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Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie VIII

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Rientriamo nella Chapelle, che sembra un tempo aver avuto un ruolo in qualche modo anche liturgico, come vediamo da questa immagine d’epoca:

Se la presenza di un Altare e di una sorta di incavo laterale decorato (la famosissima Crédence) ci parlano di un uso religioso, difficile è riconoscerlo come tale quando esaminiamo alcuni Caissons, decisamente un po’ troppo espliciti nelle loro rappresentazioni scultoree; su questo curioso soffitto, oltre a quelli che abbiamo già esaminato sin qui, il terzetto di cui ci occuperemo oggi è decisamente ludico:

Il percorso che si dipana lungo questa sorta di scacchiera vede qui altri due Angelots, giocanti e giocosi, che evidentemente alludono al Cassone nel loro mezzo.

Cassone 20 – Lo Cheval de Bois.

Fulcanelli scrive: “Enfin, l’image suivante représente le ludus puerorum commenté dans la Toison d’or de Trismosin et figuré d’une manière identique: un enfant fait caracoler son cheval de bois, le fouet haut et la mine réjouie.”.

La traduzione di Paolo è, more solito, perfetta. “Infine, l’Immagine seguente rappresenta il ludus puerorum commentato nel Toson d’Oro di Trismosin e raffigurato in modo identico: un bambino fa caracollare il suo cavallo di legno, la frusta alta e l’espressione gioiosa.”.

[Fulcanelli, Il Mistero delle Cattedrali – 2005, p. 290]

L’Angioletto è un maschietto, nudo ma coiffé, ed impugna la sua frusta mentre cavalca il suo amato cavalluccio. Si tratta evidentemente di un bel gioco, no? Eppure, se vogliamo parlare d’Alchimia, v’è dell’altro.

Per prima cosa leggiamo il ‘commento’ di Salomon Trismosin, come indicato da Fulcanelli, nell’Edizione del 1612, all’articolo terzo:

Il terzo grado dei Naturalisti è la Sublimazione, mediante la quale la terra massiva& grossolana si converte nel suo contrario umido, & si può agevolmente distillare dopo che essa si sia mutata in questa umidità: perché non appena l’acqua si è ridotta & organizzata come mescolanza per influssione nella sua propria terra, essa non trattiene più in alcun modo la qualità dell’aria, elevandosi poco a poco & gonfia la terra trattenuta sino ad allora in fondo a causa della sua siccità beata & smisurata, come un corpo compatto & ben pressato; la quale nondimeno vi riprende i propri spiriti & si estende più in largo a causa dell’influenza di questo umore che si assorbe all’interno, & si mantiene mediante la sua infusione all’interno del corpo solido sotto forma di una nube porosa & simile a quest’acqua che galleggia nell’uovo, vale a dire l’anima della quinta sostanza che noi chiamiamo a buon merito, tinctus, fermentum, anima, oleum, per essere la materia più necessaria & la più vicina alla Pietra dei Saggi; tanto più che da questa sublimazione provengono delle ceneri, le quali propriamente (ma soprattutto per mezzo dell’assistenza di Dio, senza la cui bontà nulla riuscirà) si attribuiscono dei limiti & misure di fuoco, il quale è chiuso & racchiuso come da bastioni naturali. Ripley ne parla così & nello stesso nostro senso: fa, dice, un fuoco nel tuo vetro, vale a dire nella terra che lo tiene racchiuso. Questo breve metodo sul quale ti abbiamo liberamente istruito, mi sembra la via più corta & la vera Sublimazione Filosofica, per arrivare alla perfezione di questo pesante lavoro, giustamente paragonato per la sua purezza & candore ammirevole, al mestiere ordinario delle donne, vale a dire al lavatoio, che ha questa proprietà di rendere infinitamente bianco ciò che in effetti in precedenza appariva sporco & pieno di lordure, come la seguente figura ti farà conoscere perfettamente. Ma ancora prima io voglio mostrare che non sono il solo che offre i medesimi aspetti alla nostra Opera che il mestiere delle donne, non essendoci nulla di così comune nei migliori Autori che questa giusta similitudine. Il Ludus Puerorum lo chiama ‘fatto di femmine & gioco di bambini’, dato che i bimbi si sporcano & si rotolano nella lordura dei propri escrementi, rappresentando questa nerezza tratta dalle proprie mistioni naturali del nostro corpo minerale, senza altra operazione d’artificio che il suo fuoco caldo & umido, digerente & vaporoso; la qual nerezza & putrefazione viene pulita mediante la bianchezza che in seguito prenderà il suo posto facendosi una casa pulita & purgando di ogni lordura questa prima cuccia imperfetta. Così come la donna si serve di una liscivia & di un’acqua chiara per dare al suo bimbo la pulizia richiesta alla sua intera conservazione.

[mia personale e rapidissima traduzione]

Ohibò! … alla faccia della ‘brevità’! … Sia come sia la faccenda ludica viene qui descritta con un interessante dettaglio, credo. L’immagine che precede questo commento è questa:

… e quella a cui Trismosin si riferisce è ben più famosa:

Prima di continuare però, a costo di annoiare, credo utile riportare il monito del Ludus Puerorum, cioè il trattatello scritto nel Latino del 1523, facile e istruttivo:

Debet autem triplex ludus puerorum præcedere opus mulierum. Pueri enim ludunt in tribus rebus. Primo cum muris frequenter vetustissimis. Secundo cum urina. Tertio cum carbonibus. Primus ludus materiam lapidis ministrat. Secundus ludus animam augmentat, Tertius ludus corpus ad vitam præparat. Ex flore sanguinis fit Sal petra, cum primo ludo puerorum. Quo facto restat ipsum animare, & frequenter cum suo compari in aquam solvere, cum duobus alijs puerorum ludis, qui necessarij sunt, usque ad tertium calorem nostri Elixiris in opere mulierum, quod opus earum est coquere; qui ergo potest capere capiat.

[Vide l’Incipit faustè, dal Tractatus Opus Mulierum, et Ludus Puerorum dictus]

Cassone 21 – La Grenade Ignée.

Fulcanelli commenta questo Cassone così: “… la calcination philosophique, symbolisée par une grenade soumise à l’action du feu dans un vase d’orfèvrerie; au-dessus du corps calciné, on distingue le chiffre 3 suivi de la lettre R, qui indiquent à l’artiste la nécessité des trois réitérations du même procédé, sur laquelle nous avons déjà plusieurs fois insisté.”.

E Paolo: “… la calcinazione filosofica, simboleggiata da una melagrana sottoposta all’azione del fuoco in un vaso d’oreficeria; sopra al corpo calcinato si distingue la cifra 3 seguita dalla lettera R, che indica all’artista la necessità di tre reiterazioni dello stesso procedimento su cui abbiamo già insistito parecchie volte.”.

[ibidem]

Tutti sanno che la tradizione ermetica affida alla bellissima Melagrana il simbolo della fertilità; non mi dilungherò su questo, ma vi riporto il Mito arcaico ma terribile ad essa legato, raccontato da Alfredo Cattabiani:

… la Madre degli dèi, detta Cibele o Agdistis e descritta come un androgino, fu evirata per ordine della corte olimpica con uno stratagemma. C’era una sorgente alla quale soleva dissetarsi. Dioniso, che aveva il compito di separare la virilità da lei, ne tramutò l’acqua in vino. Agdistis-Cibele bevve l’insolita bevanda cadendo in un sonno invincibile; e il dio che stava in agguato, legò con una fune il suo membro maschile ad un albero.

Quando l’androgino si fu destato dall’ebrezza, balzò in piedi con uno slancio poderoso che permise alla fune di evirarlo mentre un fiotto di sangue inondava la terra: sangue magicamente fecondo se dal terreno sorse un melograno con un frutto. Il quale attirò un giorno l’attenzione della figlia di Sangarios, dio fluviale: Nana, dal nome identico a quello babilonese della Grande Dea microasiatica. La fanciulla colse il frutto appoggiandolo al grembo: ma la melagrana sparì magicamente, fecondando l’ignara principessa. Dal miracoloso concepimento nacque Attis di cui Agdistis-Cibele si innamorò perdutamente non abbandonandolo nemmeno per un attimo; e quando il figlio divino, divenuto un giovanetto, fu sul punto di sposarsi e di abbandonarla, lo fece impazzire spingendolo ad evirarsi il giorno stesso delle nozze. Attis morì dissanguato, e dal sangue sparso fiorirono viole mammole.”.

L’androgino primordiale Agdistis, in un altro mito, sarebbe nato dal seme di Zeus sparso su Terra in seguito ad un focoso accoppiamento con Cibele (sempre lei, si belle); il seme divino piovve dal cielo e cadde su una roccia, per cui Agdistis è ‘figlia/o della roccia’. Si noti che Cibele è sia madre (femmina) che figlio/a (androgino).

[Cattabiani, Calendario, Rusconi – 1988, p. 160]

Cassone 22 – L’Angelot avec le tourniquet

Fulcanelli scrive: ”L’ange «qui fait tourner le monde» à la façon d’une toupie, sujet repris et développé dans un petit livre intitulé: Typus Mundi, œuvre de quelques Pères Jésuites; …”.

E Paolo: “l’angelo che «fa girare il mondo» come una trottola, soggetto ripreso e sviluppato da un piccolo libro intitolato Typus Mundi, opera di alcuni Padri Gesuiti.”.

[ibidem]

L’angioletto stavolta è vestito: sarà forse un’angioletta? … chissà! Comunque, il ginocchio poggiato a terra, sta preparandosi al suo Jouet, molto popolare a quel tempo: il tourniquet è una sorta di toupie, una trottola, ma primitiva; dopo aver svuotato la noce centrale, ed aver leggermente separato i due gusci, ha fissato la sua cordicella ad uno dei vertici di una barretta nascosta all’interno, perpendicolare all’impugnatura; poi, avvolge la cordicella, e – lanciato un sassolino in una casella di una griglia disegnata per terra (una sorta di Luna, o Stella, il nostro vecchio e amato gioco da bimbi) – salta nella casella con una gamba sola e mentre compie il salto tira velocemente, e con forza, la cordicella, facendo girare la croce di legno solidale con l’asse della sua toupie. Il punto è che la toupie non deve mai fermarsi; per cui, una volta che la cordicella è stata srotolata, la forza applicata al primo tiro fa girare la toupie in senso contrario, riavvolgendo la cordicella (en avant & en arriéré); ma prima che la croce smetta di girare, l’Angioletto deve riprendere il sassolino, gettarlo in un’altra casella più avanti (verso la Casa della Luna), saltare – sempre con una gamba sola – nella nuova casella e ripetere l’operazione. Se la croce si ferma, ha perso, ed è costretto a tornare alla casella-base da cui è partito … e rifare il tutto! Ma, naturalmente, tocca adesso ad un altro compagno di giochi …

Questo trittico sembra dunque centrato sul ‘gioco da bambini’, il cui centro è qui rappresentato da questa grenade ignée, fissata da quel 3R; la raffigurazione di questa grenade si osserva anche all’esterno dell’Hôtel Lallemant: all’angolo della Corte Superiore, l’ultima finestra in alto della Tourelle mostra … 3 grenades, di cui le due laterali in fiamme, e quella centrale – posta su un supporto à torchon – la rivela, come una massa vera e propria.

Allora, si potrebbe pensare che questa grenade non sia soltanto una bella decorazione: … ma piuttosto il risultato di quell’operazione presentata dall’enigmatico Caisson 21 (qui), dove avevamo incontrato quella sorta di ‘E’ curiosamente adagiata in orizzontale tra le fiamme. Quindi, se uno si rileggesse, con tutta calma e serenità, l’altrettanto curioso Incipit del Ludus Puerorum … forse quel ‘3’ indica non soltanto – ma giustamente! – le trois réitérations du même procédé, … ma anche una ‘Eallo specchio, che appare invertita. Ho scritto ‘si potrebbe pensare’, e la mia è soltanto una proposta di riflessione (toh!). In accordo con i migliori autori, dirò che il procedimento semplice ed unico, è sempre il medesimo, nella cui reiterazione l’Artista deve però essere consapevole che la Materia nel crogiolo, nel suo intimo, … muta, pur essendo la stessa. Per dirla tutta, se l’operazione avrà successo, si disporrà della melagrana, che come abbiamo letto con Cattabiani, è il frutto dell’albero che spunta (preferisco ‘sorge’) dalla terra fecondata, da cui nascerà il bellissimo Attis … non fatevi ingannare, però; il Sal Petra di cui parla il Ludus Puerorum, non è il comune salnitro, bensì … proprio il Sale Pietra, o Sale della Pietra stessa. Senza sale, lo sappiamo tutti, … come potremmo mai ‘salare‘? … o si dice ‘salire’? Mah … non sarà la stessa cosa?

À bientôt, mes Dames et mes Sires !

Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie VII

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Ritorniamo a studiare il curioso soffitto della stanza che stiamo esaminando; la stanza viene chiamata generalmente ‘Chapelle’, anche se – strictu sensu – non sembra tale; ma – lato sensu – … lo è: il termine ‘cappella’ viene – pare – proprio dal Francese ‘chape’, che è la nostra ‘cappa’; si tratta del mantello, la cui epitome in terra di Francia è quella legata a San Martino, di Tours: prima di convertirsi al Cristianesimo, Martinus – un Germanico, nato in Pannonia – faceva parte di un’Ala degli Equites catafractarii Ambianenses, la cavalleria pesante generalmente dedicata alla protezione dell’Imperatore. Forse per questo – e per celebrarne le doti di Charitas – viene raffigurato (in una scultura che sovrasta il cancello d’entrata del castello di Höchst) vestito di elmo e corazza mentre taglia in due il proprio mantello (la ‘chape’) per donarlo ad un pover’uomo (il quale è, in questa raffigurazione, pure zoppo…):

Così nacque la venerazione da parte dei Re di Francia per la ‘chape’: si dice che la parte rimasta sulle spalle del buon Martinus venne conservata con ogni possibile onore e riverenza dai Re dei Franchi Merovingi, nell’Abbazia di Marmoutier a Tours, e veniva persino indossata in battaglia dal Re; da allora divenne una delle reliquie più preziose di Francia, quando Carlomagno la affidò ai monaci di Saint Denis. Il religioso che portava la ‘cappa Sancti Martini’ fuori dal reliquiario veniva chiamato ‘capellanum’, per cui tutti i sacerdoti al servizio degli eserciti vennero chiamati ‘cappellani’. Da qui, con le solite approssimazioni linguistiche, il luogo dove il ‘chapelain’ custodiva la ‘chape’ divenne … la ‘chapelle’, che poi indicò sempre un locus appartato di una chiesa e di particolare importanza nella liturgia, dove in genere veniva conservato qualcosa di prezioso.

Il famoso proverbio ‘Per un punto Martin perse la Cappa’, invece, sembra non aver nulla a che fare con San Martino, bensì con un abate del XVI secolo, il quale volendo abbellire la propria Abbazia, affidò ad un artigiano la realizzazione di un cartello di benvenuto che accogliesse i pellegrini: ”Porta patens esto. Nulli claudatur honesto.”; ma il pover’uomo sbagliò la posizione del ‘punto’, per cui la scritta diventò “Porta patens esto nulli. Claudatur honesto.”. Oltre l’imbarazzo inevitabile per lo sbaglio e il non aver controllato, la cosa arrivò fino al Pontefice, così che Martinus perse pure la ‘cappa’, … ma quella di Abate!

Ciò detto, torniamo ai Caissons, in questa settima serie.

Cassone 19 – Una Mérelle con lo scarabeo-scorpione.

Fulcanelli in proposito scrive: “… une large coquille, notre mérelle, montre une masse fixée sur elle et ligaturée au moyen de phylactères spiralés. Le fond du caisson qui porte cette image répète quinze fois le symbole graphique permettant l’identification exacte du contenu de la coquille”.

La traduzione di Paolo è, more solito, perfetta. “… una larga conchiglia, la nostra capasanta, mostra una massa fissata su di lei e legata da filatteri a spirale. Il fondo del cassettone che porta quest’immagine ripete quindici volte il simbolo grafico che permette l’esatta identificazione del contenuto della conchiglia.”.

[Fulcanelli, Il Mistero delle Cattedrali – 2005, p. 289]

C’è chi sostiene che non si tratti di una conchiglia, ma a me pare evidente che si tratti proprio della ‘capasanta’ … o ‘santa capa’ che dir si voglia. Ma la cerniera della valva pare leggermente rotta, in alto, come per mostrarne il contenuto, normalmente nascosto da due valve quando la mérelle è chiusa; voglio dire che sembra che l’immagine rappresenti qualcosa che in condizioni normali non si vede. La ‘massa’ è fissata da un unico filatterio in realtà, a formare una sorta di ‘otto’: potrebbe rappresentare – come sostiene il mio amico injubes – il percorso delineato dai punti massimi dell’ombra dello gnomone di una meridiana, proiettati a mezzogiorno: in un intero ciclo solare, formano per l’appunto questo andamento spiraleggiante (si tratta di un percorso fisicamente rilevabile osservando in cielo il moto di Sol per un anno, dalla stessa posizione, ad una stessa ora: si chiama Analemma, qui). Se così fosse, la ‘legatura’ cui accenna Fulcanelli è dovuta al ‘vincolo’, generalmente dovuto al Mercurio, che trattiene uno Zolfo, il qual Zolfo, … viene fissato: … Ohibò!

Ma cos’è questa massa, della quale Fulcanelli non dice una-parola-una? Questo insettone appare ben strano, e c’è chi dice che sembra figurare un miscuglio di due corpi, un corpo di due nature: la grossa testa sembra quella di uno scarabeo cornuto, ed il corpo (sei zampe e due chele) e la coda (munita di pungiglione, o di una doppia chele) paiono indicare uno scorpione. Lo scarabeus (Ogni scarrafone è bello a mamma soja), che spingeva davanti a sé una palla di sterco e terra, era venerato in Egitto come un simbolo di resurrezione/rigenerazione; si chiamava kheperer, ed era nella palla di sterco che il coleottero custodiva le sue uova; l’abitudine venne collegata al mito del dio Khepri, il Sole che sorge ciclicamente generato dalla terra, così come appare sull’orizzonte, all’alba. Quanto allo scorpione, a parte che la sua puntura velenosa può essere mortale, non mi vien in mente granché.

Poi le ‘E’: ne sono visibile dodici, e potrebbero essere quindici se ne immaginiamo altre tre dietro la mérelle. Fulcanelli sostiene che quella ’E’ è “… il simbolo grafico che permette l’esatta identificazione del contenuto della conchiglia”. … Ho la sensazione che il gioco nascosto sia davvero sottile. Ma forse è meglio, per non guastar la festa, andare avanti …

Cassone 20 – L’Angelot … et les coquilles.

Fulcanelli commenta questo Cassone così: “Dans une autre figure, nous retrouvons l’enfant, – qui nous paraît jouer le rôle de l’artiste, – les pieds posés dans la concavité de la fameuse mérelle, et jetant devant lui de minuscules coquilles issues, semble-t-il, de la grande.”.

E Paolo: “In un’altra figura ritroviamo il bambino – che ci sembra rivesta il ruolo dell’artista – con i piedi posti sulla concavità della famosa capasanta e che getta davanti a sé minuscole conchiglie, provenienti, così sembra, dalla grande”.

[ibidem]

Il paffutello angioletto è ben pettinato ed ha un’aria tutto sommato paziente e serena: pare occupato a far cadere le conchigliette;  ma che senso avrebbe visto che sembrano figlie della grande su cui è comodamente seduto? Non sarebbe più facile semplicemente estrarle manin-manina dalla mérelle-Mère? Forse – e dico forse – le sta pulendo, con quel cesto di vimini? Le getta in aria, come per separare qualche sporcizia?

Beh, ci vorrà u po’ di tempo; ecco perché ha quello sguardo assorto …

Come abbiamo visto nell’esame di qualche altro Cassone, troviamo spesso nel Livre des Heures di Étienne Lallemant l’ispirazione; ma stavolta … è proprio precisa:

Curiosa corrispondenza, no? … dimenticavo: il Putto raffigurato nelle Heures è privo d’ali, mentre quello scolpito sul soffitto è in bella evidenza munito di alucce; e, a ben guardare, le piccole cerniere delle piccole conchiglie, tanto quelle scolpite che quelle dipinte … potrebbero essere prese per alucce, pure loro!

Cassone 21 – La ‘E’ tra le fiamme ….

Fulcanelli: “Le même signe, – substitué au nom de la matière, – apparaît dans le voisinage, en grand cette fois, et au centre d’une fournaise ardente.”.

E Paolo: “Lo stesso segno – sostituito al nome della materia – appare, questa volta più grande, nelle vicinanze, [e] in mezzo ad una fornace ardente.”.

[ibidem]

Torniamo dunque a quella ‘E’, misteriosa. Tanto per cominciare vi mostro come si apre il Livre des Heures di Étienne Lallemant :

Nel Capolettera di Étienne lo scarabeo proprio non c’è: per cui, o lo scalpellino di Jean si è sbagliato (la testa così grossa ed il corpo privo di anellature non assomigliano a quelli di uno scorpione), … oppure l’insettone di cui sopra, rappresenta solo uno scorpione, anche se raffigurato non proprio fedelmente[1]. A voi l’ardua sentenza!

Lo sfondo del magnifico Capolettera è il ben noto Blasone dei Lallemant, qui cosparso di ‘E’ (come nel Cassone 19, a dx della serie); al centro la bella valva della mérelle, aperta, in cui – guarda caso! – un nero scorpione viene ‘fissato’ dal filatterio che recita ‘Salus tu feris das’ (Tu ferisci, [tu] dai salute; lo scorpione ferisce, la mérelle guarisce); la pagina è quella corrispondente alla liturgia del 31 Dicembre, ed inizia con il Salmo 69 della Vulgata: “Deus, in adiutorium meum intende”. Come ho scritto in precedenza, Étienne potrebbe aver lasciato la carriera di avvocato al Parlement de Paris in seguito ad una pena d’amore, per poi prendere i voti e diventare Canonico di Tours e Bourges; il Livre des Heures, da lui commissionato, venne probabilmente completato prima del 1500, ed alla sua morte passò al fratello Jean Lallemant le Jeune; Jean, dunque, si è certamente ispirato alle decorazioni del Livre per la progettazione dei Cassoni di questa bizzarra Chapelle… ma torniamo a Fulcanelli: perché mai quel ‘signe’ potrebbe indicare la materia misteriosa (che figura dodici o quindici volte nel Cassone di dx)? Si potrebbe pensare ad un glifo che è ben presente in alcune antiche tavole che rappresentano simboli alchemici: la ‘E’ o la ‘Ɛ’ vi figura generalmente come la ‘cinis’, la cenere. Naturalmente, osservando il Cassone, l’operazione è certamente una Calcinazione; però, non è detto che quella ‘E’ bruci da sola: sembra che le fiamme, a punta, avvolgano e penetrino una sorta di corpo indefinito, ma senza spigoli, piuttosto confuso (al centro, sullo sfondo, addirittura si erge una specie di montagnola, che assomiglia a … qualcosa che si è rappreso; chissà); dice “… s’igne?”; risposta “… certo che s’igne, ma chilla E nun s’igne; è l’altro che s’igne, capatost’!”.

Se questa balzana ipotesi fosse degna di una qualche attenzione, allora in questa ‘fornace ardente’ ci sono due corpi: uno è misterioso, l’altro potrebbe essere rappresentato dal simbolo della cenere; … quale cenere? Per di più, c’è un apparente paradosso: in Alchimia operativa, la cenere è l’ovvio risultato di una Calcinazione; da quella cenere, sempre indicata dai buoni autori come ‘meravigliosa’ si deve poi estrarre un Sal, anzi il Sal, il quale è estremamente importante, perché … è il Sal Petræ, che non è ovviamente il Salnitro, bensì il vero Sale della Pietra, cioè della vera materia dell’Opera. Emozionati? … però, chi non ha lavorato obbietterà giustamente che, a rigor di logica, sarebbe del tutto assurdo pretendere di calcinare ancora una volta un sale, il quale è già il frutto di una calcinazione; eppure …

Allora, logica a parte, risponderei con una immagine, ben conosciuta, tratta dal Donum Dei:

Di fronte alla consueta perplessità dell’obbiettore, non profferirei altra parola che ‘cinis cinerum’; per poi aggiungere, de surcroit, che il nomen Étienne corrisponde al nostro Stefano; dice Wiki: “Στέφανος (Stéphanos, latinizzato in Stephanus), che letteralmente significa “corona” …”.

Direi io, all’obbiettore: “Parbleu, Monsieur … Sans une Couronne le Dauphin ne sera jamais un Roi, n’est pas?

A supporto del momento, vi lascio con un brano tratto da quale genio assoluto che fu Monteverdi, di scarsa qualità purtroppo, ma emozionante per il modo con cui il conduttore, Messer Marco Mencoboni, dirige il coro, davanti e dietro di sé; dalla Cattedrale di Lisbona, ecco a voi il Domine ad Adjuvandum, dall’incredibile Vespro della Beata Vergine:

Se poi, presi da Joie et curiosité, voleste dilettarvi dell’intero Vespro, di assoluto valore alchemico, vi lascio in santa pace (per un’ora e quarantaquattro minuti) con Sir John Gardiner, nell’esecuzione capolavoro tenutasi à la Chapelle Royale de Versailles:

À bientôt, mes Dames et mes Sires

tiens, mais encore … une autre Chapelle ?


[1] Ma lo scalpellino potrebbe essersi ispirato a raffigurazioni pittoriche coeve; in queste, per esempio, i soldati romani che assistono alla crocifissione di Gesù portano l’insegna dello scorpione, raffigurata su stendardi o scudi militari:

Oratorio di San Giovanni Battista, Urbino
Convento di Santa Maria degli Angioli, Lugano