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“La Bugia” del Marchese Palombara … 4

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Philosophia Naturalis, Pietra Filosofale, Various Stuff with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Tuesday, December 26, 2023 by Captain NEMO

Presi come siamo nelle giuste e tipiche e sane pigrizie Festive, credo sia un buon tempo per proseguire nella lettura – e poi nello studio – della curiosa Parabola del Marchese Massimiliano Palombara: lo avevamo lasciato alle prese con le Purificazioni della Pelle del Re; e tal quale lo ritroviamo.

Ogni giorno più che mai dedito nell’opera incominciata, andavo speculando e giorno e notte il modo che dovevo tenere in proseguirla, onde ritornato a casa osservai che la pelle del Re pescata nel mare non aveva più la corona in capo, per il che mi credei che inavvertentemente mi fosse caduta la notte che sonnacchioso me ne ritornavo, ma osservata di novo la pelle con maggior diligenza, vi ritrovai alcuni atomi o punte di Sole, dal che argumentai che quell’acqua marina avesse avuto forza di unire, putrefare e solvere e la pelle e la corona e quanto vi era, essendo e la pelle e la corona tutta una cosa, e che l’una e l’altra si fosse meschiata insieme conforme in effetto successe, e mi quietai nel sospetto consaputo della perdita che mi presupponevo.”.

Ohibò … manca la ‘corona’! … e mo’???

(Sorrisini; … a stento trattenuti da alcuni defilati individui, compresi e disguised nella piccola platea dei lettori accuorti). Si ode, nel buio, uno che ammicca ad un compagno: ‘… atomi o punte di Sole!’.

Ora che siamo pure noi ‘consaputi’, il Marchese inizia una serie di elucubrazioni: dato che la Pelle era stata ‘strappata’ dal corpo-con-feci, forse aveva portato seco alcune zozzerie, e visto che pareva – essa Pelle – ‘alquanto insanguinata’, l’elucubrante Marchese decide di lavarla e purgarla al fine di ‘renderla odorifera e netta da ogni sozzezza’, ma siccome a casa non v’era ‘comodità di fontane’ né giammai poteva affidar la Pelle alle ‘lavandare o altri acconciatori di pelle’, decide di recarsi di nuovo, e di nascosto, al mare: detto fatto, avvolge la Pelle in un panno e scende tomo-tomo chiatto-chiatto ‘al mare (cosa meravigliosa)’.

E qui scopre un fenomeno bizzarro: ‘… mi pareva che quella pelle si movesse e che facesse forza d’intrar nell’acqua, non mi potevo immaginare se l’acqua faceva moto di tirar la pelle e la pelle si volesse movere per andar ad incontrar l’acqua, sembrandomi l’effetto del ferro che, con una distanza proporzionata, visibilmente si move e va ad incontrar la calamita, che poscia unita con quella non si distacca se non che con forza, mostrandovi natural renitenza.’.

Or che il Marchese ha scoperto il Magnetismo – che poi William Maxwell cristallizzerà dopo qualche secolo nel suo famose Set di Equazioni – dalla platea si ode una vocina fioca fioca, sotto voce, quasi un piccolo miagolio: ‘… Uè, Marchese, nun fate accussì … isso è ‘o Magnes, e nno ‘na calamita!’; e il suggeritore, viene messo a tacere con un veloce e compunto colpo di scarpone chiodato, di piatto, sulla nuca …

Il povero Marchese lotta con l’inattesa attrazione, al punto che ha proprio paura di essere trascinato pure lui nell’acqua ‘essendo in più quantità l’attraente che l’attratto’, per cui si ritrae ‘doi passi indietro’. Turbato dalla prospettiva di perder la Pelle in quel mare che ‘me l’averebbe absorta in istante nel suo seno avido ed arrabbiato di sentimento amoroso verso di quella’, pensa bene di ritornare a casa e prendere ‘un vaso capace’, per poi tornare al mare, cosicché – scrive – ‘avessi possuto prendere della sua acqua quella porzione che fosse stata adeguata al bisogno, per depurare e lavare la suddetta pelle, siccome feci.’.

Sempre guardingo, il nostro lascia la Pelle ad un tiro di sasso dal mare, poi preleva dalle onde del mare (onde, onde, onde; trattasi qui proprio di ‘onde‘, eh? … non quelle del Prince de Broglie!) ‘quella quantità e più schietta che giudicai al mio bisogno’, e torna là dove aveva posato la Pelle; poi – ‘posto il vaso in terra e presa la pella in mano per volervela attuffar dentro osservai che con forza mi scivolò e mi prevenne e da sé medesima a piombo se ne calò nell’acqua, dalla quale abbracciata con indicibile avidità, lussuriando se la strinse nell’avido seno a tal segno che di breve non la vidi più …’, il buon Marchese recupera la Pelle dall’acqua e la fa asciugare ‘al sole del mese più caldo dell’anno’ ed osservò che ‘le poste parti delle sue immondezze andava acquistando qualche purità’, cosicché decide di imitare lo stile delle ‘lavandare’, che ‘per depurare ed imbianchire le tele lavano ed asciugano i loro panni più e più volte, che lavando ed asciugando pervengono all’ultimo candore.’: … repetita juvant, no?

Tutto fatto, dunque? … Certo che no: ‘Per quello però che tocca all’operazione manuale, non essendo questo l’ultimo intento del mago, che postala in vaso netto e puro che non li potesse causare né odore né sapore né color cattivo, restai di mente contento, mentre di certo sapevo che di breve con quella pelle sì pura che di già si era disposta a prender altra forma, doveva risorgere il Re conforme la sirena del mar Negro mi aveva scritto (quella ‘firma‘, qui)’.

Palombara assicura che quanto ha scritto ‘… è una schietta verità fraterna e verace … ché chi ha fortuna d’arrivare a questa parte in questo 4° capitolo, descritta di facile ha la via aperta, senza alcun inciampo per poter penetrare nell’ultima camera, dove il Re tiene apparecchiati immensi tesori per corrispondere alla parola regia da lui data a chi l’avrà liberato dai duri ferri con i quali i suoi nimici l’incatenarono le mani, i piedi ed il collo tirannicamente, con tenerlo carcerato in una oscura secreta impaniato ed impeciato tra mille lordure, trattato non da Re ma da minimo schiavo o assassino, che benché da molti, anzi infiniti, sia cercato, non è ritrovo se non che da pochissimi che sono quelli che non osservano tanto l’abito vile con il quale è miseramente trattato, ma con la guida  di Demogorgone e di Saturno tanto si affaticano che lo trovano nascosto nel loro centro …’.

Chiusa canonica e da manuale, no?

… e siccome si va verso fine anno, il Caput Anuli, non farò commenti di sorta! … tutto è già più che chiaro.

[Salomon Trismosin – Aureum Vellus oder Guldin Schatz und Kunstkammer darinnen der aller fürnemisten – 1598-1604]

“La Bugia” del Marchese Palombara … 3

Posted in Alchemy with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Sunday, November 5, 2023 by Captain NEMO

Continuiamo l’esame della Parabola del buon Marchese.

Lieto per vedere che la mia operazione con l’aiuto di Dio camminava di bene in meglio, mi venne pensiero di prendere altre vie per pascere l’animo d’altre vedute, per sollevare la mente affaticata nei studi.”.

Questo innocente ‘cappellino’ di Palombara, dovrebbe/potrebbe avvisare lo studente studioso: ‘altre vie’, dice.

Ciò detto, il nostro lascia le colline e si reca verso il mare ‘con la sua vastità ed apertura dell’aria’; raggiunge uno scoglio sulla riva: ed ecco che dalle onde vede uscire una ‘locusta’; dall’incisione che accompagna questa parte del testo si vede bene che si tratta di un granchio,  ‘tutta affamata e presciolosa, mostrando un’interna passione e melanconia nell’animo, con cortese inchino mi salutò ed aperta una piccola scarsella che le pendeva dal fianco cava da quella una piccola lettera o viglietto e me lo consegna.’.

Sul bigliettino si legge: “PIX ALBA AMARA LUMINIS UMI”, che è evidentemente un acrostico di ‘Maximilianus Palombara’; più operativamente, il buon Marchese sostiene: “… additandomi brevemente con la materia tutta l’operazione, mentre effettivamente tutto il principio della seconda operazione, che è il fine della prima, non è altro in effetto che una pece bianca ed amara del lume della terra.”; leggere bene, meditare con calma … e stare accuorti, eh? Suggerisco di notare che si tratta del Lumen e non proprio della Lux.

Conscio di aver tirato un sassetto in piccionaia, il buon Marchese alza la posta: “Amara, dico, perché ancora non è perfetta né affatto concotta o matura, essendo un estratto o quinta essenza o splendore cavato dalla terra dei filosofi detta Saturno, o Latona o Sole non depurato che, giunto a questo segno, vien chiamato con il suo primo nome Giove.”. Naturalmente dice bene, e non mente … Anche se mi par di percepire un rapidissimo batter di palpebre, con l’inarcar del ciglio … c’è dell’altro, infatti.

Poscia osservo il sigillo di essa (i.e., della lettera/viglietto) che era una fiamma, benché voltata all’ingiù verso la terra, tanto conforme al suo naturale, tendeva verso il cielo.”. … Ah, però! Carina questa, no?

La missiva, una volta aperta, reca una firma “La sirena del Mar Negro”. Se è firma, essa è ferma, e dunque chiude … cosa? Aperte le danze in modo così perfettamente acconcio, sicuro di risvegliare l’attenzione persino del più distratto dei casuali lettori, Palombara riassume il testo del ‘viglietto’: siccome il Re che si cerca non riusciva a sopportare il gran caldo, una notte era sceso a bagnarsi e restò accidentalmente annegato; si trattava per il nostro di attendere che le onde lo portassero a galla, certo ‘estinto’, ma lacero e putrefatto. Il viglietto raccomandava al cercatore il ‘regio cadavere’ e che ‘se avesse saputo operare con i modi magici, gli sarebbe stato facile, pur morto, di riportarlo in vita.’. Così, il Marchese aspetta sullo scoglio, poi la superfice del mare cambia colore (!) e vede ‘avvicinarsi un cadavere … sformato dal suo essere, e quasi disfatto…’; il Marchese lo afferra per un braccio … ma si accorse subito ‘d’aver alzato dal mare un pezzo di sottil pelle priva di tutte l’ossa, di tutte l’interiora e carne.’. Il mare torna calmo e Palombara ripone la pelle in un guscio di testuggine (‘testudine marina’) trovata sulla spiaggia, si avvia a ritornare, ma il mare si agita di nuovo; ed emerge di nuovo il cadavere del Re, ma con il braccio di nuovo ricoperto di pelle; stupito, stende la mano e ne ritrae un altro pezzo di pelle, che mette assieme alla precedente; la scena e la raccolta si ripete altre due volte. Poi il cadavere non tornò più a galla. Mentre risale verso il luogo da dove era venuto, sempre portando con sé la testuggine piena di pelle raccolta, si accorge che stava arrivando un gruppetto di gente; per paura di venir accusato di aver ucciso il Re, il Marchese si nasconde tra le rovine nelle vicinanze: senza esser visto, capisce che si tratta di un gruppo di filosofastri che discettano della materia con cui comporre la Pietra.

Ed ecco che con grande stridore e strepito si apre a stento una porticina: ne esce ‘una vecchia donna di bello aspetto, ma carica d’anni infiniti, dalla quale ne uscivano alcuni raggi di sole, ed appoggiava l’antiche membra sopra di un bastone, nella cima del quale vi era una mezzaluna.’. La vecchia gli chiede che cosa stesse facendo lì, e Palombara le racconta di aver la pelle del Re con sé; la Natura – perché lei è Natura; chi altra poteva essere? – se ne rallegra molto e gli dice che era davvero fortunato; lui chiede se quella pelle fosse proprio di quel Re tanto cercato da tutti; risposta: ”Sappi che quella pelle, benché insanguinata e sozza, è la parte più nobile del Sole, e che fa  per il tuo mestiero e che insieme fa il tutto, né mi meraviglio che ciò ti apporti meraviglia, poiché questo è un Re a pochi del mondo noto, benché da tutti sia veduto, ed è forte, gagliardo, potente, che resiste al foco, al freddo e ad ogni intemperie più d’ogni altro, e ciò lo puoi da te medesimo argumentare dalla fatica che hai avuto in spogliarlo delle sue ossa, ancor che fosse dal mare putrefatto, che sebbene è morto risorgerà qual novella fenice se sarai prudente. Sì che sappi che sebbene il mare gli dié la morte con annegarlo, quello li dié prima la vita, poiché da quello nacque essendoli madre e genitrice, la quale, sebbene sa che deggia risorgere trionfante, con tuttociò come pietosa al parto dalle sue viscere non puol celare il suo dolore, dandone segno con oscurarsi e vestirsi di lutto tra i singulti e li pianti sì come averai veduto. Conserva dunque questa pelle, e serviti della sua madre, mentre quel medesimo mare che dopo la vita li dié la morte, è disposto di novo a porgergli miglior vita con eternarlo, e regolati con prudenza, pazienza, e secretezza.”. La vecchia se ne va, ed il Marchese se ne torna a casa, ‘carico della ricca e preziosa preda’.

Una favola cruda, certo, ma bella, no? Si direbbe un racconto classico, un’allegoria ritrovata decine di volte nei buoni testi d’Alchimia. Eppure, a ben leggere, si coglie tra le righe qualche piccolo particolare di un certo interesse; nulla di veramente rivoluzionario, ma che colui che si ritrovasse avanzato lungo il cammino operativo non faticherà a riconoscere;

L’immagine che emerge appare infatti quasi come un dagherrotipo, dai colori così sfumati, dolcemente sbiaditi, caratteristici, affascinante: come sempre, gran parte dei lettori vi troverà pane per i loro Simbolici dentini; ma è davvero ridicolo affermare che l’Alchimia – grazie a brani come questo – possa mai esser un’Arte ed una Pratica di natura simbolica, non credete?

La fase operativa riguarda Latona, naturalmente; e, più in generale, ciò che si chiama ‘purificazione’. Ma prima di ‘purificare’ occorre evidentemente prima disporre di quel corpo; poi, memori di quanto riportato nel passo di cui ho parlato in precedenza (qui), disporre del corpo che lo potrà purificare; infine, con una certa manualità, effettuare la ‘dealbatio’, lo sbiancamento di Latona. A proposito del brano precedente, invito ancora a studiarlo al meglio, riflettendo. Non poco; molto: melius abundare quam deficere, eh?

Quanto a Latona, Maier – citando il Clangor Buccinæ – recita: “È un corpo imperfetto composto da sole e luna”; ma, prosegue Maier, Latona – secondo Poeti e scrittori antichissimi – è madre del sole e della Luna, ovvero di Apollo & Diana, altri ne fanno la nutrice; Diana nasce per prima (Luna, e l’albedo, infatti appare per prima), e Diana sarà la levatrice di Apollo.

Per chi fosse proprio curioso, riporto il passo: “Dealbate ergo Latonem: idest, æs cum Mercurio, quia Latone est ex Sole & Luna compositum corpus imperfectū citrinum: quod cùm dealbaueris, & per diuturná decoctione ad pristinam citrinitatem perduxeris, habes iterū Latonem eodem modo ductibilé, & ad quantitatem tibi placitam: tunc intrasti per ostium, & habes artis principium.[1].

Come ha scritto il buon Marchese poco sopra (“… terra dei filosofi detta Saturno, o Latona o Sole non depurato che, giunto a questo segno, vien chiamato con il suo primo nome Giove”), qualcuno potrebbe cadere nel dubbio: nel Mito, Latona è la madre di Febo ed Artemide, il cui padre è Giove, la cui sposa è Era; insomma Giove, attratto dalla gran beltà di Latona, si congiunge con lei di nascosto dalla ovviamente gelosa Era (la quale farà inseguire Latona dal serpente Pitone, per ogni dove). Latona, fra l’altro, è una Titanide, figlia di Febe e Ceo, a loro volta figli di Urano e Gea; perché mai, dunque, Palombara allude al ‘primo nome Giove’? Mettendo per un attimo da parte la genealogia proposta nel Mito, Sir Isaac Newton potrebbe aiutarci un tantino: nel suo Index Chemicus, una sorta di gran taccuino in cui annotava gli appunti frutto dei suoi studi alchemici, alla voce Jupiter Philosophorum, scrive:

Jupiter Philosophorum, qui a juvando dictus est ac de quo tot fabulæ introductæ sunt, non est Jupiter vulgi sed subjectum philosophicum, ex quo omnis tinctura petenda est, materia philosophica quæ in Aquilæ forma Ganimedem in Cælum evexit, quæ in aurum mutata Danaæ in gremium decidit, quæ sub forma Cygni albi Lædam compressit, etc. Nisi enim ad volatum sit idonea aut ad lapsum suo pondere apta materia, non est Jovis nomine digna cum ne minimum juvare possit Artificem sed plurimum morari.”.

La facile traduzione del suo Latino seicentesco ci fa sorridere per l’acutezza e l’intuizione, ma è – soprattutto, credo – piuttosto interessante: il ‘Sole non depurato’ a questo punto delle operazioni prende – nell’opinione del Marchese – … il nome del focoso amante di Latona, cioè ‘Giove’ (o Jupiter Newtoniano che dir si voglia). Nomen est Omen, no?

Ora, relativamente all’evidente necessità delle ripetizioni della ‘raccolta’ di ciò che Palombara chiama ‘pelle’, ricordo quante e quante volte io ed il buon Fra’ Cercone ci siamo interrogati su questa famosa frase di Fulcanelli:

C’est cet esprit, répandu à la surface du globe, que l’artiste subtil et ingénieux doit capter au fur et à mesure de sa matérialisation.”.

Fulcanelli si riferisce a questo medaglione del Porche Central di Notre-Dame de Paris:

la cui didascalia recita: “I materiali necessari all’elaborazione del solvente.

Ecco il primo paragrafo del commento di Fulcanelli, nella traduzione di Paolo:

Il nono soggetto ci permette di penetrare più a fondo il segreto della fabbricazione del Dissolvente universale. Una donna indica – allegoricamente – i materiali necessari alla costruzione del vaso ermetico; tiene alta una tavoletta di legno che assomiglia ad una doga di botte, la cui essenza ci è rivelata dal ramo di quercia che adorna lo scudo. Ritroviamo qui la sorgente misteriosa scolpita sul contrafforte del portico, ma il gesto del nostro personaggio tradisce la spiritualità di questa sostanza, di questo fuoco di natura senza cui quaggiù non può crescere né vegetare nulla. Questo è lo spirito diffuso sulla superfice del globo, che l’artista sottile e ingegnoso deve catturare durante la sua materializzazione. Aggiungeremo ancora che occorre un corpo particolare che serva da ricettacolo, una terra attrattiva dove possa trovare un principio suscettibile di riceverlo e di ‘corporificarlo’. «La radice dei nostri corpi è nell’aria, dicono i saggi, e le loro cime stanno in terra». È il magnete racchiuso nel ventre di Ariete che va colto al momento della nascita, con destrezza e abilità.”.[2].

Fantastico: più mi capita di rileggerlo, e più ne ravviso la chiarezza esemplare e tradizionale. Ovviamente, val la pena di approfondire, studiando con cura anche il seguito.


[1] Vide Clangor Buccinæ, in Artis Auriferæ quam Chemiam Vocant, Basileæ – 1593, p. 503.

[2] Vide Fulcanelli, Il Mistero delle Cattedrali, Roma – 2005, p. 150.