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Bourges – Hôtel Lallemant, Caissons – Serie VII

Posted in Alchemy, Alchemy Texts, Alchimia, Alchimie, Fulcanelli, Pietra Filosofale with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on Friday, February 10, 2023 by Captain NEMO

Ritorniamo a studiare il curioso soffitto della stanza che stiamo esaminando; la stanza viene chiamata generalmente ‘Chapelle’, anche se – strictu sensu – non sembra tale; ma – lato sensu – … lo è: il termine ‘cappella’ viene – pare – proprio dal Francese ‘chape’, che è la nostra ‘cappa’; si tratta del mantello, la cui epitome in terra di Francia è quella legata a San Martino, di Tours: prima di convertirsi al Cristianesimo, Martinus – un Germanico, nato in Pannonia – faceva parte di un’Ala degli Equites catafractarii Ambianenses, la cavalleria pesante generalmente dedicata alla protezione dell’Imperatore. Forse per questo – e per celebrarne le doti di Charitas – viene raffigurato (in una scultura che sovrasta il cancello d’entrata del castello di Höchst) vestito di elmo e corazza mentre taglia in due il proprio mantello (la ‘chape’) per donarlo ad un pover’uomo (il quale è, in questa raffigurazione, pure zoppo…):

Così nacque la venerazione da parte dei Re di Francia per la ‘chape’: si dice che la parte rimasta sulle spalle del buon Martinus venne conservata con ogni possibile onore e riverenza dai Re dei Franchi Merovingi, nell’Abbazia di Marmoutier a Tours, e veniva persino indossata in battaglia dal Re; da allora divenne una delle reliquie più preziose di Francia, quando Carlomagno la affidò ai monaci di Saint Denis. Il religioso che portava la ‘cappa Sancti Martini’ fuori dal reliquiario veniva chiamato ‘capellanum’, per cui tutti i sacerdoti al servizio degli eserciti vennero chiamati ‘cappellani’. Da qui, con le solite approssimazioni linguistiche, il luogo dove il ‘chapelain’ custodiva la ‘chape’ divenne … la ‘chapelle’, che poi indicò sempre un locus appartato di una chiesa e di particolare importanza nella liturgia, dove in genere veniva conservato qualcosa di prezioso.

Il famoso proverbio ‘Per un punto Martin perse la Cappa’, invece, sembra non aver nulla a che fare con San Martino, bensì con un abate del XVI secolo, il quale volendo abbellire la propria Abbazia, affidò ad un artigiano la realizzazione di un cartello di benvenuto che accogliesse i pellegrini: ”Porta patens esto. Nulli claudatur honesto.”; ma il pover’uomo sbagliò la posizione del ‘punto’, per cui la scritta diventò “Porta patens esto nulli. Claudatur honesto.”. Oltre l’imbarazzo inevitabile per lo sbaglio e il non aver controllato, la cosa arrivò fino al Pontefice, così che Martinus perse pure la ‘cappa’, … ma quella di Abate!

Ciò detto, torniamo ai Caissons, in questa settima serie.

Cassone 19 – Una Mérelle con lo scarabeo-scorpione.

Fulcanelli in proposito scrive: “… une large coquille, notre mérelle, montre une masse fixée sur elle et ligaturée au moyen de phylactères spiralés. Le fond du caisson qui porte cette image répète quinze fois le symbole graphique permettant l’identification exacte du contenu de la coquille”.

La traduzione di Paolo è, more solito, perfetta. “… una larga conchiglia, la nostra capasanta, mostra una massa fissata su di lei e legata da filatteri a spirale. Il fondo del cassettone che porta quest’immagine ripete quindici volte il simbolo grafico che permette l’esatta identificazione del contenuto della conchiglia.”.

[Fulcanelli, Il Mistero delle Cattedrali – 2005, p. 289]

C’è chi sostiene che non si tratti di una conchiglia, ma a me pare evidente che si tratti proprio della ‘capasanta’ … o ‘santa capa’ che dir si voglia. Ma la cerniera della valva pare leggermente rotta, in alto, come per mostrarne il contenuto, normalmente nascosto da due valve quando la mérelle è chiusa; voglio dire che sembra che l’immagine rappresenti qualcosa che in condizioni normali non si vede. La ‘massa’ è fissata da un unico filatterio in realtà, a formare una sorta di ‘otto’: potrebbe rappresentare – come sostiene il mio amico injubes – il percorso delineato dai punti massimi dell’ombra dello gnomone di una meridiana, proiettati a mezzogiorno: in un intero ciclo solare, formano per l’appunto questo andamento spiraleggiante (si tratta di un percorso fisicamente rilevabile osservando in cielo il moto di Sol per un anno, dalla stessa posizione, ad una stessa ora: si chiama Analemma, qui). Se così fosse, la ‘legatura’ cui accenna Fulcanelli è dovuta al ‘vincolo’, generalmente dovuto al Mercurio, che trattiene uno Zolfo, il qual Zolfo, … viene fissato: … Ohibò!

Ma cos’è questa massa, della quale Fulcanelli non dice una-parola-una? Questo insettone appare ben strano, e c’è chi dice che sembra figurare un miscuglio di due corpi, un corpo di due nature: la grossa testa sembra quella di uno scarabeo cornuto, ed il corpo (sei zampe e due chele) e la coda (munita di pungiglione, o di una doppia chele) paiono indicare uno scorpione. Lo scarabeus (Ogni scarrafone è bello a mamma soja), che spingeva davanti a sé una palla di sterco e terra, era venerato in Egitto come un simbolo di resurrezione/rigenerazione; si chiamava kheperer, ed era nella palla di sterco che il coleottero custodiva le sue uova; l’abitudine venne collegata al mito del dio Khepri, il Sole che sorge ciclicamente generato dalla terra, così come appare sull’orizzonte, all’alba. Quanto allo scorpione, a parte che la sua puntura velenosa può essere mortale, non mi vien in mente granché.

Poi le ‘E’: ne sono visibile dodici, e potrebbero essere quindici se ne immaginiamo altre tre dietro la mérelle. Fulcanelli sostiene che quella ’E’ è “… il simbolo grafico che permette l’esatta identificazione del contenuto della conchiglia”. … Ho la sensazione che il gioco nascosto sia davvero sottile. Ma forse è meglio, per non guastar la festa, andare avanti …

Cassone 20 – L’Angelot … et les coquilles.

Fulcanelli commenta questo Cassone così: “Dans une autre figure, nous retrouvons l’enfant, – qui nous paraît jouer le rôle de l’artiste, – les pieds posés dans la concavité de la fameuse mérelle, et jetant devant lui de minuscules coquilles issues, semble-t-il, de la grande.”.

E Paolo: “In un’altra figura ritroviamo il bambino – che ci sembra rivesta il ruolo dell’artista – con i piedi posti sulla concavità della famosa capasanta e che getta davanti a sé minuscole conchiglie, provenienti, così sembra, dalla grande”.

[ibidem]

Il paffutello angioletto è ben pettinato ed ha un’aria tutto sommato paziente e serena: pare occupato a far cadere le conchigliette;  ma che senso avrebbe visto che sembrano figlie della grande su cui è comodamente seduto? Non sarebbe più facile semplicemente estrarle manin-manina dalla mérelle-Mère? Forse – e dico forse – le sta pulendo, con quel cesto di vimini? Le getta in aria, come per separare qualche sporcizia?

Beh, ci vorrà u po’ di tempo; ecco perché ha quello sguardo assorto …

Come abbiamo visto nell’esame di qualche altro Cassone, troviamo spesso nel Livre des Heures di Étienne Lallemant l’ispirazione; ma stavolta … è proprio precisa:

Curiosa corrispondenza, no? … dimenticavo: il Putto raffigurato nelle Heures è privo d’ali, mentre quello scolpito sul soffitto è in bella evidenza munito di alucce; e, a ben guardare, le piccole cerniere delle piccole conchiglie, tanto quelle scolpite che quelle dipinte … potrebbero essere prese per alucce, pure loro!

Cassone 21 – La ‘E’ tra le fiamme ….

Fulcanelli: “Le même signe, – substitué au nom de la matière, – apparaît dans le voisinage, en grand cette fois, et au centre d’une fournaise ardente.”.

E Paolo: “Lo stesso segno – sostituito al nome della materia – appare, questa volta più grande, nelle vicinanze, [e] in mezzo ad una fornace ardente.”.

[ibidem]

Torniamo dunque a quella ‘E’, misteriosa. Tanto per cominciare vi mostro come si apre il Livre des Heures di Étienne Lallemant :

Nel Capolettera di Étienne lo scarabeo proprio non c’è: per cui, o lo scalpellino di Jean si è sbagliato (la testa così grossa ed il corpo privo di anellature non assomigliano a quelli di uno scorpione), … oppure l’insettone di cui sopra, rappresenta solo uno scorpione, anche se raffigurato non proprio fedelmente[1]. A voi l’ardua sentenza!

Lo sfondo del magnifico Capolettera è il ben noto Blasone dei Lallemant, qui cosparso di ‘E’ (come nel Cassone 19, a dx della serie); al centro la bella valva della mérelle, aperta, in cui – guarda caso! – un nero scorpione viene ‘fissato’ dal filatterio che recita ‘Salus tu feris das’ (Tu ferisci, [tu] dai salute; lo scorpione ferisce, la mérelle guarisce); la pagina è quella corrispondente alla liturgia del 31 Dicembre, ed inizia con il Salmo 69 della Vulgata: “Deus, in adiutorium meum intende”. Come ho scritto in precedenza, Étienne potrebbe aver lasciato la carriera di avvocato al Parlement de Paris in seguito ad una pena d’amore, per poi prendere i voti e diventare Canonico di Tours e Bourges; il Livre des Heures, da lui commissionato, venne probabilmente completato prima del 1500, ed alla sua morte passò al fratello Jean Lallemant le Jeune; Jean, dunque, si è certamente ispirato alle decorazioni del Livre per la progettazione dei Cassoni di questa bizzarra Chapelle… ma torniamo a Fulcanelli: perché mai quel ‘signe’ potrebbe indicare la materia misteriosa (che figura dodici o quindici volte nel Cassone di dx)? Si potrebbe pensare ad un glifo che è ben presente in alcune antiche tavole che rappresentano simboli alchemici: la ‘E’ o la ‘Ɛ’ vi figura generalmente come la ‘cinis’, la cenere. Naturalmente, osservando il Cassone, l’operazione è certamente una Calcinazione; però, non è detto che quella ‘E’ bruci da sola: sembra che le fiamme, a punta, avvolgano e penetrino una sorta di corpo indefinito, ma senza spigoli, piuttosto confuso (al centro, sullo sfondo, addirittura si erge una specie di montagnola, che assomiglia a … qualcosa che si è rappreso; chissà); dice “… s’igne?”; risposta “… certo che s’igne, ma chilla E nun s’igne; è l’altro che s’igne, capatost’!”.

Se questa balzana ipotesi fosse degna di una qualche attenzione, allora in questa ‘fornace ardente’ ci sono due corpi: uno è misterioso, l’altro potrebbe essere rappresentato dal simbolo della cenere; … quale cenere? Per di più, c’è un apparente paradosso: in Alchimia operativa, la cenere è l’ovvio risultato di una Calcinazione; da quella cenere, sempre indicata dai buoni autori come ‘meravigliosa’ si deve poi estrarre un Sal, anzi il Sal, il quale è estremamente importante, perché … è il Sal Petræ, che non è ovviamente il Salnitro, bensì il vero Sale della Pietra, cioè della vera materia dell’Opera. Emozionati? … però, chi non ha lavorato obbietterà giustamente che, a rigor di logica, sarebbe del tutto assurdo pretendere di calcinare ancora una volta un sale, il quale è già il frutto di una calcinazione; eppure …

Allora, logica a parte, risponderei con una immagine, ben conosciuta, tratta dal Donum Dei:

Di fronte alla consueta perplessità dell’obbiettore, non profferirei altra parola che ‘cinis cinerum’; per poi aggiungere, de surcroit, che il nomen Étienne corrisponde al nostro Stefano; dice Wiki: “Στέφανος (Stéphanos, latinizzato in Stephanus), che letteralmente significa “corona” …”.

Direi io, all’obbiettore: “Parbleu, Monsieur … Sans une Couronne le Dauphin ne sera jamais un Roi, n’est pas?

A supporto del momento, vi lascio con un brano tratto da quale genio assoluto che fu Monteverdi, di scarsa qualità purtroppo, ma emozionante per il modo con cui il conduttore, Messer Marco Mencoboni, dirige il coro, davanti e dietro di sé; dalla Cattedrale di Lisbona, ecco a voi il Domine ad Adjuvandum, dall’incredibile Vespro della Beata Vergine:

Se poi, presi da Joie et curiosité, voleste dilettarvi dell’intero Vespro, di assoluto valore alchemico, vi lascio in santa pace (per un’ora e quarantaquattro minuti) con Sir John Gardiner, nell’esecuzione capolavoro tenutasi à la Chapelle Royale de Versailles:

À bientôt, mes Dames et mes Sires

tiens, mais encore … une autre Chapelle ?


[1] Ma lo scalpellino potrebbe essersi ispirato a raffigurazioni pittoriche coeve; in queste, per esempio, i soldati romani che assistono alla crocifissione di Gesù portano l’insegna dello scorpione, raffigurata su stendardi o scudi militari:

Oratorio di San Giovanni Battista, Urbino
Convento di Santa Maria degli Angioli, Lugano