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Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie IV

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Passato il periodo delle Feste, continuiamo l’esame del Plafond dell’Oratoire dell’Hôtel Lallemant con la quarta serie di Cassoni:

Cassone 10 – Un Angioletto fa pipì nello zoccolo

Fulcanelli commenta questo Cassone: ‘Voici, – quel singulier motif pour une chapelle – un jeune enfant urinant à plein jet dans son sabot.’.

Ecco, – che motivo singolare per una cappella – un bambinello che urina a tutta forza in uno zoccolo.’.

A ben guardare, si tratta di una bambinella, alata, che apre la parte inferiore della sua tunica; la qual bimbetta – con una mira che ha del perfetto! – dirige il suo getto di pipì all’interno di uno zoccolo, di legno. La scenetta descrive un jeu d’enfants: di notte – la bimba, oltre la tunichetta da letto, indossa anche la cuffietta per dormire – l’inarrestabile desiderio fisico di liberarsi viene soddisfatto senza indugio: invece di recarsi verso un bagno, o usare il classico vasino da notte, l’angioletta trova uno zoccolo e lo usa per far pipì: non è un dispetto, quanto piuttosto un gesto da monella, … che sa di non esser vista!

… e la pipì pare davvero tanta, visto la cura con cui l’artista ha scolpito il getto, quasi un torchon, ma dritto dritto, per esprimere la forza con cui la piccola monella, in piedi, soddisfa il proprio istinto primario: liberarsi. … tale è la forza, che pare bagnarsi un po’ la gamba destra.

Canseliet, parlando dell’altrettanto famosa Fontaine Indécente (in Deux Logis Alchimiques), si ricollega a questo Cassone dell’Hôtel Lallemant:

Pourvue de ses deux ailes, comme il se doit, l’enfant céleste ne s’en tient pas moins campée sur ses deux jambes, afin d’ouvrir, tel un rideau, le vêtement qui la recouvre. Ainsi dirige-t-elle, dans un sabot de bois, habilement, malgré son attitude, à la fois verticale et difficultueuse, le jet oblique et roide de son virginal pipi.’.

‘Provvista di due ali, come si conviene, l’infante celeste sta comunque ben piantata sulle gambe in modo da aprire, come un sipario, la veste che la ricopre. Dirige così abilmente – malgrado la sua posizione, a sua volta verticale e difficoltosa – in uno zoccolo di legno, il getto obliquo e teso della sua pipì verginale.’.

Un esame più approfondito di questo Cassone – magnifico per la sua sfrontatezza, quanto, giustamente, illogico e irriverente in una Chapelle – ci porterebbe molto lontano (ne ho a suo tempo trattato, qui), e quindi mi limiterò a sottolineare alcuni spunti di riflessione: si tratta di una fase primaria della Grand Œuvre, relativa ad un Solve molto peculiare; tra una materia ricevente, usualmente vile e nerastra (raffigurata in genere con un Sabot o con un Chapeau (…toh!)), cui viene congiunta un’aqua. Quest’aqua è ovviamente di natura mercuriale, e ricorda tanto quella del fanciullo-che-fa-pipì-da-una-nuvoletta (nella famosissima Tavola dello Speculum Veritatis), ma – all’uopo – necessita di un’accorta (cioè, … avveduta!) correzione, per così dire; deve essere acuita, aguzzata.

Con che cosa? Tutti conoscono la risposta, talmente è diffusa nei buoni testi d’Alchimia: naturalmente, con il Sal Armoniac, no? Come avevo scritto, Paolo ci era venuto in soccorso (si parlava allora della immagine celeberrima della Cabala Mineralis di Simeon Ben Cantara; … ah, les beaux temps d’antan!), nel suo stile schietto e sempre sorridente:

… Le tre reiterazioni indicate dai tre fiori celesti ci fanno ottenere questo mercurio, sale di pietra o sale armoniaco, che viene irrorato dalla rugiada e aguzzato dall’urina del fanciullo, il nostro ariete celeste. Otteniamo così l’acqua viva aguzzata e poi la stella dei saggi. Le aquile ci ricordano che questo in fondo è un processo di sublimazione…

… …Mi sono reso conto che non ho detto … perché “l’urina”. Mio Dio, è semplice, come al solito. É il nostro fuoco filosofico che libera il mercurio comune, il dissolvente, e gli si unisce per formare con lui l’acqua viva, che ne è appunto aguzzata (o acuita se preferite). Tra l’altro posso confermare che l’urina dell’ariete ha un fortissimo odore di ammoniaca, cioè di urina putrefatta.

I nomi usati dai maestri hanno sempre un senso molto banale e operativo.

Quanto al Sabot, Fulcanelli ha scritto ovunque che il suo senso alchemico è legato a quello della fava o del bambolotto bagnante, la Galette, alludendo ad un contenuto, evidentemente nascosto, … nel sabot:

…Notre galette est signée comme la matière elle-même et contient dans sa pâte le petit enfant populairement dénommé baigneur. C’est l’Enfant-Jésus porté par Offerus, le serviteur ou le voyageur; c’est l’or dans son bain, le baigneur ; c’est la fève, le sabot, le berceau ou la croix d’honneur ”.

La citazione di Fulcanelli – dove non occorre scomodare Grasset d’Orcet per ricostruire un pezzo del Puzzle alchemico al quale l’angioletta monella, colta sul fatto!, allude – è tratta da Il Mistero delle Cattedrali; consiglio vivamente il lettore, neofita o esperto che sia, di re-immergersi nello studio calmo, ma molto calmo, del passo su Offerus, la sua famosa Ceinture e la Galette des Rois (pp. 275-8, Edizione Italiana; chi può, lo legga in francese, perché … suona bene!). Mentre ricordo che il termine popolare Sabot (Çabot) proviene da Savate (per Ciabatta, femminile) e Bot (per Scarpa, … ma maschile), non posso evitare di sorridere allegramente di fronte a quello che Grasset d’Orcet, però, avrebbe saputo raccontare su quel ‘croix d’honneur’!

Cassone 9 – La Pollastra ed il Corno dell’Abbondanza

Fulcanelli commenta questo Cassone: ‘Ici, c’est la corne d’Amalthée, toute débordante de fleurs et de fruits, qui sert de perchoir à la géline ou perdrix, l’oiseau en question étant peu caractérisé; mais, que l’emblème soit la poule noire ou la perdrix rouge, cela ne change rien à la signification hermétique qu’il exprime.’.

Qui, [ecco] il corno d’Amaltea, tutto traboccante di fiori e di frutti, che serve da trespolo alla gallina o pernice, dato che l’uccello in questione non è ben caratterizzato; ma, che l’emblema sia la pollastra nera o la pernice rossa, ciò non cambia in nulla il significato ermetico che esso esprime.’.

La poule è la pollastra (chissà perché Fulcanelli la vede come nera), mentre la géline è la nostra gallina, che prende questo nome, generalmente, quando si accinge a fare uova; la gallina ovaiola, si sa, fa … le uova d’oro! Per contro, la Pernicerossa -, che in francese è la perdrix, deve il suo nome al latino perdix, che a sua volta viene dal greco pèrdix (πέρδιξ); sembra che così sia stata chiamata anticamente perché quando si alza in volo, dopo aver tentato di piedinare nascondendosi dove può, … ‘emette peti’ (dal lemma πέρδομαι), tanto che i greci la chiamavano anche ‘kakkabis’.

Ciò detto, di Amaltea (Ἀμάλθεια) sappiamo quasi tutto; era la tenera capretta con il cui latte le due Ninfe dei Frassini (Adrastea ed Io, figlie di Melisseo) alimentavano il piccolo Zeus, che era stato loro affidato da Rea per nasconderlo alla fama divorante di Cronos; il piccolo era nutrito anche con ambrosia, miele e nettare, ma provenienti da altri animali. Una volta cresciuto, Zeus spodestò il terribile padre e per ringraziare la capretta Amaltea creò la costellazione dell’Auriga, la cui stella più brillante è Capella (la ‘capretta’, la terza stella più brillante del cielo Boreale); ma si racconta anche – le fonti sono varie, anche perché ci si riferisce a storie pre-Olimpiche – che il bimbetto Zeus, mentre nel giocare andava cavalcando la sua tenera ed affezionata capretta, le spezzò un corno; le due Ninfe curarono prontamente Amaltea, e donarono il corno, riempito di frutti, al piccolo Zeus; una volta divenuto il capo di tutti gli Dei dell’Olimpo, Zeus restituì il corno alle due Ninfe gentili, ma stavolta era magico, perché per quanto se ne mangiassero i frutti e si cogliessero i doni in esso racchiusi, subito se ne riempiva di nuovo: era nato il Corno dell’Abbondanza (da Cornu Copiæ’). Sempre il Mito, ma in un’altra versione, racconta che Zeus volle anche creare la costellazione del Capricorno. In somma … melius abundare quam deficere, no?

Fulcanelli si riferisce a questo Corno d’Amaltea nell’esaminare un Medaglione di Notre Dame de Paris, intitolato ‘L’Origine e risultato della Pietra’, raffigurato alla Tavola XIX ne Il Mistero delle Cattedrali:

Nel secondo medaglione l’Iniziatore ci presenta con una mano uno specchio, mentre con l’altra alza il corno d’Amaltea; al suo fianco si vede l’Albero della Vita. Lo specchio simboleggia l’inizio dell’opera, l’Albero della Vita ne indica il fine e il corno dell’abbondanza il risultato.”.

Lascio al lettore l’onere di scoprire il senso che lega la gallina nera (o la pernice rossa, che va peteggiando quando s’alza in volo) che beccheggia nel corno di Amaltea, magari riflettendo sul fatto che Zeus viene alimentato dalla sua tenera nutrice con il suo latte, e che l’abbondanza eventuale cui si aspira deriva da una chose … certo più solida&compatta del latte nutriente, il quale, ohibò, suona come Gala!…

Cassone 12 – L’Angioletto con la ghirlanda e il sonaglio

Fulcanelli non commenta questo Cassone.

La raffigurazione, rispetto a quella di altri Cassoni, è davvero rovinata; vediamo un Angelot alato il cui volto ha le fattezze un po’ più adulte, con i capelli come pettinati all’indietro e lo sguardo rivolto verso l’alto; sulle spalle porta una ghirlanda, che sul suo lato sinistro è fermata con un nastro e termina con una nappa a forma di fiore a campanella; dal suo lato destro, purtroppo danneggiato, pende un filo che forma un anello attorno al pollice dell’Angioletto e va a terminare (anche qui al rilievo manca un pezzo) in un sonaglio.

Il mio amico ijnuhbes vi vede una raffigurazione del dolore, del contrasto tra le tristezze della vita terrena e le aspettative della vita post-mortem: quest’interpretazione, certo comprensibile, è sostenuta dal fatto che la ghirlanda sarebbe una corona funeraria (come le due corone, colorate di smalto verde, che figurano, lo vedremo, affisse sulle due colonne centrali dello studiolo, oratorio, o cappella che dir si voglia); e siccome l’Angioletto sembra avere una sorta di pietra che esce da una fenditura tra le gambe, quella sarebbe un gigantesco calcolo della vescica, che provocherebbe enormi dolori …; così, il tono generale, secondo quell’interpretazione sarebbe una rappresentazione della consapevolezza del dolore riservato all’uomo nella sua vita terrena.

Ora, la ghirlanda non ha certo una forma circolare (come quella di una qualsiasi corona funeraria) e quella fenditura, per quel che appare, mi pare più dovuta alla caduta della parte dell’impasto che raffigurava l’inguine, probabilmente dovuta al tempo o ad un’altra ragione; quella pietra-calcolo, peraltro troppo grande per risultare credibile, potrebbe invece essere una sorta di supporto inserito al momento della creazione del rigonfiamento dell’inguine da parte dello scultore, il cui scopo era quello di renderne visibile solo una piccola parte, per rappresentare i genitali (maschili o femminili). Se si osservano gli altri Angelots (su questo plafond, come anche quelli dipinti nelle Heures di Etienne Lallemant), l’ipotesi di un danno che ha messo in luce il trucco del supporto nascosto sotto l’inguine, dopo la caduta o il danneggiaento dell’impasto che lo rivestiva … potrebbe reggere.

Sia come sia, l’inserimento di una ghirlanda (gerbe) chiusa da sonagli da entrambe le parti, e l’espressione pacifica dell’Angioletto, paiono trasmettere serenità, persino sonoramente. Se poi questa serenitas sia da attribuire al contenuto alchemico dei due precedenti Cassoni, ciò è naturalmente materia opinabile, ma non impossibile. L’Angelot cammina con lo sguardo rivolto al Cielo, e gioca con i due sonagli della ghirlanda: allegria e speranza.

Per concludere questa sessione, credo di poter dire che il committente (i committenti?) abbia/no forse voluto far rappresentare un Jeu d’Enfants (molto conosciuto in Alchimia, e molto ben congegnato, peraltro) che si colloca in un certo inizio dell’Œuvre, affiancato da un’altra garbata allegoria legata ad una fase intermedia, ma importante ed esiziale, e conclusa – in questa terna – da una sonora pacificazione, celeste.

 À bientôt, mes Dames et mes Sires …