“La Bugia” del Marchese Palombara … 2


Proseguo nella Parabola del buon Marchese.

A chi non è infuso di celeste sapienza, apporterà la lettura dei libri molta occasione di considerare che i loro discorsi sono pieni di equivoci e contraddizioni, che perciò il prudente ed accorto lettore dovrà sempre tenere accesa la bugia, acciò tra le oscurità della menzogna non inciampi nella profonda fossa dell’ignoranza.”.

Insomma, un buon consiglio, tutto omeopatico, no? “Similia Similibus Curentur”, dove nei nomina si cela il discrimine tra tenebra e Lux. Facilissimo da farsi, purché si ri-conosca, si sappia ri-conoscere, Lux; come pure, ovviamente, la propria, intima, Lux, quella originale, di nascita. Curiosamente, ma è la verità, entrambe hanno la loro Massa! E questo è un altro discorso …

Il nostro si avvia così a casa, ‘carico dell’erba celeste … colta nel colle’, che da tempi immemorabili è stata e sarà incognita all’ignorante; parola sua. Vediamo: … ma dove … dove ho letto dell’erbetta e del monte? Ah, … ecco … forse forse dal Pacifico Amante della Verità? Mi domando spesso, alla mia età, quante volte sia necessario ripetere la stessa cosa, affinché – al fine – si accenda Lux nel Cuore del cercatore.

La prende, la lava, la pulisce dalle impurità ‘che aveva nella radice’ (facili da separare: ‘non sono interne, né della sua natura’), la trita in atomi minutissimi, e la pone in un ‘vaso magico’, e la tiene sul fuoco ‘lento, vaporoso, aereo, non comburente’ – tipo quello del Trevisano – per asciugarla di una ‘certa umidità che a te ti deve essere molto ben nota’, dice. E … toh! … nasce così un Corvo! … Ah, caspita, … ma deve trattarsi del ‘vas negromanticum’ di Maria, l’Ebrea sorella di Mosè … no? Dal loggione: ‘Ecco, lo dicevo io, ci vuole un Magus, un incantesimo, una conjurationem esoterica e theophrasticam!’ dice, andando a raccattare il cappello a punta e il librone dei Grandi Grimori della Suprema congrega di Shalazam

NO. Dice Maier nell’Atalanta Fugiens, parlando di Triptolemo, commentando l’Epigramma XXXV: “… illud vas, quod Maria dicit, non esse negromanticum, sed regimen ignis tui sine quo nihil efficies.”. Punto. Basta questo, sapete? Ma ritengo sia bene prendere la Bugia indicata dal Marchese, ed accenderla con destro et ratto fiammifero, scoprendo che l’ignis tui … pur essendo senza dubbio un ignis, NON è il focherello che accendiamo sotto l’œuf-à-la-coque.

Pur avendo visto il Corvo, il buon Marchese scopre ben presto di non riuscire ad ‘aprirlo’: “ … per la mia poca pratica in operare [eh, sì … se non lavori, e tanto, e sempre, ci si trova presto tra i rovi!], poiché sebbene con certezza sapevo che dentro le viscere del suddetto corvo vi stava una bianca e pura colomba che nell’occhi  portava doi perle orientali, con il collo ricinto di risplendentissimi e ricchi diamanti, con tuttociò il corvo era sì duro, tenace e bestiale che non trovavo modo da pelarlo e strapparli le penne, che sì fortemente le tenevano avviticchiata ed intrecciata la carne e la polpa. … mi si nascondeva la chiave di questo carcere tenebroso ove innocentemente era ritenuto il mio Re, … e benché sapessi che Saturno era il custode di quella, lo trovai sempre tanto ostinato che non volse mai piegarsi alle mie calde preghiere, onde dando io in quel detto che dice: ‘comburite os nostrum igne fortissimo’, presi pertanto desperato il sopra narrato corvo e lo misi in un foco violentissimo e potente in forte vaso.”.

QED, … mal gliene incolse!

Così, ritorna al colle, in cerca della grotta che aveva trovato in precedenza; ma la trova sbarrata da una porta di Metallo, con sopra incise queste parole: “Io Mercurio, figlio di Maia per ordine di Giove sono disceso in terra, ed ho chiuso l’antro dove si trovano tutte le felicità umane e ne ho riportato la chiave in cielo.”. Evidentemente rattristato, fa per tornare a casa; ma incontra un vecchio barbuto ‘alto e asciutto’ che gli dice che Giove aveva fatto sbarrare l’antro per precauzione, ma contro gli altri mortali, e non contro il Marchese: “… poiché chi una volta gustò del nettare del cielo non è mai più escluso dalla famiglia di Giove, né vi è esempio che chi una volta fu eletto al sacro magistero, sia poi stato abbandonato da quella maestà, e sappi che se l’operazione <non> fosse difficile e laboriosa l’arte al certo perderebbe il nome di arcano …”; poi: “Giove che previde il tuo errore e che sapeva che dovevi ritornare all’antro, ordinò a Mercurio che avanti di chiuderlo mi consegnasse una cestola chiusa e sigillata, e la conservassi per doverla dare a te per quando di novo venivi all’antro, quale averesti trovo all’improvviso chiuso. Onde ecco che te la consegno e torna felice e ricordati che il gran padre Ermete ci avvisa con queste parole: ‘Separabis subtile a spisso, suaviter et magno cum ingenio, etc.’.”

Così, preso ‘il canestro’, se ne torna in Laboratorio, cominciando ad “operare di novo più sanamente” e con l’aiuto ricevuto riesce finalmente ad ottenere “ciò che l’occhio sapeva desiderare, mentre tutte le gioie del Perù erano fango appresso sì degna e non compresa visione …”.

Prima di concludere questa parte illuminata ed illuminante, credo utile ricordare che il buon Marchese aveva chiesto al vecchio chi egli fosse; e lui gli rispose: “Io sono un antico ministro di Mercurio che eternamente dimora albergo di fuora alla custodia dell’antro e sono quello che ti risposi li giorni addietra alle undici interrogazioni [qui] che mi facesti …”, confessandogli che le risposte (in realtà 10) che gli aveva dato venivano suggerite direttamente da Giove, nell’alto dei cieli.

Ciò detto, lo studioso d’Alchimia non potrà non ricordare il famosissimo episodio della vecchia (assieme ai suoi moniti, pesantissimi), della ‘vergine’ sua figlia, e delle ‘vesti’, e del ‘cofanetto’, e della ‘liscivia’ [vide in Tre Trattati Tedeschi di Alchimia del XVII Secolo, pp. 90-3], meditando per bene su quanto scrive in proposito Paolo Lucarelli (alle pp. 23-5).

Hai ottenuto l’eredità che ti ha lasciato mia figlia?” – “In verità, ho trovato il cofanetto, ma non sono proprio in grado di togliere quella veste di stracci, e la liscivia che mi hai dato non riesce a scioglierlo e nemmeno a intaccarla.” – “Tu cerchi di mangiare le lumache o i granchi col guscio? Non conviene che prima li prepari e li faccia maturare il vecchissimo cuoco dei pianeti? Ti ho detto che devi purificare il cofanetto bianco con la liscivia che ti ho dato, non la veste di stracci esterna e cruda; infatti prima di tutto devi bruciarla con il fuoco dei saggi, e allora tutto andrà bene.”, (alla p. 93).

Concludo avvertendo il lettore che l’apparente o ipotetica contraddizione tra i due sogni che si potrebbe presentare alla mente di chi lavora, è solo un ostacolo razionale; velenoso, e più pesante dei moniti della vecchia centenaria. Se invece riuscisse ad aprire il Cuore, con la Bugia dal sorriso omeopatico, Lux potrebbe forse illuminar meglio il cammino. Chissà …

Lo scoglio operativo di cui si parla, è identico: ma se si prestasse miglior attenzione tanto ai termini, tanto alle Maschere indossate dai vari personaggi … beh, forse quel fiammifero cui accennavo supra potrebbe finalmente essere acceso dall’appassionato … nel corpo giusto & col modo giusto! … il resto lo farà Madre Natura!

4 Responses to ““La Bugia” del Marchese Palombara … 2”

  1. Egregio capitano, mi consola il fatto che “Chi una volta gusto’ del nettare dal cielo non è mai più escluso dalla famiglia di Giove…”. Il Kremmerz era di altra idea… personalmente non ho mai perso la speranza di ritrovare quella fonte anche se l’età è i continui fallimenti mi suggeriscono un confronto con chi mi sembra abbia una certa dimestichezza con l’esperienza in questione.
    Un caro saluto
    Ferpoti

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    • Caro Signor Ferpoti,

      grazie del suo messaggio.
      In effetti, a mio umile avviso, il far parte di un gruppo regolato da regole di origine umana può costituire un vero limite alla Conoscenza, tantopiù in un ambito che non dovrebbe mai, by definition, trovar limiti di alcuna sorta.
      Non saprei dire se si tratti di fortuna o di scelta o di destino: ma sempre, ed in ogni caso, la “libertà d’Impresa” è una porta ben aperta, per tutti, indipendente dall’età o dal cammino; se la passione la muove, se “sente” la necessità di Lux, non abbandoni la sua Queste personale.
      Non ci sono capi, e/o maestri; è un’illusione.
      In Alchimia, la vera ed unica Maestra è Natura.
      Studi e lavori, se cerca.

      Sempre di buon cuore,
      Captain NEMO

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      • Caro Capitano,
        sto scorrendo con malcelato divertimento la Vostra analisi dettagliata dello scritto del Palombara, lucido e stimolante come sempre. Questo vostro commento mi spinge ad uscire dal mio silenzio per sottolineare un elemento che reputo sempre più importante in questo evolversi dei tempi, e precisamente ri-cordare, ri-affermare, far ri-emerge dalle viscere della conoscenza il fatto – tanto ovvio da essere spesso taciuto – che l’unico vero Maestro iniziatore dell’Alchima è l’Opera stessa, la si chiami Natura, Spirito Universale, Gran Dama o banalmente crogiolo e fuoco.
        Mi ricordo una battuta di Paolo Lucarelli, che alla mia preoccupazione su come trasmettere la scienza alchemica, su come garantire la continuità della conoscenza anche nella palese evaporazione fisica di materiale umano magistrale nella nostra epoca in rapida decomposizione, con il suo solito sorriso mi rassicurò ripetendomi di non affliggermi, che “L’Arte si difende da sola” e che pertanto anche si trasmette in autonomia, senza dipendere da nessuno.
        L’Alchimia non ha bisogno di Maestri. Sono utili, a volte, va bene. Ma diciamoci la verità: nessuno dei veri Maestri ha mai scritto per spiegare qualcosa a qualcuno che non lo sapesse già! I Maestri scrivono per divertirsi, per parlarsi tra di loro, per giocare con le parole e la stratificazione dei concetti dove ogni frase ha almeno due significato per parola, per indulgere meglio in quel già menzionato sorrisetto da gatto sornione che governa le loro labbra come un marchio di fabbrica!
        Recentemente uno studioso del Vedanta, commentando Panchadasi VI.280, mi ha detto che l’Asana, il sedersi nella loro tipica posizione tanto caro ai moderni occidentali seguaci di una forma adattata ai loro bisogni, sempre in cerca di diplomi, formalismi e legittimazioni, è solo un suggerimento formale. Ognuno può sedersi come vuole, basta che questo gli permetta quella tranquillità e raccoglimento necessari per la riflessione. Analogamente l’Alchima spesso diventa vittima della ricerca di legittimatori, timbri, diplomi e crismi utili solo alla triste ricerca di dare sostanza ad un Ego debole e non a riflettere sull’Oro.
        Ogni Via ha i suoi mezzi, ogni conoscenza la sua Via. Ve ne sono di tribali e di gruppo, ma quella dell’Alchimia è una Via individuale, una ascesa (alcuni sbagliando a copiare lo scrivono ascesi) solitaria in cui singoli alpinisti a volte emettono delle grida che possono raggiungere altri alpinisti, che – qualora lo ritengono – rispondono come un eco ai loro simili. Ma nulla di questo è di utilità a chi non vive già sulla e nella montagna. Tutto il resto è come vendere per una modesta cifra timbri di compiuta ascesa ai turisti giunti al bazar del paesello ai piedi del monte.
        La Via del Buddhismo in alcuni “colori” ad un certo momento chiede di “uccidere” il maestro, e non lo fa per cattiveria o ambizione ma proprio per esprimere questo concetto!
        Vi ringrazio dunque per questo richiamo, che oggi è quanto mai e sempre più opportuno ed è anche di grandissimo conforto per tutti i veri amanti dell’Arte, in quanto permette a loro di restare tranquilli spettatori, cercatori solitari e liberi da fastidiosi e disturbanti obblighi di sorta. Concede il diritto al silenzio, se desiderato, ed alla parola, se piacevole, in quanto uguali sono. Non la forma, non la fenomenologia descritta, non la parola trasmessa, ma solo la conoscenza diretta donata dal Nostro Fuoco può iniziare il cercatore alla sua Arte. Che, come non mi dimentico mai di ricordare, scoprendo l’Oro scoppia generalmente in una fragorosa risata davanti a tanta semplicità!
        Perché come detto giustamente subito all’inizo del RgVeda (Rg.1.1.2), per condurre gli Dei al sacrificio, bisogna pregare Agni di chiamarli! Tutto il resto è futile vanità.

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      • Caro Signor Ptah,

        con piacere la ri-leggo: come certo sa, condivido il suo commmento, a proposito del quale mi permetto di chiosare che l’unica vera Maestra è la Materia; essa, nella sua felice semplicità, è per fortuna sempre ‘memore‘ della sua origine, e del come è entrata in Manifestazione.

        Quanto al suo richiamo al RgVeda: all’Inno 1, Agni è posto come ‘antistite‘, ciò che guida lo yajña (che – fuor dai misticismi, spesso troppo opinabli – mi piace leggere come ‘viaggio‘); sempre con un innocente sorrisetto, dopo aver consultato tre-edizioni-tre, va forse detto che non sembra proprio strettamente necessario ‘pregareAgni: le varie lectiones del magnifico testo conocordano tutte nel dire che Agnitrae‘, ‘attrae‘ gli Dei … !
        Pur non annunciato da pifferi, trombe e dotte locuzioni, trattasi infatti di un evento del tutto naturale; ma prima occorre, lo si sa, quel benedetto Fuoco.
        Insomma, le cose che fa Natura sono semplici ed efficaci di per sé; non vì è bisogno alcuno di troppi orpelli e misteriosi misteri. Ripeto: alcuno.
        Ma – e questa è solo la mia povera opinione – se non si ha già&ben compreso ‘come-stanno-le-cose‘ in Creazione, quasi certamente si prenderanno … lucciole per lanterne!
        Per decenni.

        Lo studio preventivo e fuor dagli schemi pre-costituiti del Creato e delle sue leggi, decisamente aliene alla nostra orgogliosa razionalità, è indispensabile se si intende Amar & Contemplar l’Arte.
        Poi, che ognuno faccia come meglio sente …
        Amo la mia pace, il silenzio della mente, e la Luce dell’Anima innamorata: … longing for Home, Sir. Nulla più.
        Il refrain di una vecchia Ballata Irlandese, in realtà di antica origine Gaelica, recita:

        And it’s no, nay, never
        No, nay never no more
        Will I play the wild rover
        No never no more

        Sempre di buon cuore,
        Captain NEMO

        PS: … non posso trattenermi dal riferire che, secondo qualcuno, lo yajña (i.e., il ‘viaggio‘) è l’ādhāra dell’Ātman, che si può tradurre come … il contenitore dell’Anima, che un alchimista accuorto potrebbe proporre come ‘il vaso dello Zolfo‘! …
        Ah, Monsieur Ptah … c’est magnifique n’est pas?
        La saluto di nuovo, indistintamente

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