verde benedetto“, che i tanti testi alchemici indicano e richiamano, è il sintomo Naturale, il signum, di una avvenuta e canonica ‘generatio‘. La quale è figlia solo di una trasformazione della Materia Unica, passando attraverso la naturale Putrefactio. Ora, nel dedalo delle attribuzioni, vi sono molte Putrefactiones possibili, ergo molte generationes possibili, presenti nel Piano di Natura: così, a ben voler guardare …. molti ‘verdi’ potrebbero non esser quel ‘benedetto verde’. Per cercare di esser chiari mi permetto di semplificare, velocemente: nel mondo delle ‘apparenze’, nel nostro, nel mondo di qua dallo Specchio di Alice, il color verde – lo abbiamo appena visto – è dovuto a “quella cosa” ‘vestita‘ da Ossigeno. E dato che l’Ossigeno è praticamente ovunque nella nostra navetta (si noti, please, che esso – meglio: essa funzionalità – non pare ‘apparire’ nello spazio-tempo tra stelle e pianeti), dunque anche nei nostri laboratori, quella ‘funzionalità verdeggiante‘ accade in numerosissimi eventi. Così, o accettiamo l’idea che un certo numero di ‘verdi’ (non tutti, certo) possono essere ‘benedetti’, oppure ci si deve rifugiare nella salvifica ‘fede’. Mah…ognuno farà certo come meglio ‘crede’; forse, meglio, ‘sente’ ? … altro Mah!

D’altro canto, tutta la nostra storia umana è pervasa da quel colore, assegnandogli il ruolo di segnalare ‘vita’, intesa come ‘potenza di generazione’. E poichè Alchimia studia e sperimenta la trasformazione della Materia Unica in ogni actionem di Creazione (una res, una via, una dispositione), ci si deve prima o poi affacciare allo Specchio di Alice, ed avere prima di tutto il coraggio di varcarlo. Cosa non facile, peraltro…

In Sir Gawain and the Green Knight, Galvano ha a che fare per l’appunto con un misterioso quanto possente Cavaliere di verde tutto vestito, che lo sfida a staccargli la testa con un colpo d’ascia se accetterà a sua volta di essere decapitato dopo un anno e un giorno; il colore indicato è, in Middle-English, ‘enker-grene‘, un verde brillante, intenso:

For wonder of his hwe men hade,
Set in his semblaunt sene;
He ferde as freke were fade,
And oueral enker-grene.

Galvano accetta la sfida e gli taglia la testa; ed il cavaliere la raccoglie e se ne va verso il suo lontano castello. Dopo un anno, Galvano si presenta all’appuntamenteo presso la Green Chapel, e viene ospitato nel castello di Bertilac de Hautdesert e la sua bella consorte; lei lo tenterà per tre notti, ma Galvano si limita a dargli prima uno, poi due, e alla fine tre casti baci. Poi si reca alla Green Chapel dove il suo verde avversario lo aspetta con l’ascia: tre volte Galvano tenterà di farsi tagliare la testa, ma il Green Knight non lo farà: alla fine rivelerà che era un gioco per metter alla prova la sua onestà, e che il suo nome è proprio quello di Bertilac de Hautdesert, il marito della tentatrice. Qualche breve nota: il Green Knight che si presenta alla corte di Camelot non è troppo minaccioso.

Il termine ‘axe’, da noi comunemente tradotto con ‘ascia’ è in realtà un ‘falcetto’ (secondo Tolkien et alia), visto che il Cavaliere porta con sè per l’appunto un rametto d’Agrifoglio (l’Holly natalizio, pianta scaramantica e benaugurale), che ha la funzione di proteggere gli alberi giovani dall’essere danneggiati dagli animali della foresta. La sua identità, che rivelerà a Galvano solo alla fine dell’avventura, lo fa signore di ‘Hautdesert‘, che non indicava a quei tempi un’area abbandonata, quanto piuttosto un’area disboscata di fresco per consentire la caccia agevole, inserita nel possedimento del castellano, il qual possedimento – nel testo – è indicato come una foresta fitta, rigogliosa e selvaggia; si trattava, insomma, di un Purlieu-man (figura prevista dalla Forestlaw del tempo), vale a dire di un ‘uomo dei luoghi puri‘, sui quali graziosamente dominava. Il verde Bertilac, è dunque un Green-Man, un uomo della Natura, protettore della fertilità rigogliosa e intonsa, nascosta e dotata di natural possanza; ne vediamo uno tra gli oltre cento sparsi all’interno di quel libro vivente  che è Rosslyn Chapel, cui sono particolarmente legato:

Nel suo prezioso scritto, ‘Ermetesmo e tradizione Arturiana‘, Paolo scrive a proposito del regno di Gorre, dove Méléagant ha preso prigioniera la Regina Guinevere:

Ora, per entrare nel regno vi sono soltanto due modi, comunque entrambi difficili: “ Vous trouverez obstacle et trépas car c’est périlleuse d’entrer en ce pays …. L’accés n’en est permis que par deux cruels passages. L’un a nom pont dessous l’eau, parce qu’il vraiement sous l’eau entre le fond et la surface, il n’a qu’un pied et demi de large et autant d’épaisseur. L’autre pont est le plus mauvais et le plus périlleux que jamais l’homma n’ait passé. Il est tranchant comme une épée et c’est pourquoi tous le gens l’appellent le pont de lépée …” Dunque due vie, una ‘umida’ e una ‘secca’. Nella seconda, la via della ‘spada’, l’acciaio magico (il chalybs del Cosmopolita e di Filalete) sostiene un ruolo fondamentale e insostituibile.

Ricordo un passo di un autore poco noto:

…prendi dell’acciaio ben affilato e aprile (alla materia) le viscere e troverai questa seconda materia dei Filosofi …. Ma senza acciaio ben raffinato e lavorato dalla mano di un buon Maestro, non pensare di venirne a capo …

Da qui il simbolismo della spada magica, usato in tanti racconti, a indicare la via iniziatica prescelta. Pensiamo a Excalibur, la più famosa, dal nome così facilmente interpretabile. Lancelot et Gauvan devono scegliere. Il primo va per la via secca, il secondo per l’altra. Vedremo che Gauvain fallisce, possibile suggerimento sull’inutilità di questa strada. Notiamo che Lancelot a questo punto è ancora in ‘incognito’. Di più, è disprezzato per aver accettato di montare su una carretta di ludibrio, e quindi per essersi volontariamente avvilito senza motivo apparente. Per comprendere, è illuminante il gioco cabalistico, peraltro molto trasparente: charette va inteso come diminutivo di charrèe, la cenere che si usa per la liscivia e come fertilizzante per i campi: “ … O quam praeciosus est cinis ille filiis doctrinae , & quam praeciosum est quod ex eo fit” (In Turba), dicono i Maestri, raccomandandoci di non disprezzarla. E` la piccola ‘Cenerentola’ che tra l’altro fornisce la scarpetta di vetro, di verre, vert, il Verde inestimabile, che sarà stimolo per un’altra avventura, dedicata questa volta a Galvano. E` il colore del vaso prezioso, del Santo Graal, (il sangreal, il sangue regale). La materia va cotta col suo sangue e, come insegna la Turba, tutto ciò che ha sangue ha anche spirito.

In quest’ottica, ricordando che la Via è unica, si dovrebbe fare una riflessione: Lancelot, il Cavaliere della Cenere, è compagno di Gawain che – compiuta la propria avventura con onestà – potrà vestire la Green-Girdle (la cintura verde, a doppio giro, dice il testo) donatagli dopo il terzo bacio dalla moglie di Bertilac:  si tratta di quel vert, dunque, rappresentato dalla doppia natura del Green-Man, che è anche – mi si passi il brutto termine – il prodotto ‘fornito’ proprio da Cendrillon; Bertilac du Hautdesert, così, pare possa anche esser ‘reconnu‘ come la ‘pantoufle de verre‘ di Cendrillon (Cucendron), così indicata dal buon Maître de Savignies:

Dopo aver ben compreso che il Looking Glass di Alice non è soltanto una graziosa metafora, o soltanto un dotto simbolismo, forse il gioco delle apparenze si fa meno enigmatico, meno insidioso, meno insolito, persino meno triste: come dicevo, nulla è ciò che appare, ma tutto è “funzione” di un’Unica Materia, la Mater Ea degli antichi Philosophi.

Per finire, occorre ricordare che l’Uomo-Verde è presente in ogni tradizione, sotto mille forme, peraltro tutte ben evidenti: per esempio, al-Khiḍr, che si vuole fosse uno dei Maestri spirituali di Mosé, e pure di Alessandro Magno, un wali, ed uno dei quattro immortali accanto a Enoch, Elia e Gesù è l’incarnazione della Divina saggezza, infusa in modo naturale ed ineffabile. Letteralmente, il suo nome viene anche tradotto come ‘il Verde‘, per rappresentare la freschezza dello spirito e l’eterna vitalità. Pur se il suo nome non viene mai riportato nel Corano, si crede sia ancora vivo avendo avuto accesso all’Acqua dell’Immortalità (è il mito dell’epica di Gilgamesh, dove il ruolo, la funzione, di al-Khiḍr è svolto da Utnapishtim), e viene spesso rappresentato nell’iconografia vestito di verde.

Se viene pronunciato il suo nome, molti consigliano di salutarlo educatamente come se fosse presente, pronunciando il dovuto “Salaam Aleikum!“: egli è immortale ed anonimo, ma sempre benigno, pur nella sua misteriosa figura di ‘Profeta Nascosto’; egli ha ricevuto la Saggezza direttamente dal Divino – una “Scienza da parte Sua” (al-‘ilm al-ladunnī) – ed ha facoltà di rivelare direttamente la Via ai semplici, a chi non appartiene ad ordini e gruppi, ai non-protagonisti. Questo porsi in qualche modo al di fuori persino dagli schemi del nostro ermetismo intellettuale, tutto occidentale, ne fa lo specchio perfetto del vert, del vero, del cristallo portatore dell’informazione vitale, per ogni essere creato. Il Green Man non risponde alle leggi umane, ma vive in Natura, forse perché egli “è” Natura. Difficile certo da scorgere e/o percepire, ma ciò ovviamente non significa che non esista. Come si vede, potrebbe essere equiparato al Mercurio degli alchimisti, quello alto e puro e primevo, non specificato, di cui parlano, da secoli, i buoni testi; è quell’unico Mercurio che basta per fare l’intera Opera. Poi, il resto, si vedrà…

Ritornando alle Northern Lights, l’ “apparire” del ‘salto’ da parte di quel fenomeno che chiamiamo Ossigeno (segnalato dal rosso e dal verde ) è dovuto all’emissione di fotoni (e non solo) nei ranges rispettivamente di 630.0nm e 557.7 nm, considerate in Fisica come delle ‘transizioni proibite’ in condizioni normali. Al di là dei valori numerici per sé, che di nessuna importanza sono nel contesto alchemico, vi è la però la scala: una grandezza infinitamente piccola genera un evento di scala milioni e milioni di volte più grande, e noi vediamo con gli occhi soltanto quest’ultima scala. Tutto qui …che forse potrebbe essere scritto meglio, come ‘tutto è qui‘.

L’immagine che raffigura il saggio al-Khiḍr assieme al pesce – il cui contorno ricorda la ‘amande‘, simbolo quasi topografico  di un mesomondo vivente e vivificante, un locus amenus –  origina dalla medesima sorgente di Conoscenza antica che indica con esattezza che ‘ἕν τὸ πᾶν‘, così come accennato con idioma teutonico dal filatterio del Rosarium che adorna quel Lion vert, posto come incipit del De nostro Mercurio, qui est Leo viridis Solem devorans:

Ich bin der wahre grüne und Goldene Löwe ohne Sorgen,
In mir sind alle Geheimnisse der Weisen verborgen.

Quel Lion vert è ‘senza preoccupazioni‘, proprio come al-Khiḍr, ed in esso ed in egli sono racchiusi tutti i segreti dei Filosofi. Potrebbe mai esser stato altrimenti? Da quanto indicato dal passo ‘arturiano’ di Paolo si potrebbe dire che quel corpo ‘senza preoccupazioni‘, richieda operativamente alcune pre-occupazioni; trascurarle, credo, sarebbe poco accorto; sarebbe un po’ come non accorgersi che persino Yoda … è un altro Green Man.

Sul piano operativo, dopo magari aver meglio meditato su come ‘appare’ e come accade una Luce del Nord, mi permetto di consigliare la lettura attenta, calma, senza preconcetti e senza aspettative, possibilmente nell’edizione originale latina del 1618, di alcune parti dell’Atalanta Fugiens, offerta a chi cerca da quel saggio ed onestissimo buontempone di Michael Maier, Conte Palatino senza portafoglio; per esempio, alla Fuga & Discorso XXVII – dove si parla dell’accesso al Roseto, chiuso – vien detto a proposito dei due chiavistelli: “Hanc clavem in Hemisphaerio Zodiaci septemtrionalis reverà inveniet si signa bene numerae & discernere sciat, & lorum pessuli in meridionali: Quibus occupatis, facilè erit aperire ostium & intrare“; e a seguire: “In ipso verò introitu Venerem cum suo amasio Adonide videbit; Illa enim sanguine suo albas rosas tinxit purpureas: Ibidem & draco animadvertitur, quemadmodum in hortis Hesperiis, qui rosis custodiendis invigilat.” . Maier ricorda, non a caso, che  “Rosæ intra spinas abditæ capillos flavos habent interiùs & vestem viridem exteriùs.” E se si volesse approfondire, con la medesima attenzione, calma, assenza di preconcetti ed aspettative, si potrebbe studiare la Fuga e Discorso XXXVII: “Tre cose sono sufficienti al magistero, il fumo bianco, ovvero, acqua, il leone verde, cioè il bronzo di Ermete, & l’acqua fetida.“. Sebbene il Major Grubert mi abbia quasi obbligato a riportare le citazioni nella loro lingua originale, come stimolo utile a chi davvero voglia camminare nel Bosco incantato, ecco una mia brevissima e libera traduzione di un passaggio, la cui chiarezza e precisone è – a mio modesto avviso – senza pari:

… questo fondamento viene qui chiamato acqua fetida, la quale è madre di tutti gli elementi come testimonia il Rosario, dalla quale & attraverso la quale & con la quale i Filosofi preparano lo stesso [fondamento], vale a dire l’Elisir al principo & alla fine: viene chiamata Fetida perché manda da sè un fetore sulfureo, & un odore di sepolcri; Questa è quell’acqua che Pegaso fece scaturire dal Parnaso percosso col suo zoccolo, la quale [acqua] il monte Nonacris dell’Arcadia emette prorompente dalla roccia a causa del suo fare, la quale causa dalla sua fortissima forza può essere conservata nel solo zoccolo cavallino; questa è l’acqua del dragone, così come la chiama il Rosario, che si deve fare grazie all’alambicco senza alcuna altra cosa aggiunta, nel fare la quale c’è un massimo fetore … sappi che il fetore, se proprio c’è, presto si cambia in una grande fragranza… ; Dopo l’acqua Fetida è la volta del Leone verde di cui il Rosario [dice]: cercavano infatti la verdezza, credendo che il bronzo fosse un corpo lebbroso a causa di quella viridità che ha. Di conseguenza quindi ti dico che tutto ciò che vi è di perfetto nel bronzo è quell’unica verdezza, la quale è in esso: perché quella verdezza grazie al nostro magistero si converte rapidamente nel verissimo oro nostro & di questo siamo esperti, infatti non potrai preparare alcuna pietra senza il duenech verde & liquido, che si vede nascere nelle nostre miniere: oh benedetta verdezza che generi tutte le cose; per cui sappi che nessun vegetabile e frutto alcuno appare germinando senza che vi sia lì il colore verde; sappi parimenti che la generazione di quelle cose è verde, per cui i Filosofi la chiamarono germe. Così il Rosario: questo è l’oro e il bronzo dei Filosofi e la pietra nota nei capitoli, fumo, vapore & acqua, sputo di luna che deve essere congiunto al lume del Sole; questo leone verde combatte con il dragone, ma viene da esso superato & viene divorato in un tempo successivo … In terzo luogo segue il fumo bianco, il quale se viene coagulato fa acqua e l’acqua svolge il compito di lavare, solvere & togliere le macchie come il sapone:

Fatte le consuete raccomandazioni nel consultare un buon testo d’Alchimia, chiedo subito venia al britannico Major, ai latinisti, agli ermetisti, ai cercatori tutti per questo mio raccontare; al di là di ogni considerazione, sono serenamente convinto che se qualcuno amerà studiare, che non è certo leggere, amerà ancor di più operare, tanto più in Alchimia: senza esperienza, ça-va-sans-dire, non c’è studio che valga e/o tenga.

E così, forse, sono riuscito a rispondere, in tremendo ritardo, al curioso quesito posto tempo fa da Chemyst, in chiusura di un suo bellissimo Post:

La rousée du mois de may
M’a gasté ma verte cotte.
Par un matin m’y levay
En un jardin m’en entray;
Dites vous que je suis sotte?
La rousée du mois de may
M’a gasté ma verte cotte.”

Non è sotte quella donzella, tutt’altro …un saluto a tutti, in

enker-grene!

Il Mistero dell’Esprit Universel

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La corporificazione di questo Spirito è da sempre lo scopo ultimo delle fatiche alchemiche. Il risultato, convenientemente preparato, ha tradizionalmente il nome di Pietra Filosofale. L’insieme delle operazioni necessarie per giungervi, si chiama Grande Opera.

(da L’Anima del Mondo, 1986)

Paolo Lucarelli è un Maestro decisamente chiaro: l’essenza dell’Alchimia è tutta qui. Si tratta di dare un ‘corpo’ allo Spirito Universale. E naturalmente questo corpo deve essere adatto ad ospitare e trattenere, fisso, questo Spirito. Trattandosi di uno Spirito che ha le caratteristiche di universalità, forse è bene porsi qualche domanda.

Dal racconto del Genesi apprendiamo che:

  1. Ab initio, Dio creò il Cielo e la Terra.
  2. Ma la Terra era inane e senza forma; e le tenebre erano sulla faccia dell’abisso. E lo Spirito di Dio si muoveva sulle acque.
  3. E Dio disse: Fiat Lux; e Luce fu.
  4. E Dio vide la Luce, e che era buona: e Dio divise la Luce dalle tenebre.

Abbiamo dunque due dimensioni primeve: una alta, il Cielo, ed una bassa, la Terra. E’ curioso notare come del Cielo non si parli molto in questo incipit, ma che della Terra si dica della sua inutilità e della sua assenza di ‘forma’. Si parla poi di un’immagine piuttosto sinistra, dove le tenebre avvolgono, sovrastandolo,  l’abisso.  Dopo il riferimento all’Aria ed alla Terra, create ab initio, il Fuoco e l’Acqua completano l’apparizione dei Princìpi dei quattro Elementi: dico Princìpi e non Elementi veri e propri perché manca, ancora, l’evento che scatena la manifestazione. Quell’evento è costituito da quell’ineffabile Mistero che è dato dal Verbo che pronuncia e lancia la Creazione della manifestazione vera e propria tramite la Luce. Stiamo parlando, con grossolana approssimazione, di un evento di portata gigantesca e davvero poco rappresentabile per noi poveri umani:  il Divino pronuncia ‘Lux‘ ed essa appare: ovunque e per sempre. Questo è il cardine principale di tutta la Creazione. Luce.

Credo sia utile segnalare che la Luce di cui si parla, non è visibile da noi umani; per l’appunto, nessuna creatura vivente era ancora presente in quel momento. E’ detto, infatti, che solo Dio ‘vide’ la Luce. E noi umani possiamo percepire solo l’apparenza di una parte del fenomeno universale (lo chiamiamo curiosamente ma giustamente lo spettro visibile): pochissima cosa, ed è ciò che noi chiamiamo luce, peraltro per noi indispensabile, rispetto alla totalità della ‘radianza’ di quella Lux primeva ed eterna. La Luce attiva dunque le ‘forme’ e le rende manifeste. Istantaneamente: è da quell’istante formidabile che nasce ciò che chiamiamo Tempo. La Lux è da considerarsi la causa agente della manifestazione, la prima essendo  Dio.

A questo punto la Luce, quella Lux, “è” all’interno della manifestazione, la Creazione è fatta, la materia assume le caratteristiche di sostanzialità. E poichè la Creazione è un evento che ha le caratteristiche di un continuum, avviene cioé sempre ed ovunque, anche in questo preciso momento, la Luce si muove all’interno degli Universi grazie ad un ‘corpo’ molto speciale, molto sui generis: lo Spirito Universale. I Filosofi antichi, che studiavano per conoscere piuttosto che per usare, ne avevano compreso perfettamente le caratteristiche: tra i tanti Platone, nel Timeo, presuppone un’Intelligenza in questa azione vivificante dell’Anima Mundi, come scopre, prima o poi, ogni onesto étudiant dell’Arte. Tralascio qui di approfondire la complessa ed affascinante descrizione della ‘compositione‘ dell’Anima Mundi, che naturalmente è ancora molto dibattuta (uno schema interessante è qui, per chi volesse farsene un’idea), ma non posso non riportare questo passo tratto dal Capitolo VIII del Timeo, in cui Platone ci parla di come Dio ‘fece’ l’Anima Mundi:

“Della indivisibile essenza, la quale è medesima eternalmente, e di quella la quale nei corpi generasi divisibile, egli contemperò una terza specie di essenza, la quale sta nel mezzo di quelle due, partecipe della natura del medesimo e di quella dell’ altro; e nel mezzo di quelle due sí la pose. E, pigliate che ebbele tutt’e tre, le meschiò in una specie; contemperando per forza la natura dell’ altro, indocile a meschianza, con quella del medesimo. E, meschiato queste due nature con la essenza (cioè con la natura che media è fra quelle); e di tre fattone una, tutto questo egli divise novamente in tante parti, quante si convenne; sí che ciascuna fosse temperata della natura del medesimo, di quella dell’ altro, e di quella essenza che è nel mezzo.”

Anche se di difficile lettura, il passo si rivela come una possibile fonte delle tre ‘parti’ che costituiranno la triade alchemica per eccellenza nel Medioevo: una essenza indivisibile, una divisibile ed una mediana. Senza addentrarci troppo nella faccenda, credo sia importante sottolineare che lo Spirito Universale, l’Anima Mundi, appare costituito da due parti tenute assieme da un mediatore. Questo Spirito Universale, proprio per queste caratteristiche di Creazione, ha le proprietà di un’Energheia, un vigor rerum, come riferisce Guillaume di Conches in una delle sue Glosae super Platonem, composta attorno all’anno mille all’ombra della Cattedrale di Chartres:

“Anima mundi est naturalis vigor rerum quo quedam res habent tantum moveri, quedam crescere, quedam sentire, quedam discernere. … Sed quit sit ille vigor queritur. Sed, ut mihi videtur, ille vigor naturalis est Spiritus Sanctus, id est divina et benigna concordia que est id a quo omnia habent esse, moveri, crescere, sentire, vivere, discernere.”

Ovviamente un religioso non poteva non percepire come Sanctus uno Spirito di Divina ‘fattura’, anche se sembra che addirittura Bernardo di Clairvaux, mentore e primo protettore dei Cavalieri dal Bianco Mantello, rifiutasse questo attributo di santità a quello Spiritus. Avrà avuto le sue buone ragioni. Sia come sia, santo o non santo, nel mondo antico la presenza e l’azione dello Spirito Universale era considerata elemento di prassi consolidata, non soltanto teologicamente, ma soprattutto a livello di cultura popolare e conoscenza quotidiana; per i dotti, a livello di Gnosi. Oggi questo concetto naturale parrà balzano a molti, eppure allora nessuno protestava; era naturale, perchè esattamente insito nell’opera visibile di Madre Natura, l’idea che questo Spirito fosse il vero e proprio motore dell’essere, del movimento, della crescita, del sentimento, della vita e del discernimento di ogni corpo manifesto, e ciò si sposava perfettamente con le esperienze pratiche di quel manipolo di pazzi innamorati che, da molti secoli, si erano messi alla ricerca della Prima Materia e delle vie di Madre Natura. Gli alchimisti avevano da tempo scoperto che alla base della materia manifesta vi era qualcosa di sottile, di estremamente sfuggente, ma estremamente attivo e palpabile, che consentiva ai corpi opportunamente lavorati, in accordo con quanto narrato nel mito della Creazione, di acquisire proprietà davvero straordinarie, fuori del comune. La possibilità di trasmutare un metallo vile in metallo perfetto dipendeva proprio dalla capacità di poter disporre – semplicemente – di un Chaos materico originario fecondato dalla Luce, quella Lux, portata generosamente dallo Spirito Universale. Tutto quello che era richiesto era un po’ di materie tutto sommato comuni, un semplice fuoco e lo studio serio ed approfondito della Natura. In questo silente, umile ed incessante ‘lavoro’ di replica della Creazione, l’alchimista accedeva pian piano al regno del Sacrum ed il solo fatto di poter toccare con le mani corpi così ‘originari’ impose obbligatoriamente la pratica del segreto, secondo le Leggi della Tradizione ermetica più antica. Certo, molti, moltissimi si misero in cammino per poter fare oro…ma altri, senza troppo clamore, scoprirono altro: non solo corpi nuovi da cui poi la chimica posteriore avrebbe tratto, arrogandosene addirittura un copyright, tecniche ed applicazioni di indubbia utilità sociale, quanto piuttosto orizzonti nascosti e dalle caratteristiche peculiari, ma individuali. Lucarelli vi fa accenno quando parla delle ‘infinite applicazioni’.

Lo Spirito Universale è insomma il veicolo per eccellenza di un ente di natura divina, naturalmente sopraterrena, che è investito del ruolo di portatore della capacità di vita, di attività di un qualunque corpo: dalla potenza porta in atto, secondo un Progetto ovviamente a noi del tutto nascosto, sconosciuto: ne vediamo gli effetti, ma non conosciamo l’esatto ‘come’ e – soprattutto – il vero ‘perché’. E’ dato solo, talvolta, poterlo supporre. Il velo che separa Dio dalla sua creatura amata, così come viene insegnato dalla dottrina Sufi, ha una sua precisa funzione, che resta tale in ogni momento ed impeto d’Amore e di conoscenza.

Chi pensasse che lo Spirito sia solo una rappresentazione fumosa e approssimata di una nostra mera necessità intellettuale, dovrebbe considerare che sin dall’antichità gli umani avevano compiuto un’operazione di scoperta precisa e molto luminosa; oggi, a seguito della rivoluzione Illuministica (…che paradosso, il linguaggio!), abbiamo perduto il legame ed il significato di tali scoperte. Leggiamo Shaykh Asha’i:

“…gli Spiriti sono luce-essere allo stato fluido (nur wujudi dha’ib), mentre i corpi sono luce-essere, ma allo stato solido (nur wujudi jamid). La differenza tra i due è come la differenza tra l’acqua e la neve…”

(Teosofia del Trono, 1278)

La chiarezza di una tale affermazione dovrebbe far riflettere molti, soprattutto chi studia Alchimia. Si afferma qui che lo Spirito Universale ha una affinità elettiva, per nascita comune, con la Lux, e lo si afferma con una modalità di rivelazione; questo collide spesso con ciò che la nostra mente classifica come ‘vero’, verificabile, soltanto perché abbiamo ‘senso’ visivo e tattile di un corpo; in verità Spirito e Luce sono la stessa cosa, sotto aspetti, forme, solo temporaneamente diverse. Accidentalmente diverse. Se si comprende questo si comprende che il Verbo divino è esattamente un’ “azione” che, grazie alla conseguente ed istantanea ‘apparizione’ della Lux, genera un moto; e siccome ogni moto genera un calore, il Fuoco, elemento motore della materia manifesta, è – sempre – la controparte per così dire ‘bassa’ della sua parte ‘alta’: Lux, Calor, Ignis sono valori di riferimento del flusso eterno che lega ogni materia, materica e spirituale, al suo Creatore. Il veicolo di questo flusso, un altro continuum spazio temporale, è proprio lo Spirito Universale, così caro agli alchimisti di ogni tempo.

Questo ritrovamento ‘rivelato’ dello Spirito creativo, o meglio vitale,  nella manifestazione permette agli autori d’Alchimia di utilizzare nel linguaggio ogni sorta di nome, astruso o allegorico, visto che lo Spirito Universale è esattamente  la vera Materia Prima degli alchimisti. Naturalmente occorre comprendere come si sta parlando. A seconda di quando e dove e come questa Materia viene osservata, narrata, spiegata, insegnata, questo Spirito assumerà mille identità. A chi entra nel labirinto dell’Arte vengono offerte continue contraddizioni di termini, di simboli, di immagini, di dettagli, che sfidano ogni logica e desiderio di catalogazione. In realtà, è tutto molto semplice. Il misterioso Bruno de Lansac, per esempio, così si compiace di scrivere:

“Gli elementi hanno un Centrum Centri che alcun occhio può percepire; ed hanno in più un Centrum Comune cui i pretesi sapienti non osano avvicinarsi, per paura di svelare le loro turpitudini. E’ la Luce.

Questo calore caustico accompagnato dalla luce che chiamiamo comunemente fuoco non è l’elemento che porta questo nome di cui i Saggi hanno voluto parlare. Si prendono in questa circostanza gli effetti per la causa, e ci si spinge più in là dei retori, che prendono almeno la parte per il tutto.

Il Fuoco è un fluido eminentemente sottile, che procede direttamente dalla Luce, che chiamiamo talvolta elettrico, talvolta galvanico o magnetico, a seconda delle sue diverse modificazioni, o piuttosto è la Luce stessa derivata dalla sua sorgente e da cui essa resta distaccata. Non è né freddo né caldo, ed il calore o il freddo  non sono dei corpi, nonostante ciò che dice M. Azais, ma dei semplici effetti del movimento o del riposo.

Solo il movimento produce il calore con tutte le sue conseguenze, buone o cattive, di cui ognuno è in grado di farne applicazione, ed il fuoco, a ragione della sua più grande sottigliezza è anche il più adatto a ricevere l ‘impulso ed a comunicarlo agli altri corpi. L’Aria, l’Acqua e la Terra non sono che le conseguenze immediate, e successive, della formazione del Fuoco. La Luce, staccata dal suo focolare, accumulata per perdita di movimento e sospinta da una nuova e continuata emissione di sostanza si è data da sé stessa differenti forme…”

(Récréations Hermétiques, 1765)

Mentre consiglio vivamente ad ogni appassionato di leggere questo meraviglioso trattatello, scritto da un alchimista che aveva un approccio all’Arte certo straordinario per la sua epoca, credo utile, a questo punto, offrire un altro punto di riflessione; è nota a tutti la famosa sentenza: “Il vento l’ha portato nel suo ventre“, che è l’espressione verbale più identificativa dello Spirito Universale, in centinaia di trattati. Si tratta del Mercurio, quello Celeste, quel Mercurio assolutamente indispensabile che ogni artista deve riuscire ad attrarre tramite il magnete appropriato. Nonostante le raccomandazioni dei Maestri che indicano di non prendere mai alla lettera ciò che viene comunicato, la nostra razionalità ama incasellare, catalogare, classificare, ogni cosa; di fatto incasellando ed imprigionando non solo il senso vero degli insegnamenti, ma le stesse probabilità di venire a capo della enorme mole di dati che si accumulano via via nel corso del proprio cammino di studi. Fulcanelli ripete all’infinito che ‘la lettera uccide, solo lo spirito vivifica‘. E si pensa sia una cosa scontata. Ci si sente sempre in sintonia, e non è così: perché è difficilissimo liberarsi delle nostre abitudini razionali. Ma così è, sembra, e così deve essere. In questo caso ‘ventoso’ e ‘spiritoso’, si pensa sempre che lo Spirito Universale sia – de facto – proprio un Mercurio. E che Mercurio!….chiarisco subito che è proprio così. Tuttavia, ogni affermazione deve sempre essere presa cum grano salis. Si sta studiando Alchimia, la più antica delle Scienze. E non c’è spazio per la cruda, arida, logica. Serve Cuore ed emozione. Dunque, ferme restando le veridicità delle affermazioni sulla natura Mercuriale dello Spirito Universale attestate dai Maestri d’ogni epoca e contrada, varrebbe forse la pena ricordare quel bizzarro discorso sulla ‘compositione‘ dell’Anima Mundi, di cui sopra. A questo scopo, come possibile spunto di riflessione, leggiamo la pagina del Discorso I° di Michael Maier, tratta dal suo Atalanta Fugiens (1617):

Portavit eum ventus in ventre suo

Portavit eum ventus in ventre suo

Il vento l'ha portato nel suo ventre

Il vento l'ha portato nel suo ventre

Ho evidenziato una notula, in cui viene detto – citando Lullo – che lo zolfo è portato nell’argento vivo, e che la Pietra è portata nel ventre dell’Aria. Il latino di Maier è molto facile, e spero che tutti apprezzeranno quel suo interrogarsi ironico sulla natura di quell’ “ILLE” (inizio pagina): chi, si domanda il furbo medico di Rodolfo II, chi è quell’ “ILLE” portato nel ventre del vento?…dice Maier: “Ci si chiede tuttavia, chi sia QUELLO, che deve essere portato dal vento. Rispondo: Chimicamente, è lo zolfo, che viene portato dal mercurio.” Domanda facile, risposta semplice. Ma l’affermazione potrebbe destare sorpresa. Lascio a chi ama studiare Alchimia l’approfondire il punto, anche a livello operativo. Inoltre, ho evidenziato anche questo interessante passaggio: “Ogni Mercurio è composto dai fumi, cioé da Acqua che solleva con sé la Terra nella rarefazione dell’Aria, e da Terra che costringe l’Aria a ritornare in Terra acquea o Acqua terrosa.” E’ lo schema classico di una ‘circolatio’; il fatto che questa perfetta ed esatta descrizione venga attribuita al Mercurio, ad ogni Mercurio, e dunque anche al Mercurio dello Spirito Universale, merita a mio avviso ogni serena attenzione. E se si rileggono, come al solito molte volte, testi come la Lux Obnubilata o le Récréations Hermétiques – a solo titolo di esempio utile in questo specifico contesto – forse l’intricato Fil Rouge che tutti cerchiamo di ritrovare potrebbe iniziare a dipanarsi.

Siamo partiti dalla Creazione e siamo arrivati dentro un Laboratorio: l’evento è identico, solo su scala diversa. Ma il Mistero, magnifico e parlante, efficace e immutabile, è lì…davanti gli occhi di tutti noi. Dal Cielo alla Terra, dalla Terra al Cielo; l’ultima parte è il titolo di un bellissimo romanzo d’avventure di Jules Verne, ma è anche la dolce, segreta speranza di ogni innamorato della Gran Dama.

Dom Pernety:  “C’est proprement le nitre répandu dans l’air, imprégné de la vertu des astres, et qui, animé par le feu de la Nature, fait sentir son action dans tous les êtres sublunaires. Il est leur aliment, il leur donne la vie, et les entretient dans cet état autant de temps que son action n’est point empêchée par le défaut des organes, ou par la désunion des parties qui les composent.

(Dictionnaire Mytho Hermetique, alla voce Esprit Universel,  1758)

Dicevano i Saggi : Qui habet aures audiendi, audiat…